26 luglio 2009

0011 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] Vers une architecture di Alessandro Russo

Salvatore D’Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?
Qui l’articolo introduttivo


Vers une architecture di Alessandro Russo

La mia realtà di studente mi porta a leggere con ammirazione ed avidità molti progetti di maestri dell’architettura moderna. Tra le tante soluzioni che un professionista si trova a dover ottenere, apprezzo quelle raggiunte da Alvaro Siza che è, senza dubbio, uno degli architetti che più seguo e che più influenzano forse inconsciamente i miei gusti in materia d’architettura. Per l’occasione vorrei centrare uno soltanto dei punti principali che sostengono la mia preferenza, così, tralasciando volutamente l’aspetto stilistico, seguo quello teorico nel quale trovo che la sua concezione di “stratificazione momentanea” sia una proiezione reale di ciò che questa disciplina dovrebbe suggerire continuamente: nessun legame con l’eternità, ma soltanto continue modifiche ad opera di sovrapposizioni di volta in volta relazionate a loro stesse.
L’architettura, come spiega lui, “è un bene materiale che deve restare a disposizione della continuità”. Sembrerebbe un concetto elementare, ma che in un epoca dove l’architettura è diventata spesso una creatura alimentata solo dal proprio ego, un prodotto di consumo istantaneo, risulta essere una sorta di monito che ho deciso di cucire su me stesso. E’ forse per questo che il funzionalismo di Siza è stato talvolta esasperato o frainteso, ed appare ancor più paradossale come egli stesso cerchi di equilibrare la sua attività decifrando l’input di un progetto come “la liberazione dal rispetto delle funzioni”. Ovvero la proposta di qualcosa che può mutare nel tempo, che può modificare la propria funzione di pari passo col procedere storico degli eventi e col maturare dei luoghi. La trasformazione delle cose attraverso il tempo è in Siza un concetto ricorrente. Il ruolo stesso dell’architetto, così come la sua opera, è qualcosa di precario destinato a riciclarsi di continuo.
L’architettura che non deve mai modificarsi, che decreta i confini della storia, è un tabù da infrangere. La sua perennità deve sopravvivere nel cambiamento, non nella staticità. Siza interviene sul luogo consapevole di lasciare un segno che sarà completato da altri, pertanto la figura dell’architetto è stravolta, non esistono più nomi scolpiti nelle memorie collettive, e questo credo sia la scia di una maturità professionale ed intellettuale talmente grande da affascinarmi ancora più di quanto già non lo fossi nei confronti di questa attività.

Mi sono permesso di interpretare questa domanda, relazionandola alla precedente. La notorietà di Alvaro Siza è certamente superiore a quella di Mauro Galantino, seppur quest’ultimo sia conosciuto a livello nazionale a seguito di una serie di pubblicazioni (o almeno io conosco quelle, il che non è certo una garanzia). La notorietà è il metro campione col quale spesso si misura il numero dei progetti realizzati, purtroppo. Ad ogni modo, al riguardo ci sono diversi punti di vista, ma resta il fatto che questo brevissimo preambolo mi serve per dire che tra gli architetti “non noti” (quelli cioè che vengono pubblicati su riviste a seguito di vittorie di concorsi etc) scelgo quelli che la mia ignoranza ha deciso di promuovere in “più noti” a seguito di letture ed episodi di varia natura. Per una serie di considerazioni, ho molto apprezzato l’architetto milanese Mauro Galantino, del quale, tra l’altro, ho visitato ultimamente l’impianto religioso della Chiesa del Gesù Redentore a Modena. La sua architettura mi suggerisce che la qualità dello spazio, più che la quantità, sia presa in grande considerazione durante la fase progettuale. Le forme lineari accompagnano un funzionalismo forte, che tende alla chiarezza dei segni ed alla uniformità del linguaggio. E mi accorgo, mentre scrivo, che è proprio questa estrema chiarezza che mi porta ad apprezzarlo e a citarlo. Il gioco di luci ed ombre, la sovrapposizione dei volumi e il continuo dialogo tra i pieni ed i vuoti siano elementi distintivi . In particolar modo, credo che progettare un luogo di culto (mi riferisco alla Chiesa del Gesù Redentore a Modena) rappresenti una delle sfide più difficili dell’architettura.
Si deve fare i conti con le soggezioni degli osservatori e con la pesante e mistica eredità lasciataci in secoli di sperimentazioni. In questo trovo che Galantino abbia raggiunto dei compromessi assolutamente accettabili, molti dei quali mi hanno decisamente impressionato. Sono sicuro che questo architetto rappresenti un validissimo esecutore dell’architettura minimalista italiana che può piacere o meno, ma che resta sempre un insieme di concezioni bisognose di una serie di regole per essere tenute assieme nel modo corretto, e le regole nei suoi lavori sono sempre sapientemente seguite.


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4 commenti:

  1. Alessandro,
    «L’architettura che non deve mai modificarsi, che decreta i confini della storia, è un tabù da infrangere.» condivido la lettura ‘mediterranea’ di Siza un attento disegnatore/osservatore delle città del mare ‘Nostrum’.
    Bisogna ritornare a progettare non solo per stratificazione ma anche per brani da ricostruire ex-novo all’interno delle nostre città. Abbattere un altro tabù che tutto ciò che ricade nel retino della ‘Zona A’ sia da tutelare tout court.
    Molta è becera edilizia speculativa.
    Oggi nelle nostre città mancano due/tre strati (espressi in decenni), dell’architettura raccontata dal contemporaneo.
    Con questo non voglio dire che occorre l’architettura da ‘starlette’ ma quella dell’architetto locale di qualità, che è stato costretto dalla cultura dominate ‘edilizia speculativa’ a lavorare in condizioni spesso proibitive.
    Ahimè, l’architetto in Italia è una figura da reinventare.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  2. hi salvatore, condivido il tuo pensiero... e che penso con non poco disagio che non sia solo "l'architetto in italia ... una figura da reinventare" ma un po' tutto il nostro vivere sociale! l'atteggiamento "speculativo" va in ogni dove...
    Alcuni anni fa un bravo professore di "restauro urbano" mi disse che la città cresceva per processi di "modificazione", un concetto "lento" ma che non esclude a priori le "novità"... c'ho messo un po' a capire che non vaneggiava...

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  3. ---> Marco+,
    non ti posso dare torto, c’è da reinventare l’Italia intera dopo che questa fase del ‘banalismo paternalistico’ esaurisce la sua vena aurea (voglio essere ottimista).
    L’Italia della politica ‘slogan/televisiva’ si è impoverita nel linguaggio e nelle idee.
    Il tuo professore di ‘restauro’ sicuramente aveva ragione ma molti architetti del ‘centro storico’ si sono crogiolati a tutelare le proprie sacre pietre dimenticandosi le modificazioni ai bordi della città. Ciò ha causato una sorta di bipolarismo delle nostre città: belle (forse troppo da vetrina) in alcune aree che turisticamente rendono (fanno economia) e vaste aree brutte (forse troppo abbandonate a se stesse) dove si ammassa la vera vita, dove il popolo dalle braccia robuste dorme ma non riesce a godere dei benefici di una città civile.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  4. ...d'altra parte in italia un premier fa anche da direttore lavori (all'aquila), il direttore lavori fa anche da coordinatore della protezione civile, il coordinatore della protezione civile fa anche parte del governo del premier...io sono per le interferenze, lo sai, ma quando queste alimentano le rispettive competenze...

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