La AA mi ha cambiata e ha cambiato il mio modo di pensare l’architettura. Anzi, “mi ha imposto il suo” - un concetto fortemente anglosassone e sperimentale. La cosa incredibile della AA è che
in questa scuola si gioca ma si gioca sul serio.
Durante i miei primi tre anni alla AA ho lavorato part-time per uno grosso studio americano
Gensler. Questo mi ha permesso di scoprire il mondo della professione, il mondo reale, direi iper-reale.
Al secondo anno ho vinto una borsa di studio grazie alla quale ho passato un mese alla British Academy in Rome. Questo è stato il mio primo soggiorno in Italia.
Mi sono laureata nel 2005. Il periodo della tesi è stato molto duro ma anche il più importante per la mia formazione. Si potrebbe dire che in questi due anni sono diventata l’architetto che sono adesso.
Dopo la laurea ho tentato di avviare uno studio di architettura con Andrea Di Stefano e altri due architetti, tutti laureati alla AA. Abbiamo lavorato insieme a diversi concorsi per sei mesi. Durante questo periodo abbiamo capito che non volevamo rimanere a Londra e ci siamo trasferiti come studio ACAB a Barcellona (aprile 2006-marzo 2007). Durante il soggiorno a Barcellona sono stata invitata a far parte di
OCEAN (prima Ocean North) un network internazionale per la ricerca nel campo di architettura. Nel frattempo il gruppo ACAB si è sciolto.
Dopo questa esperienza sono venuta a Siracusa per partecipare al concorso Europan 9, edizione del 2007. Siracusa era una delle città partecipanti poiché insieme a Andrea Di Stefano avevamo già lavorato sulla stessa zona precedentemente, abbiamo deciso di partecipare.
Finito il concorso ci siamo dedicati alle attività di ricerca di OCEAN. Abbiamo fatto mostre, istallazioni, workshop e progetti insieme ad altri membri del network. Questo ha comportato tanti viaggi.
Nel 2008 insieme a Andrea Di Stefano abbiamo aperto lo
Studio Aion
Ufficialmente lo studio esiste dall’aprile 2008 anche se
AION è un nome che usiamo per le nostre attività di ricerca dal 2002.
Hai lavorato per il più grosso studio di architettura nel mondo 'Gensler' un’azienda con un organico con più di 1200 architetti. In Italia non c'è uno studio così strutturato tra i primi 50 in Europa. Ci puoi parlare di questa esperienza?
È stata un'esperienza relativamente poco importante per la mia formazione. Ho visto come funziona un’azienda ben strutturata e dove si ha accesso a tutte le consulenze immaginabili. Ho imparato cosa significa la professionalità e come si organizza lo studio per renderlo molto produttivo. Sfortunatamente ho partecipato poco allo sviluppo dei progetti visto che ero ancora all'inizio della mia formazione. Comunque la mia impressione è che allo studio mancava la coerenza architettonica che normalmente si sviluppa intorno ad una e diverse figure di riferimento - Gensler non ha l’impronta di un architetto fondatore - per questo la chiamo un’azienda.
Che cosa intendi per gioco?
Per gioco intendo un approccio alla progettazione che fa parte integrante del modello d'insegnamento anglosassone.
La scuola che ho fatto è impostata intorno ai laboratori di progettazione. Normalmente durante l'anno si fa un progetto solo. Il lavoro comporta tantissimi sperimenti – si fanno disegni, plastici, film, happening, interviste, diagrammi. Tutto quello che può aiutare a osservare, interpretare e canalizzare i processi in corso, per capire i materiali con cui si lavora. Si fanno tantissime cose che sembrano assurde e slegate dall'architettura per trovare nuovi modelli, nuove modalità di leggere e di trasformare lo spazio. La domanda che viene posta è: “Come funziona?” piuttosto che “Cos'è?”
Bisogna affrontare le cose con la mente di un bambino che vede le cose per la prima volta per poi smontarle e rimontarle in un modo diverso. La libertà' e spregiudicatezza con cui si fanno le cose ne fa un gioco ma è un gioco serio perché deve diventare un sistema di relazioni rigoroso, un modello ad alta prestazione.
Alla fine dell'anno si deve difendere il lavoro di fronte ad una giuria dei professori per poter passare all'anno successivo. Questo ne fa un gioco molto serio :-)
Com'è organizzato Ocean e che cosa intendi per network internazionale?
Ocean è un organizzazione non profit che si dedica alla ricerca nel campo di architettura, urbanistica, design e altre discipline legate all'ambiente e allo spazio. Raggruppa diversi professionisti, non solo architetti. I membri del gruppo lavorano insieme su progetti di ricerca, spesso attraverso università affiliate, organizzano workshop, mostre e pubblicazioni. Lavorare in una rete di liberi professionisti e accademici ha un enorme potenziale perché connette delle competenze e dei modi di lavorare che provengono da diversi ambienti che normalmente non si incrociano. Ognuno porta con se non solo il suo bagaglio culturale e professionale ma anche l'accesso a delle competenze e conoscenze diverse.
Il modo in cui si svolge il lavoro di questa rete dipende dal progetto. Alcune volte abbiamo dovuto spostarci per poter lavorare insieme nello stesso posto (questo funziona meglio per i progetti di breve durata, per esempio concorsi). Altre volte abbiamo lavorato tramite internet, ogni tanto organizzando delle video conferenze per poter discutere lo sviluppo del progetto. Nella maggior parte dei casi c'è una persona o un gruppo che propone un progetto e poi si occupa della sua gestione e gli altri contribuiscono in una maniera mirata – lavorando su un aspetto specifico del progetto, su richiesta del responsabile del gruppo.
Il gruppo non è gerarchico, tutti possono proporre delle attività e essere il capogruppo di un progetto. La struttura che esiste all'interno della rete serve solo per facilitare l'amministrazione.
Io ho partecipato alle attività del gruppo per due anni, lavorando, per esempio, sul concorso per la nuova biblioteca di Praga (New Czech National Library in Prague, OCEAN NORTH and Scheffler + Partner, 2006), un'istallazione a Oslo (Barely - Sound-Active Installation, 2007), una mostra a Orleans (OCEAN - Conception Performative, FRAC Centre, Orleans, 2008) e alcuni workshop.
Il tuo ultimo progetto?
Una casa unifamiliare. Nel progetto tutto scaturisce dal semplice atto di impilare e slittare le travi in legno lamellare. Abbiamo cercato di limitare uso di acciaio, inserendo il minimo necessario all'interno dello spessore di legno.
La sezione delle travi, ridondante dal punto di vista strutturale, permette il controllo di altre dinamiche: condizioni termiche, problemi legati all'usura del materiale, l'umidità o l'acustica. Le pareti laterali vengono bucherellate in una maniera apparentemente casuale ma il sistema rispetta rigorosamente le esigenze luminose.
Questo stabilisce uno stretto legame tra la struttura, il materiale e le condizioni interne – nella sua semplicità volumetrica e funzionale la casa stabilisce dei rapporti specifici con il suo ambiente - una monade che assorbe il mondo esterno per capire meglio vedi
qui.
L'undici settembre 2005 sul Corriere della Sera è stata pubblicata una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica (ndr in quel periodo era Carlo Azeglio Ciampi) firmato da 35 architetti italiani ti riporto l’incipit:
«L'architettura italiana attraversa una situazione drammatica. Mentre in altre nazioni europee, in particolare in Francia, in Germania, in Spagna, negli ultimi decenni sono state realizzate grandi opere di interesse sociale che hanno trasformato sensibilmente l'ambiente urbano mettendo a disposizione dei cittadini nuovi servizi che esprimono lo spirito del nostro tempo, in Italia iniziative del genere si contano sulle dita, mancano di una meditata programmazione e si devono quasi sempre all'intervento di architetti stranieri. Nel riconoscere il carattere positivo dell'apporto di forze culturali esterne non si può fare a meno di notare che una delle ragioni della preferenza loro accordata si deve alle realizzazioni compiute, realizzazioni per le quali in Italia sono mancate le premesse concrete, con la conseguenza di aver privato gli architetti italiani di quelle occasioni di lavoro che avrebbero permesso loro di offrire un contributo originale all'attuale stagione di rinnovamento della architettura.»1
In Italia non si fa ricerca. Agli architetti manca un metodo coerente con i tempi. Manca un rinnovamento nell'ambito universitario.
Gli architetti italiani non dovrebbero essere allarmati perché gli stranieri gli rubino il lavoro ma perché il loro lavoro venga svolto da altri professionisti ad un prezzo ribassato e in una maniera mutilata. Servirebbero dei cambiamenti nella legislazione. La professione si è impoverita anche perché è scomparsa dalla scena politica. Nei programmi dei partiti politici non si parla mai della città come potenziale ambito di rinnovo sociale. Non si parla dell'ecologia urbana. Manca un rinnovamento politico. Io mi auguro più stranieri in Italia e più italiani all'estero. Una contaminazione creativa e produttiva.
L'ultima domanda è contenuta in questa foto:
Una grande lezione di architettura. Un giusto equilibrio tra il rispetto che uno porta per il passato e quello che ha per il futuro. Magnifico modo di operare sulla storia senza scordarci delle necessità di oggi. Sarebbe bello poter pensare che questo processo non sia finito e che questo edificio possa mutare con i tempi. Ci vorrà rispetto, coraggio e tanta spregiudicatezza.
22 marzo 2010
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1 L'appello degli architetti italiani, Corriere della Sera, 11 settembre 2005. (Qui per capire)