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16 giugno 2009

0024 [MONDOBLOG] Archistar o Archipov? 1° parte

di Salvatore D'Agostino

Un dialogo doppio con il gruppo blogger architetti senza tetto. Provincia, ironia, sbalzi umorali, Computer Aided Design, parcelle, uffici tecnici e storie di un gruppo di amici architetti che dialogano in rete.

Legenda: 
ANG Angiolo;
AST Architetti senza tetto;
LB Lina Bo;
MF Massimiliano;
RK Rem;
SD Salvatore D'Agostino;
TD Tadao;
ZH Zaha. 

Salvatore D’Agostino Gianni Biondillo, inizia così il suo libro Metropoli per principianti:
«Non fate studiare architettura ai vostri figli. Non ne vale la pena. Se non lo fate per il successo, per il denaro, per la fama, insisto, è un consiglio spassionato: lasciate perdere. Avreste speso i soldi delle tasse universitarie, del computer, dei costosissimi testi scolastici, assolutamente per nulla. È il peggior investimento che potreste fare, quindi non fatelo.»(1) 
ANG Chi non se lo è sentito dire almeno una volta nella vita (...o forse tutti i giorni!). Se ti fossi fatto prete, lo avresti fatto per diventare Papa?

LB Io non ho capito dove sta la domanda... (cominciamo bene!!!) 

TD Beh... direi che per ragioni contrarie, ma ha ragione... non fate studiare architettura ai vostri figli, se desiderano successo, denaro e fama... ma poi... stò Gianni Biondillo, chi è?

RK Biondillo al mio confronto è un pargoletto con gli occhi pieni di rosee speranze... Io, se avessi un figlio, il primo giorno dell'asilo gli direi: "caro Vibrato (perché se avessi un figlio si chiamerebbe Vibrato) vedi di non abituarti a libri e quaderni perché ti mando a scuola solo fino alle medie. Dopo devi imparare un mestiere solido e utile come l'idraulico, il cartongessista o il manutentore di caldaie. Se poi avrai guadagnato abbastanza per te e le tue future cinque generazioni, allora ti potrai dedicare a un hobby futile e masochistico da scegliere tra fare il candidato del PD in Abruzzo o l'architetto.

ZH La tua domanda mi ha fatto scoprire che Gianni Biondillo è un architetto. Ho letto due suoi libri e non lo sapevo. E ora credo che abbia il dente avvelenato. Vorrebbe dire che: o miri a fare l'archistar o non ti conviene fare l'architetto? E che se come architetto hai successo, fai i soldi, e/o diventi famoso, allora sei un cinico (o lo sono i tuoi genitori)? Naaa. (Anch'io ho il dente avvelenato).

AST Come promesso (anzi minacciato) eccoti una contro-domanda pescata tra quelle che ci sono venute in mente. Domanda di ZH: Questo è l'incipit della voce "Architetto" di Wikipedia in italiano:
«L'architetto è la figura professionale massimamente esperta della progettazione architettonica, del restauro dei monumenti, della pianificazione, dell'estimo in relazione alla costruzione di edifici e più in generale di spazi a livello architettonico e urbanistico. È storicamente tra gli attori principali della trasformazione dell'ambiente costruito»
Che ne pensi di questa affermazione? 

SD Una WIKIPEssima DIArroica affermazione.
Per me l'architetto (senza presunzione di definizione) è colui che ha il senso del grave, inteso nei due suoi significati:
  • (materia) come per Archimede che ignudo immergendo le sue terga dentro la tinozza, si accorse che la sua massa corporea occupava uno spazio causando l'innalzamento del livello dell'acqua, l'architetto capisce che tutto ciò che edifica occupa uno spazio di cielo che poggia sulla terra;
  • (tensione) del profondo rispetto per chi costruisce e per chi usufruirà della struttura, un architetto non ammetterebbe che si possa morire in cantiere per incuria o che si presentino degli esecutivi approssimativi.
Parafrasando Bruno Munari «Fare il contadino è un mestiere terra terra»(2), fare l'architetto è un mestiere fra le nuvole.

SD A proposito di Bruno Munari, nel 1972 propose un concorso "Il compasso d'oro a ignoto", venivano premiati gli oggetti di uso comune con caratteristiche tecnico estetiche indissolubili, come la sedia stradio, la lampada del meccanico, un utensile del vetraio, l'ombrello, il lucchetto per serrande, oggetti di cui si sconosce il nome del progettista. Una delle sezioni più interessanti del vostro blog è la rubrica NO!DESIGN prendendo spunto da un bel libro di Vladimir Archipov ‘Design del popolo’(3), riproponete oggetti che possiamo definire di design involontario: l'etichetta distintiva dell'acqua fatta, la cornice dell'immaginetta della madonna, una gruccia porta gruccia, il portarotolo a filo, un portacellulare imbottigliato. Cos'è il design per voi? 

LB la traduzione letterale di design dall'inglese ha a che fare con il PROGETTO, cioè progettare o progettazione a seconda del caso che si tratti di verbo o sostantivo.
Ed è questo che dovrebbe essere un buon design (in quell'accezione contratta che comunemente diamo noi italiani all'industrial design, cioè al design di prodotti, oggetti, ecc...).
In questo senso credo che tutti gli oggetti NO!DESIGN in realtà siano perfetti oggetti di DESIGN, cioè frutto di una progettazione tutt'altro che involontaria: ... la ricerca di una risposta a un'esigenza, nuda e cruda (a volte più poetica a volte più terra terra, a volte a molte esigenze: funzionale, estetica, politica, ecc), e quindi sono progetto tout-court.
Poi c'è il design a forma di design... che di solito è "faticoso" o "gratuito", se ne trova un sacco sulle riviste e nelle fiere! 

MF Vedo gli oggetti di design più riusciti come forme senza tempo, perennemente attuali.
Da questo punto di vista credo possa essere utile per noi NON osservare altri oggetti "contemporanei".
Non credo si possa prescindere dal reale utilizzo degli oggetti.
No!design è per me anche sperimentazione di nuove necessità.

RK Innanzitutto grazie a te da oggi ogni qualvolta mi imbatterò nel principio di Archimede si ripresenterà nella mente l'immagine indissolubile di due grosse chiappone che si immergono... grazie, veramente grazie.
La nostra rubrica NO!DESIGN si ispira al bellissimo libro di Archipov, del quale vuol essere una declinazione in senso locale. Ci piacerebbe raccogliere oggetti autoprodotti che raccontino la storia ma anche la fantasia e la creatività della gente, non tanto del "popolo" in senso classista o sociale, ma di chiunque decida di risolvere un problema o un'esigenza con i propri mezzi e la propria fantasia. Gli oggetti raccolti da Archipov sono incredibili perché raccontano storie vere, sono dei brevi saggi di sociologia applicata, aforismi in forma materiale di storia recente. E in più sono poetici, emozionanti fino allo struggimento.
Ci sono pezzi di design contemporaneo in grado, non solo di svolgere egregiamente e semplicemente la funzione per la quale sono preposti, ma anche di raccontare storie affascinanti o un solo pensiero? Non credo, ed è per questo che il nome della rubrica va letta anche in senso letterale, con tanto di punto esclamativo.
Personalmente il design contemporaneo mi fa a dir poco ribrezzo, in particolare quello delle grandi firme ma anche di molti dei cosiddetti "giovani designer" che affollano fiere e convention sparse per il mondo alla ricerca di una visibilità transitoria ed effimera. A volte le mostre di design mi sembrano delle ipertrofiche mostre di lavoretti scolastici, quelle dove tutto sembra ricercare la carezza di un indifferente padre/produttore. Gli oggetti di NO!DESIGN, invece, se ne infischiano del giudizio altrui, sono diretti allo scopo, non cercano alcuna lode né aura intellettuale, non sono la soluzione ai problemi del mondo, non vogliono apparire su riviste patinate, ma soprattutto non hanno bisogno di nessun produttore in grado di trasformare un'idea "carina" in un prodotto di massa.
In questo senso mi sono divertito a leggere, su un numero di Abitare (n.d.r. n. 483), di un incontro al quale hanno partecipato vari intellettuali di levatura mondiale, tipo John Thackara, Aaron Betsky, Paola Antonelli, chiamati a discutere amabilmente e amichevolmente (come ama fare Abitare che quando organizza queste tavole rotonde sembra che tutti siano amici e compagnoni e sono appena usciti un po' sbronzi da una pizzeria) di Design e soprattutto del Torino geodesign. E a questo incontro c'era anche Archipov. Io me lo immagino mentre si rivolge alla supersnob e un po' schifata Paola Antonelli con un alito che sa pesantemente di cipolla e birra e dice sostanzialmente che la gente farebbe con giubilo a meno dell'intervento paternalistico e caritatevole dei designer. Della serie fate le vostre belle mostre in musei fichissimi, stampate le vostre riviste dal gusto fintamente popolare, preoccupatevi dell'influenza che avranno le nanotecnologie sull'estetica dell'arredobagno ma non rompete le scatole alla gente che, messa nelle condizioni giuste, sa risolvere i propri problemi pratici meglio di qualsiasi fratello brullè. Mi piace questo atteggiamento un po' rustico da Russia postsovietica perché punta l'accento sul fatto che la creatività non è appannaggio di una ristretta cerchia di eletti, vedi gli architetti e i designer, ma che appartiene a tutti: bisogna solo avere un problema pratico da affrontare per farla schizzar fuori in tutta la sua pirotecnica effervescenza.(4) 

TD Partiamo dal fondo.
Non saprei definire il design, perché non sono addentro a questa materia, ma direi che il design della rubrica "NO!DESIGN" non è "involontario", anzi, è forse una espressione incolta (e per questo geniale), ma volontaria per rispondere a una determinata esigenza.
Mentre sulla definizione di architetto direi che:
1) non mi preoccupo del fatto che gli (sporadici) edifici che costruisco "occupino" una porzione di cielo, ma mi preoccupo del fatto che costruendo sto modificando lo spazio intero e quella porzione di cielo che, forse, senza quell'edificio sarebbe stata meno... meno... non so meno cosa, ma diciamo semplicemente "meno"...
2) una persona che muore e degli esecutivi imprecisi, sono due concetti che non riesco ad accomunare.
2a) ho visto l'indifferenza degli operai ai temi della sicurezza, la loro evidente e incomprensibile noncuranza della propria incolumità... ma credo che non sia dappertutto così, credo che in alcune realtà siano anche le ditte a contravvenire i fondamentali della sicurezza... ma il tema, di per sé, è troppo complesso. Io mi fermo a questa constatazione.
2b) gli esecutivi normalmente li porto al 50, con (rari) dettagli al 10 o al 5... poi mi accorgo che siccome l'impresa esecutrice non capisce una sezione, usa direttamente i 100 depositati in comune, perché più chiari...
ZH davvero abbiamo preso spunto da Vladimir Archipov? ma esiste davvero uno che si chiama Vladimir ARCHI-POV, e non è un situazionista?
Quanto alla domanda vera e propria: per me, il design è nell'occhio di chi guarda, e diventa indispensabile affezione/afflizione quando si possiede un oggetto di design. con tutte le contraddizioni del caso
  • mi piace la grafica dell'ISBN (e ne posseggo alcuni esemplari);
  • mi piace (e posseggo) il portacenere CUBO di Munari. Mai usato, non vorrei sporcarlo, ci metto dentro i bigliettini da visita; checché ne dicesse Munari, ora non ha più scopo, è puro design, e cioè piacevole da guardare e toccare (e possedere), e basta;
  • mi è stato fatto notare da un ospite recente che su una mensola della nostra cucina c'è il famoso spremiagrumi di Philippe Starck: "ma è funzionale?" "boh, non l'ho mai usato!"; è stato un acquisto consapevole (credo e spero) della futilità dell'oggetto e del ruolo ambiguo che il design svolge in questo caso;
  • mi piace, e posseggo, e mi ha profondamente deluso, un macinapepe di design nordico: in questo caso, l'acquisto era volto all'uso, e diversamente da quello che in genere si dice sul design nordico, è bellissimo e appare funzionale da vedere e toccare, ma è assolutamente inutilizzabile per macinare il pepe. Si potrebbe continuare all'infinito.
Direi che l'importante (come per l'arte, sempre secondo me) è la consapevolezza nella fruizione. Inutile in questo caso dare la colpa agli altri.
Aggiungo come riflessione secondaria, originata proprio dall'ospite sopra menzionata: spesso veniamo giudicati dagli oggetti che ci appartengono, e quando ce ne accorgiamo, siamo in imbarazzo. Vorremmo aver scelto con più oculatezza. (o vale solo per me?)
E come riflessione terziaria: saremmo felici in una casa fatta solo di oggetti NO!DESIGN (o di "design del popolo")?

AST Perché gli architetti finiscono sempre per "fare le notti"? e quanto questo influenza la produzione del progetto? Per mia esperienza, studi anche importanti finiscono sempre per utilizzare questo tempo alla chiusura di un lavoro, ad una consegna... di solito sono i disegnatori, che ci rimettono... 

SD Una domanda maledettamente difficile ed è uno dei pretesti che mi hanno spinto ad aprire il blog Wilfing Architettura.
Ti elenco alcune delle ragioni che condizionano il lavoro dell’architetto:
  • ignoranza tecnologica: mancano dei corsi di aggiornamento o meglio scuole post laurea per professionisti come indicate dal linguista Tullio De Mauro;
  • studi tecnici strutturati artigianalmente e non organicamente seguendo la logica del processo edilizio;
  • assenza di cultura architettonica, il 95% delle nostre costruzioni sono opere di edilizia. Chiamata dai giornalisti di Report il Male oscuro;
  • gli ordini degli architetti difficilmente promuovono attività culturali. La figura professionale dell’architetto non è tutelata;
  • diffusa cultura misoneista, si pretende la rivoluzione per ogni opera d’architettura trascurando ‘giornalisticamente’ la colata di cemento anonimo che devasta quotidianamente il paesaggio italiano;
  • illegalità diffusa.
In poche parole l’architetto è un mestiere da sfigati dato che si lavora 24 ore per essere considerati onanisti perditempo.

SD Dal 23 aprile 2008 il blog indaga sulle misteriose apparizione di seppie giganti a Pescara. Raccogliete informazioni, descrivete il luogo dell'avvistamento, lo taggate in una mappa in continuo aggiornamento e li descrivete come critici televisivi dell'arte. Esempio: sono ben due seppie che s'intrufolano tra le lettere della scritta. La capoccia è blu/viola, gli occhi celeste e i tentacoli magenta. Per alcuni critici i graffiti sono forma d'arte, per altri messaggi da non sottovalutare, per i politici del decoro atti di vandalismo e c'è anche chi propone i graffiti per abbellire gli edifici nati dopo il 1950.
Che cosa sono i graffiti per voi?  

LB Che noia l'annosa questione del graffito come opera d'arte o atto vandalismo... ma voglio essere banale fino in fondo: mi ricordo che quando ero bambina avevo una scatola di matite colorate di marca "giotto" la cui confezione cartonata ritraeva Giotto intento a disegnare un cerchio perfetto ( o era forse una pecora?) su una pietra sotto gli occhi attenti del suo maestro Cimabue e di un paio di pecore interessate all'opera (un testo raccontava appunto la storiella di quell'evento artistico)... ad avercelo ora quel pezzo di muro della campagna toscana. I graffiti sono delle splendide opere d'arte contemporanee (non tutti ovviamente). Punto. 

RK Quando guardo i graffiti provo in genere una sorta di invidia: perché loro possono intervenire sull'estetica della città e io, che sono architetto, no?
É questa “invidia della bomboletta” che mi spinge a osservare in particolare quei graffiti in cui mi sembra di intravedere un progetto artistico che superi il mero atto vandalico. Penso proprio che prima o poi anch'io mi travestirò da writer e nella notte pescarese darò libero sfogo alla mia frustrata voglia di lasciare il segno su una città per il resto indifferente verso qualsiasi azione architettonica, artistica o minimamente estetica che possa avvenire sul suo suolo. 

ZH A parte che non ho ben capito l'esempio... ti riferisci al banner del sito? comunque, per me, una risposta univoca non è possibile. I graffiti possono essere qualsiasi cosa tra quelle citate nella domanda, anche se (quasi) mai contemporaneamente. L'unica cosa su cui ho dei dubbi è la questione dell'abbellimento per edifici posteriori al 1950... in tal caso, in quanto eventi organizzati, sarebbero da definirsi più correttamente "murales" o "affreschi" (qui volevo fare dell'ironia sorvolando esplicitamente la generalizzazione implicita sul valore dell'architettura del dopoguerra... si capisce?) 

AST Una delle sezioni della PresS/Tletter di epoca pre-web2.0 (per intenderci quella lunghissima e impossibile da leggere) che ci piaceva di più era quella delle interviste perché aveva un tono più spigliato e meno palloso (per intenderci alle "Iene") di quello paludato da rivista di architettura.
Ti proponiamo qui la classica sfilza di domande a cui, mi raccomando, devi rispondere in non più di 10 secondi l'una per evitare di essere intelligente o anche minimamente serio. Noi questo gioco l'abbiamo fatto e qui puoi leggere le risposte che avevamo dato. 
Pronto? Via! 

SD Grazie io vi faccio una domanda voi tredici!!! 

AST & presS/Tletter Una auto-presentazione in quattro righe. 

SD
NO
!
Archi
Tetto 

AST & presS/Tletter Cosa ne pensi della ricerca architettonica in Italia oggi? 

SD Esiste ed è latente, bisogna cercarla nei sottoscala, ahimè posti poco frequentati dai critici. I grandi problemi in Italia sono dati dai gerontocratici del decoro e dalla gestione politica dell'eccellenza una contraddizione di termini. 

AST & presS/Tletter Il nome di un architetto italiano vivente al quale faresti progettare casa tua.

SD Usurato Vittorio Giorgini di prima mano Salottobuono.  

AST & presS/Tletter Il nome di una star internazionale alla quale non la faresti progettare.  

SD Vittorio Gregotti perché è ancora convinto che lo ZEN di Palermo è mal abitato. 

16 giugno 2009 (ultima modifica 11 settembre 2012)
Intersezioni ---> MONDOBLOG

Come usare WA ------------------------               ---------------------------Cos'è WA
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Note: 
(1) Gianni Biondillo, Metropoli per principianti, Guanda, 2008
(2) Bruno Munari, Spazio abitabile, Nuovi Equilibri, 1999.
(3) Vladimir Archipov, Design del popolo. 220 inventori della Russia post-sovietica, ISBN, 2007
(4) di questo convegno Wilfing Architettura ne aveva parlato con Marco Paisan: 0017 [MONDOBLOG] Intervista a Marco Pasian del gruppo Opla+

26 marzo 2009

0030 [SPECULAZIONE] L'architettura di Franco La Cecla

di Salvatore D'Agostino

Un dialogo con Franco La Cecla camminatore e architetto smarrito. Autore del libro Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.

Salvatore D’Agostino Appena ho finito di leggere il tuo libro1, ho avvertito un fastidio nei confronti del titolo. Questo mi sembrava una furbata editoriale per fare più clamore e quindi vendere di più con il conseguente redditizio marketing. Infastidito, sono ritornato sulla pagina interna del titolo e, a matita, ho appuntato:
«Perché 'Contro l'architettura'? Non era meglio: consigli per gli architetti per non credere più nell'architettura mediatica?».
Il titolo sminuisce l'importanza delle tue esperienze. Perché questo titolo modaiolo?

Franco La Cecla In realtà più ci penso e più sono contento del titolo. L'architettura è diventata la giustificazione ideologica di una certa trasformazione del mondo in brand, di quello che a Palermo è successo con il "cool" di quel triste figuro che è Cammarata (Diego, sindaco di Palermo ndr), ma che a Barcellona è successo con il MACBA, a Bilbao con Gehry e a Pechino con koolhaas....
Qui si tratta davvero di prendere in blocco la pratica dell'architettura e sottoporla ad una critica feroce, radicale. Non è un caso che il libro ha fatto tanto casino. Gli architetti, attaccati con dettagli, riescono solo a rispondere alle mie critiche che ho ragione, ma che loro sono diversi dalle archistar. Invece la colpa non è del sistema mediatico, ma della trasformazione della città in spettacolo alla Debord, di cui gli architetti sono i primi complici. Questa mania faceva dire ad uno dei migliori, come Miralles, che a lui non interessava la realizzazione, ma solo il progetto. Io ho avuto la fortuna di non dovere chiedere permesso o scusa a nessuno e di dire quello che in tanti sanno e cioè che il re è nudo, e, non è un caso, che sono i giovani architetti e gli studenti di architettura il mio pubblico, stufi di sentire l'architettura giustificata a destra e a manca. L'architettura è una delle poche discipline a non avere critica.

Eppure sono convinto che, questo impatto mediatico/verbale, si blocchi al suo effetto slogan 'contro l’architettura' e non venga approfondito nei suoi contenuti. Ritengo che alcune tue tesi siano importanti, elenco a mio parere le più rilevanti:

  • l’architettura contemporanea deve prendere sul serio la catastrofe e non pattinarci sopra o ai margini;2
  • proporre la sola soluzione architettonica in aree urbane complesse è imbarazzante;3
  • è discriminante parlare dei quartieri periferici come se non facessero parte della città;4
  • la forza della città sta nella sua capacità all'aggregazione  come la gente riesce a tessere relazioni e impadronirsi degli spazi o parafrasando Rebecca Solnit, la città democratica è: «un poter passeggiare tra sconosciuti»;5
  • ogni progetto ‘importante’ dovrebbe avere non solo la valutazione di impatto ambientale ma anche la valutazione di impatto sociale;6
  • l’uso della polizia per eliminare tutto ciò che è imprevedibile e multifunzionale non serve per la gestione dell’urbanità.7
Non temi che il tuo messaggio resti in superficie?

Dai Salvatore, sono un po’ stanco di parlare del mio libro. L'ho scritto e credo di aver detto lì tutto quello che era necessario dire. Oggi cercare di aggiungere qualcosa è un po’ inutile, perché i libri hanno una loro coerenza, le interviste no.

Sono d’accordo le interviste sono riduzioni di pensieri complessi, spesso resi banali dalla stupidità della divulgazione.
«Sarà ricordato come l'11 settembre della super-architettura, il 9 febbraio 2009? Come il fuoco delle vanità dell'architettura iconica del nuovo millennio? Impazzano su Youtube i video dell'incendio che ha devastato parte di uno dei simboli della Pechino olimpica, il Cctv di Rem Koolhaas. Crollano le borse, crollano i consumi e neanche le archistar stanno tanto bene».
Questo è l'incipit di un articolo di Fulvio Irace pubblicato sul Sole 24 Ore dal titolo L'archistar è in crisi, 15 febbraio 2009.8
L'archistar è veramente in crisi?

Direi che il problema è: Fulvio Irace non è in crisi. L'articolo era un esempio classico di opportunismo. Lui che ha sempre leccato il sistema delle archistar, adesso che il maestro koolhaas glielo permette, dice che c'è del marcio in Danimarca. koolhaas è un uomo intelligente e sa che passi fare per smarcarsi, ora, in tempo di crisi. Tra poco dirà che ha appiccato lui il fuoco. D'altro canto per ora è un coro di architetti che dicono: ah, avete ragione, bisogna cambiare strada...

Nell'ultimo libro di Vittorio Gregotti dal titolo antitetico al tuo "Contro la fine dell'architettura" scrive:
«L'incertezza culturale delle commissioni (dei concorsi di architettura ndr) finisce poi per affidarsi alle mode senza mettere in conto la relazione tra la loro transitorietà e la permanenza delle opere e soprattutto il loro valore urbano e contestuale. Naturalmente questo giudizio può derivare non tanto dalla fortuna di essere fuori moda, quanto dallo sperimentare che la moda in quanto immagine è diventata l'unico criterio di giudizio ridotto e diffuso sino alle provincie, dove la riproduzione dei successi delle idee di novità è diventata imitazione degradata nella vana speranza che la bizzarria, divenuta ormai consumo, possa ancora valere come elemento di successo mediatico.»9
Le tesi dei due libri hanno in comune il discredito verso un'architettura fashion, ma divergono profondamente nell'azione propositiva. Vittorio Gregotti rivendica l'autonomia artistica del fare architettura contro l'interdisciplinarità omologante, tu invece non credi nell'azione autoreferenziale dell'architetto e proponi una rieducazione della disciplina che sappia:
«[...] inventarsi una capacità vera di intervento sul reale, sul bene della comunità e della città.»10
Gregotti si è suicidato mediaticamente nell'intervista data alle Iene e diffusa su Youtube.11 Com'è possibile che non parli mai di quello che fa? Com'è possibile che non accetti la benché minima critica e che per giunta da magnate dica che lui non è un proletario e per questo allo ZEN non ci vivrebbe mai. Io ho letto il suo libro e devo dire che non capisco da dove prenda le sue tesi. Sembra che non abbia letto nulla dalla caduta del muro di Berlino in poi, la sua analisi è ancora quella di un iscritto al PCI che giustifica tutto in base a struttura e sovrastruttura e la sua idea di artista mi fa rabbrividire. L'arte oggi è molto più in crisi, contraddittoria, problematica di quello che lui anche vagamente pensa. Devo dire che mi verrebbe da aggiungere che le idee servono agli architetti a giustificare scelte già fatte, come una ideologia posticcia che si attacca a posteriori.Per finire, ti aggiungo quello che Stefano Boeri mi ha detto all'ultimo dibattito insieme due settimane fa a Urbania (29 gennaio 2009 ndr) a Bologna. Mi ha accusato di essere come Berlusconi, di attaccare gli architetti come Berlusconi attacca i giudici. Dalle ultime file del pubblico qualcuno ha urlato con una vocina: «Esagerato!».

Non attacchi gli architetti e questo si deduce dalla lettera informale che scrivi a Renzo Piano,12 chiamato a costruire una nuova sede universitaria nel quartiere Harlem a New York. L’architetto genovese ha cercato, anche grazie al tuo aiuto, di progettare, evitando la mera gentrificazione e tentando una possibile integrazione tra culture abitative/architettoniche diverse. Un'idea che non è stata accettata, anzi è stata quasi sostituita da un altro progetto dall’enstabilishment della Columbia University. Hai creduto in quel progetto e ti rammarichi dell’arroganza con cui è stato, gentilmente ma parzialmente escluso, dall’iter progettuale. Concludi la tua lettera con un suggerimento di abbandonare definitivamente il progetto per coerenza. Nel libro apprezzi il lavoro di Carlos Ferrater a Barcellona, John Peterson con la sua idea di Public Architect e sei accusato dall’urbanista Josep Acebillo di pensare «à la de Carlo» (Giancarlo De Carlo ndr).13 Infine al direttore del TG1 Gianni Riotta alla sua domanda: «Qual è l’architetto contemporaneo che approva?» Rispondi Balkrishna Doshi e Oscar Niemeyer pensando al suo recente intervento per riqualificare la più grossa favela di Rio De Janeiro Rocinha.14 Possiamo fare a meno dell’architettura?

Possiamo fare a meno dell'architettura come sistema spettacolo, cioè il tipo di architettura che oggi è diventata una sorta di neomonumentalismo senza alcun senso del contesto. Ad esempio, qui a Berlino è impressionante il senso di accozzaglia di oggettini enormi a cui corrisponde il periodo di interventi degli ultimi dieci anni, ma quella che doveva essere la main street della città, Frederick Strasse è una cupa, insignificante serie di palazzi acciaio e vetro senza alcun senso dell'insieme.
Schizzo di Renzo Piano per il progetto Campus della Columbia University da Casabella, n. 738, novembre 2005, p. 28.

A proposito del tuo ultimo libro, Marco De Michelis, su abitare scrive:
«Che l’architettura di oggi sia noiosa è questione vera e di cui dovremmo imparare a discutere seriamente. Non lo fa, appunto seriamente, il nuovo pamphlet di Franco La Cecla, che accumula per 128 pagine luoghi comuni e insostenibili vaghezze e imprecisioni, come quelle su Mies van der Rohe per esempio: è infatti falso che avesse provveduto alla pulizia “etnica” del Bauhaus per compiacere i nuovi governanti nazisti, e non è ugualmente vero che Hitler gli avesse preferito Albert Speer come progettista della Nuova Berlino. Una simile idea, al Führer, neppure era passata per la mente! Appunto.»15
A De Michelis non c’è bisogno di rispondere, basta dirgli di cominciare a leggere i libri, tipo: Elaine S. Hochman, Architects of Fortune: Mies Van Der Rohe and the Third Reich, New York, Weidenfeld & Nicolson, 1989.
«Poi restiamo un po’ sull'altra sponda, sulla Calabria o sulle Calabrie che, dice, hanno inventato l’espressione “lo stretto indispensabile” per dire che con la Sicilia e i suoi abitanti non vogliono avere nulla a che vedere.» 16
La stessa espressione che in questi giorni viene utilizzata dal governo e dalla stampa, per indicare la priorità assoluta e quindi l’indispensabilità della costruzione del ponte sullo stretto. Un ponte che è stato concepito per analogia tecnologia: la campata unica più lunga del mondo. Un progetto che si fa beffa del luogo, concettualmente simile al Burj Dubai il grattacielo più alto del mondo, niente di più...

Sul Ponte sullo Stretto c'è ben poco da dire. Io vi ho dedicato uno studio che poi D di Repubblica17 ha pubblicato integralmente. È un'opera stupida, dubbia, che non serve perché oggi i veri flussi si spostano in nave sui container e in più il progetto migliore ammette una oscillazione centrale di cento giorni (con escursioni fino a venti metri) all'anno, tale da dovere in quei giorni chiudere il ponte al traffico.

Recentemente il governo ha comunicato la sua idea anticrisi per l’edilizia: “Piano dell’edilizia”.18 Possiamo definirla ‘libera superfetazione’, meno cemento-meno economia/più cemento-più economia. Gregotti, Aulenti e Fuksas urlano allo scempio e invitano a un «sussulto civile delle coscienze».19 Stefano Boeri analizza il provvedimento indicando tre assenze: incentivi per gli affitti di case sfitte, incentivi per chi costruisce edifici ecosostenibili e non sufficienti incentivi per gli investimenti delle famiglie.20
Tu pensi che sia una legge che rispecchia l’idea del ‘regime populista’ e purtroppo l’idea che i cittadini hanno di sé stessi.21


Anche qui la questione è che abbiamo al governo dei mediocri piccoli commercianti di spazzole e che il decreto promesso rovina quel che c'è, ma sopratutto non prende in considerazione per niente il settore edilizio nel suo insieme come occasione straordinaria di rivalutazione di tutto il patrimonio urbano che l'Italia possiede. Se pensiamo che il ministro al Turismo è la promessa Brambilla, abbiamo un'idea della cosa.

Riprendo due tue note:

«Ad una triennale di Milano del 1994 l’idea che le future case popolari dovessero essere pensate prevalentemente per gli immigrati sembrava una bestemmia ai professionisti presenti, nel 1998 l’idea che il piano regolatore per il comune di Prato, affidato a Bernando Secchi, dovesse prevedere un quartiere per la nuova grande immigrazione cinese nella zona ha suscitato l’ilarità del progettista.»22 (Negli anni 90 a Prato si stimavano circa 7000 cinesi oggi ne vivono 30.000 ndr)
e
«Permettermi di dire a questo punto che da una recessione dell’architettura abbiamo tutti da guadagnare, compresi, purtroppo, gli architetti. È ormai abbastanza chiaro che imbrigliati come sono nel tentativo di partecipare al Casino Capitalism hanno perso da un bel po’ il senso dello spazio pubblico, l’intuizione e la visione necessaria per pensare il futuro con le sue varie opzioni senza dovere per forza attuarlo subito, la capacità utopica di concepire la convivenza umana come una dialettica tra identità e luoghi.» 23
Adesso che siamo in piena recessione, in Inghilterra si parla di ‘bagno di sangue degli architetti’ quali sono le tue speranze e, soprattutto, non credi che possa prevalere l’architettura del controllo, della sicurezza e della polizia?

Ma sì, tutto il settore dell'architettura sarà in preda ad una recessione peggiore di quella che c'è adesso. L'effetto è che resisteranno i grandi studi e per i giovani sarà ancora più difficile rinnovare la professione.

Chi è il sopralluoghista?

Il sopralluoghista è un misto tra un antropologo e un architetto, qualcuno che fa dell'osservazione e dell'osservazione partecipata uno strumento fondamentale del suo lavoro di progettazione. Qualcuno che impara a vedere, a camminare, a sentire, ad ascoltare e che lo fa usando le tecniche più sofisticate che oggi abbiamo a disposizione, ma anche il suo lento e costante training e sopratutto qualcuno che ha visto, ascoltato e camminato molte città e quindi si serve della sua esperienza comparativa.


26 marzo 2009
Intersezioni ---> SPECULAZIONE
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Note:
1 Franco La Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008
2 Franco La Cecla, op. cit., p. 42
3 Franco La Cecla, op. cit., p. 53
4 Franco La Cecla, op. cit., p. 56
5 Franco La Cecla, op. cit., p. 83
6 Franco La Cecla, op. cit., p. 103
7 Franco La Cecla, op. cit., p. 113
8 Fulvio Irace, L'archistar è in crisi, Sole 24 Ore, 15 febbraio 2009
9 Vittorio Gregotti, Contro la fine dell'architettura, Einaudi, Torino, 2008, p. 84
10 Franco La Cecla, op. cit., p. 117
11 Video, 'L'architettura dello ZEN, Enrico Lucci intervista Vittorio Gregotti', tratto dal programma le Iene, Italia Uno del 27 aprile 2006. [Link]
12 Franco La Cecla, op. cit., pp. 102-103
13 Franco La Cecla, op. cit., p. 82
14 Programma Rai Uno, 'Benjamin' condotto da Gianni Riotta, del 15 giugno 2008 (ed. delle 13.30)
15 Marco De Michelis, Solo un libro sbagliato, Abitare n. 483, giugno 2008. [Link]
16 Franco La Cecla e Piero Zanini, Lo stretto indispensabile, Bruno Mondadori, Milano, 2004, p. 211
17 Franco La Cecla, Ponte dei miracoli, D di Repubblica, settembre 2004 [Link]
18 Al. S., Il piano per l'edilizia avrà effetti straordinari e non ci saranno abusi, Corriere della Sera, 7 marzo 2009 [Link]
19 Gae Aulenti, Massimiliano Fuksas, Vittorio Gregotti, Una legge contro il territorio, Pagina del giornale della Repubblica dov'è possibile firmare l'appello. [Link]
20 Stefano Boeri, 'Edilizia, serve realismo e non appelli', La stampa, 11 marzo 2009 [Link]
21 Franco La Cecla, Casa. Se passa la nuova legge nel paese del "fai da te", La Repubblica, 17 marzo 2009 [Link]
22 Franco La Cecla, Perdersi, Laterza, Bari, 2000, p. 135
23 Franco La Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, p. 11

28 gennaio 2009

0026 [SPECULAZIONE] La Vicaria una tenia nelle viscere del "Sacco di Palermo"

di Salvatore D'Agostino 
«La mia città è in mano ai banditi. […] Un sindaco che dovrebbe vergognarsi per il livello infimo della propria competenza e per l'assoluta ignavia rispetto ai problemi della città si preoccupa invece di coprirsi le pudenda affidando a una squadra di esperti l'immagine di Palermo. Dove per immagine si intende il simulacro vuoto di una retorica che dice a grandi lettere «Palermo è cool»1, come recitava una campagna superpagata2 affidata alla Publicis poco prima delle ultime elezioni.» (Franco La Cecla)3

   Palermo è una città potente, da anni regola le vicende della politica italiana. I milioni di voti, gestibili dai gruppi di potere oligarchici dell’isola, decidono la governabilità dell’Italia. 
   Palermo è cruda, come il pesce servito nei ristoranti temporanei che costeggiano il mare. La sua crudezza risiede nell’idea condivisa del rispetto verso i potenti.
   A Palermo non si vive, si sopravvive, solo all’ingenuo che non conosce le tacite regole, Palermo, mostra la sua cinica violenza.

   La crudezza di Palermo si percepisce:
  nei corpi degli attori dei registi Ciprì e Maresco, non uomini ma carte geografiche da delimitare e spartire;
  nelle foto dei poveri cristi morti ammazzati, scattate dopo una corsa in Vespa tra i vicoli, da Letizia Battaglia, un miscuglio di anime e sangue, di uomini e donne, maledetti e benedetti;
   nell’urlo senza speranza in La Ballata delle balate di Vincenzo Pirrotta: «Si aviti i cugghiuni, voi lecchini di Stato dovete dire che la mafia e la politica convivono, sono allo stesso livello»;
  nelle voci e nei gesti disarticolati degli attori del teatro di Emma Dante, gente mutilata della libertà.

   A te viaggiatore che arrivi a Palermo dall’autostrada da est o da ovest, sappi che quel tratto di strada/autostrada/tangenziale è una magnifica promenade architectural, la più bella opera di arte contemporanea a cielo aperto, il suo titolo è: Sacco di Palermo, mi raccomando abbi rispetto. Se in seguito vuoi entrare nelle sue viscere e non sei amante dell’arte, sappi che da qualche mese puoi parlare con la sua tenia, si trova in un garage interrato. Uno spazio sottratto alla real estate palermitana. La Tenia si chiama Vicaria e in quest’avamposto interno alla pancia del 'Sacco': cu arriva ietta vuci.4 
   Forse sarò blasfemo ma in queste viscere ho percepito l’idea civile dell’urbs e dell’urbanità. Come per i primi cristiani pare che quest’idea stia per nascere dalle catacombe della nostra contemporaneità: i palazzi degli speculatori, dove sotto il loro peso di cemento sono stati seppelliti uomini, lavoratori, campagne, giardini, ville liberty, siti archeologici e la civiltà.

   Infine amico mio, per maggiore conoscenza, la religione che si professa alla Vicaria è la libertà. Quindi, stai attento, perché a credere in questa religione si rischia la vita. 

28 gennaio 2009 (ultima modifica 10 agosto 2012)
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Note:
1 Campagna pubblicitaria basata su una frase estrapolata da un articolo apparso (presunto non esiste negli archivi on-line della rivista) sul settimanale Panorama il 18 luglio 2006: «La città più cool d’Italia. È Palermo». Premetto che non credo nei programmi di satira cool Italbiscione perché hanno trasformato l’indignazione in un’attività ricreativa da avanspettacolo ma condivido il vaffanculo di Giulio Golia, nei confronti della risata becera e cuul del Sindaco Diego Cammarata:
2Un milione e ottocento mila euro. 
3Franco La Cecla, Contro l’architettura, Bollati, Torino, 2008, pp. 104-105. 
4”Cu arriva ietta vuci” è uno spazio libero e liberato per un teatro civile a Palermo: da un'idea di Mila Spicola. Direzione artistica Emma Dante. Organizzazione Mila Spicola. Ecco com'è nato riporto delle mail tra Emma Dante e Mila Spicola:

(E' da un pò che ci pensiamo...ed è nata così come ve la scrivo)
"Cara Emma, 
ti chiedo si potrebbe pensare a una pubblica lettura di testi teatrali civili , di riflessione o di condanna, anche ironici, perchè no, in un teatro? Da mesi ci propinano la fandonia che gli intellettuali palermitani, gli artisti, non parlano, non prendono posizione di fronte a quello che accade a palermo. 
Io, di fronte a tutto ciò, che mi indigna, che mi fa ribollire il sangue da mesi, sono disposta, da donna, da palermitana, impegnarmi per dar voce al mio scontento. prendo posizione eccome e, come me,magari anche tu, o altri, non so, magari tu li conosci meglio di me quelli che non gli va giù per null? la piega che sta prendendo l'italia, per non parlare dello sfacelo di palermo.
gente di teatro, scrittori, attori, ... ci vuole coraggio, ma va fatto. e , secondo me, ne troveremo tanti che vogliono farlo...un bacio mila"

"Cara mila,
io posso mettere a disposizione il mio spazio, la vicaria, autogestito, indipendente e svincolato, per incontri spettacoli letture di testi di condanna, di scandalo e di riflessione. possiamo organizzare un incontro al mese o alla settimana in cui, chi vuole ,viene alla vicaria e legge la sua protesta, la sua opinione. fammi sapere se potrebbe funzionare. ti abbraccio Emma"

"Dico che sarebbe semplicemente meraviglioso. cu arriva ietta vuci. un bacio mila."

Primo incontro: 07.12.2008  
Secondo incontro: 11.01.2009  
Terzo incontro: data da fissare  
Hanno partecipato:  
Roberto Alajmo giornalista e scrittore; 
Giulio Cavalli, attore lodigiano autore di Radio mafiopoli; 
Vivian Celestino e Domenico Cogliandro autori di un reading documentale: Secondo Chiara;
Combomastas rappers; 
Pino Maniaci, giornalista e autore di Telejato; 
Roberto Scarpinato, magistrato antimafia, autore del libro Il ritorno del principe; 
Cinzia Sciuto caporedattrice del mensile Micromega. 

N.B.: L'immagine è una scansione tratta dalla mia tessera.

10 novembre 2008

0001 [FUGA DI CERVELLI] Un problema o una risorsa?

di Salvatore D'Agostino

Fuga di cervelli è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista'.


Il concetto di brain drain, letteralmente fuga di cervelli, fu formulato dalla Royal Society nel 1963 per spiegare il fenomeno degli scienziati e ricercatori inglesi che emigravano negli Stati Uniti. In seguito, la definizione più accreditata fu data da S. Commander «le migrazioni di personale qualificato da paesi in via di sviluppo a paesi sviluppati.»1
Lorenzo Beltrame, dottorando presso la facoltà di sociologia di Trento, ha svolto uno studio2 sul brain drain focalizzando l'indagine sull'Italia e abbandonando la retorica dei media/politica evidenzia tre aspetti problematici:
  1. l’alto contenuto di capitale umano di coloro che lasciano il paese;
  2. la scarsa capacità attrattiva dell’Italia;
  3. i bassi livelli di qualificazione degli immigrati che entrano in Italia.
Una parte rilevante dell'analisi di Beltrame è dedicata all'inefficacia dell'azione politica iniziata nel gennaio 20013 con il ministro del centrosinistra Ortensio Zecchino e chiamata “Rientro dei Cervelli”. Con questo provvedimento si legiferavano le modalità di contratti e incentivi atti ad agevolare il rientro in patria del capitale umano altamente specializzato, in seguito questa legge è stata avallata dal ministro del centrodestra Letizia Moratti4.
«Quando ho letto della caccia ai cervelli in fuga, ho pensato "fantastico! forse posso tornare!". Ma poi ho pensato a come (in genere) queste cose vengono gestite in Italia.... Spero davvero che il progetto possa diventare qualcosa di buono, ma ho paura che alla fine tutto si riduca al solito spreco di quattrini per dirigenti e baroni che sistemeranno solo i parenti e gli amici degli amici.» [Forum Corriere, 28 ottobre 2003, post delle 10:24]
Questo entusiastico, ma subito realistico commento, non è distante dalla realtà, da allora sono stati spesi 525 o forse 806 milioni di euro per far rientrare l’1% dei nostri Cervelli in fuga secondo Beltrame.
«Sapete com'è finita? Che l'ambizioso programma, costato 52 milioni, si è infranto contro mille distinguo, mille cavilli burocratici, mille intralci procedurali. Tizio, Caio e Sempronio sono dei geni? Sarà. Ma bisogna vedere anche se tutti i moduli sono a posto, quanto vale in Italia la qualifica che avevano in America e poi i titoli e le carte e i timbri… Risultato: dei 460 faticosamente riportati in Italia, finora sarebbero stati richiesti ufficialmente dagli atenei italiani solo in una cinquantina e avrebbero superato le forche caudine del Cun (Consiglio universitario nazionale) solo in dieci. E il bello è che non possono manco tentar la carta dei concorsi: sono bloccati dal 2003 in attesa delle nuove regole. Auguri. O good bye...» [Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella]7
Eppure le risposte sulle motivazioni e le soluzioni date dai ricercatori nel rapporto del CENSIS del 2002 “Talenti nazionali: frustati in Italia delusi all’estero”8 sembravano chiare:
«Tra le motivazioni che hanno spinto i ricercatori a lasciare il nostro paese al primo posto si collocano le scarse risorse disponibili per l'attività di ricerca (59,8%), seguite da condizioni economiche migliori (56,6%) e dalle prospettive di un più rapido sviluppo di carriera (52,1%).
[…]
Suggerimenti in merito agli adeguamenti strutturali per arginare la fuga dei cervelli:
61,9% - incrementare la spesa per la ricerca;
42,4% - istituire centri di eccellenza;
42,1% - maggiore autonomia delle università su reclutamento, stipendi e rapporti con le imprese».
Le cifre sui migranti specializzati non sono chiare e non tutti sono dei Cervelli con contratti gratificanti. In Italia abbiamo più di 125.000 architetti e molti davanti una realtà lavorativa degradante e dequalificata hanno tumulti vittoriniani, gli stessi sconquassi umorali raccontati da Orhan Pamuk nel suo racconto “Perché non sono diventato architetto"9, Franco La Cecla nel capitolo “Perché non sono diventato architetto10 e Gianni Biondillo nel capitolo “Non fate studiare architettura ai vostri figli”.11
Architetti spesso promettenti incapaci di capire il linguaggio dei palazzinari e ingenui a non raccogliere il suggerimento politico “Bisogna convivere con la mafia";12

giovani uomini/donne curiosi, con identità trans nazionale, lontani dalla retorica di una classe politica italiana posticcia e mediocre;

giovani uomini/donne stufi di aspettare che l’adulto possa capire il linguaggio del loro tempo, perché quest’ultimo è impegnato ad occupare ad oltranza la poltrona sudata per usucapione;

giovani uomini/donne che non migrano, ma si spostano perché la loro formazione (spesso da autodidatta) è trans culturale;

giovani uomini/donne che mi auguro cambieranno la nostra Italia.
Wilfing Architettura con questa rubrica apre un’indagine con il semplice strumento dell’intervista/ascolto. Chiede un aiuto ai migranti (o a chi li conosce): di inviare una mail al blog per iniziare questo nuovo racconto.

Iniziamo con due storie Laura G e Maria Elena Fauci:  

Giancarlo De Cataldo, Storia amara di un ricercatore, Unità, 25 ottobre 2008
Mi chiamo Laura G. Ho trent'anni.
Due anni fa ero ricercatrice all'Università.
Un giorno fui chiamata a rapporto dal mio Professore.

«Laurè, ma come devo fare con te?».

Spaventata, azzardai una timida protesta: «Ma che c'è, professore?

Che ho combinato? Ho sbagliato qualche calcolo? Ci sono state lamentele dagli studenti?».

«Niente di tutto questo», sorrise lui, mesto «è che vai troppo veloce...».

Con un sospiro, cominciò a scorrere l'elenco dei miei ultimi lavori.

«Tu sei troppo brava, Laurè, e questo è un problema! Fra sei mesi si riunisce il consiglio di facoltà per decidere la nomina del nuovo associato alla cattedra.... il posto tocca a Giovanni, che, poverino, non è una cima, ma sta in lista d'attesa da un sacco di tempo! Ora, se tu ti presenti con tutti questi lavori , mi metti in imbarazzo... perché a te non ti possiamo scegliere, sei troppo giovane, ma se premiamo Giovanni scoppia un casino...»

«E allora?» «E allora devi rallentare! Prenditi una vacanza, no? Stattene buona per un po'! Così Giovanni ha la sua nomina, e tutti siamo felici e contenti. E poi noi due ne riparliamo. Sei così giovane, tu, puoi aspettare...».

Più che il tono del discorso, fu la risatina ammiccante del Professore a farmi decidere, su due piedi, di piantare in asso il mio lavoro, la mia città, il mio Paese.

Mi guardai intorno. Spedii una mail a un'università inglese che aveva bandito un concorso per un posto di ricercatore nella mia materia. Nel giro di ventiquattr'ore ricevetti la convocazione.
Una settimana dopo venni ricevuta dal Senato Accademico. Esaminarono il mio curriculum e mi intervistarono per un paio d'ore abbondanti.
Poi mi pregarono di attendere la risposta nell'anticamera.
Un quarto d'ora dopo si presentò il Decano della facoltà con il contratto d'assunzione in quadruplice copia.

Mi chiamo Laura G.
Ho trent'anni. Insegno all'Università di Cardiff, nel Sud dell'Inghilterra.
A volte provo nostalgia per il sole e per la dolcezza dell'Italia.
Per gli italiani, mai.
Maria Elena Fauci: Lavorare all'estero. Pubblicato sulla PresS/Tletter 29-2008.
Caro architetto, ho letto con interesse il suo articolo nella presstletter [ndr 28-2008], ma la situazione all'estero non è nemmeno tanto rosea per quegli italiani, che vogliono scommettere su se stessi, in una nuova realtà lavorativa, così stimolante e innovativa come quella olandese, ad esempio.
Le posso raccontare tanti di quegli aneddoti, sperimentati sulla mia pelle negli ultimi due anni, che sono stati veramente al limite di ogni sopportazione.
Tuttavia col tempo ho potuto verificare che il mio non era un caso unico, ma una realtà che accomunava tanti altri architetti italiani, che come me, si sono trasferiti qui a seguito di una scelta di vita familiare e per inseguire un sogno.
La selezione negli studi di Architettura (a tutte le scale) viene operata in base all'età, alla pluriconoscenza delle lingue straniere (io ne parlo e ne scrivo 4) al tipo di clientela che si è avuta nella propria esperienza lavorativa passata e alla conoscenza dei regolamenti edilizi locali!!!
Per farla breve, qui si ragiona così. Niente investimenti su persone che non si conformano ad un sistema o un piano di studi che non sia il loro. Niente rischi su personalità, comunque interessanti o qualificate, che rappresentino quella diversità che non possono appieno controllare.
Questa è la non piacevole realtà a cui non riesco a dare una spiegazione convincente, visto che gli olandesi sono innamorati pazzi dell'Italia e non vi è casa o negozio che sciorini con orgoglio solo Design italiano!
Quindi, non resta che guardare avanti sempre con il sorriso, sperimentandoci da soli in terra straniera, nella speranza che l'occasione giusta arrivi un giorno anche per noi, indipendentemente da tutto.
Un caro saluto, Maria Elena
10 novembre 2008
Intersezioni ---> Fuga di cervelli


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Note: 
Per saperne di più visita il sito del governo: Rientro dei cervelli e un'interessante pagina di blogger migranti sul sito professione architetto.

1 Per una definizione più esaustiva vedi: Lorenzo Beltrame, Realtà e retorica del brain drain in Italia. Stime statistiche, definizioni pubbliche e interventi, Quaderno n.35, Dipartimento di sociologia e ricerca sociale di Trento, marzo 2007, pp. 8-9. Link.
2 op. cit. (Lorenzo Beltrame) 
3 Decreto Ministeriale 26 gennaio 2001, Incentivi per la chiamata di studiosi stranieri ed italiani residenti all'estero. Link. 
4  Decreto Ministeriale 20 marzo 2003, Rientro cervelli 2003. Link.
5 Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, Sotto i 35 anni solo 9 docenti su 18 mila, Corriere della sera, 09 gennaio 2007. Link. 
6 Lettera aperta dei docenti del Programma “Rientro dei Cervelli”. Link. 
7 op. cit. (S. Rizzo e G.A. Stella)
CENSIS - XXXVI Rapporto sulla situazione sociale del paese - 6 Dicembre 2002 - Talenti nazionali: frustrati in Italia delusi all'estero. Link.
Orhan Pamuk, Other Colours. Essay and a Story, Faber & Faber, London 2007
10 Franco la Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008
11 Gianni Biondillo, Metropoli per principianti, Guanda, Parma, 2008
12 Dichiarazioni dell’allora ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi il 23 agosto 2001. Link.

Pubblicato sulla PresS/Tletter n.32-2008