23 novembre 2014

0055 [SPECULAZIONE] Dialogo di fine biennale con Cino Zucchi

  Gentile Cino Zucchi,
mi chiamo Salvatore D’Agostino e sono il curatore di Wilfing Architettura le vorrei fare un'intervista, da pubblicare in occasione della chiusura della Biennale Architettura di Venezia.

Cordialmente,
Salvatore D’Agostino

  Caro Salvatore,
grazie della richiesta; io però non sono né un critico né un teorico, sono un architetto. Una volta finito un lavoro, lo considero chiuso dal punto di vista intellettuale, e passo al successivo. Le cose che avevo lasciato indietro per fare la Biennale mi sono cadute in testa tutte in un sol colpo, non lasciandomi tempo per altro.

Per cui, declinerei gentilmente il suo invito a rispondere alle domande. Oppure, se preferisce, rispondo a tutte con una sola frase, che ho rubato a Paul Valéry:
Se mi si chiede che cosa ho voluto dire, rispondo che non ho voluto dire, ma ho voluto fare, e che è stata l'intenzione del fare, che ha voluto ciò che io ho detto.
Un caro saluto, mi scusi ancora,
Cino Zucchi :-)

Illustrazione di Laurent Impeduglia remake, per Cino Zucchi, di Smurf house (2008)



23 novembre 2014
Intersezioni ---> SPECULAZIONE

9 novembre 2014

0003 [MURO] 9 novembre 1989 venticinque anni dopo, circa, di Pietro Motisi

«[...] Un racconto parallelo è il reportage di Pietro Motisi a Berlino, venticinque anni dopo la "domanda veloce con un effetto enorme". Un diario di viaggio ibrido, volutamente ambiguo nella narrazione, che intreccia riflessioni, citazioni, fotografie con pellicola, istantanee polaroid e immagini digitali.
Un racconto che v’invito a leggere e osservare. Un racconto che finisce con una foto digitale che incornicia una foto polaroid dove appare, sulla parete della stanza in cui ha vissuto, un manifesto con su scritto “Show you are not afraid” ossia "Non aver paura di mostrare". Senza punto esclamativo, né intimidazione, né evocazione. È la visione di una narrazione possibile nella Berlino di oggi.» (Salvatore D'Agostino)
Qui puoi leggere la versione integrale.

Testi e foto di Pietro Motisi


Giovedì 20 febbraio

Si ripropone un nuovo buio da scrivere, l'azione di svuotamento indotta si compie lasciando spazio ad interrogazioni più prosaiche anche se per questo non meno importanti:
Dove inizia il viaggio?
La risposta arriva pronta e dinamica come le ore:
Inizia nel momento stesso in cui di esso comincia il pensiero.
Nuovi stimoli arrivano forti e immediati ma un insolito primaverile crepuscolo rimanda il desiderio stesso. A un domani che non tarderà, almeno per il momento.



0002 [MURO] 9 novembre 1989 l'informazione prima del web

di Salvatore D’Agostino

Con i primi tweet delle nove e tre minuti, qualche secondo dopo l’ultimo distruttivo sisma avvenuto in Italia nel 2012, nei dintorni dell’Emilia, anche la stampa italiana si è trovata spiazzata nei confronti delle informazioni veicolate da chiunque si trovi, suo malgrado, al posto giusto. Quei tweet hanno messo in pensione le vecchie procedure dei dispacci di agenzia. Oggi, chicchessia e in qualsiasi momento, può rilanciare, in contemporanea ad un evento imprevisto, delle informazioni costringendo il giornalismo ufficiale a confrontarsi con le voci informali che anticipano o a volte ridimensionano gli eventi in corso.

Questa della condivisone globale delle informazioni è un’idea che già, circa venticinque anni fa, Tim Berners Lee metteva a punto attraverso la scrittura di un protocollo aperto che, nell'agosto del 1991, porterà alla nascita del World Wild Web. Un’estensione cognitiva dell’uomo che in poco tempo ha trasformato e trasformerà l’umanità del pianeta terra.

Mentre Tim Berners Lee sviluppava la sua idea, nel cuore dell’Europa, il nove novembre del 1989 il corrispondente estero per l’agenzia italiana ANSA, tale Riccardo Ehrman, veniva invitato nella conferenza stampa indetta per le 18 nel ‘sottomarino’, così chiamata in codice la sala della conferenza stampa. L’invito gli era stato rivolto da Günter Pötschke, suo collega dell’agenzia stampa ADN - della allora DDR - nonché suo confidente segreto, attraverso una telefonata in codice (ricordiamoci che c’era allora la guerra fredda e i telefoni, e non solo, venivano controllati dagli agenti segreti di tutto il mondo) con l’intenzione di porre una domanda al Segretario del Comitato Centrale SED delle scienze dell'Informazione (l’equivalente odierno del portavoce del governo) Günter Schabowsk, sulle nuove disposizioni di legge di viaggio all'estero.

27 agosto 2014

Pietro Motisi | Sudlimazione

text by Salvatore D’Agostino

Between 1951 and 1953 the writer and photographer Fosco Maraini, together with the editor Diego De Donato started their trip from Campania to Sicily. His intent was to «put between two covers all, just all our South: magnificence and horrors - writes Maraini - middle class and farmers, sailors, bishops and Mafioso's, everything, i say everything». But, after collecting a huge amount of materials, the project that should have been called Nostro Sud, was abandoned because of a wearing down «owerpowered by the wealth of things, the richness of the aspects, the multitude of faces and destinies, we end up to the immense fire of South». 

Fosco Maraini: Piana degli Albanesi (1952) and La torre nuvolaria near Termini Imerese (1952)


Nostro Sud, if published, it would have been the first narrative for images of the South, just because, before the ambitious Maraini's project, photography in Sicily was used to serve something else instead of being an autonomous tale.

20 agosto 2014

0054 [SPECULAZIONE] Ugo Rosa | Abitare Instant Biennale ovvero il deserto del Gobi dell’intelligenza critica

di Salvatore D’Agostino

Da qualche mese Ugo Rosa, quasi ogni giorno, scrive lettere – sul suo profilo facebook - alla sua amica F.B. sull'arroganza dell’architettura contemporanea che condanna all’iperattualità. Pubblico, con il consenso dell’autore, l’ultima lettera dedicata allo speciale della rivista Abitare sula biennale di architettura di Venezia.

Prima di leggere la lettera, due note a margine su due miti dell’architetto che legge e cerca la critica.

La prima: un architetto che fa il mestiere dell’architetto non deve avere come obbligo, tra i suoi requisiti, la lettura. Un buon architetto, se non può andare a vedere le architetture, legge i disegni, non ha bisogno di didascalie o scritti di supporto per imparare a progettare. Personalmente sogno libri di architettura senza parole, costituiti da solo disegni. Se è possibile non disegni accattivanti o da quadro da salotto buono e soprattutto senza foto ‘da messa in posa’ del fotografo di architettura. Libri da sfogliare, magari da ridisegnare.

La seconda: ‘critica’ è una parola delicatissima che ancora oggi per l’architettura viene rielaborata sui canoni d’inizio del novecento, quando alcuni bravi critici dell’arte utilizzarono il linguaggio dedicato alle opere d’arte per criticare le architetture. Da quel momento l’architettura diventa, per il nuovo critico di architettura, un’opera d’arte osservata come se fosse un oggetto. L’architettura, per sua natura, non è un’opera d’arte ed è sbagliato continuare a parafrasare, se non a scimmiottare, il linguaggio dei critici dell’arte per parlare di architettura. AAA cercasi un linguaggio specifico per la ‘critica’ di architettura.

Di seguito la lettera del 19 agosto 2014 di Ugo Rosa a F. B.


sfoglia Abitare Instant Biennale



5 agosto 2014

0015 [WILFING] Come leggere l'architettura transnazionale e vivere felici

di Salvatore D’Agostino

Pubblico l'introduzione eliminata dal post 0015 Colloquio Italia ---> Inghilterra con Davide Del Giudice, come promesso a @aRCHIfETISH autore del blog Archifetish.
È arrivato il momento di cambiare il punto di osservazione (ndr per l’aporia/rubrica fuga di cervelli) e scrutare le dinamiche del nostro paese osservando la vita dei cittadini che abitano il pianeta terra, oggi, nel 21° secolo. Una dilatazione di prospettiva che da subito si rileva complicata perché è impossibile semplificare le infinite culture abitative esistenti nel nostro pianeta. Per orientare questo dialogo ci aiutiamo delle analisi del sociologo Leslie Sklair e le usiamo come linea guida:
«In architettura, come in altri ambiti - scrive Sklair -, la classe capitalistica transnazionale è transnazionale perché: gli interessi economici dei suoi membri sono sempre più collegati a livello globale, piuttosto che di origine esclusivamente locale e nazionale: la TCC (ndr Transnational Capitalist Class) cerca di esercitare il controllo economico nei luoghi di lavoro, il controllo delle politiche interne e internazionali, e il controllo ideologico - culturale nella vita quotidiana attraverso forme specifiche di retorica e pratica del consumo e della concorrenza; i membri della TCC tendono a condividere l'alto livello di istruzione e il consumo i beni e servizi di lusso. Infine, i membri della TCC vogliono dare un'immagine di se stessi come dei cittadini del mondo, oltre che dei propri luoghi di nascita».1

Da quest’angolazione ipotizziamo un uomo nato sul suolo inglese o italiano o cinese o emirato arabo e consideriamo che faccia parte della classe capitalistica transnazionale TCC (come ipotizzato da Leslie Sklair) per domandarci: che abitante è?

29 luglio 2014

0015 Colloquio Italia ---> Inghilterra con Davide Del Giudice

di Salvatore D’Agostino

Dopo diversi dialoghi è arrivato il momento di eliminare da Wilfing Architettura la tag fuga di cervelli poiché quando sei anni fa nasceva, l’intento era quello, e continua ad esserlo, di smontare i luoghi comuni e capire, attraverso la voce dei protagonisti, la vita dietro le parole di plastica amate dai media mainstream. Dopo sei anni la retorica dei politici e la pigrizia del giornalismo italiano, bloccati come per incanto sulla parola ‘fuga di cervelli’, usata come calco mimetico per descrivere un problema senza mai analizzare le cause, mi porta a non reiterare più questo stereotipo privo di senso e a sostituirlo con una semplice indicazione - freccia - di viaggio.

Con questo dialogo a Davide del Giudice ci spostiamo, solo logisticamente, a Londra per parlare dell’architettura terrestre. Davide del Giudice non è un cervello in fuga è un architetto laureatosi nell’Università di Torino, ma che si è formato nel pianeta Terra, leggete il suo blog - o, se volete, un vecchio dialogo su Wilfing - per capire l’incredibile rete di relazioni che ha dilatato la sua cultura formativa. Dopo la laurea ha iniziato a lavorare, prima nello studio italiano, e adesso nello sede londinese di Zaha Hadid.


22 luglio 2014

12 luglio 1981 | Philip K. Dick c'è una sola via d'uscita: vedere tutto come qualcosa di fondamentalmente comico

di Salvatore D’Agostino
Nelle ristampe di Lolita, Vladimir Nabokov, aggiunse una nota alla fine del romanzo, per rintuzzare le veemenze dei critici più corrosivi scrivendo "«realtà» (una delle poche parole che non hanno alcun senso senza virgolette)"1 e ad un’incalzante Alberto Arbasino che, in veste d’intervistatore, chiedeva: “Ma insomma, cos’è Lolita, in realtà?” rispondeva "Che domande… che domande… inutili… Sarebbe meglio rilassarsi, di fronte a quel libro che è soltanto una storia, e non cercarvi un “messaggio” che non c’è… La morale del libro è il libro stesso. Volete spiegarvi la sua morale? Leggetelo!".2

Leggendo i libri di Philip K. Dick serve ricordarsi dei consigli di Nabokov, bisogna mettere tra parentesi la parola ‘realtà’ ed evitare di cercare una ‘morale’.

Philip K. Dick rappresenta un'idea di letteratura fondata sulla moltiplicazione dei diversi piani di realtà. Estraneo all'insegnamento morale, Dick smantella con gioiosa iconoclastia i luoghi comuni e le convenzioni letterarie della letteratura borghese, fondata sul ‘messaggio del romanzo’. Costruisce trame dove il tempo è spesso fuori dai cardini, dove la realtà è ‘sempre una bolla di sapone’, dove l’uomo non è mai un eroe di una elitè galattica ma vive una costante difficoltà ad adattarsi al mondo:
«Se volete adattarvi alla realtà, leggete Philip Roth, leggete gli scrittori di best-seller, - scrive in questo testo che vi ripropongo - quelli dell'establishment letterario di New York. Ma adesso state leggendo fantascienza, e io la scrivo per voi. Voglio mostrarvi quello che amo (i miei amici) e quello che odio con tutte le mie forze (le cose che succedono loro).»
Per Philip K. Dick la fantascienza è un romanzo di idee che decostruisce il tempo, lo spazio e la realtà. La fantascienza non è mimetica del mondo reale, è un’idea di dinamismo.

Ripropongo uno scritto apparso sulla collana Urania, a quel tempo diretta da Fruttero & Lucentini nel numero 896 del 12 luglio 1981, qualche mese prima che Philip K. Dick morisse a causa di un collasso cardiaco il 2 marzo 1982. Scritto appena prima di iniziare la querelle con Ridley Scott e il suo rifiuto di 400 mila dollari per non voler adattare il suo romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep? alla sceneggiatura del film Blade Runner che uscirà nelle sale il 25 giugno 1982, tre mesi dopo la sua morte. Dirà a Ridley Scott, non ho bisogno di questi soldi - anche se avendo sempre vissuto in perpetua indigenza gli avrebbero cambiato la vita - ho la mia macchina da scrivere, la mia musica, il mio gatto, ho tutto e non ho bisogno di nient’altro.

In questo scritto su Urania, la più longeva rivista di urbanistica ancora attiva in Italia, ripercorre la sua vita, dove, con ironica previgente coincidenza, scrive l’epigrafe della sua lapide.

È un invito per gli urbanisti del nostro tempo che amano la pervasività della tecnologia o per chi pensa di guarire le città attraverso l’architettura a leggere Dick per domandarsi:

  • Che cos'è la realtà?
  • Che cosa caratterizza l'autentico essere umano?

Per aiutare il 'vandalismo responsabile' ed evitare di credere e progettare il viaggio sicuro delle gated community dove il messaggio implicito è: siate passivi. E soprattutto cercare di “scoprire il granello del comico all'interno dell'orribile e del futile”.

Buona lettura.



14 luglio 2014

Pietro Motisi | SUDLIMAZIONE

di Salvatore D’Agostino

L’inizio:
Tra il 1951 e il 1953 lo scrittore e fotografo Fosco Maraini accompagnato dall'editore Diego De Donato vagarono in auto dalla Campania alla Sicilia. Il loro intento era di «stringere fra due copertine tutto, proprio tutto il nostro Sud: meraviglie e orrori - scriveva Maraini - borghesi e braccianti, contadini e marinai, vescovi e mafiosi, tutto, dico tutto». Ma, dopo aver raccolto un immenso materiale, il progetto, che avrebbe dovuto chiamarsi Nostro Sud, non si completò per sfinimento «sopraffatti dall'abbondanza delle cose, dalla ricchezza d’aspetti, dalla moltitudine di volti e destini, finimmo nell'immenso fuoco del Sud». Nostro Sud, se pubblicato, sarebbe stato il primo racconto per immagini del sud, dato che, prima del ciclopico progetto di Maraini, la fotografia in Sicilia veniva posta a servizio di qualcos'altro anziché farsi racconto autonomo.
e la fine:
L’oggi è tutto ciò che si vede, se si vuol vedere, camminando. L’oggi, nella sua essenza, ciò che è visibile senza sovrastrutture concettuali è il dominio visivo di Pietro Motisi. Nel suo viaggio, non ha ricercato luoghi esotici, caratteristici, tipici, storici e, se ci sono, li ha celati. Gli elementi del paesaggio, erosi dalla luce naturale o artificiale, si manifestano nell'uso e abuso quotidiano di chi vive il territorio, sono lì, almeno in quell'oggi in cui Pietro Motisi li ha fotografati.
di una mia nota per il catalogo della mostra SUDLIMAZIONE di Pietro Motisi presso la galleria fotografica P46 di Guido Risicato e Giuliano Bora.










Inaugurazione sabato 19 luglio alle 18.

La mostra sarà visibile tutti i giorni, 10.00/13.00 15.00/18.00, fino al 31 agosto in Via al Porto 46 Camogli (Genova).
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10 luglio 2014

0010 [HERESPHERE] Mauro Francesco Minervino | Benvenuti nell’era del realismo da divano

di Salvatore D’Agostino 

Succede che, un video amatoriale pubblicato su YouTube possiede il canone del giornalismo del nostro tempo ovvero la capacità di trasformare una notizia in evento mediatico. Non importa il tipo di notizia perché, superata la soglia da notizia in evento, tutto si confonde: l’inaspettata sconfitta del Brasile, le confessioni del nuovo presunto mostro dell’adolescente Yara Gambirasio e il presunto inchino, davanti la casa di un veterano dell’ndrangheta, della statua della Madonna a Oppido Mamertina diventano gli eventi necessari per proiettare, nei diversi contenitori di massa, il realismo più redditizio per un’economia dell’informazione basata sulla quantità di ascolti o di accessi web o copie vendute. Dal momento in cui la notizia supera il limite e si trasforma in evento inizia il tormentone, fino all’arrivo di un’altra notizia-evento, spalleggiato dai migliori opinionisti. 
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12 giugno 2014

0009 [HERESPHERE] Ciro Corona scrive a Roberto Saviano: Robbe' è Scampia la risposta alla fiction

di Salvatore D'Agostino

Ci sono luoghi, mai attraversati, che tutti pensiamo di aver visto grazie alla ridondanza dei media che li ha scolpiti nel nostro immaginario visivo, Scampia è uno di questi, forse il luogo più visto ma mai visitato d’Italia.

Scampia, negli ultimi anni, è diventato il set ideale dove girare tutti i luoghi comuni - gli stereotipi, le dietrologie, i titoli per nutrire la pancia dei non lettori, rimarcare le differenze di un sud senza speranza - del circo ‘mediatico’. 

Scampia ‘la vive’ Ciro Corona che da anni con l’associazione ‘(R)ESISTENZA’ è entrato in guerra contro l’illegalità e la sua cultura camorristica. Una guerra, non un’indignazione sferzante magari arguta ed emotivamente coinvolgente da chi sta seduto comodo sul divano di casa. Quella di (R)ESISTENZA è una guerra fisica, concreta, difficile, attiva che non accetta la mistificazione e la semplificazione di chi immagina ciò che non vive.

V’invito a leggere la lettera che Ciro Corona ha spedito, usando la bacheca di facebook, a Roberto Saviano sceneggiatore della fiction ambientata a Scampia (una lettera - heresphere - dove Ciro Corona dice: questo è l’intorno di Scampia, adesso, in questo in momento):

Ciro Corona

Caro Roberto,
mi ritrovo a riscriverti a distanza di un anno con la consapevolezza che nemmeno questa volta raccoglierai l'appello né ci sarà mai risposta. Negli ultimi giorni ci si ritrova in una nuova "faida del bene", dove chi dovrebbe essere garante di una "rete", di un lavoro di squadra, sembra essere schierato in trincea pronto ad aprire il fuoco sull'altro. Sembra, ma sappiamo che non è così. Allora facciamo un po' di chiarezza.








27 febbraio 2014

0035 [A-B USO] Mario Fillioley | Appena a sud da Siracusa

di Salvatore D’Agostino

Non-luoghi, superluoghi, iperluoghi, junkspace, generic city, anticittà, villettopoli, ecomostri, aree abusive, centri storici vs periferie sono i neologismi che la teoria urbana, in questi ultimi decenni, ha sentito l’urgenza di utilizzare per uscire fuori dagli ambiti specialistici e comunicare POP. Creando un’infinità di gadget lessicali per definire problemi complessi usando parole immediate e spendibili in pochi secondi.


Parole che il giornalismo urbano ha stereotipato trasformando la complessa geografia civica e sociale in luoghi tematici piatti e uguali. Una sorta di demenza teorica urbana che ha distrutto, se non annullato, il complesso rapporto dei luoghi con l’abitare, poiché «non si può parlare del mondo come se fosse tutto uguale» osserva Walter Siti1, non si può più parlare di luoghi e città usando tautologie critiche rassicuranti POP senza camminare a piedi e con gli occhi aperti.


Un camminare a piedi con gli occhi spalancati che ho ritrovato in un articolo2 di Mario Fillioley. In questi anni, Fillioley, ha percorso migliaia di volte la tratta che da Siracusa lo portava nella sua villetta abusiva di famiglia a pochi chilometri da piazza Duomo. Questo più che decennale andirivieni gli ha permesso di cogliere i cambiamenti che da A (villetta status symbol per i locali) si sta trasformando in B (luogo di turismo globale). Un mutamento che il teorico urbano POP avrebbe sintetizzato con le parole anticittà, abusivismo, villettopoli.











28 gennaio 2014

0012 [SQUOLA] Alessandro Anselmi: il disegno di architettura

La parola scuola è spesso un inciampo, il suo suono trae in inganno.
Non di rado viene scritta sbagliata.
Squola è un errore ed è il nome di questa rubrica.
di Salvatore D'Agostino

Marco De Rossi a quattordici anni - insieme a Edoardo Biraghi – ha creato Oilproject per realizzare un sogno:
«Il sogno è che entro dieci anni tutte le lezioni tenute nelle scuole e nelle università pubbliche vengano condivise online a beneficio, ad esempio, di chi vive in zone con una scarsa offerta didattica, combattendo così il digital divide culturale italiano. La qualità delle lezioni è giudicata dal pubblico attraverso votazioni e meccanismi di valutazione fra pari.»*
Oilproject nasce nel 2004 ed è una scuola gratuita online dove docenti, ma non solo, possono proporre contenuti. Tra i molteplici corsi che riguardano i temi dell’architettura si distinguono delle lezioni, pre era web, tenute da Bruno Munari a Venezia nel 1992. Con il moltiplicarsi dei canali video il sogno di dieci anni fa di Marco De Rossi si è sviluppato all’infinito. Oggi è possibile avere come insegnante Bruno Munari o Steve Jobs, il suo discorso ai neolaureati di Stanford del 2005 insegna più di molte lezioni frontali ascoltate sui banchi di scuola. Come le conferenze annuali TED, tradotte in quasi tutte le lingue del mondo, condividono «ideas worth spreading» (idee degne di essere diffuse) e le finestre aperte del MIT, attraverso i video del medialab, ci regalano ore di buone lezioni online.

Senza i video amatoriali caricati da uno studente, prima su YouTube e poi su Oilproject, Stefano Bartezzaghi, forse, non gli avrebbe dedicato un capitolo del suo libro L’elmo di Don Chisciotte – Contro la mitologia della creatività e noi tutti non avremmo avuto la possibilità di ascoltare – come sospesi in un tempo non più fisico ma digitale – le sue lezioni. 

Approvando i sogni di diffusione delle idee accessibili a tutti in rete, a un anno dalla morte di Alessandro Anselmi, condivido una sua lezione sul disegno di architettura, ripescata dal centro audiovisivo IUSA voluto dal critico e storico d’arte Eugenio Battisti della facoltà di Architettura di Reggio Calabria.


di Isidoro Pennisi

Il documento in questione è la sbobinatura (ndr qui la storia) di un contributo di Alessandro Anselmi, offerto ad una rassegna di interviste realizzate a diversi architetti italiani, protagonisti del dibattito degli anni settanta e ottanta del secolo scorso e prodotte dal Centro Audiovisivo dello IUSARC di Reggio Calabria. In quest’intervista Anselmi affronta un tema ricorrente in quel periodo: come superare procedure, approcci ed anche risultati architettonici derivanti dalle ricadute più tarde del Movimento Moderno, per proporre nuove prospettive ritenute un po’ da tutti necessarie. È giusto dire che a livello generale e generazionale questo tentativo non fu assolutamente incisivo e maturo ma, più che altro, rappresentò una forma di reazione ad aspetti e temi che i giovani protagonisti dell’epoca non capirono sino in fondo. La questione del Movimento Moderno, infatti, era già stata elaborata e forse già superata dai maestri italiani del dopoguerra. Comunque li si giudichi, infatti, è indiscutibile che la loro posizione di “continuità” fu tutt'altro che acritica. Anzi, è forse il taglio della loro riflessione che caratterizza lo sforzo compiuto e il debito che tuttora noi abbiamo. Uno sforzo riconosciuto oltre frontiera, ma non da noi.

È in questo frangente, quindi, che crescono e si affermano una serie di architetti italiani, tra cui Anselmi, che fondano il loro tragitto esattamente sul rifiuto, anche radicale, di questa eredità italiana organizzata intorno alla scuola romana e milanese della prima parte del novecento. Anselmi, però, a mio modo di vedere, è forse l’unico tra questi che offre una via originale e meno ideologica. Il documento in questione, pur nella sua brevità, ha una sua importanza perché tra le righe è possibile intuire l’idea di questo approccio originale che può essere riassunto in questa maniera: l’architettura si fonda sulla soggettività e sull'esattezza, se la sua soggettività artistica risiede nel vedere gli uomini e la storia umana dietro i segni che organizziamo, la sua esattezza sta, soprattutto, nella scientificità con cui analizziamo e costruiamo lo spazio architettonico; una scientificità non matematica ma fondata sul disegno e sulla storia delle forme artificiali. 

Alessandro Anselmi

prima parte



L’intervista fa parte di un materiale documentario prodotto in occasione della Mostra Architettura Italiana degli anni settanta, curata da Enrico Valeriani e Giovanna De Feo, ed esposta presso la Galleria di Arte Moderna di Roma e la Triennale di Milano nel 1981*

14 gennaio 2014

0014 [WILFING] Due punti

di Salvatore D'Agostino
«Sono un blogger e un entusiasta degli spezzoni di narrativa associati casualmente, ma mi è sempre stato chiaro che il contenuto di un blog ha una vita corta. È come recitare una stand-up comedy.» (Bruce Sterling)1
Wilfing Architettura è una parte del mio tavolo da disegno che vive in rete. E, come sul mio tavolo da disegno, transitano progetti e idee con vite alterne: alcuni si dissolvono in poco tempo, altri stentano a partire, qualcuno resta a lungo. I più efficaci sostano poco tempo. C’è anche qualche amara eccezione: idee che non ho mai realizzato e che altri, nel frattempo, hanno concretizzato meglio di me. Progetti e idee che, osservati a distanza di qualche anno, se non mese, appaiono logori, forse un po’ inutili, imprecisi, ingenui, ma conservano l’energia spesa rincorrendo l’ossessione di un pensiero.

Per questo motivo, quasi annualmente, ho la necessità di fare ordine sul mio tavolo web. Quest’anno ci sarà solo una novità grafica: un secondo punto sull’header (titolo).


Poiché cercherò di lavorare su due punti:


primo | sulle continue metamorfosi delle idee:

nel suo libro ‘L’arte del romanzo’ Milan Kundera scrive:
«DEFINIZIONE. La trama meditativa del romanzo è sorretta dall’armatura di alcune parole astratte. Se non voglio cadere nel vago dove tutti credono di capire tutto senza capire nulla, devo non solo scegliere queste parole con estrema precisione, ma continuamente definirle e ridefinirle. (Si vedano DESTINO, FRONTIERA, GIOVINEZZA, LEGGEREZZA, LIRISMO, TRADIRE). Un romanzo, mi sembra, spesso non è che un lungo inseguimento di alcune definizioni sfuggenti.»2
WA (acronimo di Wilfing Architettura) è stato ed è un lungo inseguimento di alcune ‘parole’ dove ho cercato di far coesistere «idee e utopie distanti dal mio o nostro punto di vista». Ho incluso questa ricerca sulle parole nel post: intersezione.






Intersezione è un sostantivo che mi sono accorto manca di quella precisione che ricerca Milan kundera, in un primo momento ho pensato di sostituirlo contraendolo in ‘sezioni’ ma restava ancora vago, come anche le parole: rubriche, repertori, concetti, appunti, temi, contenuti. Per un po’ avevo semplificato trasponendo il concetto con un’immagine che lo rappresentasse, quindi per definire ‘WA come un contenitore d’idee precarie’ avevo pensato a una ‘scatola’, ma le occorrenze per scatola: cassetta, contenitore, recipiente, cofanetto non mi hanno aiutato; l’unica parola efficace e precisa era il corrispettivo in inglese: ‘box’. Non so come e non ricordo perché, mentre riflettevo sulla parola box mi è venuta in mente la parola ‘Aporia’. Aporia è un sostantivo nato nel 1829, secondo la definizione del Devoto Oli, e significa:
«Problema le cui possibilità di soluzione risultano annullate in partenza dalla contraddizione.»
Perfetto! mi sono detto, è la giusta sintesi per il mio tavolo da disegno in rete; non solo, l’etimo perfeziona ciò che in realtà è WA: dal greco aporía ‘difficoltà, incertezza’.

La parola vaga 'intersezione' da oggi sarà sostituita da 'aporie'.

secondo | nuove aporie:

la recente aporia Calendario è stata tra le più lette dello scorso anno; è un’aporia che ha bisogno di tempo che cercherò d’intensificare nei prossimi mesi.

Le due novità saranno:

Pugno, carta, forbice

un viaggio disorganizzato alla ricerca delle centinaia di riviste, fanzine, dazebao, fogli, incunaboli, magazine pubblicati in Italia ogni giorno;

Buca
per ringraziare chi in questi anni mi ha spedito dei libri e che non ho mai trovato il tempo, o forse non ho mai voluto farlo, di parlarne. 

Il tavolo da disegno di WA, anche quest’anno, cercherà d’immergersi nella realtà di cui parla.

A dopo.

14 gennaio 2014
Intersezioni ---> WILFING
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Note:
1 Intervista collettiva, Bruce Sterling: “Ci salverà l'ingenuità”, La stampa, 25 gennaio 2013*

2 Milan Kundera, L’arte del romanzo, Adelphi, Milano, 1988, p. 176