19 agosto 2009

0024 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] Architettura, tempo, spazio e materia di Claudio Catalano

Salvatore D’Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?
Qui l’articolo introduttivo


Architettura, tempo, spazio e materia di Claudio Catalano


Mi dispiace se a qualcuno potrò sembrare supponente e immodesto ma posso rispondere serenamente che il miglior architetto da me conosciuto sono me medesimo e il motivo lo conosco molto bene: semplicemente non vorrei essere nessun altro!

Per quanto riguarda l'architetto sconosciuto... beh per definizione ancora non lo conosco!

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11 commenti:

  1. Ho visitato il sito ed il blog.
    Devo ammettere che alcuni progetti sono interessanti, anche se alcuni presentano qualche lacuna: ad esempio, nel progetto Jungle Town ho notato che parli della tassellatura di Vornoi per generare le parti della città, ma questa deve partire da punti già definiti, altrimenti le parti che danno su zone senza punti rimangono indefinite e quindi con controni arbitrari; servirebbe quindi comunque una pre-pianificazione dei centri insediativi per poi svilupparne la tassellatura.
    Questa pre-pianificazione viene fatta con algoritimi di Lindenmayer, che citi sempre nella pagina dedicata al progetto?
    Mi piacerebbe capire a quali algoritmi hai pensato.
    Matteo

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  2. mi pare che la prima domanda fosse quale architetto noto apprezzi... non il migliore, che sicuramente ogniuno è - mi pare che la seconda domanda fosse quale architetti non noto... e non sconosciuto! - forse però... mi sbaglio, ed ho bisogno di un altro caffe!
    ciao, marco+

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  3. Claudio,
    non conoscevo il tuo lavoro.
    Dalla ricerca in rete (ahimè) ho letto il tuo spirito transnazionale atto a costruire architetture iconiche. Hai appreso la lezione del nuovo postmodernismo, il 'non-standard', maturando le nuove possibilità che i CAD e i materiali ti possono offrire.
    Ciò che m'incuriosisce è la tua posizione geografica di partenza ‘Bari’, mi piacerebbe conoscere meglio la tua formazione, esperienza e idea dato che per definizione ti sei autoeletto il migliore architetto.

    Saluti,
    Salvatore D'Agostino

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  4. Caro Matteo,
    grazie per i complimenti per le osservazioni.
    La cossidetta pre- pianificazione è data dai limiti territoriali, dalle vie di comunicazioni esistenti,
    e di previsione di densità massima all’interno dell’area. Definite queste variabili si parte dal nucleo iniziale ( nel ns caso rappresentato dalle torri) per procedere verso il confine secondo lo schema voronoj che rappresenta una prima tessitura dell’area ( quella che genera il microclima e la rete viaria principale, chiaramente l’algoritmo serve per la generazione dell’ossatura del villaggio che poi baserà il suo sviluppo sull’auto-organizzazione controllata da sistemi rilevamento continuo sul territorio.
    saluti

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  5. Salvatore,
    la mia posizione geografica è del tutto accidentale e rappresenta solo un punto fisso fra tanti altri mobili, non ho un particolare interesse per l’architettura intesa come disciplina e se alcuni miei progetti possono essere accostati a qualche ismo è pura coincidenza ( coincidenza formale) Preferisco attingere conoscenza e suggestioni da altri campi apparentemente lontani dalla “disciplina architettonica “ perché sono convinto che solo un apertura ad altri campi può portare nuova e interessante linfa ad una “disciplina che è divenuta ormai soltanto esercizio di stile per archistar .
    saluti

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  6. Claudio,
    Gregotti, nel 2008, ha scritto un libro proprio sulla nefasta influenza della multidisciplinarietà dal titolo ‘Contro la fine dell’architettura’ ti riporto l’epilogo: «Molti pensano invece che, dopo la caduta delle tensioni ideali di liberazione e di progresso della tradizione del moderno, l'architettura non abbia più alcuna possibilità di proporre qualcosa al sociale e ancor meno al politico, ma solo quella di imitarne i comportamenti o celebrarne i trionfi. Ma la teoria critica è là per costruire il progetto, non per lamentarsi solo delle sue impossibilità.

    Sono oggi invece in molti a sostenere che l'arte non ha nulla a che vedere con la società, con le sue contraddizioni e con le sue speranze migliori, che essa sia divenuta semplicemente una delle tecniche di comunicazione dello stato delle cose e che tra democrazia, capitalismo ed equità non vi sono contraddizioni. A questo contribuisce in modo determinante lo spostamento dell'architettura verso l'indistinta nuova disciplina estetizzazione diffusa del mondo, che sembra avere lo scopo di liberare l'architettura dal proprio fondamento specifico come da ogni autentica necessità di senso, alla ricerca di una falsa quanto infinita confusione falsamente interdisciplinare, capace di metterla al sicuro dal rischio e dalle responsabilità della propria avventura.

    II programma diventa allora l'assoluta liberazione dell'arte, e quindi dell'architettura da tutte le discipline dissolvendole in un unico non innocente sguardo estetico. Ma liberarle da che cosa se non dall'arte stessa?» p. 132-133

    Per il postmodernista milanese l’architettura deve ritornare a essere una disciplina autonoma e non scadere nell’indistinta multidisciplinarietà. Io credo che l’architettura contemporanea non possa fare a meno delle altre discipline, specialmente quelle matematiche, economiche e sociali.
    Tu pensi che la disciplina (architettonica) sia “divenuta ormai soltanto esercizio di stile per archistar” mi puoi spiegare perché?
    Osservando la tua architettura riconosco (nel senso positivo) alcune citazioni prelevate dal mondo delle archistar (riprendo il tuo concetto, poiché reputo quest’aggettivo diventato sostantivo, totalmente privo di senso) io non vedo nessun ‘grado zero’ ma questo forse dipende dal mio fallace punto di vista.
    Saluti e soprattutto buon lavoro,
    Salvatore D’Agostino

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  7. Le mie convinzioni sono diametralmente opposte a quelle di Gregotti e sono anche convinto che se mai l’architettura sta poco bene è anche grazie a personaggi come Gregotti. Io penso che l’aspetto formale, visivo, fatto per le riviste di architettura rappresenti la parte più superficiale di una costruzione, penso che in questo momento di soffocamento del reale da parte di tanta virtualità abbiamo bisogno di legare il nostro habitat a tutti i nostri sensi ( per un approfondimento di questo concetto mi cito in …http://spaziotempoarchitettura.blogspot.com/2009/07/architettura-e-percezione-sensoriale.html
    Per quel che mi riguarda sono chiaramente figlio del mio tempo e alcuni rimandi ad altro sono a volte inevitabili anche se a tal proposito posso dire che già nel 1995 ( tempi non sospetti e non informatizzati) il mio modo di progettare era uguale a quello di oggi e questo semplicemente perché sono stato sempre interessato a certa architettura espressionista e organica e non perché abbia “citato” i “virtuosi” del momento. In ultimo, un osservazione che forse potrà suonare banale: senza gli “effetti” dei vari programmi cad oggi pochissimi architetti si sognerebbero di fare quello che fanno e semplicemente perché per fare qualche forma interessante visivamente basta smanettare sul cad di turno……

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  8. Claudio,
    apri tre questioni fondamentali:
    1) È vero l’ingessatura culturale da parte delle ultime generazioni di architetti ‘italiani’ ha causato molti danni, per me le responsabilità maggiori è stata l’indifferenza verso la cavalcante speculazione edilizia che in quarant’anni ha cambiato il volto dell’Italia.
    2) Ho letto il tuo appunto/saggio la lettura dello ‘spazio collettivo’ attraverso layer che trascrivono informazioni polisensoriali è interessante, aggiungerei ai layer un’interconnessione attraverso infiniti nodi di comunicazioni. In questo modo i layer non sono letti solo in 2D ma in un dinamico 3D.
    3) I CAD non sono degli strumenti per abili giocatori di game architettonici ma è un linguaggio. La semantica dei CAD sta cambiando il nostro modo di progettare e non viceversa. In Italia mancano i centri di ricerca cui affidare l’evoluzione dei nuovi codici.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  9. Io non sono così possibilista come Salvatore. Il CAD è un linguaggio ma non credo che "da sè" possa fare molto.
    Non credo neppure nel conflitto dei paleo-informatizzati coi male-informatizzati e coi nuovi-informatizzati...
    Insomma: io programmavo alle elementari in linguaggio macchina con mio c64; questo però non mi ha dato grandi vantaggi nel mio lavoro (tranne forse per il fatto che alle volte riesco ad automatizzare algoritmi che tanti fanno ancora a mano).
    Conosco tanti programmi CAD e di modellazione, ma quando devo buttare giù un idea progettuale uso ancora la matita, la china e i pantoni. Lo stesso quando devo scrivere qualcosa: non mi metto davanti al computer e scrivo, ma uso la penna e un foglio di carta. Anche le revisioni di quello che ho scritto le faccio su stampe che poi correggo a mano.
    Probabilmente gli strumenti CAD diverranno universalmente vantaggiosi quando consentiranno di fare tutte le operazioni che facciamo a mano in maniera più semplice (ovviamente senza spendere miliardi, perchè una matita e un foglio di carta mi costano due euro; se devo comprare uno schermo sensibile al tocco su cui posso disegnare mi sveno).
    A mio parere non molto più interessanti le idee che stanno "sotto" i progetti.
    Ad esempio anch'io per l'esame di urbanistica per studiare i percorsi pedonali avevo utilizzato un algoritmo simile ad uno "swarm system" (però purtroppo gli umani sono dotati di intelligenza valutativa a differenza delle formiche e quindi non era un granchè...).
    Mi sembrano molto interessanti le applicazioni di algoritmi computazionali per le simulazioni dei comportamenti umani o legati comunque alla loro interazione.
    Ciao

    Matteo

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  10. Matteo,
    «Il CAD è un linguaggio ma non credo che "da sé" possa fare molto.»
    Concordo ma occorre prenderne atto e fare in modo che gli algoritmi siano messi a punto dagli architetti e non da abili programmatori. In qualche modo uscire fuori dalle operazioni da default.
    Gli architetti ‘tardivi digitali’ dovrebbero trasmettere il loro infinito bagaglio culturale ai ‘nativi digitali’ (e viceversa) e non bofonchiare inutilmente.
    In Italia l’accademia, sin dagli albori, si è schierata contro le nuove tecnologie ignorando che essa potesse essere un linguaggio e non un semplice mezzo.
    Non è questione di penna o di mouse.
    L’idea, l’invenzione, non hanno codici’ esoterici’ da rispettare.
    Lo diceva Mc Luhan, come anche Umberto Eco e adesso Alessandro Baricco la mutazione elettronica non va letta con il sistema critico interpretativo dell’era romantica.
    Io ti scrivo su un blog che utilizza la piattaforma ‘blogspot’ ovvero ‘Google’.
    Google ha cambiato la nostra vita anche se si continua a scrivere a mano.
    Capire questi mutamenti è essenziale, capire che ‘Google’ non poteva essere ideato da un ‘tardivo digitale’ è fondamentale.
    I CAD sono come Google, hanno cambiato il nostro modo di progettare e fare architettura, anche quella più tradizionale, fare finta di niente è da folli.
    Cercare di essere dentro il sistema e miglioralo è la scommessa del nostro futuro.
    Occorre un’equipe universitaria che sviluppi i nuovi codici per non subire passivamente questa trasformazione.
    Forse un sogno ma vorrei evitare di essere un simpatico bisbetico, che fa finta di niente.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  11. ---> Matteo,
    per chiarezza, una chiosa finale, io non sono un CAD-ottimista ma tento di essere un CAD-consapevole.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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