23 febbraio 2011

0011 [FUGA DI CERVELLI] Colloquio Italia ---> Spagna con Domenico Di Siena

di Salvatore D'Agostino 
Fuga di cervelli è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista'

Dalla ciociaria a Madrid cambiando il mondo.




Salvatore D’Agostino Domenico Di Siena di anni..., originario di..., migrante a ..., qual è il tuo mestiere? 

Domenico Di Siena

Ho 31 anni.

da dove vengo: Sono cresciuto in un piccolo centro del basso Lazio Coreno Ausonio, paesino della Ciociaria (provincia di Frosinone), situato in una ridente collina a pochi chilometri dal mare e non lontano dalle montagne del Parco Nazionale dell'Abruzzo.

dove sono andato: Ho iniziato i miei studi di Architettura presso l'Università La Sapienza di Roma. Dopo quattro anni mi sono deciso a fare domanda per una borsa Erasmus con destinazione Parigi. 
Dove ho avuto la fortuna di frequentare, durante un anno accademico, i corsi presso la Ecole d'Architecture de la Villette. Ciò che ho apprezzato di più di questa esperienza sono state le lezioni di urbanistica e l'ambiente culturale che si respirava.
Dopo questa esperienza non avevo nessuna voglia di tornare in Italia, né a Roma né a La Sapienza. Così decisi di continuare con la scoperta di nuove culture e nuovi modi di concepire la didattica e l'architettura e mi sono recato a Madrid - dove potevo contare già su qualche buon amico - ed è qui che risiedo stabilmente da ormai 6 anni.

che faccio: Mi occupo di Urban Social Design; mi dedico alla progettazione di spazi e dinamiche capaci di migliorare le relazioni sociali in un contesto urbano. L’attività professionale è strettamente collegata al lavoro di ricerca sviluppato presso l'Universidad Politécnica de Madrid, orientata allo studio di nuovi modelli di progettazione e gestione dello spazio pubblico. Con un’attenzione particolare alle dinamiche emergenti nel campo delle nuove tecnologie.

Le coordinate di Madrid sono 40°23′46″N 3°43′00″W, perché ti sei fermato qui?

Madrid è una capitale europea con un’interessante offerta culturale, piena di contraddizioni e libertà: non l'avrei mai immaginato prima di viverci.
Si può considerare tra le poche metropoli capaci di offrire un difficile equilibrio tra ciò che è locale e ciò che è globale. A Madrid ho la sensazione di poter vivere al meglio la mia condizione di cittadino glocal.
Vivo la città, la sua identità, la sua forza e la sua vitalità allo stesso tempo vivo la sua straordinaria capacità di connessione con il resto del mondo, culturalmente, economicamente e professionalmente: sono a Madrid e sono dappertutto.
Purtroppo da qualche anno a questa parte gli amministratori locali portano avanti politiche volte a limitare questa vitalità: processo che per la verità è comune a molte altre città spagnole ed europee.
La gestione degli spazi pubblici sembra problematica soprattutto perché i nostri politici sono del tutto incapaci a comprenderne le dinamiche e quindi, ad accompagnarle nella direzione più conveniente alla collettività. Sono terrorizzati dalla possibilità di perdere il controllo e preferiscono restringerne le possibilità di uso attraverso classificazioni e regolamenti che limita enormemente ogni potenziale collettivo e sociale.
Vivere questo processo quando la città ancora conserva un minimo di carattere, può essere interessante e può aiutare a capirne le ragioni, le dinamiche e le future conseguenze urbane. Permettendoci di proporre soluzioni e progetti capaci di migliorare la città e in qualche modo frenare le tendenze degradanti.
Come ad esempio  l'Ecobulevar a Vallecas o il recente complesso educativo infantile con annessa piazza a Rivas Vaciamadrid.
 

Mentre chiacchieravamo per preparare questo colloquio mi ha incuriosito questa tua frase: «Mi piace definirmi cyber-architetto e pensare di essere un Urbanista».
Puoi spiegare meglio questa auto definizione? 

Sono passate alcune settimane dal nostro primo scambio d’idee durante il quale ho avuto modo di maturate alcune riflessioni che rimuginavo da tempo. Oggi mi piace utilizzare una definizione differente, preferisco parlare di Urban Social Design.
Quando parlavo di cyber-architetto, mi riferivo alla possibilità di considerare l'architettura come una disciplina che vada oltre la composizione architettonica e la costruzione, qualcosa di molto più vicino alla gestione di processi; da lì la referenza al mondo cyber e all'urbanistica.
Urban Social Design mi sembra dare meglio l'idea di questo concetto: progettazione di spazi, situazioni o dinamiche, che hanno come obiettivo migliorare le relazioni sociali tra coloro che convivono un ambito urbano o più in generale un habitat costruito.
Nel nostro studio (ndr Ecosistema Urbano) lavoriamo a progetti che difficilmente si assocerebbero all'architettura. Elaborare una nuova definizione di quello che facciamo ci aiuta a trasmettere in modo strategico ed efficace gli obiettivi del nostro lavoro e quindi a innovare la nostra professione.
Attualmente stiamo lavorando a una piattaforma web che permette ai cittadini di esprimersi riguardo al proprio quartiere o città. A prima vista potrebbe sembrare un semplice progetto di consultazione popolare o, nella migliore delle ipotesi una sorta di progettazione partecipata. In realtà l'obiettivo è utilizzare l'interesse che i cittadini hanno per la propria città come opportunità per catalizzare nuove reti e contatti tra vicini di quartiere. In altre parole si cerca di generare l'humus necessario per far nascere nuove relazioni e attività sociali, costruite direttamente dal basso.
Questo tipo di dinamiche vuole essere la base su cui poter costruire processi innovativi di progettazione basati sulla presenza di elementi fisici (piattaforme) e tecnologie di comunicazione (digitali). La professione dell'architetto in questo modo non s’intende più solo come un progettista di spazi, ma come un consulente (gestore) capace di definire gli elementi fisici e le dinamiche sociali, necessarie a catalizzare processi di auto-organizzazione.
Nel costante lavoro di riflessione e autocritica che portiamo avanti nello studio ci siamo resi conto di aver raggiunto un savoir faire che ha a che vedere non solo con la qualità architettonica ma anche con la capacità di catalizzare e gestire diversi processi che convergono verso un unico obiettivo: ci muoviamo in ogni nostro intervento su più fronti: sociale, economico, architettonico, tecnico e politico senza mai dimenticare l'importanza della comunicazione. 

Che cosa intendi per comunicazione?

La comunicazione è una componente essenziale del processo di progettazione. Trasmettere in modo accurato ai collaboratori, clienti e utenti, le caratteristiche e gli obiettivi di ogni passo sono una delle chiavi per realizzare un buon progetto.
Oggi tuttavia, comunicazione significa molto di più.
La comunicazione sta diventando la necessità di ogni professionista. Se fino a qualche anno fa apparire nelle più importanti riviste di settore poteva essere l'elemento fondamentale per aumentare il prestigio professionale e la visibilità del proprio studio, oggi da un lato non è più sufficiente e dall'altro non è più l'unica strada.
Il prestigio, o meglio la reputazione, comincia a essere qualcosa che si ottiene condividendo i risultati del proprio lavoro cominciando dal proprio processo di produzione/creazione. Non ci si limita più a corteggiare le riviste e gli editori più importanti per dare maggiore visibilità alle qualità dei nostri lavori. Ogni professionista dispone oggi dei mezzi per far conoscere il proprio lavoro. L'ostacolo maggiore è metodologico più che strutturale. La comunicazione distribuita si basa su un dialogo continuo e orizzontale. La gerarchia è sostituita dalla reputazione. I giovani progettisti e le piccole aziende cominciano a costruire la propria reputazione direttamente dal basso, dialogando direttamente con altri professionisti.
I professionisti più attenti e innovativi basano il proprio lavoro su un continuo processo di ricerca e innovazione.
In questa cornice è sempre più interessante condividere con altri professionisti (e non) i risultati del proprio lavoro generando una rete che si alimenta continuamente con nuove idee e contenuti.
 

Insieme al gruppo FOA avete rappresentato la città di Madrid - con il progetto di una scuola infantile - al recente EXPO di Shanghai. 
Non credi che sia un paradosso – non per te – per l’architettura italiana di oggi?

Non lo considero un paradosso. Dovrebbe essere del tutto normale superare la nazionalità di chi propone un progetto per premiarne piuttosto le qualità.
Ad ogni modo è sicuramente una situazione che fa riflettere.
I fattori che contribuiscono a creare questa situazione sono molteplici.
In Italia si respira il potere, è una sensazione che ci accompagna nella vita personale e professionale. Ci siamo abituati, lo respiriamo tutti i giorni, in un certo senso ne siamo assuefatti. Negli ultimi venti/trent’anni la cosa è peggiorata: praticamente in ogni settore, il potere è detenuto da una generazione vecchia; e con la parola vecchia, non intendo mancare di rispetto a chi è più anziano, ma piuttosto sottolineare la condizione di decadenza e di mancanza di visione di futuro.
La società è bloccata, le città italiane stanno diventando dei borghetti ancorati a vecchi modelli di sviluppo, squarciati da una dimensione quotidiana influenzata dal culto dell'immagine continuamente spalmataci addosso dai media.
Quando penso agli anni vissuti a Roma, mi rendo conto che la città non mi ha mai offerto l'opportunità di esser parte della sua identità come motore innovatore. Nelle città italiane non esiste la possibilità di sentirsi protagonisti della costruzione di una identità locale, ci limitiamo a consumare un'identità rifilataci bella che masticata.
In altre parole, in Italia più che in altri paesi europei percepisco l'azione del potere che ridimensiona continuamente qualsiasi conato di innovazione.
Tuttavia, sono convinto che sarà proprio l'Italia a fornire le forme più innovative di democrazia partecipata e nuove formule di open-government.
La triste esperienza che si è accumulata in Italia durante decenni di oligarchia favorirà la nascita d’iniziative capaci di proporre un nuovo modello di gestione del territorio.
In questo processo giocherà probabilmente un ruolo importante l'uso delle nuove tecnologie. A mio avviso, in questo senso due dei progetti più innovativi a scala mondiale sono proprio italiani: uno è criticalcity.org progetto di riqualificazione urbana ludica e partecipata l'altro è openparlamento.it un progetto che promuove maggiore trasparenza nella gestione pubblica facilitando la partecipazione diretta della cittadinanza. 

Attraverso il tuo studio gestisci un blog. A che cosa serve un blog per un architetto? 

Per capire a che serve un blog, forse è utile fare riferimento al concetto di commons che in italiano si potrebbe tradurre in modo approssimativo come dominio pubblico.
Ci troviamo di fronte a un nuovo ecosistema professionale che ci permette di sviluppare idee e progetti partendo dall'operato di altre persone, altri professionisti o altre aziende.
La nascita di questo ecosistema è tuttora in processo, soprattutto in Italia, per ragioni culturali e strutturali. Uno dei principali problemi è la dipendenza dalla presenza d’intermediari come le associazioni, gli enti e le riviste di settore.
Anche se lentamente, le parti di questo ecosistema professionale cominciano a comunicare senza intermediari. Questa comunicazione risulta essere più efficace e veloce; promuove un nuovo modello di lavoro che possiamo definire lavoro in rete. La comunicazione diventa relazione e dialogo, fortificando un modello che riconosce l'importanza dei commons.
La stampa, come tutti gli enti di settore, sono abituati a essere promotori e contenitori del dibattito professionale, e faticano ad accettare l'essere solo promotori visto che il contenitore è la rete in cui tutti siamo prosumers: produttori e consumatori, in questo caso, del dibattito.
Il dibattito si sposta continuamente verso quei nodi che meglio di altri sanno promuovere lo scambio vero d’idee e opinioni: quel sistema che permette di far crescere e di innovare.
Avere e curare un blog significa dar vita a questo ecosistema.


Dove stai andando?

Mi piacerebbe poter rispondere semplicemente: vado nella giusta direzione! Ma chi lo può dire?
Forse non so dove vado, ma so dove voglio andare.
Stiamo vivendo una rivoluzione storica, paragonabile a quella del '68. Proprio come allora si sta creando una frattura profonda tra la classe dirigente (vecchia) e la cultura emergente, quella dei giovani. La realtà ereditata ci sta stretta e le nuove tecnologie ci permettono di volare alto, sogniamo un mondo migliore, e lo crediamo possibile semplicemente perché ci stiamo organizzando in modo orizzontale, creando reti indipendenti.
Siamo la generazione della cultura libera: concetto molto semplice e potenzialmente rivoluzionario. Soprattutto quando lo associamo all’intelligenza collettiva, al dominio pubblico, alla collaborazione, allo spazio pubblico.
Voglio che le mie azioni quotidiane, personali e professionali mettono in pratica questa rivoluzione culturale.
Ho proprio voglia di essere felice. Una cosa molto semplice. Lo voglio dire. Il mio obiettivo è essere felice e per esserlo ho bisogno di cambiare il mondo. Cambio il mondo. Quello piccolo. Quello quotidiano. Voglio essere sereno mentre cambio il mondo. Mentre faccio la rivoluzione. Quanto più tempo posso passare con le persone a me care più mi rendo conto che sono vicino al mio obiettivo. Stiamo vivendo un'epoca estremamente interessante, un'epoca di cambiamento. Una rivoluzione.
Io voglio parteciparvi!
 

23 febbraio 2011 
  Intersezioni ---> Fuga di cervelli

19 febbraio 2011

0040 [MONDOBLOG] Memoria b-e-t-a

di Salvatore D'Agostino

 «Avremo l'Internet che ci meritiamo» (Bruce Sterling)* 

Nel tentativo di ripercorrere la storia delle voci Web, ho chiesto a Gianluigi D’Angelo di raccontare la sua esperienza, in modo da individuare gli argomenti del prossimo dialogo.

Per Gianluigi D’Angelo è stato complicato sintetizzare dieci anni esatti di storia (b-e-t-a nasce il 19 febbraio del 2001). Ne è uscito fuori un racconto che ho deciso di pubblicare nella sua informalità.

Nelle trame del ricordo s’intrecciano un po’ tutte le esperienze significative avvenute in rete. Un ritratto, più che una storia, delle interazioni di questi anni.

Questo è l’anticipo. A presto il colloquio in cui parleremo del lato non edulcorato della rete.



di Gianluigi D'Angelo  

Sono 10 anni che siamo on line. Dalla prima esperienza del numero monografico b-e-t-a sul tema del vuoto alla successiva evoluzione in Channelbeta. Nel 2003 fummo tra i primi ad introdurre la possibilità di commentare gli articoli, e realizzammo anche un forum completo dove registrarsi e partecipare alle discussioni. Queste prime esperienze venivano fatte nello stesso periodo da architetture.it di Furio Barzon (non più online), che più di una volta organizzò incontri chat live. 

Era il tempo in cui prima di noi esisteva solo un unico riferimento: architettura.it di Marco Brizzi, che in assoluto è in Italia la prima esperienza di rilievo del mondo dell'architettura sul web e che proprio qualche settimana fa ha compiuto 15 anni di vita. In quel periodo nacque anche archphoto.it di Emanuele Piccardo, che ancora oggi è un punto di riferimento, e c'era e c'è ancora oggi antithesi.info di Sandro Lazier e Paolo Ferrara, che a mio avviso può essere ritenuto il primo blog di architettura italiano, connotato sempre da una forte vis polemica che ha prodotto diverse discussioni molto interessanti. 

Il web era molto diverso da ora, ma soprattutto era molto più piccolo. Anche a livello internazionale il panorama non era certo quello di oggi. Esistevano archined, archinect, baunetz, soloarquitectura ecc...
Noi in quel tempo c'eravamo. 

Tra il 2002 ed il 2004 ci fu un momento di grande fermento del mondo dell'architettura sul web. b-e-t-a.net, acronimo di Bollettino Ermeneutico Trimestrale d'Architettura. Era pensata come una pubblicazione digitale a cadenza trimestrale monografica. il numero zero, premiato a Romarchitettura, aveva come tema il vuoto. Ero appena tornato dal Portogallo dopo un'intensa esperienza di un seminario estivo il cui tema era sui vuoti urbani. C'era il saggio eclettico e simpatico Manuel Vicente, il pazzo Manuel Graça Dias, il diafano Carrillo Da Graça, l'emergente sanguigno Manuel Mateus ed infine Gonçalo Byrne che mi capitò come tutor.

Inutile dire che quell'esperienza fu determinante per la scelta del tema del numero zero. Comprendere il concetto di "vazio" permette di ribaltare la prospettiva. Infatti tra i vari progetti selezionati per b-e-t-a alcuni furono proprio portoghesi. L'aspetto interessante di b-e-t-a è la trasversalità culturale con cui affronta il tema. Accanto ai progetti e alle riflessioni (dove c'è uno dei primi testi on line di Luigi Prestinenza Puglisi) ci sono sezioni come "interferenze" con articoli di artisti, musicisti, fisici e matematici, come l'allora semi sconosciuto Piergiorgio Odifreddi: per ricevere il suo testo, lo rincorremmo via mail tra Europa ed India. Poi c'era uno spazio interamente dedicato agli studenti ed infine la sezione "itinera" con due percorsi sempre sul tema del vuoto: il viaggio degli Stalker dentro Roma, tra i vuoti urbani e sociali e quello fotografico di Giuliana Succo, da poco trasferitasi a Tokio, che ci propose un percorso ritmico in tutti quegli spazi residuali e compressi della capitale giapponese.

Questo è il nucleo dal quale parte Channelbeta, Canale d'Informazione sull'Architettura Contemporanea.

Come dicevo, b-e-t-a ci regalò tante motivazioni. Arrivò il primo nostro riconoscimento ufficiale: una menzione al premio Bruno Zevi Romarchitettura del tutto inaspettata. Quella domenica ero a Roma a fare una passeggiata e quasi per caso decisi di andare a Castel Sant'Angelo alla premiazione. La sorpresa fu enorme in quanto inaspettata. Non ebbi quasi il tempo di entrare nella Sala Paolina che fui chiamato sul palco da Oliviero Beha. Era la prima volta in Italia (almeno a mia memoria) che un prodotto digitale riceveva un riconoscimento ufficiale. Nel frattempo era già iniziato da qualche mese il processo di trasformazione e mutazione verso Channelbeta. Fu una naturale evoluzione per meglio adattarsi a sfruttare le qualità del supporto digitale. Infatti, dopo il debutto con un discreto successo, gli accessi giorno dopo giorno diminuivano, allora decidemmo di introdurre le news per inserire nuovi aggiornamenti, ma anche perché avevo voglia di continuare quotidianamente quell'avventura. Ben presto mi resi conto che il quel modo si contaminava il lavoro monografico ed altro non era che una forzatura. È proprio per questo che nacque Channelbeta, con l'idea iniziale di continuare trimestralmente a portare avanti anche b-e-t-a con aggiornamenti monografici: la materia, il paradosso erano già in cantiere... ma come potete immaginare, e come si sa, b-e-t-a fini lì.

Channelbeta fin dal primo momento riscontrò un notevole successo. Cercammo di rendere fruibili i nostri contenuti il più possibile in lingua inglese e non solo, come avevamo fatto con b-e-t-a, che era disponibile in tre lingue. Allora eravamo gli unici in Italia a farlo, anche se solo su determinati contenuti. Questo ci portò ad avere una percentuale di lettori esteri sempre crescente che arrivò, in breve tempo, a diventare il nostro pubblico principale. La rete era molto più piccola, nonostante i nostri numeri, che paragonati a quelli di ora fanno quasi tenerezza, eravamo sulla classifica mondiale di Alexa intorno alla 140'000 posizione. Il lavoro editoriale veniva fatto artigianalmente in HTML con Dreamweaver, per impaginare un articolo ci volevano ore, un lavoro estenuante che ci impegnava quasi tutto il tempo libero a disposizione e non solo. Col passare degli anni avevamo raggiunto una certa visibilità.

Certo il web era ancora un territorio frequentato da una piccola comunità, ma piano piano il mondo "ufficiale" della cultura architettonica incominciava a guardarlo con un certo interesse. In breve tempo si pensò che questo processo di lì a poco producesse una rivoluzione. Fu così, ma i tempi non furono esattamente brevi. Il momento era di grande fermento, Furio Barzon con Architecture.it organizzava la Biennale-Out aprendo uno spazio di dibattito e confronto ed utilizzando per la prima volta la chat on line. Il nostro lavoro era da detective dell'architettura. Eravamo curiosi di quello che accadeva all'estero ed allo stesso modo desideravamo comunicare fuori ciò che accadeva in Italia. Volevamo capire come e cosa studiavano i nostri colleghi studenti d'oltreoceano, per questo contattammo Winka Dubbeldam che allora insegnava alla Columbia University per chiederci se potevamo pubblicare le tesi di laurea dei suoi studenti. Anche il mondo accademico si incominciò ad accorgere della rete, sui programmi dei corsi universitari i docenti incominciavano ad inserire nelle biografie dei corsi i siti web di architettura. Poi iniziarono gli incontri, dibattiti, tavole rotonde al Politecnico di Milano, a Ferrara, allo Iuav ecc...

Tra il 2003 ed il 2004 ogni 2-3 mesi si organizzavano incontri a cui puntualmente eravamo invitati a partecipare, un continuo confronto che cresceva mese dopo mese. Noi con Channelbeta cercammo di portare il dibattito fuori le istituzioni, con "O-live, parla come mangi", ci si incontrava nei club e nei locali delle principali città italiane: studenti, architetti e docenti, seduti per terra su cuscini, con un buon bicchiere di vino in una mano e con il microfono nell'altra, si avvicendavano in discussioni che arrivavano fino a notte fonda.

Era il periodo in cui il reportage del ponte sullo stretto di Domenico Cogliandro usciva a puntate, seguendo un filo che andava oltre la singola testata digitale, passando di capitolo in capitolo da Archphoto a Channelbeta ad Arch'it ecc...
un esperimento innovativo e geniale di Domenico che fu accolto con molto entusiasmo da tutti noi. In quel periodo capitava anche che quotidiani nazionali riportassero nelle loro pagine dei nostri articoli, come ad es. Maledetti Architetti che per la prima volta, analizzando ed elaborando statistiche ufficiali, metteva in evidenza la questione della densità di architetti in Italia, facendo emergere senza margine di opinioni questa anomalia tutta italiana.

Purtroppo a questa fase di grande fermento ne successe un'altra, di raffreddamento. Il contesto culturale, probabilmente, ancora non era pronto. Gli incontri diventarono sempre meno frequenti. Alcuni dei protagonisti di questo periodo si eclissarono. Si stava chiudendo un periodo d'oro. Anche noi con Channelbeta subimmo questo raffreddamento, il continuo lavoro ci aveva usurato e le motivazioni e la passione non erano più sufficienti. Tra il 2005 ed il 2007 il web crebbe notevolmente. Iniziarono a nascere i cosiddetti portali di architettura, contenitori asettici dove la quantità spesso sostituiva la qualità e dove lo spazio di riflessione e di critica si riduceva sempre di più. La nostra tecnologia 1.0 in puro html non ci consentiva di competere in questa direzione, né noi lo desideravamo. Mantenemmo la nostra identità, così come la mantennero Archphoto ed Architettura.it che ancora oggi, insieme a pochissime altre straniere, possono essere considerate le uniche riviste di architettura esclusivamente digitali.

Arriviamo al 2008, dopo un periodo piuttosto lungo di standby, in un certo senso rifondammo Channelbeta. Venne completamente rinnovato il comitato editoriale e la redazione e si decise di passare il prima possibile ad una piattaforma dinamica. Decidemmo di integrare i social network e di sfruttare al massimo le piattaforme Flickr e Youtube. Il primo articolo che uscì dopo questo rinnovamento fu "Il mazzo di carte dello Star System": l'editoriale manifesto con il quale rilanciammo Channelbeta. Ci tenevamo a sottolineare la nostra linea editoriale, di talent scouting, di ricerca delle architetture cosiddette minori e non solo. Decidemmo, da questo momento in poi di pubblicare solo progetti realizzati e possibilmente inediti, corredandoli otre che delle foto, soprattutto dei disegni delle piante, prospetti e sezioni. Questo nuovo slancio ci portò un altro prestigioso riconoscimento, il Primo Premio nella sezione Cultura dell'Econtent Award 2008 in ex equo con un progetto curato dal CNR. Un premio riconosciuto con la Targa d'Argento della Presidenza della Repubblica e che ci candidò al WSA per rappresentare l'Italia nella competizione mondiale.

In questi ultimi due anni il nostro lavoro è stato prevalentemente quello di dimostrare che esistono architetture sconosciute che hanno molto da dire e che, prima dell'architetto, esiste l'architettura. Devo dire con un certo orgoglio che grazie a noi per la prima volta i Plasma Studio sono stati pubblicati in Italia, così come Giancarlo Mazzanti, Plan B, Piñol, Li Xiaodong, ECDM, Mass Studies, Ishigami ecc ecc...

Abbiamo continuato a dare il nostro contributo su temi caldi come il Piano Casa, Le New Town ed in particolare nell'ultimo periodo ci siamo dedicati ad una dura battaglia per la realizzazione dell'Auditorium di Shigeru Ban a L'Aquila. L'Aquila in un certo senso fa parte del nostro DNA, essendo tutto il comitato editoriale abruzzese di nascita o di adozione, oltre al fatto che due di noi sono stati colpiti direttamente da questa immane tragedia. Nonostante lo sentissimo fortemente dentro, non abbiamo mai voluto trattare questo tema fuori dal nostro taglio editoriale, lo abbiamo fatto solo quando questi avvenimenti hanno intersecato il nostro ambito. La questione che abbiamo sollevato con l'Auditorium di Shigeru Ban ha fatto il giro del mondo, siamo riusciti a portare l'attenzione dei grandi media che hanno fatto da cassa di risonanza e, grazie al nostro piccolo contributo, oggi finalmente è arrivata alla luce quest'opera così importante per la città.

Attualmente il nostro archivio conta oltre 3'000 tra articoli news e progetti, siamo presenti su Facebook con un account utente ormai saturo dei 5'000 amici oltre i 2700 che ci seguono dalla pagina di fan. Il nostro canale Flickr conta circa 5'000 foto mentre su Youtube abbiamo creato uno dei principali canali di architettura con circa 650 iscritti ed oltre 300'000 video visualizzati.

Infine abbiamo creato architecturefeed che, pur non essendo un blog, è un utilissimo strumento per tenere sotto controllo le principali fonti di informazione dell'architettura. la Redazione di Channelbeta ha selezionato, durante mesi di lavoro, migliaia di siti web di architettura, li abbiamo selezionati e divisi per categorie: news, projects, design, competitions& jobs e naturalmente blogs. Sulla home mettiamo in evidenza i contenuti più interessanti per ogni categoria. Un'altra funzione molto utile è quella di poter salvare in un proprio bookmark i post preferiti. Inoltre è possibile segnalare il proprio blog o i blog preferiti che verranno vagliati ed inseriti nelle categorie. Unico requisito tecnico è che il sito web da inserire abbia tecnologia rss feed. Attualmente architecturefeed monitora circa 300 siti web che possono essere quindi consultati in maniera comoda. È inoltre possibile ricercare informazioni attraverso il motore di ricerca interno, applicando filtri come ad es. categoria, lingua ecc...
È uno strumento completamente gratuito, necessita solamente di una semplice e veloce registrazione. Abbiamo creato questo aggregatore inizialmente per una necessità interna, dato che la consultazione quotidiana di decine di siti web portava via molto tempo, successivamente, rendendoci conto della grande utilità, lo abbiamo sviluppato e reso fruibile da tutti. In meno di un anno architecturefeed conta già un archivio di circa 50'000 post ordinati e catalogati. 

19 febbraio 2011
Intersezioni ---> MONDOBLOG
__________________________________________
Note: 
*Giuseppe Granieri, Facebook sei tu, Blog notes, 5 giugno 2010. Qui 

b-e-t-a:
Gianluigi D'Angelo     
Andrea Pinna             
Davide Vocale            
Anthony Bellezza             
Emanuela Bonvecchi
traduzioni: Michela Lucchini

Channelbeta:
dal 2002 al 2007:
Gianluigi D'Angelo     
Andrea Pinna             
Davide Vocale            
Anthony Bellezza             
Emanuela Bonvecchi 

dal 2008 ad oggi:
Gianluigi D’Angelo
Roberta Patrizia Di Benigno
Roberta Di Loreto
Davide Di Virgilio
Matteo Falcone
Francesco Giorgino (fino al dicembre 2010)
Manuela Ianni
Cabiria Iannucci
Annalisa Gentile (dal 2009)

14 febbraio 2011

0002 [URBAN BLOG] Comunità provvisoria | Davanti agli occhi

di Salvatore D'Agostino

Da qualche tempo ho difficoltà a comprendere il significato di termini come: social network, popolo della rete o di facebook, internauta e per finire blogger. Parole che ci proiettano oltre la realtà.
Il blog Comunità provvisoria sta tentando di oltrepassare questa distanza tra virtuale e reale.
La Comunità provvisoria è un luogo d'incontro tra le persone che abitano il 'cratere dell'Irpinia' (così chiamato dopo il terremoto del 23 novembre 1980) e tenta di superare "l'autismo corale" (Franco Arminio) di chi abita questi luoghi senza viverli.
In questa intervista collettiva, Salvatore, Giovanni, Franco, Elda, Renata, Alberto, Angelo, Enzo, Mario, Sergio, Valentina, Paolo, Stefano, Rocco, Michele e Lello ci raccontano la loro esperienza.

Qual è, se esiste, la differenza tra i dialoghi in rete e quelli reali?

| Salvatore | 
Il dialogo in rete esclude, per la sua natura, “il corpo vivo” dei dialoganti. Vale a dire la parte più importante della comunicazione, quella dei gesti, dei corpi, appunto, della reciproca percezione, che dà forza e movimento alle idee, ai sentimenti, ai concetti che si espongono.
In più, direi che la funzione del “virtuale” non va né mitizzata né demonizzata. Ma presa per quella che è: un mezzo, un sistema che “mette in connessione ” le persone. Di per sé, è neutro. E’ l’uso che se ne fa a caratterizzarlo. In positivo o in negativo.
Inoltre, in quanto tale – cioè in quanto mezzo che “connette” le persone- è un formidabile strumento di “potenziali accensioni”. Basta non esagerare, distorcendone il valore.

| Giovanni |
I dialoghi in rete servono per essere in contatto costante, per poter in tempo reale esprimere pareri e contrapposizioni o condivisioni, far intervenire nelle discussioni chi non frequenta normalmente la comunità. I colloqui reali invece sono momenti di conoscenza, di approfondimento anche caratteriale, momenti che servono a consolidare una unione, una idea, una decisione.

| Franco|
La rete dà la sensazione che possiamo essere avvistati, ma quelli che dovrebbero avvistarci stanno a loro volta aspettando di essere avvistati.

| Elda |
La differenza tra il dialogo “reale” e quello “virtuale” non c’è, di questi tempi mi pare che il primo si sia adeguato al secondo. Se è vero che la rete è una grande occasione di attraversamenti e di confronto su temi che ci interessano, è anche vero che abbiamo demandato ad essa ogni forma di dibattito e di comunicazione. Forse sarebbe bene fare un passo indietro, o, forse, dovremmo semplicemente trovare la forza di essere meno politically correct e più esposti, più “veri”.

| Renata |
La CP BLOG, è un posto vivacissimo e complicato da gestire, credo, ma proprio per questo uno degli esperimenti di incontro/scontro virtuale più interessanti che abbia mai trovato.

| Alberto |
Ogni tanto mi affaccio al blog, non potendo vedervi di persona, e rimango stupito dal fervore di attività che una provincia addormentata riesce a produrre. Sono tante piccole cose, alcune più grandi, ma finora il filo del discorso non si è interrotto. Se in ogni provincia d’Italia ci fosse una CP (e la cosa non è impossibile), vivremmo in un paese diverso. Temo che la facilità con cui si può intervenire, il liquido dei nostri pensieri che cola nei post, ingigantisca fatterelli personali che non rendono l’idea di quello che si sta facendo. Traduciamo le parole in opere e andiamo avanti.

Per Rebecca Solnit1
una città è tale fin quando i suoi abitanti, qualunque cosa facciano e qualunque sia il loro reddito, possono ancora incontrarsi “casualmente” per strada. La strada era ed è la chiave della democrazia.
Che cos’è la strada nei vostri paesi?


| Franco |
Io sono cresciuto e ho vissuto per trentaquattro anni in via Mancini e conto di tornarci quanto prima in quella strada.
Prima del paese
Una volta c’era la strada, a ciascuno la sua.
Oggi nei paesi ci sono più strade, ma è come se non ci fosse nessuna strada.

| Angelo |
Abito su una interpoderale, una stretta stradina di campagna, quando esco passeggio nel vento e non incontro nessuno.

| Enzo |
Fu il luogo dove:
imparai a giocare
a ‘costruire’ gli amici e le amicizie
ad inseguire i primi amori.

Divenne il luogo dove:
lasciai le speranze,
per il quale mi allontanai
lungo il quale ritornai.

E’ il luogo dove
si compie ogni destino,
dove senti la voce del mondo,
dove diventi un altro.

| Mario |
Rispondere alla domanda: “che cosa è la strada nei vostri paesi”, dopo aver letto il bellissimo libro della Solnit che una singola frase non restituisce nel suo grande valore, significa riprendere in poche righe circa due anni di incontri e dibattiti su questo Blog. Lo spirito del libro della Solnit è paesologico nella misura in cui descrive con chiara evidenza l’”erosione dello spazio pubblico”, di cui le strade sono la parte preponderante. La mancanza di programmazione dello spazio della Città a vantaggio dei reali bisogni, la sostituzione della funzione svolta dalle piazze del mercato o del popolo con Centri Commerciali periferici, sono tra i tanti fattori emersi nei nostri incontri che hanno contribuito a svuotare di funzioni e significato gli spazi d’uso collettivo dei borghi storici e gli agglomerati edilizi dei paesi dell’Irpinia. Le strade di un certo numero Paesi e di molte Città in Italia, non solo in Irpinia, sono il triste risultato di una erosione di funzioni a dimensione umana a vantaggio di esigenze meccaniche, tecnologiche ed estetiche. L’ambiente pubblico di relazione per eccellenza – il vuoto urbano - è ridotto, in qualche caso, a puro esercizio architettonico autocelebrativo, che non risponde più ai bisogni del frequentatore ma all’estetica di chi lo ha ideato.

| Sergio | 
Quando scendo nella mia strada, a parte il barista e il portiere del palazzo di fronte, mi passano davanti agli occhi centinaia di facce che non conosco. Di ghiaccio. A bisaccia nella mia strada ci sono 4 persone in totale. mi piacerebbe fare tutto nella mia strada, togliere la macchina e ghettizzarmi nel mio vicinato. Il mio sogno sarebbe diventare un bullo di quartiere, se potessi ricominciare tutto da capo.

| Valentina |
…cos’è la strada? La strada è l’elemento più invadente che ci sia… in senso positivo ed in senso negativo. È quell’elemento che stretto, tortuoso, a volte ripido, fatto spesso di pietre sconnesse, si incunea in ciò che c’è di più intimo, le case, le dimore, i palazzi… e ti permette di conoscere quel paese, quella città… perché ne ha costruito la storia, è la base di un centro abitato, sia esso piccolo paese o grande città. La strada è la cultura di una civiltà, c’è tutto in una strada: il percorso, il disegno fanno fisicamente la città, il cammino in essa ti permette di guardare le case, di guardare nelle case, nei bassi napoletani come nelle cantinole calitrane… è invadente… così come lo è quando sfascia un territorio incontaminato per legare città a città… ma la strada siamo noi… la strada è la nostra storia…

| Enzo |
…La strada nei nostri piccoli comuni è: “il red carpet per troppi cretini”.

Giorno dopo giorno stiamo imparando a gestire tutte le nostre relazioni ‘fuori luogo’ ovvero attraverso: telefono, voip, social network, commenti nei blog, sms, cellulare, giochi di ruolo on-line (MMORPG).
La comunità provvisoria da tre anni sta imparando a riflettere e agire ‘all’interno di un luogo’ dai confini ben delineati.
Il suo latente obiettivo è: essere luogo.
Mi raccontate un’azione concreta e il suo risvolto sociale locale, che si è estesa oltre la comunità provvisoria?


| Franco |
Il mio racconto è quello di uno che sta qui da 50 anni. questa è una terra ispida, avara coi suoi figli. Una terra incapace di esprimere ammirazione, ma solo riverenza verso i suoi politicanti. Qui è mitica soltanto la politica.

| Paolo |
La CP è un grande apprendistato di pazienza e di generosità verso i luoghi e verso le persone.
Perché avviene questo? Perché ci sono persone straordinarie che incentivano forti sentimenti emulativi.
Diviene incoraggiante allora inquadrare le cose che fai tutti i giorni in un processo di costruzione di senso collettivo (civicness) del quale ti senti compartecipe, sicuramente protagonista.
Il processo è superadditivo nei suoi effetti: ma ci vuole tempo per costruirlo.
E scenari dentro i quali esso possa produrre meglio dei risultati. A tal riguardo nello scorso seminario di paesologia – che abbiamo tenuto a Grottaminarda lo scorso gennaio – ho fatto riferimento al concetto di governance, contrapposto – o meglio parallelo – a quello istituzionale di government, deputato per definizione al processo politico propriamente detto.
L’idea di Angelo di Parco secondo me si situa proprio qui, un esperimento di progettazione concordata di soggetti istituzionali e ‘comunità’ per attuare un’idea ‘paesologica’.
Filiere corte?
Risparmio energetico?
Azzeramento del consumo di suolo?
Abbattimento del digital divide?
Auto-gestione di un ramo secco ferroviario da parte di un distretto turistico?
Boh, siamo qui per parlare e per avere ambizioni.
Poi può finire tutto domani, perché il cervello è uno sfoglio di cipolla o – come temo per il mio – è solo inadeguato al cimento. In tal caso mi sarò soltanto divertito, gradevolissimo obiettivo minore…

| Angelo |
Un’azione che ha avuto una ricaduta positiva sul territorio è sicuramente Cairano 7x, almeno nella prima edizione.
A Cairano c'è stato l'obiettivo di coinvolgere gli abitanti e di innestare nel costruito due segni affidati a due distinti gruppi di lavoro.
Segni concreti. Gruppi concreti.
Un gruppo si è occupato del recupero di un ambito urbano mediante opere di giardinaggio e florovivaismo con materiali ecologici e riciclabili; un altro gruppo ha realizzato una piccola costruzione con mattoni pieni; un osservatorio sul paesaggio ma anche un totem.
Ad ogni azione hanno lavorato in media circa 10 persone al giorno; queste persone hanno abitato e lavorato per una settimana sul posto, dormendo nelle case messe a disposizione dagli abitanti e pranzando presso una cucina collettiva in cui lavoravano concretamente donne e uomini di Cairano, soprattutto giovani, e chef irpini.
Di questo c'è tuttora traccia fisica in loco (giardino e cupola), memoria viva negli abitanti, ampia documentazione sul sito.

| Mario |
Un atto di generosità collettiva = No alla discarica sul Formicoso, Difesa dei presidi Ospedalieri in alta Irpinia, Cairano7x;
Un episodio ancora visibile sul territorio = Il Formicoso salvo (per il momento) dai rifiuti, Cairano7x;
Un semplice gesto pubblico concreto = Convegno sulla Paesologia, Convegni di Cairano7x.



| Salvatore |
Altre azioni concrete entro CAIRANO 7x: la costruzione di una biblioteca nel paese più piccolo della nostra regione.
Donazione di libri, nomina di un bibliotecario “provvisorio”.
Feed back = promessa del Sindaco di Cairano di metterci a disposizione un appartamento, che noi riatteremo e rimetteremo a disposizione dei Cairanesi e di tutti, per biblioteca, convegni, alloggio ospiti.
Questo è – in sedicesimi- un piccolo, piccolo esempio di un METODO GENERALE, che Paolo chiama, a giusta ragione, NUOVA GOVERNANCE contrapposta a GOVERNMENT, che Franco ARMINIO, in quanto poeta, – e a eguale giusta ragione – chiama DI ACCAREZZARE I PAESI CON SGUARDO CLEMENTE E FRATERNO, con quel che ne consegue; che Angelo VERDEROSA cerca di tradurre in PRASSI progettuale attraverso gli INCONTRI DI ARCHITETTURA tenuti in ERRANZA tra i paesi del territorio; che Ago DELLA GATTA questa estate, tra le altre sue attività, HA TRADOTTO nelle bellissime serate culturali tra Compsa, Cairano e Conza; che Enzo MADDALONI traduce realizzando i suoi seminari di clowmeria donati ai Cairanesi, ai ragazzi di Aquilonia e da essi condivi.
Che i gruppi di IN LOCO MOTIVI , AMICI DELLA TERRA declinano, con le iniziative de IL TRENO DEL PAESAGGIO, condivise da un numero sempre crescente di persone; che Michele Ciasullo cerca di declinare con L’UNIVERSIT
À POPOLARE DELL’IRPINIA.
Potrei citare ulteriori esempi che portano tutti a un COMUNE, CONFUSO, talvolta CONFLITTUALE e ancora NEBULOSO tentativo di COSTRUZIONE di una DIVERSA MODALITÀ di vivere i nostri luoghi, da vivi non da “morti in vita” come tra l’altro splendidamente espresso da ELDA MARTINO nel post “SENTIMENTI PAESOLOGICI”. Ma credo che bastino a rendere l’idea di questo agire, rispetto a quanto ci chiedi.
Ed è per questo che ci sforziamo un po’ tutti, nel fuoco delle contraddizioni, dei fraintendimenti, – e anche delle maldicenze e dei “sentimenti freddi” - di definire questo nostro essere COMUNITÀ PROVVISORIA e di aggiustare le modalità del nostro “starvi dentro” , proprio al fine di avere un rapporto DA VIVI, VERO,con la realtà dei luoghi, che vadano in direzione ostinata e contraria rispetto all’atomizzazione, al cinismo, al loro sfruttamento selvaggio e/o al loro abbandono, contro la logica che vi presiede e che ELDA MARTINO declina in termini ALTI, MORALMENTE VIBRANTI, CON PIETÀ PER LE CREATURE e con indignazione verso la violenza - nei luoghi e sui luoghi - da parte dell’uomo atomizzato. Per questo rimando te e tutti a ri/leggere il suo post.

| Elda |
Museo dell’aria, ricognizione della collina del calvario a Cairano, ritrovare dei materiali archeologici di varie epoche, incontrarsi, operare un turismo della clemenza, fare compagnia ai paesi, portare altre persone in giro nei luoghi d’irpinia meno conosciuti, andare ad ascoltare il vento, stare insieme sotto un albero a ridere e a parlare, realizzazione di un museo provvisorio dell’archeologia, realizzazione di un documentario su cairano archeologica, laboratori di ricognizione, sistemazione del’area delle grotte, zappare, ripulire, innaffiare, aprire cantine, parlare con gli abitanti, installazioni artistiche permanenti e non, spettacoli teatrali in aree in disuso, servire ai tavoli, dormire cinque ore per notte, sistemare gli ospiti, scrivere post sul blog, difendere il formicoso, litigare, fare pace, discutere del senso della vita ( e della morte), una notte sul tetto dell’ospedale di bisaccia, una giornata a scampitella con nuovi amici della cp, seminario di paesologia a grottaminarda,stesura di carta archeologica per il parco, scaricare balle di fieno, trovare abitanti disposti ad aiutare, ballare la pizzica con paola…
devo continuare?

«La vita vista da dietro, dalla morte, si riduce a poche cose: una luce sul comodino, un barattolo di caffè, un maglione verde, le prime rose, una torta di compleanno, un solitario, le rondini che fanno avanti e indietro, una donna sconosciuta.
In 125 racconti, ironici e fulminanti, Franco Arminio ci dà il resoconto dei tanti modi di morire inviandoci cartoline da un posto sconosciuto, spedendoci di volta in volta un soffio impercettibile, una leggera pena, una vertigine, una sorpresa».

Parafrasando il recente libro di Franco Arminio, vi chiedo una cartolina dai vivi.


| Angelo |
Sant’angelo dei Lombardi / ieri mattina, mia figlia non ha preso lo zaino ma ha messo una tuta da lavoro e preso un barattolo di pittura. La scuola non ha soldi e i ragazzi hanno deciso di imbiancare a loro spese. ieri sera, la stessa classe era su facebook a commentare le foto fatte durante la mattinata.
Per un’aula avrei preferito il bianco. Dalle foto ho visto due pareti arancio, una bianca e una viola.

| Franco |
La cartolina di oggi è dalla commozione che mi prende quando vedo le immagini dei nostri paesi prima del terremoto. Non erano belli, c’era molta approssimazione urbanistica e le case nuove stridevano non poco con quelle vecchie, ma nell’insieme avevano, visti adesso, un senso di innocenza. E sembra che il terremoto e la ricostruzione siano stati uno stupro. Ecco, viviamo in luoghi stuprati, viviamo dentro un trauma.

| Salvatore |
“non c’è niente
perché tutto va in là;
la croce scivola
come fanciullino nella piena “*

la forza di questa terribile immagine haiku
mi dice che c’è ancora speranza, che la poesia “è” speranza; ne traggo forza …e son vivo.
E’ questa, oggi, la mia cartolina dai vivi.

*Paola Lovisolo - Da “Martello a calare” in Bollettino ’900 n.1-2 , 2007

| Fabio |
Il paese è un cane. Disteso a terra guarda verso nord, fa la guardia all’altopiano. Io vivo sulla schiena dove c’è una strada lunga e stretta: la costa. In realtà le strade sono due: via san rocco che sale verso la nuca e via Gramsci che finisce dove il paese attorciglia la coda.
D’inverno,quando la bora taglia la faccia, la costa resta sotto vento. Il paese sa tenere i reni al caldo. Sono i venti da sud che lacerano il sipario e impediscono la messinscena quotidiana.

| Enzo |
All’ora del caffè, oggi ho compreso: a casa mia non abita nessuno!

| Giovanni |
Il sole pallido cerca di contrastare il veneto gelido di tramontana, uomini stanchi cercano i suoi raggi come una pulce cerca un cane.

| Stefano |
Nei paesi non servono le telecamere di sorveglianza: ci sono gli sguardi curiosi, dietro i vetri, delle vecchiette, del vicino, del commerciante. Ma troppe case hanno i battenti sbarrati.

| Rocco |
Solo se circondato da amore, il malato riesce a superare anche l’imbarazzo del pudore che è consapevolezza di una certa disarmonìa tra il significato e le esigenze affettive della persona spirituale ed i suoi bisogni corporali che lo rendono vulnerabile.

| Enzo |
E’ passato di qui Tonino “Maradona”, che col suo nome è amante di un amore eterno. Il destino gli ha donato un male strano, un insulto muscolare, direi uno spasmo: sorride guardando in faccia gli uomini e vira al triste volgendosi alla terra.
Mi ha sorriso, lui che è ignara metafora del mondo!
Rispettando il suo amore e un suo sospiro, guardando in terra, gli ho risposto ancor: buon anno!.

Certo un dubbio … certo.
” Mast Ciapè: Buon Natale! ” …. ” Mbèeh! ”

Dedicato.
A mio padre, che quel giorno: vide, capì, tacque e sorrise!

| Michele |

“Chi paga rompe, e i cocci sono nostri”
(Lello Voce)


14 febbraio 2011 (ultima modifica 11 novembre)
Intersezioni ---> Urban blog

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Note:
1 Rebecca Solnit, Storia del camminare, Bruno Mondatori, Milano, 2002, p. XI

7 febbraio 2011

0039 [MONDOBLOG] I contenuti e un ricordo

di Salvatore D'Agostino
«Pubblicazioni di Architettura sul Web. La via Italiana 

InArch (Istituto Nazionale di Architettura fondato da Bruno Zevi) Roma Via di Villa Patrizi 11, 5 Marzo 2001, ore 20 
Introduce e coordina: Antonino Saggio, La Sapienza Presentano: Marco Brizzi (direttore di Architettura.it), Giacinto Cerviere (direttore di Iperspazio) [ndr non più in rete], Sandro Lazier (direttore di Antithesi).
Commentano: Francesco Tentori (Iuav, Venezia) Livio Sacchi ("Il Progetto")
Interverranno al dibattito: Renato Masiani (direttore del Cics, La Sapienza), Luigi Centola (Coordinatore New italian Blood), Paolo Ferrara (Architetto e docente)

La serata intende far conoscere meglio al pubblico degli architetti il mondo delle pubblicazioni di architettura in rete. Non si tratta della duplicazione nel web di riviste o bollettini comunque esistenti su carta stampata, ma bensì dell'apertura di nuovi spazi di dibattito, di approfondimento, di discussione possibili solo attraverso Internet.
Qual è la "storia" che ha condotto a delle iniziative che oggi rappresentano un punto di riferimento sicuro del dibattito architettonico italiano? Quali sono i temi nuovi che vengono sviluppati in queste riviste in rete? Quali sono le modalità di scambio delle opinioni tra lettori e redattori delle riviste? Infine quale nuovo spazio di contributo critico si è aperto attraverso una forma di pubblicazione più libera, leggera e diretta rispetto alle pubblicazioni cartacee? 
Questi sono alcuni degli argomenti su cui ruoterà la serata.
 
Con l'aiuto di audiovisivi presenteranno strutture e caratteristiche delle pubblicazioni in rete tre riviste che hanno caratteristiche molto diverse tra loro. "Architettura.it" di Marco Brizzi, basata a Firenze e appoggiata al gruppo Dada è la più completa rivista di architettura on-line esistente in Italia.  
"Iper-spazio" di Giacinto Cerviere, basata a Melfi è un'iniziativa molto più giovane, particolarmente interessante anche perché proviene da un territorio decentrato. 
"Antithesi" di Sandro Lazier promette sin dal titolo quello che fino ad oggi ha mantenuto: una chiara e dura posizione critica sull'attuale cultura architettonica italiana. 
Sono chiamati a commentare queste esperienze Francesco Tentori, tra i più autorevoli studiosi dell'architettura contemporanea che negli ultimi anni si è molto interessato al Web anche nella sua didattica allo Iuav e Livio Sacchi, vicedirettore del "Il Progetto" e professore all'Università di Pescara che è interessato nella sua attività pubblicistica e didattica ai temi del rapporto tra il mondo della rappresentazione digitale e quelli legati alla tradizione architettonica.
Innesteranno il dibattito con il pubblico una serie di interventi programmati di esperti del settore.»
Questo vecchio incontro e tante altre storie saranno il contenuto del prossimo colloquio con Antonino Saggio. A seguire la terza lezione di Geoff Manaugh.


di Geoff Manaugh*

Leggi le altre puntate del Corso di blog: La storiaL'attrezzaturaPer chi si scrive? e Il futuro

Finora all'interno di questo corso abbiamo parlato delle origini del blog – da dove proviene come forma espressiva, qual è la sua storia letteraria – e abbiamo anche dato uno sguardo all'equipaggiamento e all'infrastruttura elettronica di cui un blogger ha bisogno oggi. 

Però di cosa dovrebbe parlare un blog?
Quali sono gli argomenti da trattare?
Più nello specifico, qual è il campo a cui un blog di architettura si rivolge? 

Se iniziamo dando per scontato che un blog di architettura dovrebbe offrire commenti e notizie sulle pratiche e i problemi che oggi riguardano la progettazione dello spazio, allora siamo solo a metà della definizione. Discutere di architettura dal solo punto di vista di chi per lavoro progetta e costruisce edifici esclude a priori un pubblico molto più ampio e comunque interessato alle teorie architettoniche. Ovvero tutti quelli che fanno esperienza costante dell’ambiente costruito a diversi livelli, ma che tuttavia non hanno intenzione di interpretarlo utilizzando le convenzioni del vocabolario della critica architettonica. Anche gli utenti, alle cui emozioni la progettazione degli spazi si rivolge, vogliono parlare di architettura. 

In altre parole, oggi esiste un pubblico vastissimo per la scrittura architettonica. L’architettura non è un argomento di nicchia, a cui sono interessati solo pochi autori specializzati. Tutto questo pubblico di lettori – potremmo anche dire l’intero pubblico – vive una relazione intima con città, paesi, case, infrastrutture, paesaggi e altre forme nello spazio create da architetti. 
Questa esposizione prolungata, quotidiana ai prodotti dell’industria architettonica comporta una modalità diversa di conoscenza dello spazio. I blogger farebbero bene a ricordarsene quando scrivono di spazi progettati e del mondo di cui essi fanno parte.

Come si mettono in pratica questi propositi?

Semplicemente, niente è fuori tema quando si prepara un post per un blog. Nessun genere è poco appropriato quando si discute di progettazione architettonica. Critica, teoria, narrativa, saggistica, lista, intervista, recensione, sceneggiatura, poesia, musica pop: la varietà delle forme testuali a disposizione è illimitata. Anzi, la scrittura del blog favorisce e offre straordinarie opportunità per la sperimentazione con lo stile, il tono, il genere e il campo dei riferimenti culturali. 


I blogger hanno oggi possibilità senza precedenti per cambiare il modo in cui parliamo di architettura – possono coinvolgere più persone e più campi d’azione.
I limiti della discussione architettonica si sono ampliati come mai era successo nella storia.
Tutto questo grazie al contenuto.
Il vero potere di qualsiasi blog non sta nella forma, nel design o perfino nel suo URL, per quanto questi possano essere interessanti; il potere di ogni singolo blog sta negli argomenti di cui si parla e in come essi sono trattati. Il genere, l’ampiezza dei riferimenti, il tono – questi sono elementi assolutamente centrali. Stai semplicemente ripubblicando immagini da un recente comunicato stampa – un comunicato che ha percorso l’intera blogosfera mondiale, ma a cui solo tu sei stato tanto ingenuo da credere fino a pubblicarlo – o stai mettendo in circolazione tuoi propri editoriali, saggi critici, storie, report e interviste?
 
E in questo caso, di cosa stai parlando?
 
La maggior parte dell’odierna scrittura architettonica è caratterizzata da una convinzione ferma che gli architetti comprendano gli edifici meglio che, diciamo, i rapinatori di banca, gli operai che riparano gli ascensori o le squadre urbane anti-terrorismo. Per quanto mi riguarda, ancora non ho visto evidenza inoppugnabile che i pianificatori urbani comprendano le metropoli meglio che gli specialisti della disinfestazione, dei maratoneti o perfino dei poeti. 
Allora come mai queste tre categorie non sono interpellate, intervistate e coinvolte oggi quando si parla di spazi urbani? 

Allo stesso modo, perché i blogger dovrebbero dare per scontato che il gruppo professionale più qualificato per parlare di ambiente costruito siano gli architetti? 

Sotto molti punti di vista, sarebbe come chiedere ai programmatori di Microsoft Word che opinione hanno della letteratura contemporanea.
Dunque, usiamo i blog per ampliare la conversazione.
 

Una coppia di adulteri in giro per la città ha un rapporto molto più intenso con il potenziale emozionale dello spazio urbano che un critico di architettura incaricato di fare un profilo di una nuova sala da concerti. La coppia di adulteri è legata da una conoscenza segreta di ogni angolo e rifugio della città, di ogni lobby di albergo in cui è possibile nascondersi e di ogni portiera troppo curiosa. È un rapporto diverso da quello del critico, che deve solo scrivere un articolo per dimostrare il suo particolare tipo di conoscenza dello spazio urbano.
Immaginate una serie di post scritti su un blog intervistando persone prese in triangoli amorosi, o ladri che studiano centri commerciali, o poliziotti in incognito che lavorano a un’azione spettacolare.
Questo tipo di enciclopedia dello spazio urbano in tono minore ha un fascino imbattibile ed è anche rilevante dal punto di vista architettonico. Probabilmente, non aiuterebbe uno studio d’architettura emergente a vincere il Pritzker Prize dell’anno venturo, ma questo non è l’obiettivo del blog. Non è quello il premio a cui aspirare come blogger. Noi stiamo cercando di comprendere l’impatto che la progettazione architettonica ha sulle civiltà umane, e viceversa. Il nostro obiettivo è di capire la città, gli edifici che la costruiscono e le modalità di uso dello spazio. I blogger non devono lavorare per assicurare che Le Corbusier sia ancora importante.
 

I blogger dovrebbero aspirare ai premi Nobel e Pulitzer; dovrebbero fare la cronaca dell’architettura come Hunter S. Thompson la fece degli Hell’s Angels, e fare critica della città nella maniera in cui Neil Armstrong fece conoscenza della luna. La cosa importante da ricordare è che l’architettura in sé ha sempre avuto una portata maggiore di qualsiasi nuovo museo, progetto residenziale, villa o stadio inaugurato in qualche città globale. L’architettura comprende ogni aspetto dell’interazione fra gli esseri umani e l’ambiente costruito.
Discutere – o scrivere un blog – di architettura deve quindi comprendere anche altri tipi di incontro meno ufficiali con gli spazi in cui ci muoviamo.
Se vogliamo rendere le conversazioni di architettura comuni come lo sono quelle sui film di successo – o addirittura comuni come le discussioni familiari sul cibo più buono, sulla musica o sui programmi televisivi migliori – allora è necessaria una radicale ridefinizione del linguaggio che usiamo per scrivere di architettura. Perciò iniziamo a scrivere di triangoli sentimentali, rapine a mano armata, furti nei sobborghi, film su case stregate, infestazioni urbane, bagni pubblici scadenti, siti archeologici e, perché no, anche di nuovi musei. Questi sono tutti modi di capire la città e l’architettura.
 

Scrivere di edifici come se fossero opere d’arte separate dal loro contesto umano è un anacronismo. I blogger dovrebbero partire dalla posizione che il tipo di risposta più appropriato all'ampliamento di un edificio di Renzo Piano non è necessariamente la stesura di un articolo critico sul suddetto progetto. Forse il responso più appropriato è di ambientarvi un giallo, di scrivere una sceneggiatura, di sperimentare con genere e forma, con mezzo e pubblico di riferimento.
Questi sono tutti esempi di come sia possibile scrivere di architettura, ovvero di come aiutare a dirigere l’attenzione del pubblico verso un determinato edificio. 
Addetti alle pulizie, gente che fa jogging, postini in bicicletta, netturbini, casalinghe terroristi: questi sono tutti lavori o ruoli sociali che implicano una conoscenza particolare dello spazio, delle sue vulnerabilità, opportunità e forze. Questi punti di vista sono anche tutti disponibili allo stesso modo agli autori di blog di architettura, e nessuno dovrebbe essere scartato a priori perché irrilevante.
 

La scrittura di un blog di architettura dovrebbe dunque avvalersi di un approccio entusiasticamente pluralista, che riconosca l’infinità dei generi e delle prospettive a disposizione per lavorare. Dopo tutto, ci sono letteralmente miliardi di persone con le loro proprie esperienze individuali dello spazio costruito. La vera sfida del blogger è trovare una maniera di includere tutti nella conversazione. 

In conclusione, i blog sono una maniera flessibile e immediata per cambiare i soggetti e i temi che sono trattati nell'architettura su carta stampata. Se non vi piace quello che vedete discusso in Architect’s Journal, The New York Times, Abitare, Icon, Archinect o, per quanto possa essere rilevante, su BLDGBLOG, allora avete a disposizione una soluzione semplice e ovvia: iniziare a scrivere un blog. Pubblicate un nuovo post. 
Trattate gli argomenti che pensate meritino più attenzione.
Fatelo con grande energia ed impegno. Recensite libri, edifici, città, strade, parchi, film, idee, architetti, spazi, tecniche, software, sogni, storie, mappe, eventi, tecnologie, altri blog.
Parlate di tutto quello di cui pensate che tutti gli altri dovrebbero parlare.
Se poi riuscite a coltivare un pubblico interessato alla vostra visione dell’ambiente costruito – se riuscite a trovare altri che condividono i vostri interessi, le vostre delusioni e i vostri entusiasmi – allora avrete dimostrato con successo non solo il potere dei blog, ma anche che non siete da soli nelle vostre passioni. 

Avrete dimostrato qual è il compito del blog: ovvero che anche senza comitati di redazione e panel di relatori accademici, c’è ancora gente interessata a parlare di architettura. 
I blog permettono alle persone di partecipare a una conversazione che avrebbe dovuto avere spazio da sempre.

7 febbraio 2011
Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note:

* Pubblicazione autorizzata da Abitare

Geoff Manaugh, Blogging 101 - Contenuto, Abitare n. 509, gennaio 2011, pp. 11-16