1 ottobre 2009

0059 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] Blog di Filippo Zordan

Salvatore D’Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?
Qui l’articolo introduttivo


Blog di Filippo Zordan (citato in quest'inchiesta qui)

Architetto noto: Peter Eisenman per la critica umana e progettuale che è implicita ad ogni suo progetto. Uno studioso dell'architettura come applicazione della geometria, sociologia, rapporti tra natura e artificio, fisica, matematica e arte.

Architetto non (ancora) noto: Sangwook Park per la sua volontà di integrare al progetto una condizione di dinamicità permanente e per la sua capacità di creare un dialogo che si crea tra osservatore e opera molto evidenti ed efficaci.

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5 commenti:

  1. Filippo,
    su Peter Eisenman occorrerebbe parlare ore poiché le sue architetture traducono uno dei paradigmi del nostro tempo, la complessità.
    Quest’ultima non può essere licenziata con le vecchie tassonomie critiche.
    Prendiamo uno spunto:
    «Una delle caratteristiche principali del calcio italiano è l’idea del catenaccio, letteralmente, un bullone, o come nel calcio, una rete. I giocatori si dispongono a tela di ragno e aspettano un giocatore errante, o una palla in un momento di disattenzione, e dopo, come la mangusta col cobra, un rapido scatto sulla palla e un contrattacco sfrecciante. Mi ha sempre colpito quest’idea del contropiede, particolarmente da quando penso che il calcio e l’architettura sono entrambi campi diagrammatici.
    Io reagisco alle circostanze, piuttosto che iniziarle
    […]
    Da quando nel XV secolo Brunelleschi ha introdotto la prospettiva in architettura, il pensiero architettonico è stato dominato dalla frattura tra realtà, ossia presenza reale, e rappresentazione.
    […]
    Dalla fine degli anni settanta, la mia attività professionale ruota attorno ai temi della metafisica della presenza e dell’egemonia del visivo.
    […]
    È necessario in questa sede fare la distinzione tra ottico o retinico e visivo. L’ottico dipende dalle condizioni primarie dell’immagine, mentre il visivo ricerca altri mezzi per registrare la sensazione con uno sguardo diverso dall’ottico. Il visivo si distingue dall’ottico perché, invece di considerare solo i fenomeni superficiali, riguarda anche i rapporti spaziali e formali che vanno concettualizzati al vederli per la prima volta. L’idea è quindi quella di riuscire nel visivo a vedere la presenza come qualcosa di diverso da quella dominata dall’ottico». Peter Eisenman, Contropiede, Skira, 2005, pp.203-204.

    Qui Eisenman ci svela la chiave di lettura delle sue architetture, simile all’approccio che si deve avere osservando le architetture concettuali di Joseph Kosuth che invita l’osservatore a non fermasi all’ottico ma a fare un’operazione logica-visiva.
    Per la formazione di un architetto non occorre capire Eisenman ma occorre diffidare dai denigratori ignoranti.

    Non conosco Sangwook Park ma da adesso lo terrò d’occhio.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  2. Ci sarebbe da parlare ore. Ho letto più volte Contropiede, come molti altri dei suoi libri (House X, The Formal Basis of Modern Architecture, Giuseppe Terragni: Transformations, Decompositions: Critiques...per citarne un paio).
    Ritengo che l'essenza dell'architettura va ricercata nelle sue origini più antiche, quindi dall'idea dell'architettura stessa, come già citava lui quando parlava di un'architettura intesa come rievocazione di regole e schemi architettonici basati su un attento studio della concezione divina della forma (lo studio sulle religioni). Questo deve portare a concepire l'architettura come essenza dell'essere che, di conseguenza, mantiene un suo significato formale che si andrà poi a legare a tutto quello che io chiamo "sinestesia architettonica" e cioè il riuscire a capire il significato che l'opera vuole trasmettere all'osservatore utilizzando i più banali sensi.
    In sostanza Eisenman coniuga il fatto di possedere conoscenze molto radicate con la capacità di adattare e richiamare al suo progetto esigenze formali che entrano in sintonia, di conseguenza, con il contesto che, per lui, è un grande schema.
    Quando descrive la Casa del Fascio di Terragni è chiaro ed evidente che la sua analisi si stacca da quella che potrebbe essere una visione "tradizionale" di un'opera.
    Le domande che tu hai fatto meriterebbero un'attenzione maggiore e, visto che mi hai lanciato il sassolino, provvederò a dedicare un articolo su questo. :)
    Filippo

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  3. Filippo,
    sospendo il nostro dialogo blog e aspetto il tuo post.
    I temi di Eisenman vanno discussi con calma altrimenti si scade nelle semplificazioni da bar, del bello e brutto, mi piace e non mi piace.
    I blog spesso sono utilizzati per messaggi semplici e concisi io credo che sia uno strumento lento che accetta la sedimentazione dei pensieri e soprattutto delle idee che provengono dai potenziali lettori/scrittori.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  4. http://www.filippozordan.net/home.net/Blog/Entries/2009/11/12_ELOGIO_A_PETER_EISENMAN.html

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  5. Filippo,
    ho letto con piacere il tuo appunto condiviso su Peter Eisenman.
    È fondamentale capire l’humus culturale della sua formazione impregnata di una vitalità rivoluzionaria.
    In quegli anni l’arte si emancipa totalmente dalla rappresentazione tautologica e apre la strada dello scarto tra visivo e rappresentazione. Da quel momento lo spettatore non è più passivo ma costretto ad operare scarti concettuali e spesso anche fisici.
    Ecco perché non avrebbe mai accettato di costruire un museo tautologico che rappresenti un dramma (opera che apprezzo mi ricorda il cretto di Burri).
    Una sola raccomandazione Peter Eisenman apre strade non va emulato. Va studiato, ma con forza superato, pena il rischio di un manierismo bieco e senza senso.
    Ma non credo che sia il tuo problema.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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