9 settembre 2009

0040 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] G L U E M A R K E T

Salvatore D’Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?

Qui l’articolo introduttivo


G L U E M A R K E T di Lorena Greco e Cristian Farinella

Rispondo in maniera duplice (essendo coautore del gluemarket con Lorena) e con un po’ di difficoltà alle due domande di Salvatore D'Agostino su Wilfing Architettura:

Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?

Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?

Non credo che risponderemo pienamente ad entrambe le domande. Non amiamo e non esprimiamo preferenze in particolare per architetti presi singolarmente e questo per ovvie ragioni ma la cosa che più ci affascina è l'integrità e la coerenza nel linguaggio architettonico. Quindi inseguendo questo ideale modello ci hanno sempre interessato particolari momenti della vita progettuale di architetti noti che sono riusciti a concentrare in un determinato periodo (purtroppo limitato) un operato straordinario. La ricerca di un linguaggio è di primaria importanza,tanto quanto avere cose importanti da dire.

Non fraintendeteci sul termine “linguaggio” perché non ha nulla a che vedere con stile o formalismo o altro ancora ma si tratta delle regole basilari attraverso cui associare le varie lettere e parole fino a formare un discorso coerente. Ognuno ha il suo! Ad esempio siamo sempre rimasti affascinati dalla maniera di anagrammare l'architettura di Enric Miralles (per parafrasare alcuni suoi scritti).

L'anagramma è un ricercato disordine. Le lettere vengono appositamente accostate in modo casuale per creare una parola melodiosa e ingegnosa per dire qualcos'altro. Questo modo di fare si potrebbe anche definire agli antipodi rispetto ad un purista della lingua che vede nella comprensione dei termini il cardine della comunicazione e dunque del linguaggio stesso. Altro modo di interagire è quello di creare un proprio universo “sintattico” una propria cosmologia dei segni come ad es. ha fatto Peter Eisenman negli anni della sua formazione. Difficilmente dimentico l'aneddoto che Eisenman racconta rispetto ai suoi anni di insegnamento universitario: “io proponevo ai miei studenti di studiare Palladio ma a nessuno interessava!”.

Quel che si può trarre come lezione ad oggi dai disegni del Palladio è proprio quella ricerca di un proprio vocabolario, quel processo di formazione che porta un architetto a rompere ed innovare rispetto agli altri.

[…]

Non riesco a vedere un minimo di profondità intellettuale in operazioni progettuali che sembrano ripercorrere la storia architettonica di 30 anni prima, arrivata con ritardo nel nostro paese. Sono deluso nel vedere case che Koolhaas ha concepito 28 anni prima realizzate oggi come cavalli di troia del nostro paesaggio architettonico. Siamo stanchi di vedere che il minimalismo ridotto all'osso tale da diventare così spoglio da non poter disattendere ne entusiasmare nessuno, sia la regola imperante dell'interior design dei posti che frequentiamo quotidianamente. Quindi non posso che guardare con nostalgia al panorama architettonico ormai tramontato di quei personaggi che io e Lorena continuiamo ancora con entusiasmo a vedere e rivedere ritrovando in loro il seme della modernità (intesa alla maniera di Zevi).

Non si può dimenticare e non confrontare con il presente, la statura architettonica di un giovane Daniel Libeskind che nel “Dossier Como” e nella “line of fire” ha creato tassello su tassello un proprio vocabolario a partire da elementi semplici come la linea, fino a raggiungere l'estrema complessità di un aggregazione anagrammatica di segni nei suoi Rebus (micromegas) e nel renderli materia viva e vibrante. Oggi il progettista Polacco è in deficit di ossigeno e mi vergognerei di aver completamente abbandonato i suoi esordi e di rifuggire nel brand e nel sensazionale piuttosto che nell'intimo personale della ricerca architettonica dei primi anni dove riusciva con estrema facilità a spaziare dalla musica alla filosofia creando opere straordinarie.

Ma gli interlocutori cambiano ed oggi a nessuno più interessa la profondità culturale - processuale e generativa dell'architettura. Nessuno capirebbe, a nessuno importerebbe. Non voglio addentrarmi in una discussione sulle brand architecture di oggi, e sulle dinamiche che portano l'architettura (essendo un potente media) ad esprimersi con meccanismi che sono tipici della vacuità contemporanea (in altro modo non so definirla) ma la perdita di carattere e di vigore progettuale è anche proporzionato alla perdita di una ricerca nel linguaggio proprio di molti di questi signori che avevano illuminato il firmamento dello star system in alcuni fecondi periodi della loro vita. Se l'architettura è da sempre un fedele specchio della nostra società, questo è quel che ci meritiamo. Ed in Italia è ancora più infido e sciagurato il paesaggio mentale che si riflette in questo specchio dell'anima.


Tra i meno noti,invece, non posso non guardare alle ricerche condotte da Aadrl e da un manipolo di ragazzi sparsi per il mondo, che si ingegnano e si confrontano con la generosità dei software per creare forme strabilianti ma apparentemente ancora prive di un discorso strutturato. Questo per via delle enormi difficoltà legate alla complessità di queste esperienze progettuali e per la parziale assenza di un vero processo edilizio che sia in grado di ragionare in termini così d'avanguardia (ma c'è ben da sperare/ ovviamente non in Italia). Si tratta di semi messi a germogliare per un prossimo futuro in attesa di essere colti.

E' un periodo di transizione e dunque difficile dire dove stiamo andando con il nostro personal sotto spalla ma l'importante come sempre è mettersi in gioco.


Qui il post che G L U E M A R K E T ha dedicato a quest'inchiesta.


Intersezioni --->OLTRE IL SENSO DEL LUOGO

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15 commenti:

  1. Lorena e Cristian,
    le vostre risposte mi rincuorano perché non credo nelle critiche dei bisbetici accademici che i giovani sono dei nerd senza profondità critica. Voi siete il classico esempio, l’eccezione che in ogni generazione conferma la regola, poiché in ogni generazione sono sempre state poche le persone ‘notevoli’.
    La vostra attenzione al linguaggio e ai processi è importante.

    L’architettura come anagramma è interessante, qualche post fa mi è stata fatta questa domanda: «AST & presS/Tletter: Un libro che consiglieresti a uno studente, a un architetto, a un critico».
    Ho risposto in questo modo: «
    - Studente ---> Leo Colovini, I giochi nel cassetto. Guida teorica per aspiranti autori di giochi, Unicopli, Milano, 2002;
    - Architetto ---> Stefano Bartezzaghi, Lezioni di enigmistica, Einaudi, Torino, 2001;
    - Critico ---> Freccero & Lucentini, I ferri del mestiere. Manuale involontario di scrittura creativa con esercizi svolti. Einaudi, Torino, 2007».

    Link: http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2009/06/0025-mondoblog-archistar-o-archipov-2.html

    Per Bartezzaghi: «L’anagramma ha una magia di tipo trasformativo: provoca metamorfosi nelle parole, il calcio diventa un laccio, una colica. Il rispetto diventa uno strepitio: va dall’ispettor per chiedergli un prestito e incomincia: potresti …? Manderà giù dei rospetti … Ogni volta le lettere sono le stesse. Cambia solo la disposizione. Una quantità limitata di elementi può dar vita a molti oggetti diversi, secondo l’algebra della permutazione già enunciata dagli antichi cabalisti:

    Come le combinò? Due Pietre edificano due case. Tre pietre sei case. Quattro, ventiquattro case. Cinque centoventi case. Sei edificano settecentoventi case. Sette edificano cinquemila e quaranta case. Di qui in poi procedi a calcolare quel che bocca non può pronunciare, l’occhio non può vedere né l’orecchio ascoltare.

    Come molti altri giochi linguistici, anche l’anagramma è stato inventato mille volte, nel corso della storia: l’dea che ci sta sotto è molto semplice e può venire in mente a chiunque.» (op. cit. pp. 110—111)

    Credo anch’io che anagrammare il linguaggio architettonico stia alla base della ricerca dell’architetto.
    Condivido questa vostra frase amara ma non arrendevole:«Se l'architettura è da sempre un fedele specchio della nostra società, questo è quel che ci meritiamo. Ed in Italia è ancora più infido e sciagurato il paesaggio mentale che si riflette in questo specchio dell'anima.»
    Poiché c’è ancora qualcuno che è convinto che il male dell’Italia sia solo l’architettura dei noti.
    È un periodo difficile per l’architettura italiana ma da questa consapevolezza occorre ricominciare.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  2. Salvatore ti ringrazio,
    ci hai messo proprio di buon umore,ed i testi che ci hai consigliato sono molto interressanti e oltre ad avere un valore intrinseco (a quanto leggo dalle recensioni) sono attuali per guardare l'architettura con un taglio diverso(questo è lo scopo del messaggio,e non è assolutamente scontato poi farlo per davvero).Un enigma da risolvere,un rebus da comprendere,un gioco che reinventa da sè le proprie regole o un esercizio di scrittura creativa.Non credo di rivelare un mistero,dicendo che bisogna guardare al mestiere dell'architetto con l'amore per la diversità e per la contaminazione ,insomma la decantata pluridisciplinarità e quindi ficcando il naso in qualsiasi processo creativo per cercare di comprenderne i meccanismi ed imparare a padroneggiarne la natura (anche se appare una pretesa abbastanza ambiziosa).Ecco perchè l'interesse rimane vivo sia di fronte alla potenza creativa della musica da camera quanto di fronte agli artisti da strada,perchè un soggetto creativo è tale in ogni situazione e progettare ha una sua accezione molto + ampia,letteralmente quella di "gettarsi in avanti" verso un risultato sconosciuto ed incerto.Dei libri consigliati credo che leggeremo per primo "i ferri del mestiere",per la maniera con la quale gli autori dicono di giocare con il "messaggio" esercitandosi a scrivere in maniera sempre diversa ed inoltrandosi in generi letterari differenti con generosità di spiegazioni e considerazioni.In fondo l'analoga cosa,quella di cimentarsi con diversi generi letterari,capita quotidianamente anche nell'architettura.
    A presto,
    Cri e Lo

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  3. complimenti! avete messo di buon umore anche me... essendo uno di quelli che mettendosi in gioco ogni mattina (già prima del caffè) credeva più di qualche volta di non essere a posto!

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  4. Mi spiace di non poter scrivere di più a riguardo, ma anch'io mi associo a quello che ha detto Salvatore.
    Ciao

    Matteo

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  5. Caro Salvatore, spiace distinguermi dai due precedenti commentatori, ma dopo la lettura il mio umore non è migliorato.
    Come dici tu, riconosco la preparazione di Lorena e Cristian, ma dalle loro risposte non sono uscito con le idee chiare e mi pare che, in conclusione, neanche loro ne abbiano.
    Nonostante la simpatia, questo parlare "alto" - la seduzione del "linguaggio", l'"anagramma", gli elementi dell'architettura come lettere - mi sembra un po' consunto e non mi ispira fiducia, quella che mi pare abbiano i Gluemarket.
    Non mi sembra che riferirsi ai momenti migliori (brevi e/o unici) della produzione di un architetto possa sollevare l'architettura-specchio-della-società. Mi sembra anzi che alimenti la dissociazione della disciplina dal "reale" (da mia zia, per intendersi), alzando l'asticella, allontanandola da chi devasta il territorio.
    Non so se e quando germoglieranno i semi di Aadrl, forse sono OGM, e non credo stiamo attraversando un periodo di transizione, lo sento dire da quando sono in grado in intendere.

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  6. ---> Lorena e Cristian,
    ottimo inizio di lettura poiché Freccero & Lucentini erano snobbati dalla cultura ‘alta’ poiché scrivevano cose ‘popolari’.
    Ad esempio curavano ‘Urania’ una collana di libri di fantascienza della Mondadori: «Poco più di un anno fa (2001) il telefono squillò a casa mia verso le due del pomeriggio. Chiamava da Vigevano, dove abita, il mio vecchio amico Lodovico Terzi. “Hai la televisione accesa? Stai vedendo?” Non stavo vedendo. “Accendi subito, succede una cosa incredibile, pura ‘Urania’”.
    Era l’11 settembre e quello che scorreva sullo schermo era effettivamente una copertina di “Urania”, due grattacieli stroncati da due aerei, fiamme, fumo, gente che si gettava dalle finestre, l’America under attack. Di scene del genere ne avevano lette e pubblicate non poche nel corso degli anni. Gli attaccanti potevano essere extraterrestri ovvero sovietici, una setta segreta con vertiginose ambizioni di conquista mondiale ovvero un gigantesco asteroide. Ma l’immagine era quella, lievemente, come dire, demodée, archiviata nella memoria di tutti i lettori di “Urania”, la rivista di fantascienza “più famosa” (diceva lo slogan di copertina, che oggi compie cinquant’anni». Carlo Fruttero(op. cit. p.63)
    Un libro che ci fa capire come leggere e scrivere senza la pretesa di diventare una star. Puro e semplice mestiere.
    Poiché «secondo Borges la soluzione è un semplice gioco di prestigio, mentre l'enigma tiene del Divino.» Stefano Bartezzaghi dal sito Lessico e nuvole dell’11-12-2006.
    L’architettura è un mestiere che implica quotidiane soluzioni ma non possiamo dimenticare di un progettarla come un enigma.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  7. ---> Marco+,
    Luigi Prestinenza Puglisi da qualche anno invita i giovani ad andare all’estero poiché sa benissimo qual è il male oscuro della nostra architettura.
    Qualche minuto fa ho ricevuto il suo ennesimo sfogo attraverso mail: «Il quadro dell’architettura italiana, mi sembra, che si presenti sempre più deprimente. A peggiorare gli efetti (sic) della crisi economica provvede un sistema poco trasparente, arcaico e familistico che non tende a valorizzare qualità e talenti. Soprattutto dei più giovani. Ai quali resta poco oltre la prospettiva di emigrare all’estero». Luigi Prestienza Puglisi
    Va bene, concordo, non vivo in Africa, anche se ci sono molto vicino e a volte immagino che l’Africa sia più evoluta della mia terra ‘no fiction’ di mafia diffusa, ma non basta.
    C’è stata e c’è una generazione che ha costruito selvaggiamente ed ha formato male gli architetti del futuro. Adesso occorre trovare nuove strategie, nel mio piccolo cerco di dare spazio a chi si emancipa dai luoghi comuni e come in questo caso sa leggere l’architettura contemporanea. Loro non scambierebbero mai delle pale eoliche per land art e non costruirebbero case in cemento armato con il linguaggio tradizionalista, almeno lo spero.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  8. ---> Matteo,
    tempi stretti vero?
    A presto,
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  9. ---> Arturo,
    «Immaginiamolo mentre con il suo eloquio spezzato di accento misto tra lo spagnolo e il lombardo, sgrammaticato – forse volutamente - ma anche profondamente incantatore. “Fontana, lei ha scoperto i buchi e poi quella loro variante che è il taglio. Fatiche, delusioni, amarezze, sappiamo tutto, e finalmente la consacrazione del successo con il premio alla Biennale veneziana. Eppure, lei lo sa, c’è una critica che non molla. Ci sono i Leonardo Borgese, che seguitano a darle morsi di rabbia. Ne è addolorato ? ” Per un momento, ma solo per un momento, il corpo senza peso di Lucio Fontana si indurisce di rabbia. Stenta a rispondere, lo sento che mormora con dispiacere vero, da bambino. Ora incomincia a sfogarsi: ‘La pitura l’è pitura, disegno, la scultura l’è scultura. Ma chi lo ha deciso e cosa vuol dire, e che ne sanno loro, io lei e il Gotuso, che tutte le volte che mi incontra mi fa la predica… Nessuno sa niente, nessuno legge il futuro… meglio sbagliare essendo solidali con il proprio tempo che ripetere con zelo e abilità le cose morte… Okei, ma Fontana, nel ’50 sapeva modellare come Manzù o Marino poteva farsi i suoi milioni, essendo stimato lodato, e invece cerca la sua strada… e in qualsiasi posto capiti c’è il solito cretino a dirgli “Fontana, quello dei buchi. Me li vorrebbe spiegare i suoi buchi?” “ Ma che cosa voi che ti spieghi? Ci metto, nei buchi, tutta la mia vita di artista e tu vuoi che in tre parole te li spieghi. E mentre credi di fare lo spiritoso sui miei buchi non ti accorgi neanche che buchi e tagli sono già entrati nel gusto del tempo, appaiano nelle decorazioni degli edifici, nella pubblicità, negli artisti”.» Giorgio Bocca in Angela Vettese, Lucio Fontana- I tagli, Silvana Editoriale, 2003, pp. 9-10
    A tal proposito non posso non citare il museo ebraico di Daniel Libeskind.
    Qualche tempo fa sul tuo blog ringraziavi i Gafton per elegante edificio della Bocconi a Milano.
    Link: http://arturoelarchitettura.blogspot.com/2009/03/grazie-grafton.html
    Quell’edificio è una sintesi tra il diagramma funzionale degli ambienti e l’idea di pensare una piazza che scorre nelle sue viscere.
    Non possiamo leggerla senza una cultura diagrammatica dell’architettura.
    Cosa possiamo fare per alzare l’asticella? Parlare con la grammatica dell’architetto, come il medico fa con il paziente ‘una metastasi è una metastasi’, ‘l’architettura diagrammatica è architettura diagrammatica’, la semplificazione è una strategia per chi si ostina a non capire e magari porta al collo un oggetto firmato ‘Breil’ che traspone un taglio di Lucio Fontana, perché fa figo.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  10. @salvatore --> "...nel mio piccolo cerco di dare spazio a chi si emancipa dai luoghi comuni", bene. Prima o poi bisognerà rendere organiche queste visione condivise. Forse sono più di una le generazioni che hanno costruito selvaggiamente ed hanno formato male gli architetti del futuro... e non so francamente se sia messa bene la situazione accademica attuale, quella che genererà gli archinauti del futuro... smetterei di guardare troppo avanti (l'urbanità del domani non è la sommatoria di segni futuristi - le architetture avanzate) per privilegiare i bordi.
    grazie ancora.

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  11. Caro Salvatore, che pazienza hai e che bella risposta.
    Resistere, resistere, resistere.
    E' un bel messaggio.
    E alzare l'asticella, una speranza.

    Speriamo.

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  12. ---> Marco+,
    condivido occorre guardare ciò che avviene oggi e trovare strategie pratiche per costruire qualcosa di concreto, basta parlare di niente.
    Osserviamo con grande maturità e complessità i nostri bordi ,evitando i buchi neri delle parole vuote come archistar.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  13. ---> Arturo,
    Bene, ma eviterei il grido mediatico/politico: resistere, resistere, resistere.
    T’invito a leggere questo articolo di Cristiano De Majo pubblicato su WA ecco parte del mio occhiello:
    «1 conclude così: «Bisogna resistere per costruire il futuro.». Una frase antica e perdente ricorda il monito dell'allora procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli: «Resistere, resistere, resistere»
    Da troppi anni, si resiste, senza agire. È arrivato il momento di uscire fuori dalla trincea dello snobismo culturale e sporcarsi un po' le mani.
    «Spostate quei soldi, per favore, nella scuola e nella televisione. Il Paese reale è lì, ed è lì la battaglia che dovremmo combattere con quei soldi. Perché mai lasciamo scappare mandrie intere dal recinto, senza battere ciglio, per poi dannarci a inseguire i fuggitivi, uno ad uno, tempo dopo, a colpi di teatri, musei, festival, fiere e eventi, dissanguandoci in un lavoro assurdo?» (Alessandro Baricco)
    Occorre spostarsi nel paese reale e non continuare a compiacerci senza assumerci le responsabilità, dice Cristiano de Majo. Con il suo consenso pubblico l'articolo sopracitato.
    Buona lettura.»
    Link ---> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2009/04/0031-speculazione-in-nome-di-cosa.html
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  14. Caro Salvatore è passato qualche giorno e non vorrei diventare pedante, ma confido sulla (tua) capacità di leggermi con ironia e leggerezza.
    L'articolo di De Majo l'avevo letto, ma tendenzialmente non ricordo mai nulla di alcun argomento anche se in questo caso condivido pienamente il tuo e suo atteggiamento: il mio resistere, ecc. ecc. era una consunta citazione, anzi, a mio modo di vedere proprio qui sta il problema: il post in questione - non me ne vogliano! - e i suoi commenti non i sembra contengano dichiarazioni ad agire, a "sporcarsi le mani" come dici tu. C'è cultura, consapevolezza, capacità di analisi, critica, tutte cose belle e non a caso chiudevo con "speranza", ma niente più: volare alto; di qui a "sporcarsi le mani" ce ne passa, anche se molti lo fanno già, ognuno "nel
    suo piccolo".

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  15. ---> Arturo,
    condivido la tua riserva.
    Anche perché conosco bene il limite della parola scritta, soprattutto sui blog, Mark Glaser nel 2002 sentenziava: «Dopo un approfondito studio dei blog esistenti, un gruppo di professori del giornalismo ha concluso che nel 99,9% dei casi non hanno nessuna importanza sociale, poiché il tema in discussione più diffuso è ‘cosa odio trovare a colazione la mattina’» (Mark Glaser, The future of blogs, AOL and tablet PCs, 30 dicembre 2002)
    Dal 2002 i blog sono cresciuti e hanno cambiato il volto del giornalismo ma resta una grossa percentuale (non il 99,9%) di blogger che il filosofo Mario Perniola chiama gli “incazzati in pigiama”. (Mario Perniola, L’arte senza opere, Rivista Agalma, n.17, Editoriale)
    Apprezzo il tuo piccolo.
    Un caro saluto,
    Salvatore D’Agostino

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