di Salvatore D'Agostino
Gli architetti e i blogs in una conversazione con Miki Fossati e Emanuele Piccardo autori di 'The city of blogs'.
Salvatore D'Agostino Il primo post di The city of blogs è datato 30 giugno 2008, nasce ufficialmente a Torino all'interno delle iniziative del XXIII UIA World Congress of Architecture. Cos'è o che cosa sta diventando "The city of blogs"?
Miki Fossati The city of blogs nasce come iniziativa di presenza all'interno del congresso UIA di Torino. Presenza intesa in senso fisico ed in senso informativo: produrre contenuti direttamente dall'interno della manifestazione, in tempo reale, agilmente, senza mediazione; creare spazi di discussione con caratteristiche analoghe di immediatezza e diffusione, il tutto utilizzando la rete come strumento principale di propagazione delle idee. A partire da questi principi abbiamo creato un vero e proprio aggregatore di blogs che parlano di architettura, a partire dal quale poter estrarre un po' di voci sui temi che consideriamo interessanti nel campo della sperimentazione e della sostenibilità nel design, nell'arte e nell'architettura.
A queste voci abbiamo unito anche la nostra per denunciare via via una serie di palesi incongruenze all'interno di quello che doveva essere un luogo di confronto, dal titolo Transmitting Architecture e che si è rivelato invece un luogo chiuso dominato da sentimenti luddisti di asservimento ai poteri forti, incapace di comunicare alcunché. Cosa sta diventando questo progetto ricorda quel che mi diceva mia nonna, analfabeta: «da grandi si diventa quello che si è». L'evoluzione di The city of blogs lo porterà ad essere un luogo di discussione, una raccolta il più possibile democratica di voci lontane tra loro, ma ugualmente importanti, il risultato di una ricerca volta a riconoscere con i fatti il valore della produzione disintermediata di contenuti nel campo dell'architettura, dell'arte contemporanea e nei campi a loro affini.
Emanuele Piccardo The city of blogs è una sinergia tra Archphoto e Miki Fossati, già autore della ristrutturazione informatica della rivista, in occasione di UIA, affinchè UIA potesse proporsi come una occasione per discutere e far discutere con uno strumento veloce e contemporaneo come il blog sulle tematiche affrontate dal Congresso. È vero il macro tema di Torino era "comunicare" l'architettura in una forma demagogica e banale, al punto che noi stessi siamo giunti alla conclusione che l'architettura non si può trasmettere con le parole, ma solo attraverso l'architettura, ossia il progetto e la realizzazione da parte di architetti sensibili e capaci.
The city of blogs è la città dei blogs, un progetto teorico che immagina di creare una città mentale, fluida, non formale, un plateau dove si posizionano i differenti approcci all'architettura, in futuro il progetto ha l'ambizione di svilupparsi ulteriormente attraverso una tematizzazione sempre più forte. Il congresso torinese è stato un momento in cui abbiamo fatto delle verifiche, abbiamo sperimentato con e per la rete un modo nuovo di comunicare avendo ben presente il senso etico del nostro procedere.
Mi puoi spiegare meglio che cosa intendi per "aggregatore di blogs"?
MF Un aggregatore è un aggeggio che si legge tutti i post dei vari blog che aggrega e ne presenta alcuni a noi mortali secondo un criterio (quale non è importante, può essere una specie di classifica o una valutazione di ordine semantico). Questo dovrebbe aiutare noi mortali a gestire meglio l'enorme quantità di informazione prodotta su determinati temi. Una specie di rassegna stampa globale, se vuoi, ma totalmente automatica. La particolarità di The city of blogs è che oltre al lavoro di aggregazione permette l'inserimento diretto di contenuti.
Alexander Halavais, uno studioso che indaga l'influenza dei fenomeni informatici sulla società, afferma:
«Internet, la rete e ora la blogosfera rappresentano sistemi guidati dagli stessi bisogni sociali di base che aveva la città.»
Quali sono i 'bisogni sociali' dell'architetto che rintracciate sul vostro aggregatore?
MF Premetto che sono convinto che Halavais si sbagli nella sua analisi della rete per l'atteggiamento ingenuo tipico di alcuni professori anglosassoni a cui sfugge la reale complessità delle cose per mancanza di conoscenza dei sistemi di funzionamento: «Faccio tredici modifiche a Wikipedia con tredici utenti diversi, mi beccano, quindi Wikipedia è affidabile, fine della questione». L'affermazione che citi è altrettanto palesemente ingenua, perché alla premessa si potrebbe sostituire qualunque cosa "la lievitazione del pane rappresenta sistemi guidati dagli stessi bisogni sociali di base (quali?) che aveva (aveva? e adesso?) la città", oppure "l'accrescimento dei cristalli..." o "l'auto-organizzazione dei termitai...". Assomiglia alle spiegazioni che si danno ai bambini, ipersemplificazioni inesatte che colgono solo alcune superficiali similitudini, ma non il cuore del problema. Non è sufficiente che un sistema abbia una certa complessità per giustificare il paragone con "la città" la cui stratificazione temporale e culturale è difficilmente replicabile in una situazione di quasi completa alea com'è la rete.
La rete è ovviamente un sistema composto da emergenze di sottosistemi organizzati più o meno spontaneamente e questi sottosistemi spesso (o sempre? bisognerebbe farci uno studio serio) si organizzano attorno ai bisogni, i più forti dei quali sono l'informazione, il business ed il sesso. Il fenomeno dei social networks esula un po' da questa analisi e meriterebbe a sua volta una riflessione anche se è un po' presto per cogliere la portata del fenomeno in termini di potenzialità socio-culturali.
Detto questo, i bisogni sociali dell'architetto sono fondamentalmente comunicativi e possiamo in effetti suddividere la categoria in due grandi scuole di pensiero: quelli che il problema comunicativo non se lo pongono perché sono troppo occupati a vincere premi internazionali, a distruggere gli skyline di mezzo mondo e ad alimentare il proprio ego smisurato e quelli che il problema comunicativo non se lo pongono, ma per fortuna le loro opere ed il loro pensiero hanno una grande valenza culturale che qualcuno poi deve prendere la briga di tradurre in un linguaggio più "letterario" e ci auspichiamo distante da quello tecnico degli architetti.
Tra questi due poli si situa un'enorme "zona grigia" composta di moltissime voci capaci di cogliere aspetti interessanti (critici, divulgativi, promozionali, riflessivi) che l'affaccio dell'"architetto" sulla rete comporta, zona grigia che noi tentiamo di toccare.
Ma è possibile che i blogger/architetti determinino dinamiche innovative anche nel contesto sociale in cui operano? Non si rischiano interazioni fluide con un approccio sul territorio debole?
MF Gli architetti in genere non determinano alcuna dinamica innovativa, se non a causa di variabili che in generale non sono governate né govermabili in fase di progetto. Sempre in genere gli architetti sono "strumenti" di dinamiche innovative innescate altrove. Per quanto riguarda i blogger, in Italia valgono zero di zero, e la categoria "blogger/architetti" un po' meno di così. In altri paesi la questione è diversa e l'influenza di quanto pubblicato sui blog è paragonabile a quella della stampa "mainstream", cosa nota a tutti gli operatori del settore (Bill Menking dice che la sua rivista - The architect's newspaper - è fondamentalmente un raggruppamento di blogs. Curatore del Padiglione degli Stati Uniti d'America per la Biennale di Venezia 2008 'Into the open: positioning practice').
Le interazioni fluide sono un crimine contro l'umanità, dal punto di vista degli architetti, e anche qui bisogna capire di cosa si sta parlando. In Italia l'approccio sul territorio che parte dagli architetti contemporanei è pressoché nullo e non certo perturbato da quello che succede sulla rete, forse la stessa domanda bisognerebbe farla a Caltagirone che di approccio sul territorio è più esperto.
Credo che Caltagirone, come altri imprenditori, non firmi i progetti. Quest'ultimi sono avallati da ingegneri/architetti che hanno determinato più degli archistar l'attuale skyline del nostro paese. Vi sembra che l'architetto medio (brutta definizione ma l'unica che rende l'idea) sia estraneo alle dinamiche imprenditoriali e che sia un lettore di blog più o meno approfonditi sull'architettura?
MF Sì ma in questa affermazione vedo solo una parte di verità. La stragrande percentuale del costruito italiano è composto da edifici sotto i tre piani, e non vado oltre, questo è un cancro. Io l'architetto che firma per Caltagirone lo capisco, lui lavora gli altri centomila no.
Non ho dati specifici in merito agli architetti, però in generale in Italia "nessuno" legge i blog. Questo significa che agli argomenti che "smuovono" la sfera dei blog italiani non è ad oggi mai corrisposto un analogo movimento percepibile a livello sociale. Immagino che per gli architetti le percentuali siano del tutto simili. In molti paesi sono gli architetti che determinano le dinamiche imprenditoriali, in Italia, dove gli architetti sono 1,3 ogni 1000 abitanti, ne sono completamente soggiogati.
È un cancro perché le città italiane si espandono in un'orizzontale e non in verticale?
MF No, è un cancro perché si espandono male e non bene.
Allora a che serve un blog per un architetto?
MF Questa è una domanda enormemente difficile. A che cosa serve un blog? L'espressione personale è qualcosa che va un po' al di là dei perché, anche quando questa espressione coinvolge la propria passione o professione. In ambito architettonico riteniamo, che ci sia da un lato una necessità comunicativa, sottolineo necessità perché è il centro di tutto il discorso, da coltivare e da contrapporre all'oggettivo deficit di scambio di idee tra un mondo accademico vecchio, chiuso ed ottuso ed una professione che difficilmente realizza situazioni di condivisone, di scambio e di crescita (difficilmente realizza, si potrebbe dire). Dall'altro c'è la necessità per gli architetti di prender confidenza con il mezzo tecnologico che permette, se ben usato, di espandere le proprie conoscenze e le proprie relazioni soprattutto al di fuori dei confini culturali a cui l'assenza della rete ci relega e permette anche di percepire meglio la complessità della rete stessa che può essere di stimolo ed ispirazione per la progettazione di spazi che non possono più essere solo visti come racchiusi da pareti ma che hanno bisogno di sguardi complessi e trasversali in grado, in una parola, di "comprendere" la nostra epoca.
Quali sono i vostri progetti?
MF I nostri progetti sono molti, a partire dall'attività, politicamente più rilevante, di dare dignità attraverso Archphoto alle voci che rischiano la completa esclusione dai media contemporanei; c'è l'attività editoriale di plug_in che subirà presto una svolta, diventando a sua volta un punto d'incontro di idee ed opinioni, di critica e progetto, anche sulla rete; c'è The city of blogs, che verrà certamente più integrato con le iniziative di plug_in; ci sono le iniziative sul territorio, come l'organizzazione del prossimo appuntamento con le Lezioni di paesaggio a Savignone; c'è la partecipazione alle iniziative che riguardano l'architettura in Italia, per fare da "pungolo" nel fianco di un establishment che ormai si sta dimostrando fermo, immobile, nei confronti di ogni spiraglio di innovazione e sperimentazione.
EP Vorrei precisare alcune cose rispetto alla questione progetti per il futuro, la mission principale di Archphoto come rivista/fiore al'occhiello dell'associazione culturale plug_in: laboratorio di architettura e arti multimediali" rimane un diverso modo di fare cultura, una sorta di cultura alternativa al sistema, ma che cerca delle occasioni di confronto e mediazione col sistema e il potere. In quanto la radicalità fine a se stessa non porta a nulla, occorre a mio avviso instaurare un dialogo col potere e attivare una mediazione che non significa indebolire il nostro pensiero teorico tutt'altro, ma portare il potere a ridurre le proprie ambiziosi e concedere qualcosa.
Il potere non riesce a essere così performante come la cultura alternativa, perché non produce cultura e laddove lo fa ciò accade in modo generalista, democristiano per accontentare tutti...
Archphoto nasce nel 2002 con l'esigenza di dare spazio ad autori (architetti, fotografi, artisti, intellettuali) di potersi esprimere liberamente e soprattutto attraverso l'individuazione di tematiche che di volta vengono affrontate. Archphoto è una piattaforma di scambio di idee e opinioni ma anche un luogo dove portare in evidenza le ricerche sommerse di architetti che, seppur bravi, spesso rimangono nell'ombra. In questo senso forse abbiamo recuperato una della finalità del fare critica dell'architettura, ossia individuare nuovi architetti promuoverne e valorizzarne il lavoro. Poi abbiamo sempre cercato di unire le azioni nella rete con azioni sul territorio con i cittadini per formare una sensibilità verso l'architettura e la cultura contemporanea. Vedremo se il tempo ci darà ragione.
13 settembre 2008
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Note:
pubblicato sulla presS/Tletter n. 25-2008