5 settembre 2009

0037 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] Del visibile di Luigi Codemo

Salvatore D'Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?
Qui l’articolo introduttivo



Del visibile di Luigi Coderno

Il blog "del visibile" è dedicato ai beni culturali ecclesiastici e, trattando della costruzione di nuove chiese, sovente incrocia i temi dell'architettura. Le mie indicazioni quindi partono da questa particolare angolatura.


Tra le archistar non saprei chi segnalare. A volte vengono chiamate a realizzare una chiesa. E i risultati sono modesti, quando non discutibili. Questo perché l'architetto star è convinto di essere pagato per applicare la propria unicità. Unicità solitamente fondata su ottime motivazioni tutte arbitrarie e irrelate. Così quando si ritrova la committenza di una chiesa pensa di dover esprimere il suo personalissimo senso del sacro (solitamente qualcosa di arcano e numinoso). La liturgia, nella sua ricchezza di significati e nei suoi molteplici aspetti, solitamente è ridotta alla risoluzione dei problemi di deambulazione interna. Tutto il resto viene giustificato con la brochure d'inaugurazione.
Ah, un'altra cosa. L'archistar, nella costruzione di chiese, non risulta mai tanto "geniale"; e questo perché prende e adatta modelli estranei. In questo modo la chiesa diventa una sorta di museo, una sorta di fiera, una sorta di fabbrica, una sorta di centro polifunzionale, una sorta di garage. Infatti, nelle chiese delle archistar è difficile pregare.

Come categoria alternativa, in quest'ambito, più che l'architetto "non noto" tenderei a ricercare chi riesce a creare, progettare e costruire partendo da una tradizione e comprendendone la ragionevolezza, l'umanità e la vitalità. Ragionevolezza perché considera tutti i fattori in gioco e affronta la realtà sapendo di poterla conoscere senza prendere di ridurla ad uno schema. Umanità perché realizza opere che siano abitabili e non concepite come spazi vuoti dove l'umano ne disturba la purezza dei volumi. Vitalità perché non si chiude imbalsamando stilemi e formule.
In questa direzione, un riferimento solido e rigoroso è il lavoro dell'architetto Ciro Lomonte.

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10 commenti:

  1. Luigi,
    io credo che la chiesa abbia perso la sua bella (anche controversa) abitudine a dialogare con i tempi.
    A tal proposito ho apprezzato molto l’iniziativa di monsignor Gianfranco Ravasi di partecipare alla prossima Biennale d’arte di Venezia del 2011 con un padiglione della Santa Sede.
    La chiesa, credo, ha la maturità per riprendere il dialogo con l’arte, che nell’ultimo periodo è stato abbandonato.
    Ti riporto il link dell’articolo di Panza Pierluigi, 'Il Vaticano sfida l' arte contemporanea' Corriere della Sera, 8 gennaio 2009: http://archiviostorico.corriere.it/2009/gennaio/08/Vaticano_sfida_arte_contemporanea_co_9_090108136.shtmli
    Mi piacerebbe ricevere un tuo parere a tal proposito.

    Nel mio vagare nella rete non ho trovato traccia dei progetti dell’architetto Ciro Lomonte però ho letto il suo articolo: Lomonte,Ciro 'Perché le chiese moderne sono brutte', Il domenicale, senza data. Link: http://www.ildomenicale.it/articolo.asp?id_articolo=545 e ho notato un’antinomia tra le idee di monsignor Gianfranco Ravasi: «Il problema è che, mentre l'architettura sacra è riuscita ad effettuare il passaggio alle forme della modernità sin dai tempi di Le Corbusier e, poi, a quelle della contemporaneità, come mostrano le chiese di Richard Meir, Tadao Ando, Mario Botta e altri, non è stato così per l’arte figurativa. La Chiesa avrebbe potuto acquistare negli anni Sessanta, ad esempio, la "Crocifissione" di Joseph Beuys: sarebbe stato un segnale di apertura, ma non siamo andati in questa direzione. E così, nelle chiese di architettura contemporanea, i parroci spesso collocano all’interno riproduzioni di grandi quadri religiosi del passato in stile Guido Reni oppure opere di semplice artigianato perché non ci sono proposte in linguaggio contemporaneo di arte sacra». (Panza, P. Op. cit.) e quelle di Ciro Lomonte: «Si dice che le chiese moderne siano brutte. Al giorno d’oggi un’affermazione del genere rischia di essere priva di senso, persino quando capita che alcuni stilisti decidono di rendere il brutto alla moda nei capi di vestiario. Cos’è mai il bello? Come può attribuire un valore universale all’oggetto della percezione estetica chi professa il relativismo più dogmatico? L’architettura moderna del Novecento ha prodotto opere d’arte anche in questo ambito. Il guaio è che sono un monumento che l’architetto fa a se stesso, come il santuario di Ronchamp, di Le Corbusier, o le chiese di Alvar Aalto. Da questo punto di vista non sono architetture riuscite, perché le si potrebbe utilizzare per altri scopi, operazione che risulterebbe impossibile nel caso della cattedrale di Chartres o di S. Carlino alle Quattro Fontane.» (Lomonte, C. Op. cit.)
    Leggendo l’articolo di Lomonte, ho capito bene le architetture che non gradisce, anche se il suo linguaggio critico è analogico (comparazione visiva con oggetti o animali) e non processuale (scomposizione dell’idea di base dell’architettura) ma non trovo nessun riferimento all’architettura saggia contemporanea da prendere a esempio.

    Trovo sempre scorretto esporre delle tesi facendo comparazioni solo su ciò che non si accetta.
    Vorrei capire la proposta o l’alternativa, senza giochi di parole.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  2. Ho letto con enorme interesse l'articolo di Ciro Lomonte e trovo che le sue preoccupazioni siano leggittime e fondate su alcuni aspetti ma reazionarie e opinabili nel definire "brutta" l'espressione contemporanea dell'architettura liturgica (trovo che manchi la comprensione del proprio tempo per rapportarsi in modo sincero e privo di tradizionalismo caro al nostro paese) .Credo che il motivo per il quale gli architetti siano finalmente liberi di esprimersi nei confronti della chiesa non è soltanto la loro rispettosa laicità (perchè pochi dei geni del passato,ad es. rinascimentali e barocchi appartenevano alla spiritualità e al credo + fervente) ma si tratta del controllo dogmatico in ogni tratto o segno pittorico quanto architettonico che oggi la chiesa non può + operare nei confronti delle sue commesse (credo a ragion veduta). Oggi lo svecchiamento (che percorre l'intero percorso della storia dell'umanità dal medioevo ad oggi) di simili atteggiamenti fa dell'architetto un professionista libero di rispondere senza inibizioni alle esigenze del progetto e fa della chiesa un committente comune che fa proprie le regole comuni della contemporaneità. Il dissidio non è architettonico,ma è sociale. Un opera come Santa Sofia o altre citate non avrebbero senso per la coscienza dell'uomo contemporaneo,del fruitore moderno e per la figura della chiesa moderna (a meno di non volersi rifare ad un organismo privo di dialettica,immutevole e secolare nel dogma e negli usi).I tempi cambiano...

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  3. ---> Cristian,
    ti suggerisco un articolo di Ugo Rosa su arch’it ecco il link: http://architettura.supereva.com/architetture/20081019/index.htm
    ti riporto alcuni passi:
    « Una classe politica insulsa.
    Una burocrazia senza vergogna né dignità.
    Una categoria di "imprenditori" (uso un eufemismo) che ha preso tutto quello che poteva e non ha dato mai nulla che non fosse la sua pura presenza (sempre accompagnata, però, dalla panza: panza e presenza) volgare quanto basta e arrogante quel che serve per potere oggi reclamare una dignità antimafiosa che, fino a ieri, non ha mai fatto nulla per conquistarsi.
    Un'università (uso ancora un eufemismo) dove il cinismo e l'assenza di scrupoli sono i primi titoli richiesti per l'ordinariato mentre intelligenza e competenza, pur se non espressamente vietate, rimangono inessenziali e, spesso, controproducenti.
    Tutto affogato in una salsa fatta di piccole e grandi estorsioni quotidiane, di baluginii mafiosi e, quando serve, anche di eliminazioni fisiche, ma senza smettere mai, neppure per un momento, i panni della macchietta: tra un'elezione e un processo ci si mette la coppola per farsi quattro risate tra amici e mangiarsi due cannoli.
    Questa è la mia isola.
    Non credo si tratti di un'eccezione, intendiamoci.

    Suppongo che le cose, oggi, vadano così anche oltre lo stretto e almeno fino al piede delle Alpi.
    È il paese che tira le cuoia tra un reality show, un agguato camorristico e il proclama razzista di un politico in carriera che prima tira il sasso e poi ritira la mano.
    Ma qui tutto è disegnato meglio, più inciso e, in qualche modo, più letterario. Criminalità, omertà, incompetenza e cialtroneria acquistano chez nous il nitore dell'aforisma e la precisione dell'epigramma. Inoltre la composta vi si amalgama nel cremoso disinteresse di tutti. Ne vien fuori una cuccìa nella quale il sapore di ogni singolo granello di miseria si spegne, come un chicco di grano, in quell'insieme pastoso e zuccherino cui non puoi reagire se non chiudendo gli occhi e assaporando: rassegnato e, talvolta, acquiescente.
    Nel frattempo il diabete lavora e, muto, ti ammazza.
    Se la Sicilia è così ci sono però luoghi, ben dentro la sua fetida carcassa, dove neppure la brezza del Mediterraneo arriva a portare via, ogni tanto, un po' di cattivo odore.
    Il turista, nella sua amabile ebetudine (che, beninteso, invidio perché la mia personale forma di stupidità non mi consente quella placentare inconsapevolezza riservata a chi va in giro intronato a visitar bellezze) è pago delle coste e, in un certo senso, fa bene.
    Accostarsi al centro non è cosa da poco e non va fatto alla leggera.»

    Fine prima parte continua --->

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  4. Seconda parte --->
    […]
    «Le opere d'architettura seguono la sorte amara di questo frutto dolce, ossuto, malinconico e spinoso: sottostanno come lui alla legge del mercato.
    Ogni tanto, però, così come per strani percorsi (lontane parentele, vecchie amicizie di famiglia, un conoscente campagnolo) arriva in dono un panierino di fichidindia, spunta anche, per strada o su una piazza, una piccola architettura, anch'essa dolce, ossuta, malinconica e spinosa, ma in realtà indifesa e di solito irrisa.
    È proprio di uno di questi eventi che vorrei raccontarvi.
    In un paese che si chiama San Cataldo, contiguo alla città in cui abito, è stata progettata e costruita, finalmente, una chiesa degna di essere definita tale.
    Ma ciò non basta ancora.
    Questa chiesa, lo dico con la tranquillità di chi sa di stare in una botte di ferro e di non potere essere smentito, è la più bella chiesa costruita in questa provincia dai primi decenni del secolo scorso.»
    […]
    «Tuttavia, come sempre accade con le buone architetture il benpensante s'indigna, prende penna e calamaio e invia sentite proteste alle autorità (che oggi, in mancanza d'altro, sono le gazzette).
    Alle architetture mediocri, e ancor di più alle pessime, questo non accade perché quelle, nel mare dell'indecenza urbana, galleggiano inosservate. La loro stessa banalità le salva: è la banalità del male.
    Trascrivere qui le lettere spedite ai giornali locali e che hanno fatto seguito alla costruzione di questa chiesa sarebbe divertente. Non perché quelle lettere abbiano un qualche senso (si tratta per lo più di terrificanti anatemi contro il Concilio Vaticano II, scagliati da cavernose postazioni che il raggio di nessuna aufklärung ha mai portato, né mai potrà sperare di portare, non dico alla luce, ma nemmeno in quella penombra che consente di vedere l'altro) ma proprio perché non hanno alcun senso, se per senso intendiamo ciò che può essere, appunto, portato alla luce.
    La volgare violenza di quei predicozzi si snocciola con piglio inquisitorio, intossicata di misoginia, livore anti-conciliare e dozzinali luoghi comuni ripescati a caso dal cassonetto del giornalismo da crociata Brancaleone (la chiesa che sembra un palasport, il confessionale che sembra lo studio di uno psicoterapeuta ecc. per adesso mancano macellerie e laboratori dentistici ma arriveranno anche quelle).»

    Prima di progettare in Italia occorre riflettere su due aspetti fondamentali:
    1- Assenza di una cultura architettonica e presenza di una “panza e presenza” edilizia (parafrasando Ugo Rosa);
    2- Il potere culturale/politico del borghese piccolo piccolo e il loro reiterare codici architettonici che non possono essere messi in discussione.

    Spero che ci sia un seguito positivo delle idee di monsignor Gianfranco Ravasi che spesso ama citare Oscar Wilde e speriamo che per questo i giornalisti cagnacci non facciano il classico due più due.
    Infine, condivido, trovo inutile ‘criticamente’ la definizione di ‘brutta’ architettura.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  5. Quello di Ugo Rosa è un ritratto spietato ed amaro del nostro paese!! Invece sono curioso della chiesa di San Cataldo,(se esiste un link o qualche foto vorrei vederla) perchè dalle "nostre parti" non siamo stati così fortunati. Paradossalmente è strano non ricordare quello che sta accadendo a Ronchamp ultimamente, dove in controtendenza rispetto al testo di Ciro Lomonte sembra che sia nato un amore così vigoroso e sincero nei confronti "dell'autoreferenziale" cappella di Le corbusier da intralciare perfino un anonimo e spento progetto di ampliamento "mimetico" del complesso ad opera di Renzo Piano. Questo mi ha fatto molto riflettere.Fortunatamente non tutti la pensano come Lomonte.

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  6. Gli spunti sono molti. Cerco di esporre alcuni punti, sperando di rendere più facile l'approccio ai molteplici fattori implicati.

    La chiesa di Caltanissetta non la conosco e non entro in merito. Semplicemente posso dire che non sono lefevriano, non ho alcuna nostalgia dei vecchi tempi, considero il Concilio Vaticano II un dono di cui rendere grazie. Eppure questo non mi esonera dal guardare criticamente molte opere di arte e architettura ecclesiastica realizzate nell'ultimo secolo.

    Non credo che basti l'augurio di un adeguamento ai "tempi che cambiano", alla "coscienza dell'uomo contemporaneo".
    Il cambiamento c'è sempre stato. Le molteplici forme che gli artisti hanno consegnato alla storia trattando i temi e le necessità dell'annuncio cristiano, mostrano che la libertà non è mai venuta meno, in particolare con la Chiesa di Roma.
    Ma cambiamento non significa dispersione, non significa storicismo, non significa equivocismo, non significa sudditanza a chi ha la forza di determinare di volta in volta lo zeitgeist. La Chiesa (e quindi anche le chiese di pietre, fatte di arte e architettura) sono annuncio di un evento e dell'esperienza che ne scaturisce: Dio si è fatto uomo, è morto ed è risorto. E la Chiesa nell'annunciare il vangelo sottende una precisa antropologia: Cristo, dice il Concilio Vaticano II, rivela l'uomo all'uomo. Le forme possono mutare, e nei secoli sono mutate, ma le forme devono essere fedeli nell'annunciare questo nocciolo preciso.
    Quindi il dialogo con la contemporaneità va benissimo, ma quale antropologia sottende questa contemporaneità? E' accettabile l'antropologia cartesiana? ovvero considera l'umano nella sua completezza? E quella illuminista e quella romantica, e quella decadente, o quella dadaista o quella razionalista, giusto per fare degli esempi. Negli ultimi due secoli c'è stata la presunzione da parte della cultura, artistica e architettonica, di poter annullare la cosiddetta tradizione. Scelta che può essere anche legittima, solo che non per questo siamo esentati dal chiederci che tipo di concezione dell'uomo e del suo contesto ne sia scaturita.

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  7. Mi soffermo in particolare sull'antropologia perché costituisce un terreno comune su cui si può dialogare. anche se questo non è per nulla scontato dato che l'arte cristiana è sempre finalizzata all'uomo e al suo rapporto con l'assoluto mentre abbiamo visto culture affermare un'arte assoluta, sciolta, totalmente autoreferenziale.

    Negli ultimi tre secoli, infatti, il dialogo è stato difficile. Da parte della Chiesa c'è stato un certo immobilismo, e la reiterazione di modelli antichi e nobili che, pur garantendo la normale amministrazione, hanno mostrato il loro esito entropico.
    Nel corso del '900 la Chiesa ha più marcatamente fatto il primo passo nella ricerca di un dialogo. Solo che spesso, aperto il dialogo, ha poi mostrato sudditanza allo spirito dei tempi, invece di esserne lievito o scandalo. In certe sue parti ha anche accettato modelli culturali spacciati per scientifici (dal marxismo allo strutturalismo e altri ancora), ritrovandosi alla fine spiazzata.
    Io invece auspico un maggior equilibrio nel rapporto alla istanze più diffuse della contemporaneità. Il Vaticano va alla biennale? Ottimo, purché ci siano artisti capaci di operare secondo un'antropologia non subalterna ai modelli culturali contemporanei, in particolare ai vari riduzionismi scientifici. Se dobbiamo sperare in Bill Viola, inizio a disperare...

    Per quanto riguarda l'architettura e l'indicazione di modelli positivi... A questo proposito ho avviato una sorta di rubrica nel blog, proprio per iniziare a segnalare "buoni esempi". Nelle settimane scorse abbiamo discusso della cattedrale di Oakland, per certi aspetti incompiuta ma già sulla buona strada (secondo me da preferire a quella recente di Houston). Nei prossimi post vorrei segnalare il santuario progettato da Botta sul monte Tamaro. Il tema santuario/montagna permette una libertà maggiore, e in effetti l'opera ha una potenza notevole. (Altre sue chiese mi lasciano invece perplesso. Ad esempio mi sembrava ben fatta quella di Seriate e invece una volta entrati dentro, per luce e riverberi, è risultata invivibile).
    Ovviamente si accettano altre indicazioni da vagliare, anche per non far languire la rubrica.

    Per quanto riguarda l'articolo di Ciro Lomonte che hai linkato, se ci leggerà, potrà dare lui altre argomentazioni così come altre segnalazioni di lavori. Nel frattempo in rete c'è questo: http://www.newitalianblood.com/showt.pl?id=1094&from=rss

    Spero di aver dato almeno un inizio di risposta.

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  8. Luigi,
    concordo non significa niente dire ‘seguire i tempi che cambiano’, poiché i cambiamenti, almeno in Italia, non sono coatti ma maturano quotidianamente. Sei anni fa non poteva esistere il blog ‘Del visibile’ adesso si. I Weblog stanno cambiando il nostro modo di fare informazione (anche se la maggior parte dei blogger italiani non hanno la maturità per emanciparsi dallo sterile opinionismo).
    Io, come tanti italiani, sono stato impastato con acqua e farina del credo cristiano, ho respirato e respiro incenso fin dalla nascita, ed essendo un camminatore ‘incallito’ ho visto, e con la maturità studiato, centinaia di chiese.
    Ho visto pregare ‘intensamente’ al Palaeur di Pier Luigi Nervi in presenza di Papa Wojtyła, in un anonimo padiglione dell’Ente fiera di Rimini, in un boschetto sulle Madonie, in una chiesa-grotta della Lucania, in molte case private, davanti ad altarini provvisori, a Pietraperzia davanti un’immagine di padre Pio apparsa dal nulla su una parete di una casa e in molti altri posti dove il principio generativo della preghiera era «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).
    Per chiarezza ti racconto un episodio: mi trovavo in una piccola cittadina del siracusano dove aspettavo l’apertura della porta della chiesa per l’inizio della festività del santo (quattro del mattino). Vedevo arrivare i fedeli con i piedi sfrangiati dal lungo pellegrinaggio.
    Davanti alla porta dominavano le donne degli uomini ‘chiamiamoli bulli’ e alcune meretrici.
    Nessuno recitava, c’era un profondo senso della preghiera.
    La piazza e la chiesa rappresentavano una delle più belle pagine del barocco della zona e nessuno notava che la chiesa era sgrammatica, un patchwork degli stili del barocco siciliano, una chiesa costruita da un architetto locale sulla base dell’ecolalia architettonica.
    Moltissime delle nostre chiese in pietra, sono dei pasticci architettonici che ovviamente nessun occhio allenato al linguaggio può notare.
    L’incondizionato amore romantico dei ‘tempi antichi’, fa evitare di leggere alcuni esempi di architettura recente.
    Occorre leggere il contemporaneo attraverso il linguaggio architettonico, evitando di cercare codici che non possono più essere reiterati.
    Sono convinto che occorre non esagerare con chiese ‘autoreferenziali’ ma occorre anche prestare attenzione al linguaggio sia critico e soprattutto architettonico.
    Come dice Gianfranco Ravasi: «Il problema è che, mentre l’architettura sacra è riuscita ad effettuare il passaggio alle forme della modernità sin dai tempi di Le Corbusier e, poi, a quelle della contemporaneità, come mostrano le chiese di Richard Meir, Tadao Ando, Mario Botta e altri, non è stato così per l'arte figurativa.».
    Mi chiedo sappiamo riconoscere e dare valore all’architettura ecclesiastica di oggi, o pensiamo che le nostre chiese in pietra siano perfette e da copiare acriticamente anche con il cemento o il ferro?

    Infine ho letto con piacere il link di Ciro Lomonte che mi hai suggerito, ed essendo siciliano andrò a vedere i suoi interventi. Ti farò sapere.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  9. Sottoscrivo le affermazioni di Luigi, il quale – come di consueto – mira al cuore delle questioni.
    Molti architetti delle avanguardie (van Doesburg, Gropius, ecc.) si sono costituiti “sacerdoti” di una nuova religione, incoraggiati in questa direzione dalle loro frequentazioni teosofiche. È questo che rende costitutivamente l’architettura contemporanea inadeguata a disegnare una chiesa cattolica. Non è un problema di stile o di linguaggio, riguarda l’approccio teoretico all’uomo, al cosmo, a Dio. L’abbandono dell’ornamento, la scelta della “sincerità” dei materiali, l’asimmetria, sono al servizio di una spiritualità dualistica, le cui vestali si illudono di superare i conflitti dell’umanità con la creazione di un equilibrio che superi la negatività della materia.
    Quello che propongo non è un ritorno al passato (nell’articolo viene esplicitamente criticata l’architettura tradizionalista), bensì un recupero dei principi metafisici per dare vita ad una nuova architettura.
    Nel mio articolo suggerivo di fare una prova del nove, quella di impiegare le chiese per altri scopi. Applicando la triade vitruviana (firmitas, utilitas, venustas), senza per questo rifugiarsi nel classicismo, si nota che gli edifici per il culto del passato restano palesemente chiese cattoliche anche quando sconsacrati e trasformati in aule polivalenti, quelli attuali disorientano il fedele e sarebbe meglio che venissero destinati ad altri usi.
    Ci sono capolavori che richiedono un’analisi più attenta, come Notre Dame du Haut, un edificio ricco di echi spirituali.
    Le Corbusier è riuscito a catturare lo spirito del luogo, tradizionalmente meta di pellegrinaggi anche in epoca pre cristiana. Il punto è proprio questo: il genio di La Chaux-de-Fonds non era credente, costruiva totem dai contorni primitivi, lavorava sull’immaginario del subconscio. Le sue creazioni avevano un tono pagano, basato su un certo panteismo. Ciò comporta che Ronchamp sia una formidabile conchiglia che trasmette il fragore di oceani diversi da quelli della Rivelazione cristiana.
    Qualcuno potrà anche ritenere che il sincretismo sia accettabile in una chiesa cattolica, ma non è così. Peraltro bisogna verificare se attribuiamo significati diversi ai medesimi vocaboli (trascendente, spirituale, simbolico, ecc.).
    Come ricordava Ravasi di recente (citando il card. Ratzinger), l’arte sacra (quella che si riferisce alla liturgia, che appartiene all’ambito ecclesiastico) è diversa dall’arte religiosa in generale. Nell’arte sacra non c’è spazio per l’arbitrarietà pura. Dalla soggettività isolata non può venire alcuna arte sacra. Senza fede non c’è arte adeguata alla liturgia.
    Ciro Lomonte

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  10. ---> Ciro Lomonte,
    (recupero l'interessante commento)

    anch’io vorrei andare al cuore della questione.
    Vorrei capire che intende per ‘Architettura contemporanea’ e quale sia la relazione tra le avanguardie e il credo teosofico degli architetti operanti in Italia.
    Le consiglio di leggere un interessante saggio di Juan José Lahuerta, apparso in due puntate su Casabella n. 788 e 789 dal titolo ‘Ornamento è delitto?’.
    Concordo di solito con le idee di Gianfranco Ravasi, ma dalle sue considerazioni non riesco a comprendere la sua definizione quasi ‘sacerdotale’ (come per i suoi architetti avanguardisti) delle idee sull’architettura ‘sacra’.

    In questi due millenni di storia di chiese (in Italia abbiamo esempi mirabili) non si è mai codificato ‘la chiesa’ poiché la cristianità non è simbolo (i tentativi di radicalizzare il simbolo hanno determinato anni bui).
    Vitruvio non era un filosofo ha semplicemente scritto (in un pessimo latino) il primo manuale del geometra (niente a che vedere con l’architettura).
    La triade ‘firmitas, utilitas, venustas’ non va confusa con la cristianità anzi Vitruvio mirava a costruire città guerriere utili per gli imperatori.
    Mi dispiace, come le dicevo io la cristianità la rilevo nella gente non nei simboli o le codifiche delle regole religiose.
    Cristo, quello terreno, se ne fregava dei templi amava dire: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
    Questa per me è la chiesa.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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