11 agosto 2009

0019 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] Architettura effimera di Emiliano Cristini

Salvatore D’Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?
Qui l’articolo introduttivo



Architettura effimera di Emiliano Cristini

1. Sicuramente Zaha Hadid per la sua capacità nel lavorare con forme sinuose e avvolgenti e soprattutto per l'utilizzo dei colori e dei materiali di rivestimento.

2. Werner Tscholl per la capacità di rendere semplici le sue architetture anche se molto ricercate, per l'utilizzo dei materiali, per la semplicità delle forme.

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1 commento:

  1. Emiliano,
    in un recente articolo sul Corriere della Sera Vittorio Gregotti contesta i lavori di Zaha Hadid sminuendone il lavoro concettuale e la capacità costruttiva: «(è che (l’architetto?) Zaha Hadid ha costruito poche cose, in rapporto alla sua rutilante attività di illustratrice ed al minaccioso numero dei suoi progetti.)»
    Gregotti, Vittorio 'L' ARCHITETTURA SI È LIQUEFATTA' Corriere della Sera, 5 agosto 2009 ---> http://archiviostorico.corriere.it/2009/agosto/05/ARCHITETTURA_LIQUEFATTA_co_9_090805027.shtml

    Utilizzando anche un arrogante punto interrogativo sulla definizione di architetto, ottusità d’accademici, sempre pronti a correggere gli errori altrui senza mai rimettere in discussione il proprio operato, definisce l’architettura di Zaha Hadid ‘architettura liquida’ a mio parere un ossimoro senza profondità critica, mette in relazione le speculazioni di Zygmunt Bauman con le opere dell’angloirachena, creando un corto circuito linguistico che sminuisce il lavoro innovativo dell’architetto.
    Si vuole ripercorre la stessa strada dell’errore semantico fatto a suo tempo con Derrida/Eisenman per sminuire l’innovazione concettuale portata dall’architetto statunitense.
    Zaha Hadid si contrappone al post-moderno (soprattutto quello di maniera di Vittorio Gregotti) e si emancipa dai suoi insegnanti Rem Koolhaas ed Elia Zenghelis, cioè da un approccio diagrammatico del processo architettonico.
    La sua prima laurea di matematica gli consente di elaborare le sue opere transnazionali e ‘fuori contesto’ (‘fanculo il contesto’ come disse Rem Koolhaas) immergendosi in elaborazioni CAD non da default.
    Zaha Hadid, più che altri, è il primo architetto esclusivamente transnazionale/globale, la sua architettura è fisica e sensuale, non c’è niente di liquido.
    Io non sono un sostenitore tout court della globalizzazione ma non riesco a pensare a città come New York, Pechino, Londra, Parigi, Tokyo, Berlino, senza lo spirito transnazionale, bloccate in un una fantasiosa quando irreale idea 'dell’identità locale'.
    Sono invece molto scettico sull’uso mediatico di alcun sindaci, che per uscire fuori dal proprio provincialismo, usano l’architettura iconica per emanciparsi, vedi ciò che viene chiamato effetto Bilbao o Zaha Hadid a Reggio Calabria.
    L’Italia deve ripartire da architetti come Werner Tscholl che tu hai giustamente indicato.
    Dare fiato agli architetti bravi senza più discettare sui massimi sistemi dell’architettura.
    In Italia manca un quarantennio concreto di storia fisica.
    Un quarantennio che possiamo leggere nei mille tomi di parole di architetti che hanno scritto seduti nella loro comoda poltrona. Perdendo tempo a litigare e indignarsi, lasciando indisturbati i cementificatori, i veri artefici dell’architettura italiana degli ultimi anni.
    Una generazione preoccupata più ad accreditare le proprie idee che a osservare lo sprawl che ha cambiato il volto dell’Italia.
    Sarebbero tutti da denunciare per omissione di soccorso.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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