di Salvatore D'Agostino
Gianni Biondillo, scrittore ed ex architetto.
È milanese. Figlio di padre campano e madre siciliana. I suoi noir non hanno un set o un ambientazione, ma raccontano - attraverso l'artificio del romanzo - storie di una parte della città di Milano. Il luogo dov'è cresciuto: Quarto Oggiaro.
Per il padiglione Italia di Luca Molinari - Biennale di Architettura di Venezia in corso - è stato chiamato - mensile Wired - ad essere uno dei 14 visionari.
Più che una visione ha scritto un monito 'Cubatura zero adesso, subito'.*
Quest'intervista è iniziata ufficialmente il 17 giugno del 2009 dopo un suo commento in questo post. 
Salvatore D'Agostino Il tuo libro 'Metropoli per principianti'1 inizia con un ammonimento a non far studiare più architettura ai propri figli, altrimenti non resta altro da fare che mandarli a lavorare all'estero.
Francesco Dal Co ha definito questo incipit 'una Boutade'2, Stefano Boeri crede che le cattive architetture siano frutto anche degli insegnamenti errati delle università3, Renzo Piano - telefonicamente - ti ha ringraziato: «C'è bisogno che ogni tanto qualcuno mi venga a tirare le orecchie»4.
Nel libro proponi d'istituire l'architetto di base.
Che cosa intendi dire?
Gianni Biondillo Ti rispondo con un breve articolo scritto tempo fa che "riassume" la situazione: «Al professor Dal Co non è piaciuto il mio urlo di dolore che apre Metropoli per principianti, dove dico, provocatoriamente: "non fate studiare architettura ai vostri figli".
Intervistato da Stefano Bucci ha detto, un po' piccato, che gli pare "una boutade. Sarebbe come dire: 'non iscrivete i vostri figli a medicina, perché faranno solo i medici di base'."
"Magari!", mi viene da pensare caro professore. Magari fosse così, ci metterei la firma. Tra l'altro i medici di base hanno guadagni mensili non disprezzabili. Invece qui la cosa è assai più tragica. Sarebbe, per mantenere il suo esempio, come dire: "non studiate medicina, che poi vi tocca fare i lettighieri, gli uscieri d'ospedale, gli operatori del call center…"
Perché è questa la vera contraddizione. Siamo il paese col più alto numero di laureati in architettura d'Europa e, al contempo, col più basso numero di progetti realizzati firmati da architetti. La città moderna non ci compete, non l'abbiamo costruita noi. Ci si lascia ingannare dai casi estremi delle star dell'architettura, che sono poco più di specchietti per le allodole, ma lo zoccolo duro, il popolo degli architetti, le mani sul territorio non le ha messe mai. È una percezione falsata quella che ci danno i vari Fuksas, Piano, Gregotti: è un po' come credere che dato che c'è Faletti, tutti gli scrittori vendano ogni volta milioni di copie dei loro romanzi. Non è così: gli scrittori, in media, fanno la fame. Ma con la differenza che almeno pubblicano, mentre gli architetti, in media, non costruiscono affatto.
Anzi, fosse per me farei mie le parole di Dal Co per cambiarle di segno: "Studiate architettura, così diventate architetti di base." Con tutti i problemi che il nostro territorio ha, il patrimonio architettonico da salvaguardare, le questioni di riconversione anche di spazi minimi o irrisolti, l'abusivismo, la sostenibilità, non sarebbe da istituire, a livello governativo, come un dovere di sanità paesaggistica, la figura dell'architetto di base?»5
Che cos'è la geometrizzazione dell'architetto?
È l'accettazione di una modalità non critica del progetto. L'abbassamento dell'asticella della complessità nel nome non della migliore fruibilità ma del lavoro per il lavoro (teniamo tutti una famiglia) e della banalizzazione della professione.
È disinteressarsi a qualificare il gusto generale per adeguarsi ai pregiudizi scontati della progettazione.
Su Nazione Indiana pubblichi alcuni articoli che raccogli sotto il titolo di Urbanità. Che cos'è l'urbanità?
Trovo affascinante che come sinonimo di cortesia si usi il termine urbanità. Insomma questa attenzione alle città, all'urbe (in fondo anche civiltà viene da "civitas") come luogo di scambio simbolico, dove le contraddizioni vengono al pettine e si risolvono. In modo politico (che viene, appunto, da "polis").
Per il quinto anno consecutivo si è svolto il convegno sull'identità dell'architettura italiana con i contributi dei maggiori insegnanti provenienti da tutte le università d'Italia.6
Secondo te qual è l'identità dell'architettura italiana degli ultimi vent'anni?
È un'identità perduta, da ridefinire, liquida come è liquida la società in cui viviamo.
Sono molto curioso del padiglione italiano della biennale di quest'anno, curato da Luca Molinari, forse lui saprà darci una fotografia della nostra identità (ndr risposta: 26 aprile 2010).
Liquida! Nel senso baumaniano?
Certo.
È possibile un'urbanistica attenta alle diverse sensibilità abitative?
Non solo è possibile ma è doverosa.
Nella tua playlist, ovvero le architetture che ami del novecento italiano, includi le Vele di Scampia progettate dall'architetto Franz Di Salvo, poiché sostieni, che non sono diverse da alcune case per villeggianti della Costa Azzurra7.
Puoi spiegare meglio questo concetto?
È esattamente così. Basta fare un giro in Costa Azzurra per accorgersene. Lì però nessuno vuole abbattere quegli edifici, anzi, molti li trovano graziosi e così "piccolo borghesi" da parigino in vacanza.
Confondere le condizioni sociali e il degrado con, banalmente, il progetto è facile e "scandalistico" ma non risolve il problema.
Su City life scrivi: «Tutta colpa di quella mia amica che mi ha detto (ah, il tagliente spirito lombardo) mentre guardava i redering di progetto: "Sembrano due amici che reggono il terzo in mezzo, mentre vomita, ubriaco!"»8. Non credi che sia la naturale trasposizione - in grande scala - del pensiero imprenditoriale che chiami "Brianza Style"?
Sono due cose leggermente diverse ma non antitetiche.
Il "Brianza style" è una modalità che dalla provincia sta invadendo il gusto della città. Un desiderio di una ipotetica autenticità formale che è sostanzialmente trash, i grattacieli della ex-fiera sono una mera operazione di speculazione edilizia che si copre utilizzando la foglia di fico dei nomi roboanti e internazionali.
Operazione provinciale anch'essa e in questo speculare alla microarchitettura del Brianza style.
«Roma è il paradiso del palazzinaro piccolo borghese. […] le singole, autonome, palazzine paiono una civettuola sfilata di autoreferenti bellezze, indifferenti l'una all'altra. Singoli pezzi, mai davvero legati al contesto, incapaci davvero di fare urbanistica»9.
Non credi che sia necessario iniziare a capire questa storia urbana senza licenziarla come banale, rozza o antiurbanistica?
Sono d'accordo. Occorre guardare senza pregiudizi, né negativi e neppure positivi, ogni opera del passato. Quella storia urbana esiste e chiede di essere raccontata.
Ciò non significa farne un santino colmo di nostalgia.
«Nell'Italia meridionale non si leggono libri. La classe dirigente, la piccola borghesia, la classe produttrice, i politici locali, non leggono libri. Dove non si leggono libri non c'è architettura».10
Che cosa c'è?
La devastazione, il voto di scambio, il familismo amorale, il far west, lo spreco del territorio, l'abbrutimento sociale, il disincanto, il cinismo.
La resa.
Mi descrivi il tuo miglior progetto da architetto?
Mio?
Progettato da me?
Ma no, poca roba. Sono un architetto che ha fatto cose piccole, ha risolto problemi "privati". Abitazioni, appartamenti, sottotetti. Un paio di piccole piazze e un asilo nido fuori Milano, qualche concorso, ma in generale io sono (stato, ché ormai lo sono sempre meno) un "architetto di base", appunto.
Perché hai abbandonato la professione dell'architetto per quella di scrittore?
Perché le giornate sono di 24 ore e tutto purtroppo non si può fare.
E perché mi sono reso conto di avere molta più libertà critica con la scrittura, oggi, che con l'architettura.
Da Cratilo di Platone: «Pare che la parola "verità" (alétheia) indichi il vagabondare di Dio (ále theía)». Che cosa può succedere vagabondando con un compagno di viaggio per la tangenziale di Milano?11
Succede che ridefinisci, dai suoi confini frangiati e incongrui, la mappa di una metropoli immensa che ormai tracima oltre le sue tangenziali, che sono a tutti gli effeti, ormai, delle strade urbane.
Ma farlo a piedi, girare in 10 tappe a piedi la cintura ad alto scorrimento cittadino, è anche un atto politico, resistente, che vuole recuperare la mobilità leggera e pubblica, l'unica, oggi, che dovremmo davvero sviluppare, nel nome della sanità e igiene (anche mentale) collettiva.
E stato un viaggio alla scoperta di un panorama davvero unico. Un pellegrinaggio attorno alla mia città.
Per Michele Monina la città che scorre lungo la tangenziale non è Milano. Per te, Milano inizia dai questi bordi.
Per Carlo Emilio Gadda gli architetti pastrufaziani (spesso imprenditori brianzoli) avevano costruito: «… Di ville! di villule!, di villoni ripieni, di villette isolate, di ville doppie, di case villerecce, di ville rustiche, di rustici ville, gli architetti pastrufaziani avevano ingioiellato, poco a poco un po’ tutti, i vaghissimi e placidi colli delle pendici prenadine, che, manco a dirlo ‘digradano dolcemente’: alle miti bacinelle dei loro laghi».12
Dove sta andando Milano?
Non ho la palla di vetro. Ma ho la sensazione che Milano stia camminando sulla lama di un rasoio. Se cade dalla parte giusta si riproietta, come è nella sua tradizione, nell'alveo delle città europee, dinamiche e innovative, se invece precipita dall'altra parte, chiude definitivamente il suo ciclo storico per tornare ad essere un villaggio come un altro.
La mia ansia è che la vedo sbilanciata, politicamente e amministrativamente, troppo da questa parte!
8 novembre 2010
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Note:
* Visione in seguito elaborata dallo studio Metrogramma con il progetto Esperia 15.
1 Gianni Biondillo, Metropoli per Principianti, Guanda, Milano, 2008.
2 Gianni Biondillo, Urnbanità 4, Blog Nazione Indiana, 15 ottobre 2008. Link
3 Stefano Bucci, 'Architetti, mancano i maestri', Corriere della Sera, 24 maggio 2008. Link
4 Circolo della Colonna, CENA del 23 febbraio 2009. Link
5 Pubblicato su Costruire n. 303, settembre 2008.
6 Link del programma.
7 Gianni Biondillo, op. cit., p. 44.
8 Gianni Biondillo, op. cit., p. 90.
9 Gianni Biondillo, op. cit., p. 63.
10 Gianni Biondillo, op. cit., p. 70.
11 Gianni Biondillo e Monina Michele, Tangenziali. Due viandanti ai bordi della città, Guanda, 2010.
12 Gianni Biondillo e Monina Michele, op. cit., 102.