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27 febbraio 2014

0035 [A-B USO] Mario Fillioley | Appena a sud da Siracusa

di Salvatore D’Agostino

Non-luoghi, superluoghi, iperluoghi, junkspace, generic city, anticittà, villettopoli, ecomostri, aree abusive, centri storici vs periferie sono i neologismi che la teoria urbana, in questi ultimi decenni, ha sentito l’urgenza di utilizzare per uscire fuori dagli ambiti specialistici e comunicare POP. Creando un’infinità di gadget lessicali per definire problemi complessi usando parole immediate e spendibili in pochi secondi.


Parole che il giornalismo urbano ha stereotipato trasformando la complessa geografia civica e sociale in luoghi tematici piatti e uguali. Una sorta di demenza teorica urbana che ha distrutto, se non annullato, il complesso rapporto dei luoghi con l’abitare, poiché «non si può parlare del mondo come se fosse tutto uguale» osserva Walter Siti1, non si può più parlare di luoghi e città usando tautologie critiche rassicuranti POP senza camminare a piedi e con gli occhi aperti.


Un camminare a piedi con gli occhi spalancati che ho ritrovato in un articolo2 di Mario Fillioley. In questi anni, Fillioley, ha percorso migliaia di volte la tratta che da Siracusa lo portava nella sua villetta abusiva di famiglia a pochi chilometri da piazza Duomo. Questo più che decennale andirivieni gli ha permesso di cogliere i cambiamenti che da A (villetta status symbol per i locali) si sta trasformando in B (luogo di turismo globale). Un mutamento che il teorico urbano POP avrebbe sintetizzato con le parole anticittà, abusivismo, villettopoli.











3 dicembre 2012

0034 [A-B USO] Marco Omizzolo | I sikh dell’agro pontino

di Salvatore D'Agostino
da leggere insieme il points de vue di Martino Di Silvestro

L’agro pontino dopo la bonifica integrale del 1926-1937 voluta dal regime fascista si è trasformato in una ricca terra di opportunità lavorative prima per le allora povere e sovraffollate regioni del nord soprattutto del Veneto ma anche del Friuli e dell'Emilia, in seguito nel dopoguerra, in concomitanza con lo sviluppo industriale dell’area, quando arrivarono i lavoratori dal sud: dall'Abruzzo, dalla Sicilia e in prevalenza dalla Campania. Negli anni novanta, dopo la crisi del settore industriale e l’investimento intensivo nell'agricoltura e nell'allevamento, si sono aggiunti i braccianti extra-europei provenienti dai paesi del Nordafrica e dell'Africa sub sahariana e dai paesi asiatici come l'India, il Pakistan e il Bangladesh, e si è insediata una grossa comunità di sikh del Punjab una regione posta a cavallo della frontiera tra India e Pakistan.

In questi decenni quindi questa ricca area geografica è stata una terra di opportunità per lavoratori provenienti da diverse province dell’Italia e dal mondo cambiando il paesaggio culturale e civico dell’agro pontino. Oggi queste differenti culture le vedi vivere e lavorare, con ruoli diversi, nei campi del pontino. Un territorio che ho voluto analizzare da una parte attraverso l’indagine diretta del sociologo Marco Omizzolo, che per due mesi ha lavorato insieme ai sikh ed è andato nel Punjab per capire meglio la loro cultura e dall'altra attraverso le fotografie di Martino Di Silvestro che da quasi dieci anni svolge una costante ricerca visiva su questo territorio.

Più che un’analisi definitiva di un paesaggio complesso come quello dell’agro pontino, ho pensato a due diverse modalità d’indagine diretta sul luogo: quella scritta e quella visiva. A seguire l’intervista a Marco Omizzolo e in questa pagina i points de vue di Martino di Silvestro.



2 luglio 2012

0033 [A-B USO] Marco Dezzi Bardeschi | L’architettura vive solo una volta

di Marco Dezzi Bardeschi1

   Sulla «Lettura» Luigi Prestinenza Puglisi2  ha voluto ricordare che il terremoto ci pone di fronte all’alternativa di massimizzare la permanenza dei beni architettonici colpiti e accettando un dialogo creativo tra antico e nuovo o – al contrario – inseguire l’impossibile, inattuale «effetto mummia» del ripristino, con l’ingenua illusione di rimuovere l’accaduto. Trovo sorprendente che alcuni ancora sostengono questa seconda posizione, persino coloro che dovrebbero conoscere a memoria l’articolo 29 del Codice del 2004 dove si definisce il restauro come  «l’intervento diretto sul bene, finalizzato alla conversazione della sua integrità materiale». Altri che regressivi ritorni allo stato quo ante! La grande cultura del restauro di Boito (1883) e quelle che le sono succedute, da Giovannoni (1931) a Gazzola/Pane (Venezia, 1964) per contrastare, nelle intenzioni e negli esiti i tragicomici pastiches delle ricostruzioni analogiche in stile a scapito dell’originale perduto. Questa cultura si è sempre mostrata critica contro il tradimento della Storia e della Memoria dello slogan «com’era, dov’era», coniato da Corrado Ricci a favore dell’equivoca ricostruzione à l’identique del campanile di san Marco a Venezia (1911). 

7 giugno 2012

0030 [A-B USO] Mario Monicelli: ricostruire dov’era ma con nuovi architetti e nuovi materiali

Salvatore D'Agostino
Mario Monicelli, dieci giorni prima di scegliere la morte, intervistato alla radio da Roberto Silvestri a proposito della sua partecipazione nel film documentario di Francesco Paolucci Crepati dentro. Voci per uscire dal silenzio dedicato al dopo terremoto dell’Aquila, con la grinta di un novantacinquenne, lancia un monito, che in questi giorni di nuove città che crollano echeggia attuale. Ho estrapolato l’intervento perché, da non tecnico, le sue osservazioni conservano lo spirito di chi non cristallizza il tempo ma lo respira.

11 maggio 2012

0029 [A-B USO] Mauro Francesco Minervino | Statale 18 | Quarta parte

di Salvatore D’Agostino

prima, seconda e terza parte

«Mentre attraverso questo sud della città a nastro capisco anche perché posti così per essere raccontati non hanno più bisogno della penna eclettica dei viaggiatori stranieri o di quella molto meno alata degli inviati speciali. Le didascalie dei viaggiatori a cottimo degli inserti turistici, le rubriche estive dei giornali sono spazzatura. Nel contemporaneo Gran Tour di questa nuova miseria che si disegna sui bordi delle statali alle latitudini del sud si scrive, o si riscrive, fuor di letteratura e di apologo antropologico. Basta registrare lo sguardo riflesso dei luoghi». (Mauro Francesco Minervino)1

Mauro Francesco Minervino è un antropologo calabrese che non ha bisogno di andare lontano per le sue ricerche poiché il luogo dove vive e delle sue quotidiane osservazioni è la diciottesima statale italiana che da anni percorrere senza sosta. In fondo a sud, La Calabria brucia e Statale 18 sono i libri dove ha riportato le sue analisi, l’intervista che seguirà è divisa in più parti (, e ) poiché le risposte, ampie e dettagliate, meritano pause di riflessioni più che letture veloci senza area di sosta.


8 maggio 2012

0028 [A-B USO] Mauro Francesco Minervino | Statale 18 | Terza parte

di Salvatore D'Agostino
primaseconda e quarta parte
«Mentre attraverso questo sud della città a nastro capisco anche perché posti così per essere raccontati non hanno più bisogno della penna eclettica dei viaggiatori stranieri o di quella molto meno alata degli inviati speciali. Le didascalie dei viaggiatori a cottimo degli inserti turistici, le rubriche estive dei giornali sono spazzatura. Nel contemporaneo Gran Tour di questa nuova miseria che si disegna sui bordi delle statali alle latitudini del sud si scrive, o si riscrive, fuor di letteratura e di apologo antropologico. Basta registrare lo sguardo riflesso dei luoghi». (Mauro Francesco Minervino)1
Mauro Francesco Minervino è un antropologo calabrese che non ha bisogno di andare lontano per le sue ricerche poiché il luogo dove vive e delle sue quotidiane osservazioni è la diciottesima statale italiana che da anni percorrere senza sosta. In fondo a sud, La Calabria brucia e Statale 18 sono i libri dove ha riportato le sue analisi, l’intervista che seguirà è divisa in più parti ( e ) poiché le risposte, ampie e dettagliate, meritano pause di riflessioni più che letture veloci senza area di sosta.


21 aprile 2012

0027 [A-B USO] Mauro Francesco Minervino | Statale 18 | Seconda parte

di Salvatore D'Agostino
primaterza e quarta parte 
«Ci vuole il senso della bellezza per cancellare le brutture, per restituire integrità e incanto ai luoghi. Ci vuole la forza dell’immaginazione, che non basta mai. Che qui, in fondo a tutto, è la cosa più faticosa da salvare». (Mauro Francesco Minervino)1
Mauro Francesco Minervino è un antropologo calabrese che non ha bisogno di andare lontano per le sue ricerche poiché il luogo dove vive e delle sue quotidiane osservazioni è la diciottesima statale italiana che da anni percorrere senza sosta. In fondo a sud, La Calabria brucia e Statale 18 sono i libri dove ha riportato le sue analisi, l’intervista che seguirà è divisa in più parti ( e ) poiché le risposte, ampie e dettagliate, meritano pause di riflessioni più che letture veloci senza area di sosta.



12 aprile 2012

0026 [A-B USO] Mauro Francesco Minervino | Statale 18 | Prima parte

di Salvatore D'Agostino
seconda,  terza e quarta parte
«In soli 15 anni (fra il 1990 e il 2005) in Calabria sono stati edificati 269.560 ettari pari al 26,13 per cento dell’intero territorio regionale. [...] È sempre più chiaro che se non si inverte questo modello di “accumulazione primitiva” non si riuscirà a bloccare il degrado, non solo ambientale, della regione». (Mauro Francesco Minervino)1
Mauro Francesco Minervino è un antropologo calabrese che non ha bisogno di andare lontano per le sue ricerche poiché il luogo dove vive e delle sue quotidiane osservazioni è la diciottesima statale italiana che da anni percorrere senza sosta: «La mia vita spesso è un giro a vuoto. Il mio mondo un ago in un groviglio di strade».2

In fondo a sud, La Calabria brucia e Statale 183 sono i libri dove ha riportato le sue analisi, l’intervista che seguirà è divisa in più parti (,   e ) poiché le risposte, ampie e dettagliate, meritano pause di riflessioni più che letture veloci senza area di sosta.

5 marzo 2012

0025 [A-B USO] I siciliani

di Salvatore D’Agostino 

   Il libro I siciliani o Les Siciliens fu pubblicato in Italia da Einaudi e in Francia da Denoël nel 1977. Raccoglie le fotografie del girovagare siciliano, dagli inizi degli anni sessanta fino al 1977, di Ferdinando Scianna. Foto semplici, quasi spontanee che rilevano un talento naturale, scatti che decretarono la sua fortuna poiché, grazie all’edizione francese, Cartier-Bresson lo volle tra i fotografi dell’agenzia fotografica Magnum la prima e la più importante al mondo.
   Il libro contiene una postfazione di Leonardo Sciascia che cristallizza alcune parole del suo paese Racalmuto come le foto di Scianna - secondo Sciascia - fanno con la Sicilia e una lunga prefazione dello scrittore francese Dominique Fernandez, dove la conoscenza dei testi della narrativa siciliana s’intreccia con le esperienze dei suoi viaggi in Sicilia.
   Dominique Fernandez, per descrivere un aspetto dei siciliani racconta un aneddoto, tratto dai Miti di Francesco Lanza, che ancora oggi ritrovo nel carattere dei siciliani e che potrebbe descrivere il tema di questa rubrica: 'A-B USO: l'utilizzo di A che si trasforma in B'. 
   Aneddoto che ho trascritto, inserendo parti di foto scansionate dal libro. 

Gibellina dopo il terremoto del 1969

5 dicembre 2011

0024 [A-B USO] Biblioteca casertana

di Beniamino Servino*



Vuota come una testa vuota.
E non era meglio continuare a aspettarla?
Ma poi, ma chi la aspettava?

2 dicembre 2011

0023 [A-B USO] Fuori Venezia Venezia Dentro

Fotografie e design: Italo Zannier 
Testo: Elia Barbiani / Giorgio Conti

[ndr in allegato alla rivista 'Urbanistica' n. 68-69 del dicembre 1978 uscì un pieghevole di formato 93,6 x 62,7 cm.; due facciate un esterno e un interno, che conteneva il saggio fotografico di Italo Zannier con contributi di Giorgio Conti e l'archivio fotografico del comune di Venezia,  FUORI VENEZIA VENEZIA FUORI – l’esterno del foglio – e DENTRO VENEZIA VENEZIA DENTRO – il suo interno -.
Nella prima pagina e nel retro - 23,4 x 31,35 cm – inizia il racconto fotografico per le strade di una Venezia fuori dal circuito turistico. 
Il primo movimento – 23,4 x 62,7 cm - ci offre un’immagine in verticale di un vicolo del ‘Sestiere di Castello’.
Con la seconda apertura – 46,8 x 62,7 cm – osserviamo quindici paesaggi urbani.
Il terzo e ultimo sfoglio - 93,6 x 62,7 cm - ci porta all’interno delle case veneziane; ventuno luoghi intimi DENTRO VENEZIA VENEZIA DENTRO.]
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FUORI VENEZIA
VENEZIA FUORI

Venezia per immagini rappresenta la sublimazione dell’uso e dell’abuso del «medium» fotografico. L'ideologia della città unica ha portato a diffondere una immagine stereotipata e consumistica che non corrisponde alla Venezia del quotidiano ed esclude i suoi cittadini. Basta però uscire dai percorsi turistici, dai luoghi deputati al consumo dell’immagine della città, per ritrovare la Venezia tagliata fuori, per capire che esiste la Venezia moderna della terraferma (Mestre, Marghera), per cogliere la diversa qualità della vita dentro e fuori Venezia.
La peggiore Venezia, la Venezia dei sestieri più degradati , è migliore della migliore Mestre, dei quartieri coordinati, modernizzati, alienati. Basta entrare dentro le case per capire che il «problema» di Venezia è il problema classico dei centri storici, il problema degli alloggi, della senilizzazione dei residenti, della precarietà – al limite del tollerabile – dell’habitat degli studenti. 
Questa immagine dentro la vera Venezia e fuori dalla Venezia ufficiale conferma che non esiste tanto una Venezia speciale quanto una specificità del problema di Venezia, per il quale finora gli strumenti speciali, le leggi speciali, i piani speciali, sono serviti da mero alibi.

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8  Mestre (1978)
9  Sestiere di S. Marco (1978)
16 Mestre (1978)
17 Mestre (1978)
22 Mestre (1978)
23 Mestre (1978) 



Retro Marghera, Quartiere CITA (1978)


Primo sfoglio Sestiere di Castello (1974)
Seconda apertura 
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1 Sestiere di Castello, Marinaressa (1974)
2-7 Sestiere di Castello (1974)
12-15 e 18-21 Mestre (1978) 


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DENTRO VENEZIA 
VENEZIA DENTRO


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1 Casa al pianoterra nel Sestiere di Castello (1974)
2-4 Sestiere di Castello (1974)
5 Casa di studenti nel Sestiere di S. Croce (1978)
6 Casa di studenti nel Sestiere di Dorsoduro (1978)
7-8 Sestiere di Castello (1974)
9 Casa di studenti nel Sestiere di Dorsoduro (1978)
10-11  Sestiere di S. Marco (1978)
12-13 Casa di studenti nel Sestiere di Dorsoduro (1978)
14 Sestiere di Castello (1974)
15 Casa di studenti nel Sestiere di S. Croce (1978)
16 Sestiere di Castello, 1963 (archivio fotografico del Comune di Venezia)
17 Sestiere di Castello, 1963 (archivio fotografico del Comune di Venezia) 
18 Casa di studenti nel Sestiere di Dorsoduro (1978)
19 Casa di studenti nel Sestiere di S. Croce (1978)
20 Casa di studenti nel Sestiere di Dorsoduro (1978)
21 Sestiere di S. Marco (1978) 




 
2 dicembre 2011
Intersezioni ---> A-B USO
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Nota:
1 Allegato alla rivista 'Urbanistica' n. 68-69, dicembre 1978 curata da Marco Romano, le fotografie n. 8, 10, 12-23 di 'Fuori Venezia/Venezia Fuori' sono di Giorgio Conti.
Per conoscere il pensiero di Italo Zannier  vi suggerisco di ascoltare una sua video intervista rilasciata agli autori di archphoto.*

7 novembre 2011

0022 [A-B USO] Sarno

di Stefano Boeri*  

Sarno, una storia italiana. Nel 2002, 4 anni dopo la tragica alluvione, ho vinto il concorso per la redazione del Piano Regolatore, in un territorio che fino ad allora non aveva mai avuto pianificazione. Per 6 anni -dal 2003 al 2009- abbiamo fatto di tutto per convincere il Consiglio comunale e due successive Giunte (di centro-sinistra e poi centro-destra) a consegnarci una mappatura aggiornata dell'abusivismo e a bloccare le concessioni edilizie nelle zone a rischio. Tutto inutile.


 
Nel 2007 Abbiamo consegnato un Piano preliminare che non è mai stato discusso in Consiglio. Nel 2009, con grande tristezza e sdegno, abbiamo abbandonato un incarico a cui tenevo moltissimo, con una lettera pubblica che denunciava una politica indecente. Eccola.

Milano, 19 gennaio 2009

lettera aperta al Sindaco,
ai membri della Giunta e del Consiglio Comunale,
ai Cittadini di Sarno
gentile Sindaco,
gentili Consiglieri del Comune di Sarno,
gentili Cittadini di Sarno,

da oltre sei mesi siamo in attesa di una risposta da parte della Giunta comunale e del Consiglio alla nostra proposta di completare la redazione del piano urbanistico comunale.
Un piano urbanistico che ci era stato affidato nella primavera del 2003 dopo aver vinto il concorso pubblico promosso dal comune alla fine del 2002.

Come è noto, più di 3 ani fa, nel dicembre del 2005 avevamo presentato al consiglio comunale la bozza di preliminare del piano urbanistico, un documento che indicava le linee di sviluppo del territorio di Sarno.
Il preliminare del piano proponeva di bloccare lo sviluppo urbano nella piana e il conseguente consumo di suolo di agricolo, di combattere l’abusivismo spostando risorse sul recupero dei centri storici comunali, di valorizzare le attività produttive, di salvaguardare il paesaggio montano e fluviale. Oltre che naturalmente di impedire qualsiasi nuova costruzione o ristrutturazione nelle zone a rischio di smottamento.

31 ottobre 2011

0021 [A-B USO] Gela


Dai tempi di Democrito di Abdera che si strappò gli occhi a titolo puramente dimostrativo sino a Marcel Proust il quale si dichiarava, in via teorica, favorevole alla sordità sono state molte, mi pare, le parole spese da filosofi e poeti in elogio di una qualche forma di povertà, d’infermità o bruttezza.
Nessuno, per quel che ne so, ha mai composto una apologia dei piedi piatti o delle emorroidi: ma questo rientra nelle ovvie difficoltà a coprire sia pure approssimativamente l’inesauribile varietà del reale.
Alla medesima, incommensurabile, geografia del bubbone e della pustola appartiene il portentoso accadimento della città di Gela la quale sfugge ad ogni intento elogiativo e si disegna spinosa nella sua altera impopolarità … e, in realtà, neppure quel profilo la contiene giacché più che all’elogio essa sembra sottrarsi all’esegesi.
Ed è questo uno dei suoi modi: il non darsi cioè in alcun modo.
Gela si ritrae dalla letteratura perché in linea generale non si ha presente.

5 settembre 2011

0020 [A-B USO] Lebbeus Woods | San Sperato

di Lebbeus Woods 
WILD BUILDINGS | EDIFICI ABUSIVI*


(Foto sopra) Una veduta degli 'edifici abusivi', sulle colline che sovrastano la città meridionale di Reggio Calabria, Italia, nel 1999. Questa frazione illegale è stata battezzata San Sperato dai suoi nuovi coloni, ricordando così il nome del santo patrono del desiderio e della speranza. 

Lungo le coste che sovrastano il Mediterraneo, un tipo di costruzione ha proliferato negli ultimi trent'anni: vengono di solito definiti come "edifici abusivi". Che cosa ci sia di abusivo a proposito di questi edifici non è il progetto architettonico, assolutamente convenzionale, quanto piuttosto la mancanza di qualsiasi status giuridico e legale nei confronti dei comuni in cui sono abusivamente costruiti.

Edificati di solito in quartieri non pianificati, amorfi, essi sono come 'squatter', abusivi, al pari delle baraccopoli del resto del mondo, con alcune evidenti eccezioni che li rendono del tutto atipici.
La prima e più evidente differenza con le favelas è la tecnica di costruzione: nel nostro caso, il materiale è prevalentemente il cemento armato tamponato con murature in mattoni, una tipologia molto solida e duratura. La seconda differenza è che i proprietari di questi edifici non sono poveri, ma abbastanza ricchi da potersi permettere di commissionare tale tipologia. La maggioranza di questi committenti è formata da contadini o ex contadini, o comunque gente di campagna, relativamente arricchiti dall'alta redditività dei loro prodotti e raccolti, spesso irrobustita da generosi contributi pubblici. 

Le analogie con le baraccopoli, però, ci sono e sono ascrivibili ai motivi di fondo dell'inurbazione: quando nuove famiglie migrano verso la città, lo fanno per gli stessi esatti motivi degli abitanti delle baraccopoli di tutto il resto del mondo, cioè essenzialmente per migliorare le loro prospettive economiche. In questo caso, però, i nuovi cittadini non sono alla ricerca di una fabbrica, di una paga bassa o di lavori di servizio, poiché hanno nelle loro tasche abbastanza soldi per aprire imprese artigiane veramente redditizie, tramandabili ai familiari anche per svariate generazioni. 

Un altro punto di confronto è che si costruiscono abusivamente edifici civili, piccoli quartieri satellite, su terreni con destinazione teoricamente agricola. Una volta iniziati i lavori, gli ispettori urbanistici e i funzionari comunali o di altri enti li fanno interrompere, infliggendo loro sanzioni pecuniarie. Una volta pagate queste ammende, il cantiere riparte. 

Altra somiglianza con le baraccopoli è il fatto che queste comunità abusive non possiedono i servizi essenziali e le forniture dalla città, quali l'elettricità, l'acqua e i servizi igienico-sanitari. Per ottenerli, i proprietari-residenti devono trovare sistemi fai da te per produrli o, più comunemente, prelevarli in modo illegale dalle reti in transito nelle vicinanze. Seguono ancora una volta multe e sanzioni che sono pagate, ma il prelievo abusivo poi ricomincia. 

La famiglia è la parola chiave di queste comunità 'abusive'. Gli edifici sono costruiti un piano alla volta. Il capostipite della famiglia costruisce il primo piano della casa, soprelevando i pilastri di cemento, gettati fin dall'inizio con tondini maggiorati, tutto pronto insomma per edificare il solaio successivo. Questo sarà aggiunto dal figlio o figlia della famiglia, al momento in cui lui-lei si sposa e fonda la prossima generazione. La struttura della casa è quindi progettata e realizzata (nella maggior parte dei casi con metodi ad hoc) per essere sopraelevata ad uso delle generazioni future. 

Questo è il tipo caratteristico di città, o almeno d’insediamento, che cresce dall'interno, secondo regole informali e spontanee, ma con una buona e durevole tecnica. Per concludere, potremmo dire che questo tipo di architettura e urbanistica sono un esempio di crescita adattata ad uno stile di vita programmata per essere governata dall'incertezza.

(Foto sopra) Una casa famiglia unifamiliare in San Sperato, ospitante tre generazioni di una stessa famiglia. È interessante notare le lievi differenze stilistiche dell'espressione architettonica che ogni generazione ha apportato durante le varie sopraelevazioni.

5 settembre 2011 
Intersezioni --->A-B USO
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Note:
* Ringrazio Lebbeus Woods per la pubblicazione in italiano del suo post WILD BUILDINGS* e Davide Dal Muto per la traduzione.

17 agosto 2011

0019 [A-B USO] Paolo De Stefano | Marina di Mancaversa

testi curati da Federico Zanfi foto di Paolo De Stefano

Vincenzo è imprenditore turistico nel Salento.
In principio sulla costa c’erano le case di villeggiatura delle famiglie benestanti del paese. Nell’entroterra esistevano invece dei ricoveri agricoli, “caseddi”, in cui i contadini andavano a stare con le famiglie in estate. Poi è scoppiato il fenomeno delle case estive: i proprietari hanno iniziato a vendere piccoli lotti e molte famiglie di Taviano hanno costruito case abusive.
In una prima fase la gente ha costruito la casa per sé, per la villeggiatura con i figli.

14 luglio 2011

0018 [A-B USO] Beniamino Servino | Un luogo perduto



È chiamata piazza. Piazza Carlo III. Piazza? Ma se dentro c’entra tutta una piccola città. Isernia, per esempio, 20 mila abitanti, ci sta tutta. Ma non i volumi, tutta la città con le strade le piazze la villa comunale.

Ci siete mai andati? [non a Isernia, a piazza Carlo III (ndr Caserta)] Già, lì ci si va apposta. Non è che la incontri camminando per la città. Ci capiti perché ci vuoi andare.

Io ci vado ogni tanto in bicicletta.

Il titolo di queste note è UN LUOGO PERDUTO, ma sarebbe più adatto IL LUOGO DELLA FOLLIA.

7 giugno 2011

0017 [A-B USO] Andrea Pertoldeo | Marina di Strongoli

testi curati da Federico Zanfi foto di Andrea Pertoldeo


Antonio è titolare di un call center internazionale in un insediamento litoraneo lungo la s.s. 106.
Abbiamo aperto questo internet point l’anno scorso, era un servizio di cui si sentiva la mancanza: per fare una fotocopia dovevi andare a Crotone, in zona non c’era neppure una cartoleria.
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