23 settembre 2009

0052 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] Beyond Icons 2.0 di Silvio Carta

Salvatore D’Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?
Qui l’articolo introduttivo


Beyond Icons 2.0 di Silvio Carta

Banalmente, mi sento di rispondere Rem Koolhaas. Senza entrare in merito ai contenuti dell'apporto teorico, progettuale o personale (mediatico) il cui nome è legato, la sua attività ha avuto effetti nella società, nelle società, che pochi altri sono riusciti ad uguagliare.
È un personaggio la cui figura è ingombrante e che, nonostante azioni ed affermazioni che meriterebbero una discussione più accurata e polifonica, ha ottenuto l'effetto di far parlare di se e, implicitamente, dell'architettura in termini generali. L'architettura soffre una grande frattura tra ciò che viene costruito e i giudizi di valore del pubblico. Le azioni di Koolhaas contribuiscono al fatto che, almeno, di architettura si parli nelle varie sezioni delle società.

Meno banalmente propongo Hrvoje Njiric. Dovrebbe essere noto, visto che gli è stato dedicato un numero di El Croquis e tante altre pubblicazioni internazionali, ma sfido a chiedere in giro chi ne abbia mai sentito parlare. In più fasi della sua attività professionale ha avuto la possibilità di espandere il suo studio e lavorare a progetti grandi ed importanti. Seguendo le sue posizioni culturali, ha sempre assunto un ruolo di progettista, piuttosto che di architetto, rifiutando di stravolgere la propria practice. Cosi facendo,
è riuscito a mantenere il controllo completo su tutti i suoi progetti e creazioni. Contro una febbre di globalizzazione affascinante ed incalzante (con il rischio di restare dalla parte dei vecchi) ha opposto una strategia di controllo e di calma. Le sane abitudini al delirio di onnipotenza. Un buon bicchiere di vino contro una dose di bamba.

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1 commento:

  1. Silvio,
    perché è banale citare Koolhaas? Dato che è uno degli autori più citati (vedi junkspace, città generica, architettura generica, Bigeness, fuck the contex, S-M-L-XL) ma tra i meno conosciuti.
    Nel 2006 la rivista Domus (direzione Stefano Boeri) realizza uno speciale curato da OMA/Rem Koolhaass, dal titolo Post-Occupancy.
    In quel numero sono presentati alcuni lavori recenti senza testo critico ma con le immagini e le parole dei visitatori attraverso fotogrammi di video, brani di giornali, blog e fotografie non professionali.
    «Con questa pubblicazione vogliamo provare a (ri) presentare quattro edifici recenti in modo fresco e più complesso. Non insistiamo sulla qualità delle costruzioni. Siamo, piuttosto, interessati ai loro effetti sui rispettivi visitatori e utenti. Non ci sono voci della “critica” – niente intimidazioni. Abbiamo messo istantanee. Sottolineiamo come le (nostre) architettura vadano a collocarsi in un mare primordiale di costruzioni precedenti, dalle quali dipende la loro esistenza e alla cui esistenza esse provano a contribuire. Le abbiamo guardate con gli occhi dei turisti, abbiamo affidato ad altri il compito di registrare le impressioni. Lontano dalla trionfalistica o mortificante ribalta dei media, volevamo vedere cosa succede nei nuovi spazi occupati in assenza dell’autore, rappresentare la realtà che siamo stati complici nel cercare, come dei fatti, e non come delle imprese.»
    (AMO/Rem Koolhaas, ‘Post-Occupancy’, Domus d’autore, n.1, aprile 2006)
    Un testo che parla della frattura da te indicata.

    Su Hrvoje Njiric capisco la tua provocazione.
    Confesso che conosco il suo lavoro grazie a Giovanni Corbellini che ne ha parlato in un interessante numero di Lotus il 127 dedicato all’architettura diagrammatica; al suo libro ‘Parole chiave dell’architettura contemporanea'; e soprattutto ad uno speciale della rivista Parametro n. 244, ‘da njiric + njiric +a njiric + (1999-2002) progetti, diagrammi, teorie’ ti riporto un brano tratto da un suo testo dal titolo ‘Il ventunesimo secolo’
    «Nell’area delle relazioni sociali, si può notare un nuovo tipo di totalitarismo, privo di qualsiasi discorso culturale. In confronto al fondamentalismo islamico, centrato sull’estinzione dei valori, il Nazionalsocialismo potrebbe quasi sembrare un atto di civilizzazione degno di essere studiato. Il termine ‘talibanizzazione’, frequentemente utilizzato nel contesto locale, sta diventando sinonimo della distruzione barbarica di tutto ciò che ha a che fare con la civilizzazione. Inoltre, possiamo osservare a livello locale il completo abbandono di ogni opzione culturale, principalmente dovuta a immaturità politica e sociale». (Hrvoje Njiric)
    Ci ritrovo molta della recente pratica politica italiana, che basa il suo potere non sulle città ‘cosmopolite’ ma sul quel tessuto fittissimo di paesi talibanizzati dalla retorica dell’identità.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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