31 ottobre 2011

0021 [A-B USO] Gela


Dai tempi di Democrito di Abdera che si strappò gli occhi a titolo puramente dimostrativo sino a Marcel Proust il quale si dichiarava, in via teorica, favorevole alla sordità sono state molte, mi pare, le parole spese da filosofi e poeti in elogio di una qualche forma di povertà, d’infermità o bruttezza.
Nessuno, per quel che ne so, ha mai composto una apologia dei piedi piatti o delle emorroidi: ma questo rientra nelle ovvie difficoltà a coprire sia pure approssimativamente l’inesauribile varietà del reale.
Alla medesima, incommensurabile, geografia del bubbone e della pustola appartiene il portentoso accadimento della città di Gela la quale sfugge ad ogni intento elogiativo e si disegna spinosa nella sua altera impopolarità … e, in realtà, neppure quel profilo la contiene giacché più che all’elogio essa sembra sottrarsi all’esegesi.
Ed è questo uno dei suoi modi: il non darsi cioè in alcun modo.
Gela si ritrae dalla letteratura perché in linea generale non si ha presente.

25 ottobre 2011

0010 [POINTS DE VUE] Beniamino Servino | Necessità monumentale nel paesaggio dell'abbandono

di Beniamino Servino

Enunciazione/Annunciazione

Abusi di necessità.

Abuso. Cattivo uso, uso eccessivo, smodato, illegittimo di una cosa. Io abito troppo, lo faccio in modo eccessivo smodato illegittimo.

Abuso. Esercizio illegittimo di un potere. Io esercito illegittimamente il potere di modificare il paesaggio. Di-segnare il territorio, o semplicemente un campo. Una sponda. E mentre modifico illegittimamente il luogo del mio bisogno lo rendo vulnerabile [il luogo, non il bisogno]. Siamo vulnerabili insieme [io e il luogo, la parte attiva e la parte passiva, vicendevolmente]. Conviviamo vulnerabilmente, mirabilmente.

Necessario. Da cui non c’è modo di ritirarsi. Io non posso ritirarmi da un bisogno.

Abbandonare. Lasciare senza aiuto e protezione, lasciare in balìa di sè stessi o di altri. Smettere di occuparsi di una cosa. Smettere di averne cura. Ma il paesaggio vuole [vuole!] essere abbandonato [mai più campi da golf, mai più!]. È quella la sua vocazione, il suo destino. [Col tempo forse l’abbandono assorbe il bisogno, assorbe l’oggetto con cui il bisogno si è manifestato].

C’è assonanza tra la rappresentazione del bisogno e il luogo della sua rappresentazione.
Tra il testo e la scena. Tra lingua e linguaggio. 

Chiudo gli occhi, sento parlare, riconosco un idioma, una inflessione, un accento. Posso figurarmi [dalla lingua] il linguaggio della sua [della lingua] rappresentazione. Posso figurarmi la forma delle case, la forma della città.
È una città che parla la lingua di chi la abita, di chi l'ha costruita. Una lingua non semplificata ma povera, che racconta non il degrado ma l'arroganza di chi non ha storie da raccontare. Lingua parlata e linguaggio architettonico sono perfettamente sovrapponibili. Se la percorri [questa specie di città] a occhi chiusi e fai attenzione ai rumori sgraziati delle voci, puoi ricostruire -tenendo gli occhi chiusi- le sagome delle case. È la lingua dell'analfabetismo di ritorno che restituisce forme ingoiate senza essere masticate e cacate così, solo sporche di merda. È la città del futuro. È la città di tutti contro tutti. Dell'uomo troppo distratto per la rivoluzione.
Vocabolario essenziale. Lingua essenziale ma iperbolica, ripetitiva ridondante rumorosa. Ripetitiva, piena di tic. 

Tanti bisogni piccoli, tutti assieme, diventano una massa. Senza consapevolezza aspirano al riscatto. Cercano la piè-tas.

Piè-tas. Piè-tas. Piè-tas. Piè-tas. Prima un sussurro. Poi un coro. Poi un urlo ca-den-zato. Com-pi-ta-to. 

Ma per essere condivisa e sostenuta [la piè-tas] deve essere riconosciuta. Deve essere rappresentata [la piè-tas] in una forma generata dal bisogno. Deve mostrare fiera la sua genesi, ma assumere anche una dimensione dilatata ipertrofica ciclopica smisurata. Ma ancora riconoscibile. Una anamòrfosi liberatoria, immaginifica.

Solo allora la piè-tas genera stupore. Uno stupore da controriforma. Uno stupore che prepara il rispetto, uno stupore legittimante.

E il monumento al bisogno riscattato dalla piè-tas sta nel paesaggio dell’abbandono invulnerabilmente. Mirabilmente.

Esemplificazione/semplificazione

La Pennata è il manifesto popolare dell’appropriazione degli archètipi. Archètipi riproducibili istintivamente, riconoscibili immediatamente. 

Una capanna senza tempo, senza tecnologia, senza aspirazione alla invenzione della forma. La pennata è costruita per essere temporanea, precaria; smontabile se arrivano i vigili [ma figurati se arrivano i vigili!].

L'éphémère est éternel.

Da un lato l’uomo-bambino fabbrica un riparo [un ricovero] per le cose che stanno fuori [che possono stare fuori], dall’altro l’uomo adulto fabbrica accanto al primo il riparo [il ricovero] per le cose che stanno dentro [che devono stare dentro]. 

Il bambino gioca con la leggerezza dell’apparente improvvisazione [guidato geneticamente] accanto all’adulto che restituisce [per sentito dire, per persuasione mimetica] formule di integrazione sociale [una iconografia di appartenenza]. 

Ma lo sapete, [voi] adulti non più bambini, che quelle capanne/mezze capanne/capannoni che avete vicino [a voi] possono riaffiorare sulla spiaggia insieme alla statua della libertà?

Rispetto/dispetto

Occupazione proletaria dei monumenti. Fuochi, bivacchi, finestre, finestrelle, accatastamenti. L’occupante prova una soggezione [che non vuole ammettere] al cospetto del monumento, ne sente una armonia a cui non è educato, ma la sente. [L’occupante] occupa il monumento perché lo associa [il monumento] a un potere che lo ha escluso [a lui, all’occupante]. Ne riconosce il valore simbolico.

L'occupante-iconoclasta è stato prima un escluso-idolatra.
Tipo/cetriolo/zucca/nido/pennata

Quel grattacielo somiglia a un cetriolo. Quell’auditorium somiglia a una zucca. Quello stadio somiglia a un nido. Questa è una pennata.

Tono su tono/nuances

In primavera, da aprile fino a maggio, il paesaggio dell’abbandono è colorato con una quantità che non si può contare di verdi diversi. Ma tanti. Mai tanti. E ogni verde ha il suo posto.

È un verde assorbente.
Identità/individualità

L’identità di un luogo, di un popolo. Io appartengo a un luogo o a un popolo se ricalco un modello. 

Identità come modello. 

Io appartengo a un luogo o a un popolo se sono nato in quel luogo da quel popolo. 

Identità come codice genetico. 

Io appartengo a un luogo o a un popolo se trovo familiare quel luogo se quel popolo mi protegge come una famiglia. 

Identità come rifugio. 

Io appartengo a un luogo o a un popolo se quel luogo lascia un posto per me e se quel popolo mi aggiunge agli altri. 

Identità come inclusione. 

Io appartengo a un luogo o a un popolo se quel luogo e quel popolo mi riconoscono tra gli altri. Se si accorgono di me tra gli altri. Se colgono la mia inflessione quando parlo la stessa lingua. 

Identità come somma di individualità che si sfiorano. 

La non-città e il popolo dell’oblio/la non-città e il popolo di sky

L’equilibrio della città ne prepara la bellezza. Ne recupera la bellezza.

La città recente [ai margini del centro, marginale, o in enclaves all’interno della città densa, occupata] non è contro la città non recente. Non è anticittà. È una non-città.

[Non è anticittà ma un aborto, un feto ipocalcificato. Una non-ancora-città. A not-yet-city]


Giaculatoria
La non-città corrisponde al popolo dell’oblio/La non-città ospita il popolo dell’oblio/La non-città deriva dal popolo dell’oblio/La non-città è costruita per il popolo dell’oblio/...
...


La non-città e il popolo dell’oblio non partecipano alla distribuzione dei pesi [hanno un peso trascurabile]. 

La bellezza e la democrazia [invece] sono costruite sull’equilibrio. [L’estetica del disequilibrio riflette lo sbilanciamento economico e sociale].

NECESSITA’ MONUMENTALE NELLA CITTA’ SBILANCIATA.

Per essere condiviso e sostenuto il monumento deve essere riconosciuto come proprio. Deve essere rappresentato [il monumento] in una forma generata dal proprio repertorio linguistico. Deve mostrare fiero la sua genesi, ma assumere anche una dimensione dilatata ipertrofica ciclopica smisurata. Ma ancora riconoscibile. Una anamòrfosi liberatoria, immaginifica.

Solo allora il monumento genera stupore. Uno stupore da controriforma. Uno stupore che prepara un nuovo equilibrio, uno stupore legittimante.
25 ottobre 2011

Intersezioni ---> POINTS DE VUE

0010 [POINTS DE VUE] Beniamino Servino | Monumental need in the landscape of abandonment

di Beniamino Servino
Enunciation/Annunciation [Mary, you carry the son of the Lord]

Violations for necessity.


Violation [excess]. Bad use, excessive use [ruthless], unlawful use of a thing. I take too much room, I do that in an excessive [ruthless] illegitimate manner.

Violation [Power abuse]. I illegally exercise the power of changing the landscape. De-sign [(de)-mark] the territory, or even a field. A shore. And while I illegally/illegitimately alter the place of my urge I make it vulnerable [the place, not the urge]. We are vulnerable together [me and the place, the active subject and the passive subject]. We cohabit vulnerably, admirably.

Needful. There is no way I can withdraw from it. I cannot withdraw myself from a need.

To abandon. To leave without a help or protection, to leave to its own weaknesses. Stop taking care of something. The landscape wants [wants!] to be abandoned [no more golf fields, never again!]. It is its vocation, its destiny. [Maybe time absorbs the need of abandonment, it absorbs the object through which the need manifests itself].

21 ottobre 2011

0004 [MEDIA CIVICO] Che cos'è un media civico?

di Salvatore D'Agostino 
«L’equivoco è che la “cultura di massa” - veicolata dai mass media (cinema, tv, discografia, fumetti) - non per forza dev’essere consumata da grandi masse: rientra in quella definizione anche un disco rivolto a una minoranza di ascoltatori, o un particolare genere di cinema apprezzato in una nicchia underground. Oggi la stragrande maggioranza dei prodotti culturali non è di massa: viviamo in un mondo di infinite nicchie e sottogeneri. Il mainstream generalista e “nazionalpopolare” è meno importante di quanto fosse un tempo, e continuerà a ridimensionarsi». Wu Ming1
Ho deciso di cambiare il titolo al reportage URBAN BLOG2 in MEDIA CIVICO.

Che cos'è un media civico?
La sua genesi la spiega Henry Jenkins in un recente post sul suo blog Aka-Fan.3 
Riprendo l'ultima sintesi del termine Media Civico: 
«Qualsiasi uso di qualsiasi tecnologia ai fini di aumentare l'impegno civico e la partecipazione pubblica, consentendo lo scambio d’informazioni significative, favorendo la connettività sociale, la costruzione di prospettive critiche, assicurando trasparenza e responsabilità o il rafforzamento della mediazione del cittadino».

10 ottobre 2011

0003 [CAPO COSTRUTTORE] know (conoscenza) e coo (cooperativa)

di Salvatore D'Agostino

Circa un anno fa Giacomo Butté* mi poneva questa domanda:
«[...] visto che sei anche un comunicatore di cultura progettuale. Trovo sbagliato la maniera in cui solitamente un progetto viene comunicato: lo si riduce ad essere solo immagine come se fosse una natura morta. Non capisco perché i progetti non vengano problematicizzati all'interno delle logiche in cui sono nati. Dovrebbe essere chiaro in ciascun progetto quali sono stati i drivers, i limiti, le esigenze, i desideri che hanno portato a quel risultato».1
Risposi che tra i miei appunti di prossime rubriche c'era quella dedicata ai progetti e, condividendo il suo disagio, stavo elaborando un’idea su come, attraverso un blog, analizzare l'architettura e non la sua immagine.

Con l’intersezione CAPO COSTRUTTORE andrò alla ricerca di architetture evitando l’agiografia dell’architetto (dal greco architékton, archi- 'CAPO' e tèkton 'COSTRUTTORE').

Per essere concreti, nel prossimo post, partirò da qui:



Questo incipit si arricchisce di un’intervista pensata grazie una segnalazione di Domenico Cogliandro:
«Lo apprezzo [Knowcoo Design Group*], per quanto lo conosca personalmente solo in parte, per la discrezione e l’attenzione lessicale del territorio su cui opera. Le sue opere, infatti, sono la lingua stessa del territorio, ne è pregno e, al tempo stesso, disposto alle variazioni fonetiche e strutturali. Apprezzo il suo metamorfismo e, per quanto possa sembrare un controsenso, la certosina attenzione alle declinazioni delle forme che determina».2

4 ottobre 2011

0021 [CITTA'] Una città su misura per i disabili di seconda generazione

foto di Mario Ferrara

Caserta dal finestrino

I commercianti casertani, o una buona parte di loro o solo alcuni o i più forti o i più rappresentativi, riuniti in una associazione con un loro portavoce, hanno osservato verificato controllato e alla fine hanno decretato che dai finestrini delle macchine le vetrine si vedono meglio. Quindi, riuniti in una associazione con un loro portavoce, hanno detto al sindaco e a tutta l’amministrazione cittadina che la città andava aggiornata e adeguata a questa importante scoperta.