29 marzo 2010

0002 [CON GIUSTIZIA] Next Palermo

di Salvatore D'Agostino

Wilfing Architettura torna a discutere con chi gestisce le dinamiche amministrative delle città.

Parleremo con un amministratore atipico, poiché Maurizio Carta è anche un importante ricercatore (nel 2009 ha aperto a Praga il Forum sull’”Europa creativa” nell’ambito dell’Anno Europeo della Creatività e dell’Innovazione).
Ecco spiegate le strategie urbane della prossima Palermo.

Salvatore D'Agostino Da poco sei stato nominato 'Assessore del Comune di Palermo con delega al piano strategico, al centro storico, alla riqualificazione urbana della costa e ai rapporti con l’università'. Che cosa significa concretamente?

Maurizio Carta Significa impegnarsi in una responsabilità amministrativa che tiene insieme l'opportunità di programmare lo sviluppo della città (attraverso il piano strategico) e la necessità di intervenire su due dei fattori più importanti per la riqualificazione della città: il centro storico e la costa.
È una delega complessa che mi onora e che naturalmente mi consente di mettere a disposizione della città le mie competenze di professore e studioso di pianificazione strategica e urbanistica.
Una ulteriore componente della delega al piano strategico riguarda la necessità di mettere in campo azioni concrete per intercettare i fondi europei o fondi privati per la realizzazione di grandi interventi capaci di imprimere una svolta importante all'economia e, quindi alla qualità, della città.

SD Mi fai qualche esempio di fondi già investiti o da investire per risollevare l’economia palermitana?

MC Nel recupero del centro storico dal 2001 ad oggi sono stati mobilitati più di 230 milioni di euro tra contributi ai privati e interventi sugli edifici pubblici per un totale di più di 450 interventi che hanno attivato importanti economie dirette e indirette nel settore delle costruzioni, del restauro, del commercio e della cultura.
L'immissione nel centro storico di queste risorse pubbliche ha attivato ulteriori 2000 interventi interamente finanziati dai privati. Solo negli ultimi sei mesi sono stati stanziati circa € 1.000.000 per ulteriori interventi sugli edifici comunali e sugli spazi pubblici in centro storico, di cui:
  • € 50.000 per interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sugli edifici comunali;
  • € 200.000 per manutenzione ordinaria e straordinaria sugli spazi aperti;
  • € 240.000 per l’illuminazione stradale;
  • € 400.000 per l’edilizia pericolante.
L'ulteriore intervento di stimolo all'economia riguarderà l'utilizzo di economie per circa 18 milioni di euro che con una delibera ho reso disponibili per utilizzarne circa 6 milioni per interventi pubblici e 12 milioni per ulteriori contributi ai privati.
Per quanto riguarda lo stimolo all'economia che può derivare dal complessivo piano di sviluppo portato avanti con il Piano Strategico stiamo elaborando un parco progetti per circa 400 milioni di euro di cui almeno 40 milioni cantierabili entro un anno.
Le risorse già mobilitate o da spendere sono ingenti, ma insufficienti a risolvere tutti i problemi e a rilanciare la città. Serve infatti che queste risorse costituiscano la base per un "moltiplicatore degli investimenti" che ne triplichi la portata.
Per raggiungere questo importante obiettivo è necessario che tutto il sistema economico e sociale collabori con il sistema istituzionale e le forze congiunte siano focalizzate verso obiettivi comuni con il gusto della sfida piuttosto che restare protetti entro le proprie singole criticità.

SD Come intendi stimolare il dialogo sinergico tra amministrazione, cittadino e imprenditore?

MC In questi mesi ho ascoltato molto la città, sia i suoi abitanti che i suoi imprenditori, gli studiosi e le associazioni, i colleghi assessori e i consiglieri comunali, proprio per capire al di là delle singole questioni e problemi quali fossero gli obiettivi comuni, le sfide da vincere tutti insieme, incrementando la capacità dell'Amministrazione di "governare il mutamento".
I dati sulla situazione economica della città mostrano che non siamo di fronte ad una criticità strutturale, ma a quella che definirei una “crisi di sfilacciatura”, derivata da un ripiegamento su se stessi degli attori istituzionali ed economici, preoccupati più a consolidare la propria efficacia d’azione, di contenere i costi e di mantenere i propri profili di redditività piuttosto che rischiare su obiettivi di sviluppo e di competitività.
È una sorta di “letargo economico” in attesa della bella stagione in cui si potrà tornare a cacciare.
In casi del genere, invece, altre esperienze di città con caratteristiche simili a Palermo dimostrano che bisogna agire per imprimere un impulso forte al modello di sviluppo, non solo con interventi cosiddetti “anticiclici”, ma con un vero e proprio piano di sviluppo che consenta di riannodare il tessuto degli attori istituzionali ed economici e di utilizzare come “leve” le disponibilità e le capacità dei diversi attori, a patto che siano concentrate sui medesimi obiettivi e mirino nella stessa direzione.
È quella che gli anglosassoni chiamano "co-opetition" cioè una cooperazione finalizzata ad essere più competitivi, a contare di più sui tavoli negoziali, ad essere maggiormente presenti sugli scenari sovralocali nei quali si giocano le partite dello sviluppo in un mondo sempre più interconnesso.
È per questo che l’Amministrazione Comunale ha avviato da qualche anno il Piano Strategico per Palermo Capitale con l’obiettivo di definire una vision di futuro che sia capace di agire contemporaneamente sulla competitività, sulla coesione e sulla proiezione internazionale della città.
Il piano è un importante strumento per dare un impulso concreto a quello stimolo del sistema socio-economico non solo perché individua alcuni grandi progetti di sviluppo, ma anche perché costruisce attorno ad essi un forte partenariato che agevola la costituzione del moltiplicatore degli investimenti, oggi assolutamente necessario per ridare ossigeno all’economia della città.
Lo schema generale del piano è stato presentato nei giorni scorsi alle associazioni delle imprese e ai sindacati non solo per una loro condivisione, ma soprattutto per individuare quali sono i progetti attuativi che ogni partner si farà carico di realizzare sotto la regia dell’Amministrazione.
Un altro strumento messo in campo per rafforzare le sinergie tra i diversi attori è stata l’istituzione della Cabina di regia tecnica tra gli Assessorati con il compito di monitorare le sinergie tra i rami tecnici dell’Amministrazione per avere costantemente sotto controllo le priorità entro un quadro generale di coerenza e prospettive di sviluppo, passando da un modello di governo settoriale ed emergenziale ad uno integrato e strategico.

SD Da chi è stato o sarà redatto, il piano integrato e strategico?

MC Il Piano Strategico è redatto da un apposito ufficio di staff della Direzione Generale sotto la mia responsabilità politica come Assessore e in diretta connessione con il Sindaco. L'Ufficio si avvale dell'assistenza tecnica di un raggruppamento di imprese la cui capogruppo è Ecosfera SpA di Roma, una delle più accreditate società nazionali. Le redazione si è anche avvalsa di alcuni contributi scientifici prodotti dall'Università di Palermo e delle idee e proposte provenienti dai numerosi forum e tavoli tematici svoltisi nei mesi precedenti. Per la parte attuativa l'Ufficio del Piano Strategico si avvale delle competenze tecniche dell'Ufficio politiche europee.

(P.S.: i materiali finora prodotti possono essere scaricati dal sito: www.pianostrategico.comune.palermo.it)

SD Come riesci a conciliare questa tua doppia veste di assessore e progettista del masterplan dell’area portuale?

MC Non credo che oggi le due posizioni siano conflittuali. Il progetto per il Masterplan dell'area portuale è stato concluso nel luglio 2008 ed oggi l'Autorità Portuale ne sta portando avanti l'approfondimento e l'approvazione in autonomia e con le responsabilità che le compete in funzione della sua chiara giurisdizione sull'area portuale.
Oggi io sono più interessato e sento maggiormente la responsabilità di guidare gli inevitabili processi di trasformazione delle aree di interfaccia città-porto e delle aree urbane immediatamente a ridosso dell'area portuale. E' importante che l'Amministrazione Comunale proceda con celerità nella pianificazione integrata delle parti di città che si pongono a complemento delle nuove funzioni portuali, prevenendone le pressioni, mitigandone i rischi di una trasformazione che ne degradi l'identità.
La città che si affaccia sul mare è densa di stratificazioni storiche e di aree in dismissione, che, se non correttamente pianificate, rischiano di subire trasformazioni non coerenti con la loro natura, con la loro sensibilità e con le loro reali opportunità. Per questo motivo ritengo che sia un errore spogliarsi di un atto di indirizzo verso le aree di rigenerazione urbana legate alle parti "liquide" e "spugnose" del porto, in un'ottica progettuale che abbracci l'intera costa e non solo quella legata al porto. Aver approfondito le questioni progettuali della riqualificazione di un'area portuale, aver studiato e interpretato numerosi casi di studio internazionali mi consente, come amministratore pubblico, di sapere quali siano le criticità in agguato e quali possano essere le soluzioni per risolverle in anticipo piuttosto che inseguire le emergenze o seguire i tempi dettati dagli operatori economici.
Nelle trasformazioni dei waterfront è indispensabile che la regia sia saldamente nelle mani pubbliche, accompagnata da capacità di visione.

SD Che cosa intendi per identità che non deve essere degradata? Mi fai qualche esempio concreto?

MC Le aree di contatto tra costa e città posseggono caratteristiche storiche e identità consolidate nel tempo che costituiscono un "vincolo" agli scenari di trasformazione.
Ad esempio il Borgo Vecchio, o le borgate marinare di Sant'Erasmo, dell'Acquasanta e dell'Arenella possono proficuamente essere riqualificate attingendo alle opportunità offerte dal miglioramento dei porti antistanti a patto che il loro processo di trasformazione non ne eroda l'identità prevalente, che non vengano sottoposte a processi di "gentrification" tali da farne oggetto di una pressione insostenibile del mercato immobiliare. La loro identità storica deve invece essere preziosa risorsa per il progetto, offrendosi come un complemento dell'esperienza turistica. Come sta avvenendo con il parco archeologico del Castello a Mare il cui restauro è oggi un formidabile attrattore per il porto della Cala.
Altre aree delicate in cui il progetto di valorizzazione dovrà tenere conto dell'identità sono la Foce dell'Oreto o i Mandamenti Tribunali e Castello a Mare del centro storico che richiedono un piano di recupero che non perda il fondamento della conservazione pur agevolando alcuni processi di trasformazione verso la contemporaneità degli usi.

SD Come sono o saranno affidate le progettazioni di carattere pubblico?

MC La questione della progettazione è sempre un nodo delicato degli interventi pubblici perché si incrocia con le difficoltà di finanziamento autonomo da parte del Comune e la necessità di ricorrere a fonti finanziarie regionali, statali o comunitarie.
Inoltre le nuove norme sugli appalti pubblici rendono più difficile ricorrere a professionalità esterne in assenza di una copertura di spesa della progettazione.
Per questo motivo per quanto riguarda gli interventi pubblici in centro storico negli ultimi anni si è progressivamente potenziato l'Ufficio che ha ormai una esperienza quasi ventennale nella progettazione delle opere pubbliche e nella sensibilità dell'approccio ai temi del restauro architettonico, spesso collaborando con l'Università di Palermo.
Per il futuro il mio auspicio è quello di poter ricorrere per alcune grandi opere di riqualificazione alla partnership pubblico-privato in modo da allargare i soggetti professionali coinvolti nella progettazione, portando e scambiando esperienze, ma soprattutto vorrei inaugurare una stagione di concorsi di progettazione che consentano di far sperimentare su Palermo le migliori professionalità locali, nazionali e internazionali in un mix di energie, di competenze e di scambio generazionale.
Tuttavia, va ricordato che anche per i concorsi esistono le criticità di finanziamento di cui ho parlato prima, le quali potrebbero essere superate utilizzando una sorta di "fondo di rotazione" per la progettazione che andrebbe rimpinguato man mano che le opere vengono finanziate. Anche la collaborazione con l'Università di Palermo e gli Ordini professionali degli Architetti e degli Ingegneri porterebbe sicuramente buoni risultati creando un milieu professionale di alta qualità e alimentando la nascita di atelier di progettazione dedicati ai grandi interventi pubblici a Palermo.

SD «Nell’Italia meridionale non si leggono libri. La classe dirigente, la piccola borghesia, la classe produttrice, i politici locali, non leggono libri. […] Perché dove non si leggono libri non c’è architettura. C’è la barbarie. Le mani sulla città, l’abusivismo fatto norma, la convivenza fatta gesto quotidiano, la speculazione fatta guadagno. C’è una città bellissima, Palermo, che ha demolito negli anni Sessanta, nel giro di pochi giorni, molte fra le più belle ville liberty italiane, risparmiando quasi per caso alcune rare opere di Ernesto Basile, l’ultimo architetto siciliano che dava del tu all’Europa, per costruire quartieri e quartieri identicamente aberranti, distruggendo la mitica Conca d’Oro in nome (e su incarico) della sua media borghesia. Che non legge libri. Al Sud, nel mio Sud che mi scorre nelle vene, dobbiamo dirlo, il Novecento non è arrivato. S’è fermato a Basile. Il suo popolo il Novecento l’ha conosciuto emigrando: a Milano, a Genova, a Torino. Al Lingotto, nella fabbrica mostro della FIAT». Gianni Biondillo [1]

MC Rispondo alle domande da Amsterdam, città dove si è sempre letto molto e dove l'architettura di qualità è panorama quotidiano, dove i quartieri vengono costruiti dall'intreccio fecondo tra competenza professionale degli architetti e capacità creativa degli abitanti. Un intero quartiere della nuova isola di IJburg è in costruzione in questo modo, con la consapevolezza dei suoi abitanti di vivere la contemporaneità, di abitare una società liquida che miscela invece di separare, rendendoli capaci di apportare una visione personale al masterplan.
La lettura, la conoscenza in generale, è un formidabile strumento del progetto di architettura, ma anche del miglioramento dei committenti, necessaria componente per la qualità della città.
«Dall'origine delle cose fino a tutto il quindicesimo secolo dell'era cristiana, l'architettura è il grande libro dell'umanità. (...) Fu anzitutto alfabeto. Si metteva una pietra dritta, ed era una lettera, e ogni lettera era un geroglifico e su ogni geroglifico poggiava una serie di idee come il capitello su una colonna». Così inizia uno dei capitoli più intensi di "Notre Dame de Paris" di Victor Hugo, vera apologia della funzione comunicativa dell’architettura.
La città, le sue architetture e le sue opere d’arte sono sempre state l’espressione di una volontà comunicativa con evidenti finalità didascaliche. La città occidentale si ricopre di segni, gli edifici si caricano di sculture, si arricchiscono di colori, producendo un ritmo urbano che offre una potente struttura comunicativa e che trasforma la città in un organismo semiotico capace di creare nuovi modi di viverla, di attraversarla, di utilizzarla in funzione dei messaggi emanati dalle sue componenti architettoniche ed artistiche.
È questa fitta rete di relazioni tra conoscenza, formazione ed urbanistica che tiene saldo il legame tra la mia attività di studioso, di docente, di professionista e di amministratore: ognuno di questi punti di vista arricchisce gli altri e ne tempera gli assolutismi.

SD «L’Italia è uno strano paese in cui si sperimentano bizzarre onorificenze, per le quali cavaliere del lavoro invece di essere un bracciante, anche analfabeta, che per trent’anni si è spaccata la vita in una miniera tedesca pur di riuscire a costruirsi una casa a Palma di Montechiaro, è invece un appaltatore che riesce a trovare fantasia e modo di moltiplicare la sua ricchezza. Tutto questo in un paese dove la gestione e la moltiplicazione della ricchezza, la grande fortuna economica o finanziaria, per struttura stessa della società politica, deve fatalmente passare attraverso un compromesso costante con il potere, con i partiti che sostanzialmente amministrano la nazione, con gli uomini politici o gli altissimi burocrati ai quali i partiti delegano praticamente tale funzione, lo spirito di nuove leggi e decreti, la scelta delle opere pubbliche, l’assegnazione degli appalti. Chi afferma il contrario è candidamente fuori dal mondo oppure è un amabile imbecille». Giuseppe Fava [2]

«Giornalista: Cos’è la mafia, per i figli di colui che è all’ergastolo quale capo della stessa mafia, accusato di stragi d’innocenti e di giudici oltreché di mafiosi?
Angelo Provenzano figlio del boss mafioso Bernardo: Cos’è la mafia? Bella domanda... Sono ancora oggi alla ricerca di una risposta definitiva. Di primo acchito mi verrebbe da dire che è un atteggiamento mentale. La mafia viene dopo la “mafiosità” che non è comportamento solo ed esclusivamente siciliano. La mafiosità si manifesta a cominciare dalla raccomandazione per arrivare prima a fare una lastra o ad avere un certificato in Comune. Ancora mi chiedo dov’è il limite, tra mafia e mafiosità. Tra l’organizzazione criminale, per come la intende il codice penale, e l’atteggiamento mentale, per come la intendono i siciliani. È il vecchio discorso dell’uovo e della gallina. Secondo me la mafia è un magma fluido che non ha contorni definiti. Per il codice la mafia è un’associazione per delinquere, e su questo non discuto e non entro nel merito. Ma non si può ridurre tutto a persone che sparano. Piuttosto, a proposito di mafia, mi chiedo quale ruolo ha ricoperto lo Stato. Che ruolo ha avuto in avvenimenti inquietanti come la strage di Ustica o Bologna, o per restare in Sicilia con la morte del bandito Giuliano. Per sapere una versione diversa da quella letta sui libri di scuola su Giuliano abbiamo dovuto aspettare 50 anni, per conoscere quella su mio padre quanto tempo ci vorrà?» [3]

Nei tuoi libri affermi che la città del futuro sarà sempre più una ‘città della cultura’
[4] c’è una strategia nel tuo assessorato per cambiare quello che la regista Emma Dante chiama il ‘sud dell’anima’?

MC La mafia, al di là dei profili inequivocabilmente illeciti e penalmente perseguibili, è spesso stata paragonata ad un cancro della società, ad un tumore che attacca il tessuto civile delle comunità meridionali (anche se la globalizzazione ha interessato anche la criminalità mafiosa) e che ne indebolisce il “patto di cittadinanza”. Come ogni tumore, la mafia non solo è un’orrenda escrescenza nella società civile e nelle istituzioni, fagocita il tessuto professionale, annerisce quello culturale e annienta quello economico, ma produce metastasi che invadono l’organismo, ne attaccano altri organi fino al buio della morte, nel nostro caso civile, culturale ed economica. La cura – sempre difficile, costantemente sperimentale e testardamente quotidiana – deve essere contemporaneamente la rimozione chirurgica (attraverso la persecuzione dei reati), la radioterapia (attraverso il controllo costante e l’innalzamento delle soglie di attenzione), ma soprattutto dobbiamo essere in grado – noi amministratori – di utilizzare la più innovativa e creativa “terapia staminale”, immettendo cellule di qualità nel corpo per renderlo resistente all’insorgenza della cancero-mafia. Cellule staminali che abbiano nel loro Dna sano una potente etica pubblica, un rigoroso senso della responsabilità, un espansivo senso della cooperazione e una protettiva innalzamento della soglia di qualità.
Non si tratta solo quindi di “curare” o “prevenire”, ma soprattutto di fortificare l’organismo, forse anche modificarlo geneticamente in senso positivo, per renderlo più resistente, auto-immune all’accettazione dell’insorgenza della prima cellula impazzita, fosse anche l’accettazione di una scorciatoia, di un regalo o di una facilitazione non dovuta.
E non dimentichiamo che le prime cellule con il Dna di qualità vengono innestate attraverso la scuola e l'università, nei confronti delle quali massimo deve essere il nostro impegno per la sua efficacia educativa.
Per quanto riguarda il potenziamento di “Palermo città della cultura” sto mettendo in campo alcune strategie che ne potranno facilitare la realizzazione.
Una prima strategia è la collaborazione con la Regione Siciliana e la Fondazione Banco di Sicilia per la recente presentazione della Candidatura del percorso tematico arabo, bizantino e normanno come Patrimonio dell’Umanità della World Heritage List dell’Unesco. Un percorso culturale che coinvolge 10 siti a Palermo, oltre al Duomo di Monreale e quello di Cefalù.
I vantaggi dell'eventuale inserimento nella lista sono indiscutibili: la Sicilia salirebbe al primo posto, insieme con la Toscana, per numero di siti Unesco, e si moltiplicherebbero quindi i flussi turistici legati alla certificazione dell’Unesco e si attiverebbero i processi gestionali di qualità che l'Unesco impone nei siti riconosciuti, tra cui la creazione di una sorta di “distretto culturale” con standard da rispettare anche nella ricettività e nella comunicazione, oltre che nella gestione.
Infine, per Palermo, il riconoscimento mondiale di un patrimonio culturale indissolubilmente connesso con l’identità culturale del centro storico accelererebbe i processi di rigenerazione urbana che l’Amministrazione ha avviato da tempo e che ha deciso di rilanciare ulteriormente con la revisione del Piano particolareggiato, il quale costituirebbe un documento preliminare di forte impatto per la redazione del “Piano di gestione” del sito Unesco, oggi presupposto indispensabile per l’inserimento nella lista.
Una seconda strategia è sintetizzata in un progetto che ho presentato all’Assessorato regionale dei beni culturali per il finanziamento, e che mira a realizzare in una parte del centro storico un “distretto culturale integrato”, mettendo a sistema la realizzazione di alcuni restauri e la presenza di alcuni spazi che oggi si offrono come centralità culturali (la Fonderia, il Castello a Mare, lo Steri, i Crociferi, l’Oratorio dei Bianchi, lo Spasimo, etc.) ma che necessitano di agire in filiera, non solo con un palinsesto comune di attività, ma soprattutto accogliendo tutte le funzioni di una efficace filiera culturale: valorizzazione, comunicazione, educazione, servizi, produzione.
Ritengo che la realizzazione di un distretto culturale possa facilitare la concretizzazione di quel “moltiplicatore” che è indispensabile per accelerare il recupero del centro storico, non solo stimolando i privati, ma incrementando la sinergia di tutti i micro e medi operatori culturali già presenti che nelle loro eroiche solitudini non riescono a produrre gli esiti desiderati. In questa direzione va l’accompagnamento che il mio Assessorato sta attuando nei confronti della nascita e potenziamento del Consorzio “Piazza Marina e dintorni”, nato come centro commerciale naturale e oggi rapidamente evolutosi in un’associazione di interessi culturali prima che commerciali, sociali prima che produttivi: un agente integratore importante per la realizzazione della città della cultura.

SD Com'è andata a finire con i ponti di Dominique Perrault?

MC La realizzazione dei ponti di Perrault, sia per la loro funzione che per il loro ruolo di landmarks, è sempre un obiettivo dell’Amministrazione e il Sindaco ha dato mandato alla Cabina di regia degli Assessori tecnici di mettere in atto tutte le sinergie per ottenere il loro finanziamento.
Recentemente sono stati inseriti nella programmazione dei fondi CIPE e dei fondi comunitari dell’Asse VI del PO-FESR in modo da verificare le condizioni concrete per la loro progettazione definitiva e realizzazione.

SD Qual è la tua speranza?

MC La mia speranza è che Palermo, oltre che tornare ad essere “felicissima” e “splendida” (due degli attributi storici della città) ambisca con decisione ad essere “orgogliosa”: una città vitale, creativa ed attiva che sappia competere con grande capacità e qualità nello scenario delle città europee più dinamiche e sostenibili. Nei mesi scorsi ho fatto inserire Palermo nel gruppo istituzionale europeo per la sperimentazione dei principi della Carta di Lipsia sulle città sostenibili, processo che ci permetterà di migliorare la nostra azione e di confrontarci con altre esperienze più virtuose da cui imparare.
Infine della speranza posso dire quello che Thomas A. Edison diceva della genialità: essa è 1% ispirazione e 99% traspirazione. Per ricordarci sempre che solo se la speranza sarà accompagnata dal sudore quotidiano per la sua concretizzazione essa abbandonerà la fragilità di un desiderio per assumere la forza del progetto.

28 marzo 2010

Intersezioni --->CON GIUSTIZIA

Come usare WA ---------------------------------------------------Cos'è WA

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Note:
[1] Gianni Biondillo, Metropoli per principianti, Guanda, 2008, p. 70 e p. 72

[2] Giuseppe Fava, I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa, pubblicato originariamente nella rivista "I Siciliani", n. 1, nel gennaio 1983. Un anno dopo Giuseppe Fava fu assassinato dalla mafia.

[3] Gian Marco Chiocci, "Noi, figli di Provenzano, assolviamo il papà", Il Giornale, 1 dicembre 2008

[4] Maurizio Carta, 'Next city: culture city, Meltemi, Roma, 2004

22 marzo 2010

0009 [FUGA DI CERVELLI] Colloquio Polonia ---> Italia con Aleksandra Jaeschke

di Salvatore D’Agostino

Fuga di cervelli è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista'.

La corruzione dell'identità multipla in un’Italia che ama architettonicamente il calcistico 'catenaccio'. Una formazione europea, l'architettura come network e l'Italia vista e costruita giocando.









Salvatore D’Agostino Aleksandra Jaeschke di anni..., originaria di..., migrante a ..., qual è il tuo mestiere?

Aleksandra Jaeschke

età: 33 anni;

originaria di: Stalowa Wola (Polonia) anche se sono stata sempre migrante e questo ha tanta importanza. Direi che la mia città di origine è Poznan ci sono andata al liceo e ci torno per trovare i miei genitori ma non ci abito da 15 anni;

migrante: a Siracusa prima sono stata a Varsavia, poi a Londra e Barcellona;
qual è il tuo mestiere: architetto.

Qual è stata la tua formazione? 

Al penultimo anno di liceo ho cominciato a prepararmi per entrare in una facoltà di architettura. Volevo però andare a studiare all'estero. Cercando delle borse di studio ho trovato un concorso per studiare grafica a Londra in un college americano. Ho deciso di partecipare anche se non era quello che volevo fare. Ho vinto il concorso ma ho deciso comunque d'iscrivermi in una facoltà di architettura in Polonia per poter tornare in qualsiasi momento.

Mentre mi preparavo per Londra, frequentavo i corsi a Varsavia. Questi tre mesi passati nella facoltà mi hanno fatto capire il sistema dell’insegnamento polacco - secondo me molto vicino alle scuole italiane -. Non ero molto entusiasta, eravamo in troppi e i corsi erano molto teorici e poco sperimentali. Non si giocava. Così sono partita per Londra. Ho frequentato il college americano per due anni per ottenere una piccola laurea “Bachelor of Arts in Visual Communication”. La scuola non era molto stimolante ma ho conosciuto degli insegnanti che mi hanno fatto capire come muovermi a Londra, aiutandomi a crescere. Uno di questi professori mi ha fatto scoprire l’Architectural Association (AA) e mi ha aiutato a ottenere una borsa di studio. Passati gli esami sono entrata al primo anno (mentre completavo ancora l’altro corso), se ricordo bene era il 1999.

La AA mi ha cambiata e ha cambiato il mio modo di pensare l’architettura. Anzi, “mi ha imposto il suo” - un concetto fortemente anglosassone e sperimentale. La cosa incredibile della AA è che in questa scuola si gioca ma si gioca sul serio.
Durante i miei primi tre anni alla AA ho lavorato part-time per uno grosso studio americano Gensler. Questo mi ha permesso di scoprire il mondo della professione, il mondo reale, direi iper-reale.
Al secondo anno ho vinto una borsa di studio grazie alla quale ho passato un mese alla British Academy in Rome. Questo è stato il mio primo soggiorno in Italia.

Mi sono laureata nel 2005. Il periodo della tesi è stato molto duro ma anche il più importante per la mia formazione. Si potrebbe dire che in questi due anni sono diventata l’architetto che sono adesso.
Dopo la laurea ho tentato di avviare uno studio di architettura con Andrea Di Stefano e altri due architetti, tutti laureati alla AA. Abbiamo lavorato insieme a diversi concorsi per sei mesi. Durante questo periodo abbiamo capito che non volevamo rimanere a Londra e ci siamo trasferiti come studio ACAB a Barcellona (aprile 2006-marzo 2007). Durante il soggiorno a Barcellona sono stata invitata a far parte di OCEAN (prima Ocean North) un network internazionale per la ricerca nel campo di architettura. Nel frattempo il gruppo ACAB si è sciolto.
Dopo questa esperienza sono venuta a Siracusa per partecipare al concorso Europan 9, edizione del 2007. Siracusa era una delle città partecipanti poiché insieme a Andrea Di Stefano avevamo già lavorato sulla stessa zona precedentemente, abbiamo deciso di partecipare.

Finito il concorso ci siamo dedicati alle attività di ricerca di OCEAN. Abbiamo fatto mostre, istallazioni, workshop e progetti insieme ad altri membri del network. Questo ha comportato tanti viaggi.
Nel 2008 insieme a Andrea Di Stefano abbiamo aperto lo Studio Aion
Ufficialmente lo studio esiste dall’aprile 2008 anche se AION è un nome che usiamo per le nostre attività di ricerca dal 2002.

Hai lavorato per il più grosso studio di architettura nel mondo 'Gensler' un’azienda con un organico con più di 1200 architetti. In Italia non c'è uno studio così strutturato tra i primi 50 in Europa. Ci puoi parlare di questa esperienza? 

È stata un'esperienza relativamente poco importante per la mia formazione. Ho visto come funziona un’azienda ben strutturata e dove si ha accesso a tutte le consulenze immaginabili. Ho imparato cosa significa la professionalità e come si organizza lo studio per renderlo molto produttivo. Sfortunatamente ho partecipato poco allo sviluppo dei progetti visto che ero ancora all'inizio della mia formazione. Comunque la mia impressione è che allo studio mancava la coerenza architettonica che normalmente si sviluppa intorno ad una e diverse figure di riferimento - Gensler non ha l’impronta di un architetto fondatore - per questo la chiamo un’azienda.

Del tuo racconto mi ha colpito un verbo ‘giocare’ che usi due volte, raccontando della tua esperienza all'interno dell’università polacca dove «Non si giocava» e della formazione all'AA dove: «in questa scuola si gioca ma si gioca sul serio». 
Che cosa intendi per gioco? 

Per gioco intendo un approccio alla progettazione che fa parte integrante del modello d'insegnamento anglosassone.
La scuola che ho fatto è impostata intorno ai laboratori di progettazione. Normalmente durante l'anno si fa un progetto solo. Il lavoro comporta tantissimi sperimenti – si fanno disegni, plastici, film, happening, interviste, diagrammi. Tutto quello che può aiutare a osservare, interpretare e canalizzare i processi in corso, per capire i materiali con cui si lavora. Si fanno tantissime cose che sembrano assurde e slegate dall'architettura per trovare nuovi modelli, nuove modalità di leggere e di trasformare lo spazio. La domanda che viene posta è: “Come funziona?” piuttosto che “Cos'è?”
Bisogna affrontare le cose con la mente di un bambino che vede le cose per la prima volta per poi smontarle e rimontarle in un modo diverso. La libertà' e spregiudicatezza con cui si fanno le cose ne fa un gioco ma è un gioco serio perché deve diventare un sistema di relazioni rigoroso, un modello ad alta prestazione.
Alla fine dell'anno si deve difendere il lavoro di fronte ad una giuria dei professori per poter passare all'anno successivo. Questo ne fa un gioco molto serio :-)

Com'è organizzato Ocean e che cosa intendi per network internazionale? 

Ocean è un organizzazione non profit che si dedica alla ricerca nel campo di architettura, urbanistica, design e altre discipline legate all'ambiente e allo spazio. Raggruppa diversi professionisti, non solo architetti. I membri del gruppo lavorano insieme su progetti di ricerca, spesso attraverso università affiliate, organizzano workshop, mostre e pubblicazioni. Lavorare in una rete di liberi professionisti e accademici ha un enorme potenziale perché connette delle competenze e dei modi di lavorare che provengono da diversi ambienti che normalmente non si incrociano. Ognuno porta con se non solo il suo bagaglio culturale e professionale ma anche l'accesso a delle competenze e conoscenze diverse.
Il modo in cui si svolge il lavoro di questa rete dipende dal progetto. Alcune volte abbiamo dovuto spostarci per poter lavorare insieme nello stesso posto (questo funziona meglio per i progetti di breve durata, per esempio concorsi). Altre volte abbiamo lavorato tramite internet, ogni tanto organizzando delle video conferenze per poter discutere lo sviluppo del progetto. Nella maggior parte dei casi c'è una persona o un gruppo che propone un progetto e poi si occupa della sua gestione e gli altri contribuiscono in una maniera mirata – lavorando su un aspetto specifico del progetto, su richiesta del responsabile del gruppo.

Il gruppo non è gerarchico, tutti possono proporre delle attività e essere il capogruppo di un progetto. La struttura che esiste all'interno della rete serve solo per facilitare l'amministrazione.
Io ho partecipato alle attività del gruppo per due anni, lavorando, per esempio, sul concorso per la nuova biblioteca di Praga (New Czech National Library in Prague, OCEAN NORTH and Scheffler + Partner, 2006), un'istallazione a Oslo (Barely - Sound-Active Installation, 2007), una mostra a Orleans (OCEAN - Conception Performative, FRAC Centre, Orleans, 2008) e alcuni workshop.

Il tuo ultimo progetto?

Una casa unifamiliare. Nel progetto tutto scaturisce dal semplice atto di impilare e slittare le travi in legno lamellare. Abbiamo cercato di limitare uso di acciaio, inserendo il minimo necessario all'interno dello spessore di legno.
La sezione delle travi, ridondante dal punto di vista strutturale, permette il controllo di altre dinamiche: condizioni termiche, problemi legati all'usura del materiale, l'umidità o l'acustica. Le pareti laterali vengono bucherellate in una maniera apparentemente casuale ma il sistema rispetta rigorosamente le esigenze luminose.
Questo stabilisce uno stretto legame tra la struttura, il materiale e le condizioni interne – nella sua semplicità volumetrica e funzionale la casa stabilisce dei rapporti specifici con il suo ambiente - una monade che assorbe il mondo esterno per capire meglio vedi qui.

L'undici settembre 2005 sul Corriere della Sera è stata pubblicata una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica (ndr in quel periodo era Carlo Azeglio Ciampi) firmato da 35 architetti italiani ti riporto l’incipit:
«L'architettura italiana attraversa una situazione drammatica. Mentre in altre nazioni europee, in particolare in Francia, in Germania, in Spagna, negli ultimi decenni sono state realizzate grandi opere di interesse sociale che hanno trasformato sensibilmente l'ambiente urbano mettendo a disposizione dei cittadini nuovi servizi che esprimono lo spirito del nostro tempo, in Italia iniziative del genere si contano sulle dita, mancano di una meditata programmazione e si devono quasi sempre all'intervento di architetti stranieri. Nel riconoscere il carattere positivo dell'apporto di forze culturali esterne non si può fare a meno di notare che una delle ragioni della preferenza loro accordata si deve alle realizzazioni compiute, realizzazioni per le quali in Italia sono mancate le premesse concrete, con la conseguenza di aver privato gli architetti italiani di quelle occasioni di lavoro che avrebbero permesso loro di offrire un contributo originale all'attuale stagione di rinnovamento della architettura.»1
In Italia non si fa ricerca. Agli architetti manca un metodo coerente con i tempi. Manca un rinnovamento nell'ambito universitario.
Gli architetti italiani non dovrebbero essere allarmati perché gli stranieri gli rubino il lavoro ma perché il loro lavoro venga svolto da altri professionisti ad un prezzo ribassato e in una maniera mutilata. Servirebbero dei cambiamenti nella legislazione. La professione si è impoverita anche perché è scomparsa dalla scena politica. Nei programmi dei partiti politici non si parla mai della città come potenziale ambito di rinnovo sociale. Non si parla dell'ecologia urbana. Manca un rinnovamento politico. Io mi auguro più stranieri in Italia e più italiani all'estero. Una contaminazione creativa e produttiva.

L'ultima domanda è contenuta in questa foto:
Interno Duomo di Siracusa foto di Salvatore Gozzo










Una grande lezione di architettura. Un giusto equilibrio tra il rispetto che uno porta per il passato e quello che ha per il futuro. Magnifico modo di operare sulla storia senza scordarci delle necessità di oggi. Sarebbe bello poter pensare che questo processo non sia finito e che questo edificio possa mutare con i tempi. Ci vorrà rispetto, coraggio e tanta spregiudicatezza.

22 marzo 2010
Intersezioni ---> Fuga di cervelli
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Note:
1 L'appello degli architetti italiani, Corriere della Sera, 11 settembre 2005. (Qui per capire)

15 marzo 2010

0027 [MONDOBLOG] ELMANCO guadagnare con un blog?

di Salvatore D'Agostino

Come di consueto avevo già introdotto questo colloquio ma per motivi di cronaca la pubblicazione era stata rinviata.
Stefano Ricci era il curatore del blog ELMANCO chiuso a tempo indeterminato il 23 giugno 2008. Nel dialogo che seguirà trovate la sua storia e alcune riflessioni sulle possibilità di guadagnare o meno attraverso un blog.

Salvatore D’Agostino Qualche mese fa ho letto il tuo articolo di addio dal mondo dei blog. Del tuo racconto mi ha colpito la fiducia nei confronti di un mezzo che per molti anni è stato mediaticamente considerato una possibile alternativa al classico lavoro. Come racconti, anche se ELMANCO ha avuto un discreto successo, 40.000 visitatori unici assoluti e 90.000 pagine visitate al mese, non è bastato per diventare un lavoro.

Eppure nella rete, ci sono molti blog, che ogni giorno, postano le norme per diventare un blogger lavoratore, liste e liste di buoni script e consigli.
Il giornalista Floyd Norris dice:

«Internet è il futuro, non provate a cercare lavoro in questo campo, però.»1
Possiamo affermare che l’entusiasmo del giornalismo Web con i suoi consigli di scrittura in pillole, semplice, immediata, accattivante ovvero quell’arte del costruire il post linkabile è una grande presa in giro?


Stefano Ricci Non conoscevo la frase di Floyd Norris che hai citato, ma pare una bella sintesi delle considerazioni a cui sono giunto negli ultimi tempi.
È possibile che in questo momento abbia una visione sbilanciata, ma sono convinto che internet si stia divorando i classici posti di lavoro senza offrire in cambio adeguate alternative.
Internet è un’eccezionale libreria, uno strumento di grande utilità che proprio grazie alle sue potenzialità possiede un fascino ammaliatore da soppesare costantemente.
Per l’utente i vantaggi rispetto ai precedenti tipi di media sono evidenti: possibilità di informarsi in ogni ora e luogo, facilità nel reperire dati vecchi di anni, nessun ingombro e vincolo di peso o spazio, capacità non solo di ricevere ma anche di trasmettere le proprie informazioni a costo zero etc, etc…
Scoprire nel 2005 i primi blog che si occupavano di design e grafica, e contattare autori americani che vantavano migliaia di lettori, ebbe su di me un effetto inebriante. Intuii subito, come giustamente afferma Floyd Norris, che quello era il futuro della comunicazione, ma per rendermi conto come si sarebbe svolto il lavoro in questo “futuro” ho impiegato qualche altro anno.
L’attualità dimostra come molti degli abituali consumatori di giornali, riviste ed altri servizi offline si siano spostati su servizi simili disponibili online ad un prezzo di gran lunga inferiore. Altrettanto evidente è che i posti di lavoro persi nel ridimensionamento delle attività offline non siano stati sostituiti in egual misura dalle analoghe attività online.


I grandi editori ripetono che serve trasformarsi, che internet non va demonizzato e che ci sarà sempre spazio per il giornalismo di qualità retribuito. Concordo, ma aggiungo che in questo processo un bel po’ di gente perderà il suo posto di lavoro, perché le economie di scala consentite dal web sono straordinarie e la pubblicità online è poco efficace. Non c’è nulla da fare.

Due punti di forza di internet, inscindibili dalla sua stessa natura, sono la riproducibilità dei contenuti e la libertà di scelta. Non è possibile obbligare qualcuno a sorbirsi la pubblicità quando può trovare contenuti pressoché identici su una fonte che ne è priva, un banner non avrà mai la forza persuasiva di uno spot televisivo ed i messaggi pubblicitari non saranno mai oggetto di appassionate discussioni tra i lettori.

Il web è democratico: chi lo merita ha visibilità, e chi cerca di farsi spazio con la forza ha vita dura.
Un'informazione depurata dalla pubblicità è un grande progresso per il lettore, ma per il giornalista ed altre figure professionali, diventa più difficile portare a casa lo stipendio.

Naturalmente più difficile non significa impossibile; ecco, credo che il salto di qualità necessario per chi vuole lavorare nel web sia non avere il piglio del “giornalista” o del “blogger” ma quello dell’IMPRENDITORE.


Nel web formule di facile successo non esistono, c’è molto da fare ed inventare ma il talento non è sufficiente, servono una pazienza, una costanza ed una capacità di assumersi rischi che non tutti possiedono, o che semplicemente non tutti vogliono tirar fuori in cambio di una retribuzione standard.

Chris Anderson direttore di Wired e teorizzatore della ‘coda lunga’ nel suo ultimo libro parla dell’economia ‘Gratis’ sul Web:

«È soltanto la natura del mondo ibrido in cui stiamo entrando, dove scarsità e abbondanza coesistono fianco a fianco. Siamo bravi a pensare in termini di scarsità: è il modello organizzativo del Ventesimo secolo. Ora dobbiamo diventare bravi a pensare all'abbondanza.»2
Due processi ideativi complanari la scrittura classica ‘da pagare’ (scarsità di divulgazione) e scrittura Web ‘gratuità’ (abbondanza di divulgazione).

Siamo nell'epoca della complanarità occorre rivedere tutto in funzione dei nuovi paradigmi (termine che non condivido poiché non esiste un nuovo ma solo una trasformazione quotidiana dei processi culturali/ideativi/lavorativi). 
Chris Anderson, non ha dubbi, il mercato di oggi si deve confrontare con la ‘gratuità’ e l’abbondanza senza far ricorso ai vecchi meccanismi imprenditoriali.  Nel Web non esistono strategie di marketing di successo ma intuizioni, spesso banali, che diventano attività commerciali a volte di grande successo.  Sembra un paradosso ma per trovare lavoro attraverso un’attività sul Web devi fornire un prodotto gratuito. 


È sbagliato pensare che aprendo un blog si possa avere un’indipendenza economica, perché chi ti offre le possibilità di guadagno, ad esempio Adsense di Google, gestisce spesso la tua stessa piattaforma, ti garantisce che per ogni accesso sui banner pubblicitari ti pagano (nell'ordine di pochi centesimi ), in sintesi: significa che diventi dipendente di un sistema ‘gratuito’, significa che lavori per Google, significa che non hai nessun potere sulla qualità delle inserzioni, significa lavorare senza nessun contratto e garanzia sul lavoro. 

L’economia basata sul ‘gratis’ implica dei lavoratori non pagati, chi sono?


Posto così il problema sembra senza soluzione: chi sono questi folli disposti a lavorare gratis o quasi, e senza nessuna garanzia per il futuro?
La risposta si trova spostando il punto di osservazione: queste persone sono convinte di NON stare lavorando, ed accrescono la massa di informazioni disponibili solo per divertimento, passione ed autorealizzazione.
È chiaro che la maggior parte offrirà la propria opinione e la propria esperienza su un determinato argomento senza produrre contenuti originali rilevanti, ma tra le migliaia di voci disponibili, qualcuna di davvero interessante è destinata ad emergere, grazie alle enormi economie di scala ed alle possibili iterazioni offerte dalla rete.
Esiste anche un certo numero di blogger che vuole fare di questa attività un lavoro concreto, ma sono ben pochi quelli che ci riescono, e tutti gli altri sono destinati a cercare diversi equilibri.
L’approccio migliore è quello di vedere il blog come uno strumento di pubbliche relazioni: un’opportunità di confronto e di vetrina delle proprie conoscenze e competenze che può arricchire le proprie, ben più preziose, esperienze “offline”.

Com'è nato ELMANCO?

ELMANCO è nato alla fine del 2005. Una mezza era geologica fa per quanto riguarda il Web, quando la parola “blog” era sconosciuta al 90% dei coetanei con cui parlavo, ed i blog italiani dedicati al design, alla grafica ed alla creatività si contavano sulle dita di una mano.
Esistevano altri siti ed altre modalità per trattare questi argomenti, ma la struttura del blog si è dimostrata più adatta grazie alla valorizzazione che dà all'immagine, alla semplicità di navigazione dello scroll verticale ed alla visibilità garantita da Google e dai blogroll.
Io lavoravo per uno studio multidisciplinare che si occupa di interior design, immagine coordinata e Web, e nel corso del 2005 avevo l’incarico di curare una rubrica di design all'interno di un freepress.
Non ero ancora molto avvezzo all’uso del web, ma attraverso la ricerca condotta per il freepress mi resi conto delle straordinarie potenzialità della blogosfera americana. Sono sempre stato un avido consumatore di libri e riviste di grafica e design, e scoprire siti come moNoloco, The cool hunter e Cool hunting fu stupefacente per la quantità e la qualità delle informazioni disponibili.
Inoltre era possibile interagire con gli autori, commentare e suggerire!
Entrai in contatto con Josh Spear, il “giovane emergente” del settore e gli passai diverse segnalazioni per articoli poi pubblicati sul suo notissimo blog.
A quel punto si fece strada l’idea di mettermi in proprio, sfruttando il buon database di conoscenze e contatti accumulati in quell'anno, e forte del fatto che a quei tempi gli unici blog italiani del genere erano il defunto Caymag e Coscablog. Ero certo che in futuro la comunicazione si sarebbe spostata su questi canali, ed essere uno dei primi a marcare il territorio avrebbe portato indubbi vantaggi. Non sapevo bene cosa aspettarmi, immaginavo un futuro da consulente, da cool hunter, ed ora ho capito di aver pagato proprio questa indeterminatezza di obbiettivi. Per prima cosa volevo costruire un brand sinonimo di qualità e buon design e prestavo grande cura al corporate del blog ed alla qualità dei progetti selezionati.


In questo senso l’obbiettivo è stato senz'altro raggiunto: gli apprezzamenti ricevuti da centinaia di lettori, da eccellenti designer che io per primo stimo, e dai più importanti blogger stranieri sono la conferma del buon lavoro svolto.

Questo lavoro ha però chiesto un grande impegno di tempo, necessario per garantire la qualità e la costanza delle pubblicazioni e l’enorme mole di pubbliche relazioni atte a far conoscere ELMANCO ed a restare in contatto con lettori e progettisti.

Non lavoravo più per o studio di allora, e curare il blog in questa maniera richiedeva circa 5 - 6 ore il giorno, lasciando poco tempo per altre occupazioni saltuarie.
A lungo andare mi sono reso conto che dall'attività editoriale del blog non avrei mai tratto un’adeguata retribuzione (serviva generare 10 volte più traffico e rivolgendomi solo al pubblico italiano era arduo) e che non ero tagliato per un’avventurosa carriera di consulente a Milano o all'estero, naturale sbocco professionale dell’avventura in cui mi ero imbarcato.
Così può essere riassunta la storia di ELMANCO.
A distanza di più di un anno dalla sua chiusura resto convinto che il Web sarà il futuro della comunicazione e che segnerà la sorte di tante pubblicazioni cartacee tradizionali. Riguardo i blog inizio invece a nutrire qualche perplessità.
Il fenomeno è in continua evoluzione: il numero dei blog è aumentato a tal punto da complicare la vita di chi vorrebbe restare il più possibile aggiornato, e l’esplosione di social network come Facebook ha cambiato di nuovo le carte in tavola, spazzando via i blog più personali e saltuari.


Oramai il confine tra blog e portali tradizionali si è assottigliato per la progressiva istituzionalizzazione subita dai primi e dagli aggiornamenti ricevuti dai secondi. L’assedio della pubblicità che cerca di infiltrarsi in questi canali di comunicazione è sempre più forte; il pubblico si sposta dalla televisione al Web, ed il marketing si getta all'inseguimento, ma con risultati ancora deludenti.

Diffido di chi dispensa certezze: il Web è fluido, le abitudini cambiano rapidamente, ed è facile restare disorientati di fronte a tante possibilità. In questo momento preferisco osservare l’evolversi del web da un punto di vista distaccato, godendomi i grandi vantaggi che offre senza farmene coinvolgere in maniera snervante.


Ti va di parlare di alcune curiosità legate alla tua esperienza da blogger?
Qual è stato il post più letto?
Quale tipologia di post erano più seguiti?
Quali post non funzionavano?
Chi erano i tuoi lettori?
C’è stato un post che hai scritto con fatica e che non ha avuto seguito?
L’esperienza più interessante?
Se vuoi, puoi aggiungere qualche altra nota.

Curare ELMANCO per due anni e mezzo è stata un’esperienza importante; ho imparato tante cose spinto dalla passione per il design e la grafica ma di blog, internet e marketing inizialmente ne sapevo ben poco... strada facendo mi sono interessato a questi aspetti perché erano indispensabili per portare avanti il progetto.
Dall'interesse per il puro semplice design ho iniziato ad interrogarmi su tutti gli elementi che concorrono alla realizzazione di un buon prodotto: alcune aziende fanno buoni prodotti, ma hanno un’immagine coordinata inadeguata, altre usano una comunicazione accattivante per cercare di vendere oggetti decisamente mal riusciti, altre ancora si affidano a campagne pubblicitarie incoerenti. Insomma, non è semplice trovare prodotti esemplari da cima a fondo; questo per svariate ragioni, anche di natura economica, personale o temporale.
Poco alla volta ho assunto il punto di vista più di un brand manager che di un designer, e credo che questa evoluzione si sia notato dal taglio che ho dato agli articoli.
Se guardiamo gli aridi numeri il post più letto è stato di gran lunga quello dedicato alla Tunnel House, ma i numeri vanno sempre interpretati. Almeno quattro quinti di quei 10000 e passa lettori si sono limitati ad ammirare le immagini e non hanno letto nulla perché non conoscevano la lingua italiana. Quest’articolo mi ha aiutato a capire meglio le dinamiche di propagazione delle notizie: la potenza dell’immagine è dirompente tra i frettolosi lettori che costituiscono la maggioranza, così quel set di immagini è stato citato da numerosi altri blog e social network stranieri. Ricordo bene che vidi le immagini prima su un altro blog poco conosciuto (che citai in fondo al mio articolo), e mi stupii di non averne trovato traccia su altri siti più importanti. Compresi che la notizia aveva un buon potenziale e bastò che mi adoperassi per far circolare il mio articolo nei canali giusti per muovere un grande traffico e dare a quelle foto una seconda giovinezza, o meglio una nuova fase di notorietà.
Difficile dire quali fossero le tipologie di articoli più seguiti, mi piaceva tenere una linea editoriale piuttosto varia, mantenendo tuttavia un'indispensabile coerenza di fondo. Alla lunga questa mancata specializzazione mi ha svantaggiato rispetto a blog simili più specifici, ma quando iniziai nel 2005 lo scenario era diverso, e la competizione inferiore.
Di sicuro gli articoli che mi davano più soddisfazione, e che ricevevano il maggior numero di commenti, erano quelli dove illustravano analisi personali su prodotti e tendenze in atto. A distanza di qualche anno mi piace dire di aver azzeccato alcune previsioni non così scontate, come il fallimento della videocomunicazione mobile, lo straordinario successo delle Fiat 500 e dell’immagine di Obama e il nuovo standard di comunicazione che l’iPhone si avvia a diventare.
Il profilo dei miei lettori era all'incirca questo: 20-35 anni, uomini e donne in egual misura, italiano (almeno i due terzi) e con un forte interesse per la creatività. Il lettore tipo era quindi uno studente o un fresco laureato in design, grafica o architettura, oppure in web marketing.
Di certo i professionisti più affermati hanno meno tempo e dimestichezza per consultare i blog, anche per ragioni anagrafiche, e costituirono una minoranza, nonostante abbia ricevuto alcuni feedback molto stimolanti.
L’esperienza più interessante è stata conoscere dal vero lettori e blogger “compagni di ventura” di quegli anni, ma anche alcuni dei prodotti che ho recensito! Di solito è un piacere vedere trasformare contatti virtuali in esperienze ed amicizie tangibili.

Tutti i colloqui di ‘MONDOBLOG’ hanno in comune una sola domanda: a che serve un blog?
Credo che nel tuo caso, riproportela, sia fuori luogo. Ti pongo un'altra domanda, com’è cambiata la tua vita da non blogger? 

I primi tempi lo spaesamento è stato forte perché la ricerca online occupava in media 3-4 ore della mia giornata, e cessando l’attività questo tempo si è ridotto in maniera drastica e brusca. Senza dovere aggiornare ELMANCO sono tuttavia venuti a mancare molti stimoli, e dopo qualche mese mi sono reso conto con sorpresa che la cosa mi è pesata meno di quanto mi aspettassi: il design è sempre una passione, ma ora è meno pressante la necessità di scoprire e aggiornarsi.
La mia postazione è sempre la stessa e la voglia di aprire Firefox per curiosare sul web è una tentazione con cui ormai deve confrontarsi qualunque persona che lavori davanti ad un computer connesso a internet ma ora mi limito a visitare solo alcuni dei blog principali.
Quando, per motivi di lavoro, ho avuto la necessità di allargare l’osservazione sono rimasto stupito di come la quantità di fonti d’informazione, anche di qualità, sia cresciuta; questo è avvincente ma può rendere più difficili le cose a chi vuole definirsi davvero aggiornato. Per i professionisti della comunicazione è indispensabile specializzarsi, e sapere interagire con altre nicchie d’informazione quando necessario.
Mi manca il riconoscimento e la stima dei lettori, il loro feedback quotidiano, e vederli crescere di numero ogni giorno, ma per altri aspetti ora sono più sereno. Guadagnare da vivere con un blog non è un’esperienza semplice, ma gestirlo nel tempo libero solo per desiderio di crescita e confronto è un’esperienza che consiglio a tutto gli appassionati di comunicazione.

15 marzo 2010 (ultima modifica 23 marzo 2010)



Intersezioni ---> MONDOBLOG


Come usare WA ---------------------------------------------------Cos'è WA
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Note:
1 Floyd Norris, Looking for a Paycheck? Don’t Look to the Internet, New York Times, 10 febbraio 2007 link
2 Chris Anderson, "Ode" allo spreco, Wired, n. 8, ottobre 2009, pp. 84-90

7 marzo 2010

0007 [BLOG READER] Ci sono tante forze vive in Italia che non chiedono altro che di poter lavorare in condizioni “normali” (Pierre Alain Croset)

di Salvatore D'Agostino

Per l’ennesima volta ho inviato una mail a Stefano Ricci (autore dell’ex blog Elmanco) dicendogli che rimandavo nuovamente la pubblicazione di un nostro colloquio, con molto garbo mi ha risposto così: «Cerca anche qualche notizia incoraggiante per la professione ogni tanto, mi raccomando!».


Stefano Ricci ha ragione gli ultimi post di Wilfing Architettura sono un po' tristi.

Tristezza che non abbandono neppure in questo BLOG READER, poiché ieri sabato 6 marzo leggendo l’editoriale di Giovanni De Mauro per il settimanale Internazionale e una lettera di Stefano Boeri ai lettori di abitare sul blog della rivista mi sono accorto che il malessere che sta caratterizzando Wilfing Architettura è diffuso.

Il recente ‘caso Maddalena’ (caso è un eufemismo) ci dovrebbe far riflettere sui ‘comportamenti’ e soprattutto sul potere degli edili (i procacciatori di appalti) che da anni sviliscono il lavoro professionale degli architetti a tutti i livelli, come dimostra questa vicenda, anche a discapito di architetti autorevoli.

Dicevo, non mi sarei mai immaginato di leggere quest’editoriale di Giovanni De Mauro, che com’è noto, non è un sovversivo:
Titolo: Sostanza

Tecnicamente si può già parlare di dittatura.
Forse non ce ne siamo ancora accorti perché siamo abituati ai colonnelli greci o alla giunta militare cilena. Ma quello che conta è la sostanza, non la forma.
Oggi è inutile mandare i carri armati per prendere il controllo delle principali reti televisive, basta cambiare i direttori. Non serve far bombardare la sede del parlamento, è sufficiente impedire agli elettori di scegliere i parlamentari. Non c’è bisogno di annunciare la sospensione di giudici e tribunali, basta ignorarli. Non vale la pena di nazionalizzare le più importanti aziende del paese, basta una telefonata ai manager che siedono nei consigli d’amministrazione.
E l’opposizione? E i sindacati? Davvero c’è chi pensa che questa opposizione e questi sindacati possano impensierire qualcuno? Gli unici davvero pericolosi sono i mafiosi e i criminali, ma con quelli ci si siede intorno a un tavolo e si trova un accordo. Poi si può lasciare in circolazione qualche giornale, autorizzare ogni tanto una manifestazione. Così nessuno si spaventa.
E anche la forma è salva.
E che Stefano Boeri potesse scrivere:
Sono stato vittima di me stesso, delle mie manie di grandezza, della scelta di coinvolgere 53 architetti (quasi tutti lavoravano con me per la prima volta) per fare al meglio un lavoro che forse avrei potuto fare (non meglio, ma bene) nel mio studio milanese con 15 fidati collaboratori. Ma quello che ho guadagnato in curiosità, relazioni, entusiasmo, l’ho perso in organizzazione e soprattutto in risorse economiche. Questo lavoro è stato un disastro finanziario. Ho già speso quasi tutto quello che ho guadagnato e oggi sono terrorizzato che l’impresa non mi fornisca il saldo finale. Dopo aver costruito in 10 mesi quello che di solito un architetto italiano costruisce in 15 anni, rischio in pochi mesi di chiudere uno studio professionale che ha 25 anni di vita. Non male come doppia accelerazione.
Dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500% in questi anni si è preferito più un approccio di mera edilizia che architettonico. Si è costruito tanto ma soprattutto non si è diffusa una cultura ‘architettonica del costruire’. Le rare eccezioni di architettura non sono diventate delle regole ma episodi spesso controversi e dibattuti mediaticamente, mentre nel frattempo si è trascurato il 499% di edilizia spesso posticcia e pasticciata (termine usato qui) che a mio avviso andrebbe analizzata con più rigore critico.

Come dicevo in un commento sono disinteressato alla vicenda 'Maddalena' o ai problemi marginali evidenziati da Luigi Prestinenza Puglisi nella presS/Tletter n.06-2010 (costi/concorsi), sarei interessato a riflettere sulla cultura edilizia italiana nel suo complesso, per trovare una sinergica strategia e rivalutare il mestiere dell’architetto.

Wilfing Architettura si ferma a riflettere e si associa al pensiero dell'architetto Pierre Alain Croset che in un commento sul blog di abitare ha scritto: «Ci sono tante forze vive in Italia che non chiedono altro di poter lavorare in condizioni “normali”».
Sommessamente chiede ai critici, agli architetti e a tutti gli uomini d'ingegno di poter lavorare in un paese ‘normale’ senza dover competere quotidianamente, a qualsiasi livello, solo con i più furbi.
Sono stanco di dover camminare per le città italiane almanaccando sintassi architettonica banale (forse sarebbe più pregnante chiamarla gelatinosa) e non normale architettura con qualche eccezione 'colta'.

Chiedo in ‘sostanza’ un’edilizia normale.



Questo ‘Blog Reader’ ripercorre la memoria Web degli eventi legati al ‘caso Maddalena’ richiamando semplicemente gli articoli cronologicamente. Eviterò il corollario critico, alcune mie note saranno inserite tra parentesi quadre, limitandomi a riportare alcuni brani o commenti significativi.

In verde trovate l'aggiornamento dell'otto marzo.

In blu trovate l'aggiornamento del nove marzo.


BOERI LIAR Dice:
06.03.2009 alle 1:29
Boeri !
can u please come back to the world of the “common sense” and look at the reality again from the people perspective and not for the director pod ?
how can you justify like that your commission to build luxury hotels at the Maddalena ?
please RE-USE your mind !!!!

Stefano Boeri Dice:
3.05.2009 alle 11:12
concordo.
e adesso che il g8 non si terrà più in Sardegna, il suo appello ad un nuovo modello di sviluppo assume un significato ancora più forte e necessario.
sarebbe importante trovare occasioni pubbliche per discuterne. cominciando con l’usare questo sito (e magari anche grazie al prossimo Festarch, ache abbiamo chiesto alla Regione di confermare per il 2009).

EX ARSENALE DI LA MADDALENA: UNA SFIDA VINTA! | Abitare---> 30 giugno 2009

laura.molteni Dice:
30.06.2009 alle 21:02
Vado a La Maddalena da trent’anni (da quando sono nata) e più volte mi sono trovata a pensare “No, io questo G8 non lo voglio; non voglio che si conoscano le bellezze di quest’isola in tutto il mondo, desidero che rimanga sconosciuta ai più”. Poi quando i piani sono cambiati, un colpo al cuore, davvero. Sia per i maddalenini, sia per le opere in corso di costruzione. L’ex-Arsenale è stato portato a termine, ma il resto? Sarebbe interessante indagare cosa sta succedendo…

Ex Arsenal at Maddalena Conversion / Stefano Boeri Architetti | Archdaily ---> 1 luglio 2009

July 2, 2009 at 04:59
hj says:
Good one, but a lot of political issues on the background. Today architecture is not only plan and renders.

July 2, 2009 at 05:27
and.S says:and.S: if you check Stefano’s work and writings you should know there’s plenty more than plan and renders!

July 2, 2009 at 06:0
hj: yes yes for sure I know it, for this reason I was courious and surprised about this project, it involved so much political and economical forces, and maybe not everybody of the international readers know! So a reflection is obliged, expecially because we are speaking about Boeri! From my point of view.

Ex Arsenale at Maddalena by Stefano Boeri Architetti | Dezeen ---> 1 luglio 2009

Gabriela Says:
July 1st, 2009 at 6:21 am
unreal! looks like it’ll topple into the water at any moment.

marcos Says:
July 1st, 2009 at 7:43 am
is not a render… is real! or not?

One Says:
July 1st, 2009 at 9:02 am
Fantastic. Now I know why Stefano Boeri is so famous.

stefano Says:
July 1st, 2009 at 2:06 pm
bellissimo progetto. beati quelli che ci hanno lavorato
ps. non è un render!

Dal vivo alla Maddalena | Abitare ---> 10 settembre 2009

[La redazione di Abitare aveva deciso di raccontare gli eventi che avrebbero portato all'inagurazione della 'Maddalena'].

«Segui dal vivo l’inaugurazione del complesso Ex Arsenale sull’isola della Maddalena progettato da Stefano Boeri Architetti. Progettato originariamente per il vertice G8 del 2009, è pronto a iniziare una vita propria. Immagini, testi, impressioni filmati in diretta sul sito di Abitare. Rimani sintonizzato…»

[In questo post ormai non più visibile (vedi il post successivo per capire il motivo) vi era una ricca documentazione fotografica della visita di Silvio Berlusconi e di José Luis Rodríguez Zapatero insieme ad alcuni ministri e delegati della confindustria dei due paesi].

Live from Maddalena | Lablog ---> 11 settembre 2009

[Al blog Lablog non era piaciuto che il direttore della rivista, nonché progettista dell'opera più rappresentativa della 'Maddalena' si autocelebrasse nella sua rivista e sopratutto avesse pubblicato le foto della visita di alcuni esponenti politici].

We have to aknowledge Abitare has taken in consideration our critics and has removed completely the post (there is nothing linked any more) we mention in text belowe. Abitare and his Director, Stefano Boeri, have shown a great sense of responsability. We are really thankfull for this.

[Riprende un commento di Gennaro Postiglione anch'esso non più visibile].

E’ veramente un peccato che una interessante e ricca rivista on-line come questa si abbassi al cortocircuito di pubblicare un post dedicato ad un’opera del suo direttore. Il complesso è imponente e legato anche a importanti eventi, nel mondo della pubblicistica non sarebbero mancati testate desiderose di pubblicarlo.
Perché dunque spingersi così avanti dando l’impressione di trasformare la rivista in un organo di comunicazione interna?
E poi: ma davvero erano indispensabili alla comprensione del progetto e alla descrizione della giornata tutti quei primi piani dei due Primi Ministri?

Propongo una petizione ai lettori del sito per trasformare il post in una news: due righe e una foto.

[Ricordo per dovere di cronaca che già Stefano Boeri ha contaminato la presentazione di alcune opere di architettura con la lettura incrociata delle reazioni dei media e del Web. Ricordo su tutti lo speciale Domus d'autore curato da AMO/Rem Koolhaas dal tittolo Post-Occupancy. Dove per post s'intende l'osservazione mainstream:«Le abbiamo guardate con gli occhi dei turisti, abbiamo affidato ad altri il compito di registrare le impressioni. Lontano dalla trionfalistica e mortificante ribalta dei media, volevamo vedere cosa succede nei nuovi spazi occupati in assenza dell'autore, rappresentare le realtà che siamo stati complici nel creare, come dei fatti, e non come delle imprese» Dalla prefazione di Rem Koolhaas, aprile 2006].

Un’intervista di Pietro Los | Abitare ---> 24 novembre 2009

Pietro Los: Giocando con le parole, possiamo immaginare un’estetica come rappresentazione formale dell’etica?

Stefano Boeri: Non credo sia così. Ci sono delle valenze etiche fortissime nel fare architettura, che non stanno prima o dopo la dimensione estetica. Semplicemente sono insite nelle scelte progettuali. Faccio un esempio per essere più chiaro: quando mi hanno dato l’incarico di realizzare una parte del progetto per il G8 all’isola de La Maddalena, nell’area dell’ex Arsenale Militare, ho dovuto affrontare da subito il problema di immaginare un insediamento con una duplice funzione: quella -finale- di un grande polo nautico che, inizialmente, per non più di tre giorni, avrebbe dovuto ospitare un evento planetario. L’insediamento dell’ex Arsenale della Marina Militare è stato così pensato e progettato non solo come teatro di un evento eccezionale, ma anche come architettura permanente e destinata a valorizzare un contesto socio-economico penalizzato dalla dismissione di un’antica economia militare. Per questo, in totale sintonia con Renato Soru e Guido Bertolaso, abbiamo in un certo senso “usato” il g8 come acceleratore di un processo virtuoso che avrebbe regalato ad un arcipelago in grande crisi, la transizione da un’economia militare ad un’economia basata sul turismo nautico e sportivo.

PL: E qui la valenza etica è sicuramente presente.

SB: Direi di sì. In questo caso è stata una preoccupazione politica circa la vita di un’architettura anche oltre l’evento per cui era stata pensata, a suggerire la necessità di un intervento che tenesse conto di entrambe le esigenze.

PL: Che soluzioni architettoniche ha individuato per soddisfarle entrambe?

SB: Ho scelto la sintesi formale : un grande tetto, un scatola sull’acqua, un insieme di stecche.

PL: Quasi degli archetipi…

SB: Il paesaggio dell’arcipelago è già così ricco di figure, dettate dallo scorrere per secoli dei venti e del mare sulle rocce friabili di granito e basalto, da quasi esaurire ogni espressione formale. Il mio obiettivo era di costruire un’architettura essenziale che, reagendo con questo paesaggio esuberante, ne selezionasse delle prospettive, dei tagli.

PL: Tutto in funzione post summit…

SB: Ogni edificio è stato realizzato con una sua funzionalità pre e post G8: abbiamo costruito un grande albergo che per tre giorni avrebbe ospitato la delegazione USA, un’area cantieristica che sarebbe stata usata come centro-stampa, un grande polo nautico-commerciale che durante il g8 avrebbe ospitato i 3000 delegati, uno yacht club dove si sarebbe dovuto svolgere il summit….

PL: Che effetti ha avuto il cambio di location del G8, dalla Maddalena all’Aquila, sui lavori in corso?

SB: Per fortuna, relativo. Il cantiere è finito nei tempi previsti, con l’unica eccezione degli spazi verdi e alberati che non erano stati finanziati. Ma nel complesso si tratta di un’opera formidabile se se ne considerano la dimensione e i tempi di realizzazione nel contesto italiano: tra progetto preliminare e costruzione sono passati appena 16 mesi, 10 dei quali –comprese le bonifiche – di cantiere vero e proprio. E oggi, con il probabile arrivo delle fasi iniziale della Coppa America, la propensione originaria del sito verso la vela e la nautica sportiva sarebbe ulteriormente confermata.

presS/Tletter n.03-2010 | pressletter ---> 4 febbraio 2010

[Luca Guido: I costi dell' architettura]

La domanda evidentemente è suonata come inutile e retorica.
A questo punto, dichiarata una certa indignazione nei riguardi della vicenda, voglio precisare la mia opinione riguardo alle opere progettate da Boeri alla Maddalena: nessuna conquista per la storia dell' architettura, nessun avanzamento tecnologico, grande professionismo nel rispettare tempi di consegna progetto e realizzazione (ci si sarebbe dovuti meravigliare del contrario). Resta il fatto che le somme spese avrebbero dovuto produrre un dibattito culturale ben più ampio del risultato ottenuto.
Quelli che si stupivano per i costi delle nuove architetture romane di Meier e della Hadid, dopo aver letto quanto sopra probabilmente saranno impalliditi.

presS/Tletter n.04-2004 (sic) | pressletter ---> 11 febbraio 2010

[Luigi Prestinenza Puglisi]

Lo scambio tra il circostanziato articolo di Luca Guido, apparso nella presS/Tletter precedente, e la non meno circostanziata risposta di Stefano Boeri, che pubblichiamo in questo numero, stimola alcune riflessioni.Quella che a me sembra più urgente e' la questione concorsi. Una questione fondamentale perché dubitiamo che senza gare di creatività si possano creare le condizioni, almeno in Italia, per avere edilizia pubblica degna di rappresentarci come un Paese civile.
[...]
P.S: avevo appena finito di scrivere questa Opinione e mi e' arrivata la notizia: “arrestato Balducci, il vice di Bertolaso, per gli appalti alla Maddalena...”. Una notizia troppo importante per non citarla, ancora troppo fresca per suggerirci ulteriori commenti. (LPP).

[Stefano Boeri]

il pezzo di Luca Guido sui progetti da me seguiti a La Maddalena è talmente pieno di strafalcioni e inesattezze da far dubitare della buona fede dell’autore (evidentemente mai ripresosi da una motivata bocciatura durante un esame allo IUAV di qualche anno fa).

Bella Italia | Gizmo ---> 14 febbraio 2010

Tutto è avvenuto nell’ambito di un’indagine dei carabinieri del Ros - coordinata dalla Procura di Firenze - sugli appalti per la realizzazione delle opere in occasione del G8 alla Maddalena nel 2008.

Geopolitica minerale | Abitare ---> 15 febbraio 2010

[Scritto da Stefano Boeri e tratto dal libro 'Effetto Maddalena', Rizzoli, 2010]

Se dunque l’ex Arsenale avrà un futuro, se non resterà orfano di un evento svanito, sarà anche grazie all’antidoto di una Geopolitica che da secoli dispiega le sue logiche nei territori dell’Arcipelago e delle Bocche di Bonifacio. In una lenta e lunghissima vicenda di sovrapposizioni e incastri tra le rocce e le architetture.

Pierre Alain Croset Dice:
25.02.2010 alle 19:11
caro Stefano,
penso che siamo molti ad apprezzare la tua volontà di chiarezza e trasparenza, necessaria di fronte a scandali rivelazioni e intercettazioni. Ma occorre continuare e insistere, e chiedere che la stessa trasparenza che intendi imporre per quanto riguarda il lavoro progettuale del tuo studio e di tutti i giovani collaboratori, venga anche dagli organi di Stato. Devi anche essere tu a chiederlo, ad altissima voce. E’ l’occasione per denunciare le anomalie italiane delle gare di concorso, degli appalti integrati, che limitano sempre di più l’autorità tecnica, e non solo morale, del progettista. Dalla tua autorevole voce, e dalla tua rivista, potrebbe partire una campagna di denuncia, un appello internazionale: ci sono tante forze vive in Italia che non chiedono altro che di poter lavorare in condizioni “normali”.

L’Infedele e lo scandalo della Bertolaso s.p.a. | Architetti senza tetto ----> 15 febbraio 2010

Posted by Rem
on 16 February, 2010, 9:34 am
è bastato chiedere come fosse stato scelto per la Maddalena per far ammutolire l'architetto, eppure non era una domanda difficile e inaspettata.

Posted by Massimiliano
on 16 February, 2010, 3:34 pm
...ammutolito e in ordine (se la memoria non mi inganna come al solito):

1) sguardo allucinato
2) deglutizione
3) bicchier d'acqua
4) deglutizione
5) richesta d'aiuto con sguardo supplichevole a Renato Soru
6) Intervento depistante di Renato Soru

...7) Stefano B. non ha più parlato

nessuno naturalmente ha risposto alla precisa domanda di come ha ottenuto l'incarico se non con un generico: "...incarico diretto dalla protezione civile..."

Emanuele Piccardo_Architettura&Potere un anno dopo | Aechphoto ---> 17 febbraio 2010

[Emanuele Piccardo]

Oggi, nel disvelamento in atto sugli appalti alla Maddalena, è prassi consolidata tra i progettisti formare cordate con gli imprenditori per conquistare porzioni di territorio sempre maggiori,il cui unico fine è l’abbuffata di incarichi senza alcuna significativa traccia lasciata nei libri di storia. In questo senso deve essere ripensato il ruolo dei media dell’architettura (riviste, magazine, critici), che orientano le fortune degli architetti. Occorre una seria autocritica per aver sostenuto e difeso modalità del fare architettura prive di ogni etica appropriandosi di temi e figure di provata moralità, come Giancarlo De Carlo, senza corrispondere un’effettiva adesione ai principi da lui espressi.

presS/Tletter n.05-2010 | pressletter ---> 18 febbraio 2010

[Luigi Prestinenza Puglisi]

La lezione della Maddalena e di altre opere pubbliche
Credo che spetti solo alla autorità giudiziaria stabilire eventuali responsabilità dei progettisti implicati a vario titolo dalle non chiare vicende degli appalti gestiti dalla Protezione Civile o da altre autorità.
Tre aspetti, di carattere più generale, credo che però dobbiamo far rilevare:

1) Come mostra l’articolo di Luca Guido riportato nella sezione IDEE, i costi di troppe opere pubbliche sembrano eccesivi. Non e' possibile pensare che, se si seguono le procedure normali, un’opera debba costare 1.000 euro al metro quadrato e se se ne seguono altre, si possa arrivare a 7.000 – 8.000. Perché se 1.000 euro sono troppo pochi, 7.000 sono esageratamente troppi.
2) Che l’unica strada percorribile, per evitare infinite polemiche quando si eseguono opere di rilevanza architettonica, e' quella dei concorsi e non degli affidamenti diretti sia pure attraverso la formula “indiretta” dell’appalto concorso. L’esperienza francese ha mostrato che farli e' possibile a tempi e costi contenuti. Non si vede perché non dobbiamo ispirarci a un metodo che ha dato buona prova.
3) Che la commistione di troppi ruoli ( progettisti, intellettuali “prestati” alla politica, critici, editori, accademici, direttori di rivista) rischia di procurare solo confusione in un sistema già straordinariamente confuso. (LPP)

[Lugi Centola: Livoroso per bocciatura? Suvvia Prof. articoli meglio...]

E infine lo stimato prof. Boeri non vuole articolare una seria riflessione sul “Sistema Gelatinoso” esplicitato dall’erudito colloquio “intercettato” tra i colleghi Desideri e Casamonti che ha dato il la all’inchiesta sulla nuova tangentopoli dei lavori pubblici culminata con l’arresto di Balducci, De Santis, Della Giovampaola e Anemone?
Cordialmente, Luigi Centola

comunque in Italia un’area di rigore di 25 metri... | Abitare 'Mirtilli' ---> 20 febbraio 2010

[Autore Stefano Mirti]

Leggendo i giornali, guardando la televisione, osservando il dibattito sui vari blog e zine, mano a mano mi venivano cento domande. Che di volta in volta giravo al diretto interessato.
Dopo qualche giorno di scambi disordinati (via sms, al telefono, email), mi è stata (da lui) chiesta una staffilata di domande, le più dirette e pungenti possibili.
Per quanto veloce, ci ho messo qualche giorno (a mettere insieme le domande) e sono stato in grado di arrivare alla lista di domande solo ieri mattina.
Così come organizzare le domande in maniera intelligente è costato qualche giorno, presumo che anche organizzare le risposte porti via un tot di tempo.
Da cui, arrivati alle 11 pm di domenica non sono sicuro di averle (le risposte) per domattina (gli svantaggi di vivere in un mondo in cui tutti vorremmo avere sempre tutto a disposizione in tempo reale…).
Che poi, a me sembra che la questione (vista dal punto di vista degli architetti), sia sostanzialmente una. Il sopracitato Mourinho direbbe: “Comunque in Italia, alcuni professionisti hanno un’area di rigore da 25 metri…”.
E a questo punto il dibattito potrebbe iniziare…

[Wilfing Architettura aspetta gli sviluppi].

[Per gli sviluppi vedi il post 'SEMBRAVA FOSSE “ALICE”... | Abitare Mirtilli ---> 8 marzo 2010']

Chiarimenti da Stefano Boeri Architetti: riflessioni sulla Maddalena | Blog di Luca Guido ---> 23 febbraio 2010

In omaggio a tutte le persone oneste che hanno lavorato ai progetti della Maddalena vi propongo alcuni preziosi chiarimenti ricevuti dallo studio Boeri.
Luca Guido

Caro Luca, ti rispondo ora a nome di Stefano Boeri Architetti. Metto in cc anche il Direttore Prestinenza Puglisi, chiedendo la pubblicazione di questo approfondimento, se lo riterrà interessante, al fine di fornire dati approfonditi ai suoi lettori. [Scritto da Michele Brunello]

presS/Tletter n.06-2010 | pressletter ---> 26 febbraio 2010

[Luigi Prestinenza Puglisi]

Rettifiche
Come i nostri lettori avranno letto, la scorsa settimana, mentre inviavamo la presS/Tletter n.5, ci siamo accorti di uno spiacevole errore. Nella risposta di Luca Guido a Stefano Boeri, veniva erroneamente indicato il gruppo Ipostudio come imputato in recenti indagini per turbativa d’asta. Accortici dell’errore – Ipostudio e' totalmente estraneo alle vicende- abbiamo subito bloccato la spedizione, corretto ed inviato una rettifica con le nostre scuse. Ma anche la rettifica, a quanto pare, conteneva una imprecisione perché in effetti non era imputato nessuno, Marco Casamonti compreso, non essendoci stato il rinvio a giudizio. Ho riflettuto a lungo sull’episodio e mi sono chiesto cosa avrei pensato se qualche altra newsletter avesse fatto lo stesso errore con me. E invito voi lettori a porvi la stessa domanda. La mia risposta e' che mi avrebbe dato fastidio. Credo pure la vostra. Anche se imputato non vuol dire condannato e se si e' innocenti sino a quando e' formulata una condanna definitiva, il fatto di essere erroneamente pensati come imputati non fa certo piacere. Credo quindi che inviando subito una rettifica abbiamo fatto la cosa giusta: quando si commette un errore non c’e' altro modo di agire che riconoscerlo nel più breve tempo possibile e pubblicamente. Ma la storia credo non si possa chiudere qui. Mi convinco infatti sempre di più che sulle questioni che investono reati e aspetti penali delle nostre penose vicende nazionali edilizie e paraedilizie– concorsi precostituiti, appalti truccati, compiacenze di architetti nei confronti di un sistema largamente corrotto- debba occuparsi la magistratura. Noi da parte nostra dobbiamo fare un altro lavoro: appurare, al di là delle singole responsabilità personali, cosa non va e proporre alternative. Anche perché, se le regole non funzionano, una volta stanato e arrestato l’architetto X, ci sarà sempre un architetto Y che ne prenderà il posto. Detto questo, mi sembra che dalla questione della Maddalena e da altre vicende della Protezione Civile, emergano due inquietanti interrogativi.

1) Si può consentire di costruire edifici che costano tanto quanto ci racconta Michele Brunello a nome di Stefano Boeri Architetti, nella rubrica DOCUMENTI? Cioè 4500 o come sembra 6000 euro al metro quadrato, quando normalmente una scuola la si fa con 1500 euro e cioè con un terzo (e io ne ho visto proprio adesso una molto brillante, di classe A e con molte vetrate fatta da C+S a Ponzano a circa 1060 al metro quadrato)?

2) E poi, perché la generalità della progettazione delle opere pubbliche in Italia non viene affidata dopo un regolare concorso?

Alcune riflessioni sul G8 alla Maddalena | Abitare ---> 5 marzo 2010

[Vorrei sottolineare questo passaggio di Stefano Boeri]

In questi anni, nel campo delle opere pubbliche in Italia, anche grazie a protocolli come quello dell’appalto integrato, si è consolidato un gioco perverso di scambio di prestazioni tra politica e architettura.
[...]
La Protezione Civile è un “esercito buono” di giovani donne e uomini; migliaia di volontari appassionati e disponibili, con una disciplina austera ed affettiva. Ma a La Maddalena, dopo poche settimane, la Protezione Civile ha abdicato ad un ruolo che forse non avrebbe saputo nemmeno svolgere; al suo posto, al posto delle donne e degli uomini in maglietta blu sono arrivati con piglio di efficienza e rapidità i tecnici dell’”unità di missione per i 150 anni della Repubblica italiana”. Questa è una verità ancora non detta.
A La Maddalena, gli architetti con cui collaboravo giravano con macchine scassate ed improbabili, e abitavano in gruppo in appartamenti del centro. I tecnici dell’Unità di Missione – in Rayban- giravano con Audi e BMW e avevano affittato ville sulle coste dell’isola. Fuori dagli uffici e dal cantiere era impossibile che i due gruppi si incontrassero, posti e relazioni erano diversi. A volte le differenze comportamentali sono un limite alla comunicazione, a volte una difesa da relazioni pericolose. I dettagli, in una vicenda complessa, sono sempre micidiali.

cherubino gambardella Dice:
07.03.2010 alle 15:10
Alla Maddalena indipendentemente da tutto c’è l’ occasione per vedere finalmente dal vivo alcune teorie tradotte in consistenza minerale.
E, forse, anche l’opportunità di ritrovare iscritta nel dibattito internazionale il lavoro di maggior respiro di un architetto che, assieme a Cino Zucchi e pochissimi altri, ha provato a riscattare da una palude di indecisione una generazione di progettisti italiani che, nonostante sbraitasse tanto contro i propri maestri, non è ancora riuscita a venirne fuori.

SEMBRAVA FOSSE “ALICE”... | Abitare Mirtilli ---> 8 marzo 2010

[Stefano Mirti]

Sul fronte intervista invece sono stati fatti una serie di passi avanti. Da due settimane fa a oggi l’intervista è stata completata eppoi tramutata nel pezzo a firma di Stefano Boeri che è uscito su questo stesso sito ieri l’altro.
A grandi linee una serie di mie curiosità sono state soddisfatte, altre sono rimaste forse in sospeso, ma per quello che mi riguarda la lettura del testo di ieri mi ha molto colpito e sono contento (per quello che mi compete) per aver stimolato Boeri a esporsi con tale (e rara) franchezza.


«Era lui alla Maddalena che controllava ogni cosa I costi lievitati del 57%» | Corriere della Sera ---> 8 marzo 2010

[Eccezione fonte no Web, intervista di Sergio Rizzo]

SR: Voi quanto avete intascato?

SB:«Abbiamo lavorato in cinquanta per meno di 100 mila euro al mese, e oggi avendo pagato tutte le spese e aspettando ancora il saldo finale, sono in rosso. Per me rischia di essere una piccola catastrofe economica. Forse a differenza di altri».

SR: Altri chi?

SB:«A quanto ne so gli stipendi dell’Unità tecnica di missione, la struttura di Angelo Balducci che aveva in mano tutto, erano alti, assolutamente incommensurabili rispetto ai nostri».

SR: Lei racconta che i tecnici dell’Unità di missione abitavano in ville affittate sulla costa e circolavano con le Bmw o le Audi, mentre gli architetti si dividevano appartamenti in paese.

SB:«Erano stili di vita molto diversi, due modi diversi di partecipare a quello che avrebbe dovuto essere una sfida comune ».

SR: Sicuro che fosse proprio «una sfida comune»? Dice queste cose come se si sentisse tradito.

SB:«Sì, ma in un senso più generale. Nei giorni dopo lo spostamento del G8 a l’Aquila, visitando nell’ex Arsenale di La Maddalena un cantiere finito in tempi miracolosi e pensando ai soldi pubblici spesi per realizzare le opere, mi sono chiesto quali fossero le ragioni vere di una scelta così assurda».

SR: Sul blog c’è scritto «uno spreco ingiustificabile di risorse». Ho letto male?

SB:«Alla Maddalena non c’era ostentazione di lusso che potesse offendere un Paese colpito dalla calamità del terremoto. E a l’Aquila c’era forse necessità di un piedistallo planetario che distraesse dalle tragedie della vita quotidiana? Ho cominciato in quei giorni a chiedermi se c’era una regia dietro una scelta che ha subito, troppo presto, convinto tutti».

SR: Non crede che questa brutta storia una cosa l’abbia almeno chiarita? Cioè che i grandi eventi non possono essere gestiti in questo modo, tanto meno dalla Protezione civile?

SB:«Sono d’accordo. Anche se va detto che a gestire l’operazione non è stata la Protezione civile».
SR: Come?

SB:«L’Unità di missione non è esattamente la stessa cosa. Non è la Protezione civile che interviene nei terremoti o nelle calamità naturali. Nel nostro caso era un gruppo di tecnici selezionati che faceva riferimento all’ingegner Balducci. Che aveva anche delle competenze e una consuetudine di rapporti, diversi dalla Protezione civile ».

SR: Come, come?

SB:«Solo la prima parte del progetto è stata elaborata assieme ai tecnici della Protezione Civile. Poi è subentrata l’Unità tecnica di missione, che è la stessa per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Loro erano sia stazione appaltante che coordinatori. La Protezione civile come la conosciamo noi non si è occupata del coordinamento dei cantieri del G8».

7 marzo 2010 (Ultima modifica 9 marzo 2010)

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