12 ottobre 2009

0067 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] Runniegghié di Domenico Cogliandro

Salvatore D’Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?
Qui l’articolo introduttivo


Domenico Cogliandro è un blogger ubiquo poiché scrive sui blog: Runniegghié, Purparlé, Laboratorio WOZ, Rosalio e Domus Sensors

  1. L’architetto noto, ancora in attività, che apprezzo si chiama Knowcoo Design Group.
  2. Penso che Knowcoo, per quanto bizzarro, sia il nome e Design Group, cosa possibile, il doppio cognome.
  3. Il doppio cognome rimanda a paternità e maternità, come sovente i doppi cognomi, sta a te, però, scoprire con quale dei due è registrato all’anagrafe.
  4. Lo apprezzo, per quanto lo conosca personalmente solo in parte, per la discrezione e l’attenzione lessicale del territorio su cui opera. Le sue opere, infatti, sono la lingua stessa del territorio, ne è pregno e, al tempo stesso, disposto alle variazioni fonetiche e strutturali. Apprezzo il suo metamorfismo e, per quanto possa sembrare un controsenso, la certosina attenzione alle declinazioni delle forme che determina. Prova a starci attento. Apprezzo soprattutto, e concludo, il metodo di approccio al progetto, non speculativo né modaiolo che, in certo senso, traversa in maniera trasversale e controcorrente il flusso del fiume Archistar, che si trova “tu sai dove”.

  1. L’architetto “non noto”, ma è uno strano modo di affrontare la questione, che apprezzo si chiama Antonino, e su questo potrei dire molto ma sarò sintetico.
  2. Di cognome fa Cogliandro, è mio fratello, e il giudizio che esprimerò è fortemente partigiano.
  3. Mi spiego. Conosci la storia di Manfred von Richtofen (o Barone Rosso)? Si rese celebre per aver abbattuto da solo 80 aerei. Francesco Baracca, eroe nazionale, ne abbatté “solo” 34. Operarono entrambe durante il primo conflitto mondiale. Chi è stato più efficace dei due, se così si può dire? Non lo so. E perché non lo so? Perché tutto dipese dal contesto. I cieli di Germania erano affollatissimi di aerei tra loro nemici, mentre il fronte italiano era quasi sguarnito. Von Richtofen ebbe più occasioni di Baracca (tanto che talvolta abbatté fino a cinque aerei con un solo volo), mentre Baracca se li doveva cercare col lumicino i nemici, tutto qui. Dunque, Nino Cogliandro (e non è il solo sul territorio nazionale) ha meno occasioni di altri per dimostrare il suo valore sul campo, ma quando lo fa le sue opere dimostrano efficacia e sobrietà. Forse non stanno sui giornali (quanti sono i giornali che si occupano delle architetture meridionali?), forse non si inseriscono nel dibattito sull’architettura (già, ma di cosa sta parlando oggi l’architettura?), forse non sono sponsorizzate né premiate (ma tu vivi in questa realtà, che te lo dico a fare?) o forse, ed è un dato da non eludere, non fa il “so-tutto-io” universitario: ma produce opere di architettura contemporanea, e il contesto nel quale sono inserite tenta in tutti i modi di ricacciarli nell’inferno della bellezza da cui provengono. Il contesto tu lo conosci, D’Agostino, è fisico e fortemente brutalizzato dall’industria degli appalti e dell’edilizia tout court. L’architettura che produce mio fratello non riesce nemmeno ad inquinarlo quel mercato, ma almeno suggerisce una deviazione dello sguardo verso “altro”. So, peraltro, che non è il solo, ma non è nemmeno abbandonato all’inutilità dei flutti e delle correnti. Sta lì a cercare cose, e talvolta le trova. Gli rimprovero solo la subita influenza di una certa “maniera” atlantica che gli proviene da sue personali amicizie, ma mi pare un’inezia di fronte allo sfacelo quotidiano.
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1 commento:

  1. Domenico,
    riflettevo sullo studio Knowcoo Design Group pensando al recente libro di Vittorio Gregotti ‘Contro la fine dell’architettura’ dove con forza sostiene che la multidisciplinarità ha distrutto la pratica nobile dell’architettura.
    Cito dal sito la filosofia degli Knowcoo Design Group: «Cinque progettisti, ciascuno specializzato in un settore diverso, hanno incrociato le loro esperienze e la loro sensibilità per indagare insieme ogni aspetto dell’Architettura e raggiungere obiettivi di elevata qualità», ecco i loro nomi Andrea Bozzo, Roberto Canella, Roberto Masiero, Bruno Dolcetta e Tobia Scarpa ci accorgiamo che questo non è un gruppo di coraggiosi neofiti dell’architettura ma di cinque professionisti quasi da pensione.
    Ecco le loro specializzazioni: processi economici, sostenibilità, storia, urbanistica, architettura e design.
    Io credo che la fine dell’architettura in Italia sia stata determinata dagli accademici e dagli architetti della ‘quadratura del cerchio’ di chi vuole imporre il proprio imprinting come corrente architettonica perfettibile e imitabile.
    I Knowcoo Design Group sono nati per affrontare con la giusta complessità le tematiche dell’architettura e della città di oggi recuperando il valore essenziale dell’architettura, risolvendo al meglio dei temi che di volta in volta gli vengono commissionati. Senza preoccuparsi di fare scuola e marketing politico/accademico.

    Sul domenicale del sole 24 ore di ieri leggevo un colloquio di Carla Moreni con Emma Dante ti cito alcuni passi: «E invece no, questa terra continuamente viene colpita. Io sono a lutto. È la mia terra. Le calamità si ripetono, i disastri si sovrappongono. Sembra di perderne la memoria. Prima eravamo arrabbiati, ora quasi rasseganti. Ci stiamo chiudendo in un guscio, cerchiamo salvezza nel lavoro: non ho parole di speranza in questo momento. […] La Sicilia non è solo brutta, sporca, cattiva: mi fanno rabbia gli emigranti, quelli che se ne vanno e da lontano la schifano. Molto meglio criticarla mentre la vivi. […] È che la Sicilia filtra l’umore di tutto il paese. La colata di fango scende, nasce in Val d’Aosta e si raggruma qui. […] Sempre in ogni angolo. Ci sono certi luoghi miracolosi, che resistono al tempo. Il paesaggio forma certe intercapedini misteriose, e quando la luce le tocca rispondono con una vitalità molto forte. È dura la Sicilia, terra dura». (La mia Carmen femmina del sud, Sole 24 Ore, 11 ottobre 2009, p. 53)
    Spesso durante questo happening estivo di blogger architetti è venuto fuori il tema che abbiamo chiamato ‘dell’architettura di resistenza’. Credo che le parole di Emma Dante e le tue coincidono sul valore di alcuni miracoli da andare a cercare con il lumicino poiché dietro la Sicilia fiction Baaria, Montalbano, tutti i telefilm sulla mafia e Agrodolce ovvero dietro la Sicilia volutamente stereotipizzata da una certa intellighenzia e classe politica c’è chi lavora sulla bellezza trascurando la banalità.
    In questi giorni di suicidi di massa dei paesi occorrebbe non piangersi addosso e dar voce a chi fa resistenza in territori dalla forte identità mafiosa.
    Per questo accolgo con piacere tra i non noti (cioè i partigiani di questa impari guerra) Antonino Cogliandro.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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