8 settembre 2009

0039 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] Opla+

Salvatore D’Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?
Qui l’articolo introduttivo.


Opla+ risponde Marco Pasian (citati su OLTRE IL SENSO DEL LUOGO qui)

Premessa: architetti noti e meno noti, che conosco e apprezzo? boh! tanti, mi piacciono le sfumature, non so neanche chi siano a volte, mi distraggo e penso ai risultati, meno ai risolutori. Dopo un reset al mio povero database, new query di ricerca e filtri multilivello, solo Italia:

Architetto noto:
Renzo Piano, perché dei suoi progetti ci capisco qualcosa e non è merito mio.

Architetto non noto (non me ne abbia!):
Luca Diffuse, perché dei suoi progetti non ci capisco tanto, ma intuisco che possano offrire molto più di qualcosa.

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7 commenti:

  1. Marco+,
    siamo a quota tre preferenze per l’architetto italiano al momento solo due italiani sono stati citati: lui e Gregotti.

    Su Renzo Piano ne ho parlato (OLTRE IL SENSO DEL LUOGO) già qui:

    http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2009/07/0005-oltre-il-senso-del-luogo-il.html

    http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2009/08/0030-oltre-il-senso-del-luogo.html

    invece vorrei parlare del lavoro di Luca Diffuse, anzi mi piacerebbe parlare dei tanti Luca Diffuse che ci sono Italia.
    Architetti intelligenti che attraverso la loro opera possono cambiare sul serio il senso dell’architettura ‘edile’ del nostro paese.
    Credo che tocchi ai blogger o ad altre piattaforme informali parlare dell’architettura latente poiché, come dice Sergio Polano, la critica accademica teme i concetti da strapaese (vedi---> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2009/07/0003-oltre-il-senso-del-luogo.html)
    «Ad esempio, c’è da scoprire (quasi) tutta l’Italia delle regioni e delle province di marginale collocazione geografica, delle città e cittadine di media o modesta taglia – dimenticate o meglio ignorate dalle riviste pel timore forse di uno strapaese – ove le attività edilizie si sono espresse e talora ancora fervono con vena (non solo quella affaristico-quattrinaia delle ville con patio, delle residenze a schiera, dei quartierini di secondo-terze case, ma neanche solo del mattone bene-rifugio per un parsimonioso prudente popolo di proprietari come siamo e neppure quella criminal-speculativa di tanti ghetti periferici) ben diversa dai grandi capoluoghi, dalle metropoli, dalle capitali politiche, morali, industriali: i luoghi secondari, insomma, ove tradizioni e esperienze locali si sono dipanate nel tempo con significative derive genetiche, lente eco, interpretazioni riflesse ma non meno significative.»

    Di Luca conosco i suoi articoli su Exibart (link: http://www.exibart.com/autori/autore.asp?autore=luca%20diffuse) sempre attenti e soprattutto comparativi, necessari per una critica non autoreferenziale ma aperta.
    Una critica fuori dalle lobby accademiche, adesso aspetto di vedere le sue architetture.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  2. Hello Marco, grazie. Tutta la nuova comunicazione della mia agenzia va proprio nel senso di un racconto più aperto dei nostri progetti, che verranno presentati attraverso making of, testi, immagini definitive e post-produzioni. Ci vuole ancora un pò anche se almeno la struttura di http://www.lucadiffuse.net e http://www.normale.net sono già pronte. Per usare al meglio il lavoro di Salvatore faccio un minimo passo verso una maggiore comprensibilità linkandovi una intervista recente.
    http://www.agoramagazine.it/agora/spip.php?article6435&lang=it

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  3. @luca --> ... e di che!
    (la tua intervista l'avevo letta... prima di rispondere ai quesiti di salvatore...)
    la tua visione dell'architettura o meglio del "fare" architettura mi ha sempre incuriosito e affascinato, un rapporto emozionale con la vita "normale", denso e fluttante.
    Apprezzo anche questa apparente distanza della figura dell'architetto, osservatore non distratto.
    Un po' anche la ricerca opla+ sceglie la trasversalità non irriverente!
    ciao marco+pasian

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  4. ---> Luca,
    grazie per il link che sconoscevo.
    Per leggere l’intervista ho dovuto stamparla (come mi succede di sovente) poiché il sito Agor@ si presenta denso di contenuti border line quasi irritanti.
    Interessanti questi tre tuoi concetti:

    Incontro:« Ci sono queste cose che mi succedono… gli incontri certo, oppure riesco a prendermi un po’ di tempo per fare ricerca oppure un progetto si rivela in modo inatteso denso di possibilità capaci di modificare una progressione stabile da troppo tempo. Gli incontri con le persone hanno questa capacità di rottura»;

    Deadline (ovvero termine ultimo): «Ma proprio questo mi piace, che nel lavoro di chi ci sa fare sul serio tutte le fatiche, le tensioni, l’allenamento, l’esaurimento estetico che la progettazione porta con se si risolvono con semplicità e leggerezza nel momento in cui il progetto arriva alla deadline»;

    Vuoto: «Essere aperti. Non sentire l’urgenza presuntuosa di esprimere se stessi. Essere vuoti. Non contiamo nulla come progettisti se non quando pensiamo alle persone che useranno gli spazi che disegniamo. Non siamo niente».

    Mi trovo vicino al tuo approccio dell’architettura .
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  5. ---> Marco+,
    «trasversalità non irriverente!»
    Ti dico che cos’è per me l’architettura irriverente:
    i condomini costruiti dai ‘furbetti del cemento’ e le loro ville:
    le case bunker dei mafiosi;
    gli edifici tradizionali costruiti come verbo dell’architettura (spesso patchwork di stili mal orditi) con strutture in cemento armato;
    ‘com’è dov’èra’ senza pensare che nessun edificio storico è un originale ma frutto dei continui cambiamenti. Poiché l’edificio come la natura è cangiante perché abitata da esseri viventi;
    l’Aquila 2 firmata da Silvio B.;
    l’arredo urbano firmato dagli uffici tecnici;
    i sindaci che usano l’archietttura come marchio politico;
    i brand che non sanno coniugare l’architettura con lo stile;
    e via dicendo.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  6. @salvatore...> ... mi spaventa assai quel "...e via dicendo". Di fatto la lista si può allungare di molto specie considerando come "irriverente" molta della spicciola ( e desueta) urbanistica d'espansione (micro e marco lottizzazioni, zone pseudoindustriali, mobilità frazionarie, ecc...). bisognerà iniziare ad individuare qualche causa... e qualche responsabilità, senza sentenze preventive ma pure troppi diritti di replica.
    marco+

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  7. ---> Marco+,
    ti consiglio di leggere se ancora non l’hai fatto il libro di Faderico Zanfi, Città abusiva- Un progetto per l’Italia abusiva, Bruno Mondadori, 2008.
    Spero di pubblicare un colloquio su WA con l’autore al più presto.
    Zanfi analizza senza i paraocchi politici/morali lo stato delle nostre città.
    La città abusiva non è un male da non vedere o trascurare ma una città latente perché in quei contesti vivono delle persone.
    Invita a vedere concretamente questi spazi, parafrasando Gilles Clément del ‘Terzo Paesaggio’ o ‘residuo’ con un cambiamento concettuale queste aree non vanno intese come spazi sfruttati in precedenza e ora abbandonati ma aree ‘abbandonate dai piani urbanistici’.
    Ci suggerisce tre approcci possibili: «

    1) Ove la città abusiva già esprime una tendenza all’assimilazione con la città pianificata e pone la questione sul decifit di dotazioni collettive sarà allora tema di azioni comuni, di una diversa possibilità per gli abitanti di auto determinare insieme i propri spazi collettivi e di immaginare un futuro capace di smentire il passato;

    2) Ove la città abusiva al contrario già sconta irreversibili processi di abbandono e di decadimento fisico, sarà questione di riflettere su processi di sottrazione in grado di organizzare vie praticabili per la progressiva rimozione di tali tessuti;

    3) Ove, infine, la città abusiva assume un assetto più rado e stabile, che non sembra sfociare in alcuno dei due estremi precedenti, il tema sarà allora quello di un lavoro sullo spazio negativo, su un diverso progetto delle reti tecnologiche, della natura e degli spazi pubblici che marchi una decisa discontinuità con le prassi tradizionalmente mantenute e dal controllo e dal recupero. »

    Importante: «le tre visioni rimandano ad altrettanti set di attrezzi concettuali/operativi il cui impegno non è alterativo ma sovrapponibile, e che possono essere letti e utilizzati come i primi termini di un’agenda di lavoro. Le voci di un possibile manuale per un diverso approccio alle questioni che la città abusiva ci pone oggi.»

    Solo in questo modo possiamo superare la fase immatura dei condoni senza l’idea di un progetto per la città.
    Osservare con maturità queste realtà ci permetterà di individuare cause e responsabilità, per indirizzarci con responsabilità sul progetto delle città.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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