30 dicembre 2010

Il più bel blog di architettura di sempre

di Salvatore D'Agostino

Qual è il più bel blog di architettura di sempre?

Eccolo: il suo indirizzo è http://iostudioarchitettura.splinder.com/ registrato su blogbabel come Architettura irrazionale e su Wikio irrazionalMEnte arkitettonica


L’autrice si firma arki ma in realtà si chiama Maddalena. Il 4 aprile 2007 ha compiuto 28 anni e vive - o forse ha vissuto - a Genova.

20 dicembre 2010

0001 [URBAN BLOG] Cartellopoli

di Salvatore D'Agostino
  Media civico è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista'

Iniziamo la nostra indagine sugli URBAN BLOG, raccontando la storia del blog CARTELLOPOLI, inaugurato il 24 febbraio del 2010 e oscurato dalla magistratura l'1 dicembre 2010*.

In poco meno di un anno il blog ‘cartellopoli’ ha lottato contro il degrado visivo dilagante nella capitale, tanto che, il neologismo (cartellopoli) si è meritato l'osservazione da parte dagli studiosi della Treccani:
«Ecco chi sono i cittadini che si ritrovano in Rete e che scendono in strada per oscurare gli impianti-scempio».


Salvatore D'Agostino: Perché nasce Cartellopoli?

Cartellopoli: Cartellopoli nasce per dare visibilità allo scandaloso aumento di impianti pubblicitari legali e illegali che è avvenuto a Roma a partire dalla metà del 2009. Nasce come strumento per mettere insieme tutte le proteste, pubblicare le foto, fare da collettore di tutte le iniziative. Insomma, per dare una voce, per fare un po' da organo ufficiale "giornalistico" alla protesta che stava e sta montando ai quattro angoli della città.

Nei vostri post usate un linguaggio diretto, spesso oltre il limite dell’invettiva.
Definite le agenzie pubblicitarie con secchi sostantivi: mafiose, camorriste e ‘ndranghetiste.
Che sia chiaro, cartellopoli, non è un fenomeno di malavita d’esportazione, poiché sono stati ‘alcuni romani’ che hanno devastato in due anni il paesaggio urbano della capitale.
Qual è il loro potenziale giro d’affari?

Abbiamo sempre parlato di "mafia cartellonara" non per attaccare questa o quell'altra ditta in particolare, ma per descrivere un sistema che è gestito con logiche e con approcci criminali come ha più volte costatato anche la magistratura. Questo tra l'altro, in primis, danneggia le ditte stesse.
È difficile calcolare quale sia il giro d'affari dell'impiantistica pubblicitaria a Roma. Mi rendo conto di affermare cifre mirabolanti, ma ritengo che non ci si discosti molto dai 500milioni di euro annui.


I cartellonari romani pur di creare un nuovo spazio pubblicitario non si sono preoccupati di abbattere alberi, coprire tabelle dell’autobus o metropolitana, recingere parchi, occupare strade ciclabili, ostruire passaggi per disabili, mettersi a fianco di monumenti importati.
Non solo, si sono inventati spazi pubblicitari 'socialmente utili' come: orologi, segnali delle vie o parcheggi, parapedonali anche se non necessari ed infine l’uso dei tetti delle edicole.
Cerchiamo di essere onesti, questi nei bar di Roma, sono dei simpatici mattacchioni.
Gli amati Cesaroni che ne fanno di tutti i colori in barba alle regole.
Siamo a Roma non a Parigi?

È il problema, il vero cancro che sta distruggendo questa città: la mancanza di condanna sociale. La mancanza di ingegno civico. Dato il presupposto che della città e del suo decoro non interessa nulla a nessuno, sono troppo poche le persone disposte a indignarsi, a parlare dei furbetti in termini di gente che danneggia la città e non di 'ganzi' che riescono a fare un sacco di quattrini. I blog nascono per sensibilizzare la cittadinanza, per aprirgli gli occhi. Ecco perché danno fastidio, visto che questo 'lavoro' non lo fa nessuno: non lo fa la famiglia, non lo fa la scuola, non lo fa la stampa.

«L’appassionata analisi di Pasolini, vecchia di oltre trent’anni, andrebbe rovesciata: non sono le borgate che si stanno imborghesendo, ma è la borghesia che si sta (se così si può dire) “imborgatando”. Al di là dell’esperienza biografica di pochi individui sbrancati, o dell’arroganza esibizionistica di qualche ricco che gioca al sottoproletario (“se hai dei soldi, una bella macchina e un po’ di cocaina, puoi scopare chiunque” è un motto del carcere ammirato e condiviso da Fabrizio Corona) – al di là dei casi singoli, vige un’effettiva solidarietà strutturale: nel continuum indifferenziato di chi il mondo non sa più vederlo intero, è l’ideologia di quelli che una volta si chiamavano gli esclusi (i lumpen, i sub-culturali) a risultare egemone
»1.
Secondo lo scrittore Walter Siti, per i romani non vi è differenza alcuna tra ‘furbetti e ganzi’, poiché sono un ‘continuum indifferenziato’.
Il fondo, il borgataro, non ha nessuna intenzione (forse non sa come fare) di rimettere in discussione la sua identità.
Non credi che la vostra lotta contro questa peculiarità becera e distruttiva - dell’identità romana - sia persa in partenza?

Tutte le citazioni sono pertinenti, ma la battaglia nonostante ciò può essere non so se vinta, ma senz'altro vale la pena di essere combattuta. Perché una strada c'è, ed è quella, semplice semplice, serve aprire gli occhi alla gente. Lo abbiamo notato, non solo noi, ma tutti i blog e i comitati che si occupano di combattere il degrado: lo schifo che ammanta le nostre città non è più "visto" da nessuno. Non se ne accorgono, non lo vedono proprio. E lo scopri quando racconti a qualcuno, per esempio appunto, la storia dei cartelloni, che gli spieghi che in altre città non ci sono, che gli fai notare la quantità, le mille tipologie diverse che creano disordine, che squalificano il panorama urbano e lo skyline della città, che oscurano la segnaletica. La gente cambia prospettiva, riesce a focalizzare ciò che prima semplicemente non propriamente "ignorava", ma proprio "non vedeva". I nostri cari amministratori sono stati geniali nel farci assuefare al degrado urbano, siamo come anestetizzati: la battaglia è quella di svegliare le persone, aprire loro gli occhi, urlare nelle loro orecchie "perché accettate di vivere nei sistemi urbani più sciatti d'Europa?". 
Questa può essere una strada. Se imboccata tutto il resto del percorso dovrebbe essere in discesa: grazie al passaparola si diventerà in tanti a richiedere un certo tipo di risposte e quando si è in tanti e si spostano tanti voti, buona ultima, arriva anche la grande stampa e la politica. E a quel punto è fatta.


In un post del 4 agosto scrivevate: «Gli step sono i seguenti: piccoli movimenti popolari > un blog > azioni civiche di piccolo sabotaggio > l'attenzione della stampa locale > l'attenzione della stampa nazionale > l'attenzione delle tv > l'attenzione dei grandi programmi di inchiesta > il lavoro della magistratura > la punizione dei responsabili».2

Effettivamente il 1 dicembre 2010 la magistratura si è attivata, ma contrariamente alle vostre previsioni, ha oscurato il vostro blog.
Perché?

La Magistratura ha ritenuto opportuno sequestrare Cartellopoli per "istigazione a delinquere". È stato sufficiente pubblicare -accogliendole con entusiasmo- le foto dei cartelloni "danneggiati" (delle semplici scritte
«ABUSIVO» o «BASTA CARTELLONI») per venire trattati come pericolosi terroristi. È curioso, vi sono decine di denunzie contro gli scempi e i danneggiamenti -questa volta reali- dei cartellonari e nessuna va avanti. Quando si tratta di tappare la bocca ai cittadini arrabbiati per colpa di una depredazione urbana che non ha eguali al mondo, bastano 10 giorni per sequestrare un blog.
Si tratta di un episodio di una gravità inaudita.

Penso proprio di sì.
Escludendo gli Urban Blog, quali sono state le reazioni dell'informazione ufficiale e della politica?

Ci sono stati molti comunicati da parte di politici locali, consiglieri comunali e municipali, addirittura presidenti di municipio. Certo, sempre troppo poco ma è qualcosa. In questo link si trova tutta la documentazione relativa alla rassegna stampa oltre alla nostra raccolta fondi.



Che intendete fare? 

Chiedere tramite un avvocato -che va pagato, ecco la raccolta fondi- il dissequestro del sito. Speriamo di poterlo ottenere quanto prima e di spiegare al GIP che quello che ha disposto non è giusto.

Quali sono i tempi giuridici?

Speriamo di riavere cartellopoli all'inizio del 2011.

Non avete mai pensato di riaprire il blog in qualche luogo/provider 'Web' fuori dalla giurisdizione italiana?

No. Perché mai dobbiamo scappare, lavoriamo per far si che fuori dai confini italiani vadano a finire i tanti disonesti che rendono la nostra città un luogo osceno, non di certo noi che lavoriamo per il bene comune. Sarebbe una sconfitta.

A che cosa può servire un URBAN BLOG?

Mi ripeto, a due cose:
  • ad aprire gli occhi alla gente, a fargli capire che quello che ci circonda, che la sciatteria, il pressappochismo, la sporcizia, il degrado ad ogni livello non è una cosa normale e non è una cosa che esiste dovunque;
  • a sollecitare il 'lavoro' dell'amministrazione orientando, suggerendo, facendo pressioni. Una sorta di lobby civica in positivo, che spinge la politica verso decisioni di qualità.
Coraggio e in bocca a lupo.


20 dicembre 2010 (ultima modifica 11 novembre 2011)

Intersezioni ---> Urban blog

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Note:
*
Qui per iniziare a capire cos'è successo.
1 Walter Siti, Il contagio, Mondadori, Milano, 2008, p. 234. Qui l'intervista di WA.
2 Redazionale, Tg5 !!!, Blog Cartellopoli,4 agosto 2010.

17 dicembre 2010

0003 [POINTS DE VUE] Simona Caleo | Beirut was beautiful

di Simona Caleo 

“Beirut was beautiful”.  Inizia così la presentazione di Save Beirut Heritage, gruppo affiliato ad APSAD, l’associazione per la protezione dei siti naturali e dei vecchi edifici in Libano. Il 25 settembre hanno sfilato per le strade di Achrafieh e Gemmayze per protestare contro l’inarrestabile distruzione del patrimonio architettonico dei due quartieri storici: almeno 400 delle 1200 case della zona sono state buttate giù per far spazio ai condomini di una decina di piani e alle torri residenziali stile Dubai, in grado di contenere una allettante quantità di appartamenti di lusso. Siamo intorno a un milione di dollari l’uno e a nessuno interessa restaurare vecchie dimore ottomane di pochi piani che in confronto renderebbero cifre irrisorie.
I cantieri, a Beirut, non sono certo una novità, fa specie però che sorgano, e a un ritmo frenetico,  nelle poche aree dove la guerra non ha lasciato grandi vuoti e ferite, per cancellare la storia. “History is what used to be”,  ricordano i dimostranti. “Then come the sharks”.





17 novembre 2010
Intersezioni ---> POINTS DE VUE

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Fotografie e nota iniziale di Simona Caleo: giornalista e fotografa freelance di base a Roma. Collabora con l'agenzia OtN e con il sito dell'Espresso. Ha collaborato con il World Food Programme e l'Unicef e pubblicato sui principali quotidiani e magazine italiani.

Per Wilfing Architettura ha posto una domanda a Luca Molinari curatore del padiglione italiano della Biennale di Venezia 2010. qui 

14 dicembre 2010

0006 [WILFING] DANNEGGIATA LA TECA DELL'ARA PACIS. Ma altri manifestanti la proteggono

di Salvatore D'Agostino

Nel pomeriggio ho seguito il consiglio del Il Post di Roma (vi ricordate la domanda di Alfredo Bucciante aka AlFb posta a Luca Molinari? Ecco! I twitter che seguiranno sono i suoi):
«Per gli aggiornamenti dalla strada, il Corriere dovrebbe far partire una diretta video da tenere in sottofondo sul computer, altrimenti ci siamo anche noi con Twitter».
E mentre in TV andava in onda:
  • Raiuno: salottino vip;
  • Raidue: salottino vip;
  • Raitre: film natalizio;
  • Rete4: questura popolare;
  • Canale5: salottino popolare;
  • Italia1: si ride;
  • La7: film.
Ho seguito la cronaca del pomeriggio romano al computer.
Vi ripropongo i Twitter di AlFb e alcuni screenshot tratti dalla diretta del Corriere TV.
Le voci di sottofondo del video, erano spesso degli studenti, che urlavano
ai devastatori: "Basta! Basta!"  o "Cretini! Cretini".

[11.02] Primi blocchi per le manifestazioni. Problemi a Piramide

[13.01] Scontri a Piazza Venezia


11 dicembre 2010

0035 [MONDOBLOG] La nuova Domus e la futurologia

di Salvatore D'Agostino
Cari Domus Sensor,
avrete probabilmente notato alcuni cambiamenti in domusweb nei mesi scorsi. Alcuni minori (aggiustamenti del layout della pagina e modifiche alla sezione libri) mentre altri sono più significativi. Avrete notato, ad esempio, che non è più necessario registrarsi per leggere la maggior parte degli articoli e che la registrazione è più semplice per renderla più facile per chi vuole registrarsi.
Come amici e collaboratori di domusweb vogliamo che siate i primi a sapere che queste modifiche preludono a ben più sostanziali cambiamenti. Negli ultimi sei mesi abbiamo lavorato a un sito completamente nuovo che ridefinisce la presenza di Domus sul web.
Un nuovo inizio che introduce altre caratteristiche, di cui siamo piuttosto fieri, e che teniamo a farvi conoscere.
Questo non significa che l’iniziativa “sensor” sia conclusa, cambia nome: da ora si chiamerà Domus network. Sin dall’inizio il nostro obiettivo primario è stato quello di creare una piattaforma che valorizzi i vostri eccellenti contributi, speriamo perciò che continuerete a inviarci, pensieri, idee e proposte.
I cambiamenti del sito sono anche il primo segno visibile di cambiamenti più ampi della rivista. Dal numero di aprile assumerò la direzione anche della rivista cartacea e un gruppo di nuovi brillanti collaboratori si aggiungerà sia sul sito che sulla rivista. Nel 2011 presenteremo man mano un nuovo insieme di pubblicazioni digitali per iPhone, iPad e Android, e continueremo ad aggiungere nuove funzioni e nuove sezioni al sito. C’è un futuro eccitante sia per Domus che per i suoi lettori.
La data prevista di lancio del nuovo sito è il 9 dicembre, manderemo un’altra comunicazione subito prima. Non preoccupatevi se i vostri precedenti contributi non saranno immediatamente visibili al momento del lancio – il processo di migrazione del database richiederà diverse settimane ma niente andrà perduto.
Nel frattempo, in attesa di leggere i vostri prossimi contributi, vi ringrazio per essere parte del network di Domus.
Joseph Grima
Direttore editoriale
Domus
Ho ricevuto questa mail il 2 dicembre 2010. Ecco come si presentava Domusweb l’8 dicembre 2010:



Ed ecco domusweb del 9 dicembre 2010:


Domus triplica e chiarisce i suoi ambiti sia nei contenuti che nella grafica:

1. Cartacea: aspettiamo il numero di aprile 2011.

2. Web:

  • doppia home italiana e inglese;
  • gli articoli (vari autori) sono pubblicati in ordine cronologico inverso, cioè, l'ultimo testo inserito collocato in alto e gli altri a seguire verso il basso;
  • sono aperti ai commenti con la possibilità di condividerli su Facebook e Twitter;
  • interessante la relazione dei post con la mappa.
3. Mainstream: mantiene i blog aperti dagli utenti, cambiandogli sezione e nome da Sensor a Network.

Nel 1996 in occasione della VI Biennale di Venezia, diretta da Hans Hollein, si tenne un convegno dal titolo 'Architettura e media'.1 Un dialogo tra i direttori delle riviste più autorevoli di architettura del mondo. L'Italia era rappresentata da Pierluigi Nicolin (Lotus) e Bruno Zevi (l'Architettura). Riprendo il tema:
«Diamo per scontato che le riviste di architettura continueranno a essere i luoghi tradizionali di riflessione di questa disciplina.
Ma quale ruolo rivestono oggi di fatto nello sviluppo della disciplina?
La rivista di architettura è ancora il luogo e il mezzo adeguato di trasmissione dell' "idea" di progetto?
Come deve essere presentata e discussa l'architettura sulle riviste specializzate?
»2
Dopo quattordici anni, possiamo dare per scontato che le riviste non sono gli unici luoghi di discussione della disciplina. In questi anni ai media redazionali si sono affiancanti i media 'fai da te' del Web. Dato che, qualsiasi voce su internet diventa automaticamente media. Utilizzando un gioco di parole dell'artista Gino De Dominicis i D’IO (Di me stesso/Dio)3 della rete senza autorizzazione ‘redazionale’ partecipano allo 'sviluppo della disciplina'. Gli dei dell’architettura, con le loro riviste DIO non avevano immaginato l’avvento dei D’IO.
-
[Emoticon con la risata sardonica di Gino De Dominicis]

Qualche mese fa parlando dei siti delle riviste d’architettura scrivevo sulla mancanza di ricerca nell’uso del web: 

«Occorre un’emancipazione dal cartaceo, esplorando le capacità intrinseche del Web, provando a sperimentare nuovi e più proficui approcci.»
Domus, in questa nuova veste, sembra aver accettato la sfida, diversificando i contenuti cartacei dal Web e curando le voci non redazionali in una sezione specifica 'network'. Tra i primi post, vi suggerisco di leggere la lettera aperta dello studio genovese Baukuh, a proposito del concorso ‘all’italiana’ del padiglione italiano: ’Expo di Shanghai’ 2010.

Riporto alcune domande:
Non è forse nell'interesse di tutti gli architetti italiani incrementare il livello professionale delle giurie?
Il concorso per il padiglione non poteva essere un'occasione per promuovere professionisti con una qualche speranza di affermarsi poi anche sul mercato internazionale?
Davvero conviene allevare deliberatamente la mediocrità?
Non sarebbe forse il caso che chi ha già giudicato malamente troppe volte venga sostituito da qualcuno più competente?
Domus (almeno spero) non intende sottovalutare le vicende ‘gelatinose’ nostrane. Come ultima riflessione vi ripropongo un articolo di P. C. J., pubblicato sul primo numero di Domus nel gennaio del 1928, p. 31:
La storia di quest’ultimi anni, c’insegna che non abbiamo bisogno di futurologi o di nostalgici ma di intelligenti - perché no, abili - osservatori e operatori del presente.

A tal proposito, nel prossimo MONDOBLOG, con Vinicio Bonometto parleremo dell’uso concreto delle piattaforme Web all’interno di un corso di storia dell’architettura e dell’involontario blog di Francesco Tentori.


11 dicembre 2010  
Intersezioni ---> MONDOBLOG
COMMENTA  
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Note:
1 Non sono riuscito a trovare gli estratti del convegno.
2 Catalogo mostra, Sensori del futuro. L'architetto come sismografo. Biennale di Venezia. 6/a Mostra internazionale di architettura, Electa Mondadori, 1996, p. 490
3 Una forte e prolungata risata che riecheggia nella galleria vuota (24 aprile 1971).

3 dicembre 2010

0006 [WIKIO] URBAN BLOG la classifica di dicembre inizia l'inchiesta

di Salvatore D'Agostino

Anteprima classifica URBAN BLOG mese di dicembre:

1. [=]           Rosalio
2. [=]           Il blog di Marco Boschini
3. [=]           Stop al consumo di territorio
4. [ +1]     Mobilita Palermo
5. [ -1]      Roma fa schifo
6. [ +3]     Comuni virtuosi
7. [New]      Vignaclarablog
8. [ +4]     Michele Dotti
9. [ -1]      Riprendiamoci Roma
10. [ -2]    Comunità provvisoria
11. [ -5]    Degrado Esquilino
12. [ +22] CARTELLOPOLI (oscurato due giorni fa qui per saperne di più)

[Aggiornamenti il blog Migliora Torino mi scrive che ha dovuto cancellare il suo post, ovvero il link da me suggerito ieri 3 dicembre. Ricordo che CARTELLOPOLI non era gestito da sprovveduti del web, per capire la vicenda vi segnalo altri link: Il post di RomaRiprendiamoci Roma06blogMigliora RomaBasta cartelloniromatodayGiornalettismoTuscolanaeurDegrado EsquilinoRoma fa schifoMala RomaDegrado Esquilino]
13. [ +7]   Domenico Finiguerra
14. [ +7]   Ciacci Magazine
15. [ -1]    Bike sharing Roma
16. [ +1]   Malaroma
17. [
- 3]   Lunedi sostenibili
18. [=]         Degrado ApriliaNo
19. [=]         SpeziaPolis
20. [ +18] PRO PUP ROMA


Classifica mesi precedenti ottobre e novembre

Per conoscere i dettagli di questa classifica leggi: 0001 [WIKIO] Un colloquio con i responsabili dell'aggregatore dei blog WIKIO.

Vi confesso che non è facile scovare nella rete italiana i blog urbani. Per questo motivo v’invito a segnalarmi i blog non in elenco, poiché più che una classifica vorrei costituire un inventario delle realtà attive in Italia.

Come annunciato a breve troverete i primi approfondimenti. Sarà un'inchiesta leggermente diversa da MONDOBLOG dedicata ai blog di architettura. A tal proposito, potete trovare un’anticipazione leggendo una vecchia intervista  a Domenico Finiguerra un politico, nonché blogger, con un forte senso urbano non biecamente affaristico.

In questi due mesi (v’invito a contattarmi) ho avuto modo di discutere - informalmente - con Comunità Provvisoria, LUA, Degrado Esquilino, Carlo Infante, Città in rete, Marco Boschini, Comuni virtuosi, Mobilità Palermo, Riprendiamoci Roma, Amo Palermo e Malaroma.

Vi segnalo un'idea interessante l'Urban Genome Project (su facebook) un lavoro di ricerca iniziato dall'editore e curatore di Joseph Grima e artista Pedro Reyes in collaborazione con il collettivo Pase Usted e Salottobuono.
Il loro obiettivo è creare una piattaforma dove gli utenti di tutto il mondo possono accedere alle idee e migliorare il loro ambiente urbano locale.


Wilfing Architettura cercherà di raccontare le vostre esperienze, spetterà a voi osservarle, usarle e ampliarle.
Dopo vent’anni di viaggi virtuali abbiamo bisogno di abitare decentemente le nostre piccole comunità.
Anche per semplici ‘reali’
camminate.

3 dicembre 2010 (ultima modifica 20 dicembre)
Intersezioni --->WIKIO
Come usare WA---------------------    -------------------------------------------------------Cos'è WA

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P.S.: v'invito ad andare oltre i meccanismi della classifica.

29 novembre 2010

0034 [MONDOBLOG] Dammi un minuto che mi metto fuori a scrivere

di Salvatore D'Agostino

Parafrasando il libro di Laurence Sterne ‘The life and opinions the Tristram Shandy, gentleman’ il sottotitolo di questo colloquio potrebbe essere ‘La vita e le opinioni di Luca Diffuse, gentiluomo’. Poiché più che un dialogo è un’associazione d’idee di: luoghi, incontri, cose, digressioni ed esperienze.
«Nello spirito dell'intelligenza connettiva, Writing extended explanations di Luca Diffuse, si configura dunque come una rete di saperi messi in comune, usabili e ampliabili.»1
Luca Diffuse Dammi un minuto che mi metto fuori a scrivere. Eccomi. Ciao Salvatore.

Salvatore D'Agostino
Ciao Luca.

Come stai?

Bene solo un po' di caldo.
 
Si mi dicono. In fondo ci spero. Vorrei andarmene in vacanza, non so, verso la fine del mese.

Vacanze tardive!

È bello stare in spiaggia senza troppe persone. Finora siamo stati qualche settimana in nord Europa. Ma a me piace nuotare.


Scendi in Sicilia?

Forse, ho degli amici a Palermo che ho sempre voglia di rivedere. Ho delle fatture fuori, vediamo cosa mi pagano.
Non so, che direzione prendiamo? Per ora ho da dirti di una cosa accaduta oggi. Ecco che mi ritrovo su Design Boom una casa in cui ho vissuto.

La casa poi era qui...

-


Le due finestre accanto alla canna fumaria. Poi vediamo… altre cose carine di oggi. Ho pranzato al sole. Esattamente qui, all’enoteca Carso...



Un attimo, prima del sole di stamani. Tu hai vissuto all'interno di una casa di legno che si affaccia su delle finestre?

60 mq di finestre esposte ad est. La mattina alle 6.00 sembrava Sunshine di Danny Boyle.

Quelle finestre a me ricordano Alfred Hitchcock. Nel film dove un fotoreporter (Stewart) costretto all'immobilità per la frattura di un piede, osserva dalla finestra tutto ciò che succede all'interno di un cortile. Ma qui ti trovavi davanti un muro.

No no. Si vedevano i tetti di altri Warehouses, verso East New York. Un paesaggio sparso con queste ex fabbriche di birra metti ad un km l'una dall'altra. Come isole. Certo c'era la strana sensazione di incombenza di Manhattan alle spalle un 10 km scarsi. Quella c’è sempre da Newark a Brodway Junction. Il ragazzo che abitava al nostro stesso piano aveva le finestre giuste. Quelle verso ovest e Midtown. Bellissime certo, ma a noi piaceva davvero così. East New York è un posto concreto. Era molto dolce quando con Francesca prendevamo il treno per tornare a Brooklyn. Ci sentivamo subito meglio. La luce soprattutto. Anche se - in un'altra casa - siamo stati per un paio di mesi gli unici bianchi del quartiere. Aspetta eravamo... ecco qui...



Le ultime finestre in alto a sinistra dell’edificio con gli ingressi in marmo. Scusa la deriva Street View. Non so perché mi prenda bene ora.

Cosa vedevi da lì?
 
Dalle finestre della casa che ti ho linkato per ultima ho visto arrivare l'autunno. Si sentiva la presenza del parco. Prospect Park è molto vicino. Non vedevi l’ora di farti una passeggiata. Dalle vetrate del loft di Terri invece arrivava l’inverno. Le mattine grigie più ampie e desolate mai provate. E la sera la doppia sensazione degli altri loft di quel tentativo di gentrification che è Bushwick e della vita miserabile, primitiva, potente, del villaggio che poi abbiamo impiegato almeno due mesi a scoprire. Poi era così assoluto che siamo andati a viverci. In questa casa qui...



La casa a Franklin Ave - esposta ad ovest - in autunno, ma sopratutto in inverno, ti avrà offerto la migliore luce per osservare una città.

Non so, non eravamo molto a casa. Anzi si. Io si, prima di iniziare a lavorare a Dumbo.

Che cos'è Dumbo?

'Down under manhattan bridge overpass'. È uno dei posti più belli di Brooklyn. Un episodio di gentrification di 20 anni fa. Se ti è capitata ‘La fortezza della solitudine’ di Lethem, è tutta ambientata lì ed agli Heights. È un quartiere di 20 blocks sotto al ponte di Manhattan bene o male uno dei centri della creatività mondiale. Se non altro per lo spazio disponibile. 
Tra l’altro probabile che quel libro sia uno dei motivi per cui sto così bene a Brooklyn. Una storia di ragazzini. Pomeriggi nei playground, sfide infinite a suicide. Che è un gioco bellissimo. Le linee per terra, il muro, le mani, la palla. Una cosa assoluta.
Ecco, per andare a lavorare quando vivevo a Franklyn passavo da qui...



Ho questa cosa. Quando arrivo in un posto, in una città, capisco sempre cosa mi piace, in un modo molto istintivo. E capita che il primo posto dove vado è anche poi quello che trovo il più bello dopo magari un anno che conosco bene tutto. E guarda che le città me le faccio in bici strada per strada. Ho una passione nel catalogare quartieri. Ora ti racconto.
Sono andato a nyc perché Francesca mi chiamava da lì alle 4 di notte non pensando che il fuso orario mi fosse sfavorevole. In quel periodo avevo lo studio nel retro di una galleria che ho - tipo - ristrutturato. Probabilmente il posto con la luce più bella qui in città.
Ti metto due link della piazza perché in uno c’è addirittura di spalle Massimo, uno degli operai che ci ha lavorato… 



Mentre nell’altro – oltre alla galleria – c’è la macchina del proprietario in sosta vietata...



Insomma ero lì e lei mi chiama e mi dice... 'sai io sono qui già da un po' e se resto ancora qualche mese poi non so se questa storia possa mantenere ancora il suo equilibrio...' Con molta dignità salgo su un aereo meno di una settimana dopo. Che se parti al tramonto verso ovest ti fai sette ore di tramonto. Che a me magari non interessa. Ma dopo 7 ore di tramonto romantico ci diventi. E la sera stessa siamo lì a prendere cibo in un alimentari a Dumbo. E lei mi porta a vedere i ponti. Brooklyn bridge a sx, Manhattan bridge a dx. E tu ti dici: 'beh, si può fare'...



Tutto il mio immaginario visivo di Hill street blues (And, hey! Let's be careful out there") era lì. E lì poi mi è successo tutto. Nel raggio di 150 metri. Ai limiti del ridicolo. Un giorno ero a Rebar. Un bar free wireless al primo piano del 68 di jay st. Un edificio con forse sessanta suites di gente più o meno creativa dentro...



E mi chiama uno che voleva offrirmi un lavoro. Mi chiama da 40 metri da dove ero in quel momento. Era in una suite allo stesso piano del bar. E lui pensava che io fossi in Italia. Come fai a non dare lavoro a uno che ti si presenta così? Devo avergli fatto l’effetto del teletrasporto.
Lungo il corridoio per andare a parlare col tipo della telefonata si affacciavano una serie di vetrate delle altre suites. Ti vedo un giapponese in vetrina, lavorare ad un plastico in schiuma azzurra. Sono entrato e viene fuori che era lo studio di Florian Idenburg. Praticamente SANAA negli USA. Tutto così.

Un mese fa ero in Danimarca. Avevamo affittato una utilitaria. Solo che non era disponibile ed Europcar - scusandosi – ci ha intrappolati in un suv (stesso prezzo) davvero enorme, che ci mettevo qualche secondo ad andare dal lato guidatore al lato passeggero. Auto che peraltro faceva tutto da sola. Tipo pioveva e lei da sola azionava i tergicristalli. Ne sono ancora stupito, che io solo bici e motorino.
Allora percorro la città nel panico di una macchina così spiccatamente autonoma e mi fermo in un posto a prendere su da bere. Posto che poi dopo aver visitato - non esagero - 30 gallerie, una mezza dozzina di spazi progetto, centri sociali e musei, tentativi di meatpacking district, un tot di baretti wi-fi (tipologia che mi fa stare davvero bene) ovviamente dopo tutto ciò quel posto casuale restava il più bello di tutta Copenaghen...



Ecco secondo me uno per essere felice deve sapere cosa gli piace. E cercare di restare vicino a queste cose per lui belle. E magari cercarne di più belle e non importa se poi vai a finire a lavorare sulla nostalgia. 

Che cosa intendi per ‘nostalgia’?

Intendo che a volte le cose sembrano essere davvero equilibrate e belle e si potrebbe stare così per sempre. Però ci si muove, ci si sposta ed allora quelle cose belle non sono ancora lì in quel modo e uno ne sente il ricordo in modo dolce. Aspetta, è tornata la Fra. Ora viene qui fuori a fumare. 

Mi sa che hai messo insieme tre dispositivi importanti: il vuoto, la percorribilità e la memoria.

A chiamarli così non li riconosco. 

Hai ragione troppo didascalico.

Francesca mi dice che la bici che si vede su Design Boom, quella rossa, è la sua.
Penso sia semplice, una cosa di emozioni, di cercare le cose semplici e vere, di essere felici. Cercare di essere felici. Con Francesca eravamo sul tetto di casa nostra a Franklin. Ci vedevamo solo la notte perché lei stava facendo New York Film Academy e la impegnavano tutto il giorno. E poi la sera a bere sul tetto.
East New York è pericolosa e rassicurante. Un posto in cui essere inghiottiti da qualche stanza o da 2-3 strade e sparire nella vita di quartiere. Difficile sentirsi qualcuno. Li sul tetto ci dicevamo come si sta bene a smetterla di pensare di essere importanti. Sento che ora i miei progetti sono più carini da quando non mi metto più troppo in mezzo. 


La tua frase 'cercare di essere felici' non mi offre nessuna possibilità di uscita.

Cosa vuoi dire? 


La felicità ha una geografia. Nel sud - nel mio profondo sud - è una parola desueta. Da pronunciare sottovoce.

Si... non sono sicuro di capire bene. E dicevo 'cercare' di essere felici. Ha anche un senso dirselo. Poi si. Lasciare sospese le cose più belle è un altro esercizio. Parlare chiaro ma non esaurire.
Forse per le illustrazioni, comunque ci sono un tot di ragazzini davvero giovani che guardano i miei progetti, mi scrivono.
A volte gli faccio avere anche testi in anteprima, dei progetti o delle cose che pubblico in giro. I più svegli mi servono proprio come riferimento delle cose che non vanno dette. Individuano le emozioni, le sensazioni con una bella velocità. Ed è molto divertente sentirsi goffi rispetto a loro. Quando mi sembra di aver messo giù una buona idea, un testo, magari gliela giro e mi tornano risposte del tipo: “si, si questo si sa, però...” 


E dove ti porta quel però?

Intanto banalizza quello che a me sembrava un mezzo successo. E questo è bene. Poi mi spostano verso un uso più delicato delle allusioni e tutto resta in una zona sospesa.
Allora. Ho rotto le scatole un inverno a Mario Lupano per essere in questo ‘lo-fi architecture – architecture as curatorial practice’.
Poi 2-3 mesi fa mi chiama e mi dice di venire a Venezia a lavorarci un po'. Ho conosciuto Luca Emanueli, molto carino e serio, con una famiglia davvero deliziosa e Marco Navarra, molto allegro. Carlo Ruyblas Lesi, in gamba e tranquillo ed uno studio di Treviso, Clinica Urbana, che ha come committente principale un prete spretato che pare batta moneta in una valle trentina. 

Calcola che Mario Lupano mi piace e dunque non sono obiettivo nei suoi riguardi. Una persona così preparata e seria e innovativa da sempre, poi è divertente e dolce. Io ho proprio bisogno di stargli vicino. Penso a breve di sposarmi a Las Vegas (se ripetono questo). Non mi viene in mente un altro cui potrei chiedere di farmi da testimone. E sostanzialmente neppure lo conosco. Non penso proprio accetterebbe.
Insomma ero lì con tutte queste persone più brave di me che però si erano spinte in un campo che io vivo proprio come una ‘attitudine naturale’. E mentre parlavo mi si presentano un paio dei ragazzini di cui sopra. Ultima fila. 


Gli stessi di prima?

Si. Aspetta però. Altro intermezzo. Forse questa cosa che ti racconto è in un libro di Florian che ho tradotto per PostMedia Books.
C'era Sejima a Princeton... Uno studente ha parlato tipo 40 minuti del suo progetto. Raccontato in due fogli. O forse erano due progetti, non so. Sejima in quell’intervallo di tempo consuma mediamente 600 sigarette. E quello andava lungo. Ma davvero.
Alla fine lei gli ha detto: “si si, ho capito, grazie grazie. Ma questo mi piace. E quest'altro no.”
Ecco quei ragazzini fano così. Ed io bene o male mi fido di questo modo veloce di sentire le cose.
Hai preso su la biografia di Sottsass? È un libro molto sereno. 


Amo Sottsass. A proposito della tua foto commento su Abitare online: 1000 EURO PER IL GATTO DI ISHIGAMI.

Ah, aspetta non è un mio lavoro. Sono disegni di Ishigami scansionati dal catalogo della Biennale. Era anche nelle didascalie, non so perché siano finiti lì come una mia “elaborazione”. 


Tra la fine del 1960 e l’inizio del 1970 Ettore Sottsass aveva praticamente smesso di lavorare. Rifletteva, scriveva e soprattutto disegnava. Con una gran “voglia di scappare”:
«Sentivo una grande necessità di visitare luoghi deserti, montagne, di ristabilire un rapporto fisico con il cosmo, unico ambiente reale, proprio perché non è misurabile, né prevedibile, né controllabile, né conoscibile… mi pareva che se si voleva riconquistare qualche cosa bisognasse cominciare a riconquistare i gesti microscopici, le azioni elementari, il senso della propria posizione…»2
Viaggio che intraprese nel 1970 con la giovane artista basca Eulalia Grau. Da quella vita seminomade nascono le ‘Metafore’ o ciò che chiamava ‘fare costruzione’. Disegnava una ‘costruzione’, la realizzava e la fotografava. Nella metafora ‘Architettura Virtuale’ costruisce una casa con 8 aste di legno di 3x3x2.5 mt, dove in un lato - attraverso delle funi - appende una finestra di compensato.
Questa architettura di Sottsass va oltre qualsiasi Leone d’oro.

Io sono sicuro di due cose: che la tipa con cui è partito sarà stata molto carina, e poi che - che ne so - ad una cena, non si sarebbe mai messo lì a raccontare a tutti quanto era stato brillante ed intelligente e concettuale a fare quelle cose. Credo che Sottsass intimamente si vergognasse un po' di queste sue cose meno concrete. No aspetta lo dico meglio, penso che uno non possa leggerle senza partire dal fatto che lui sostanzialmente era lì a passare delle settimane intense con una ragazza. 


Dalle foto che ho visto ti assicuro che la ragazza era molto bella.

Vedi. 


Personalmente non credo che sia una semplice concettualizzazione dell’architettura. Le metafore erano degli strumenti indispensabili per le opere di Sottsass. Nel tentativo di azzerare i significati e i segni dell’architettura - Sottsass - acquisì una profondità progettuale che in seguito traspose nelle sue opere. Se ci permetti le metafore mi ricordano i tuoi progetti raccontati a Stefano Mirti.
Ad esempio la tua recente riflessione su una facciata cieca romana. Com’è nata l’idea?

Lavoravo al terzo progetto di Small Park Narratives, i primi due erano: Greenhouse Outtakes e Headphones Park.
Progetti sulle sensazioni che possono offrire piccoli spazi naturali che ho scritto quando ero negli Stati Uniti. Il terzo progetto ha a che fare in qualche modo con la storia di una ragazza che quando in spiaggia posa la testa sul telo, ha l'impressione che un agave le parli. Ecco questo progetto non riesco ancora a farlo. Non mi vengono i disegni.
Allora ad un certo punto è diventato un’altra cosa: ‘For a while we were obsessed with rooftops
Ci sono comunque ancora superfici luminose, dove sarebbe bello sdraiarsi al sole.
I miei progetti hanno a che fare con delle piccole storie. Storie costruite attorno a comportamenti che mi fanno stare bene e che vedo far stare bene anche le persone che mi stanno attorno.
Non penso che Sottsass volesse ‘azzerare i significati ed i segni dell'architettura’. Cosa vuol dire una frase simile? Lui avrebbe solo preferito che alcuni tromboni dell'architettura azzerassero se stessi, per non perdere tempo a spiegare cose altrimenti semplicissime e fondamentali. Io davvero preferirei mantenere il discorso al livello di complessità di una passeggiata in un parchetto. 

Come leghi le tue storie con l’architettura. Nel senso della quotidiana edilizia di un studio tecnico (perdona la rudezza delle parole).

Io ho un quotidiano tecnico. I progetti che mi capitano hanno la dimensione delle ricerche che puoi vedere sul sito. Sono piccole gallerie o posti simili che lavorano in modo molto tranquillo sulla vita delle persone e del quartiere in cui vengono aperte. Soltanto che magari non mi piace l'uso del web così fortemente autopromozionale. Mi sembra ridicolo mettersi lì a far vedere a tutti quello che si fa. Nessuno pensa a quanto siano insopportabili in media le persone che parlano soltanto di se stessi? Mi piace di più... Non so… Sabato... no Venerdì ero ad una festa. Ed a un certo punto un gruppetto era lì che parlava di uno spazio che ho progettato io. Ecco meglio così.
Quanto alle cose che faccio vedere su alcuni dei siti dove pubblico... il senso è ancora quello di scambiare cose semplici e che fanno stare bene. Tempo fa avevo un blog. Penso che tu mi abbia puntato a partire da quello.
Forse sto continuando la narrazione intima di quello ma in un modo appena diverso. Dopo un anno di prove riesco a disegnare in modo decente le illustrazioni dei miei progetti. Ora per me è importante raccontare le storie di queste persone che disegno, andare oltre me stesso in questo modo, mettermi in secondo piano. Meglio, sparire.


A che cosa serve un blog per un architetto?

Non esistono differenze di genere. Quindi un blog non è utile in modo particolare ad un architetto. Magari - proprio a guardare il modo in cui comunicano gli architetti italiani - potrebbe servire a testare un modo più aperto di comunicare. Non penso che l'interminabile rassegna di ristrutturazioni che viene offerta sia granché emozionante.

Nel tuo blog facevi un uso creativo dello screenshot, ovvero, fotografavi il tuo tavolo da disegno cioè il video del tuo PC, prendevi appunti, amplificavi il tuo punto di vista, lo rielaboravi e in qualche modo destabilizzavi il disegno tecnico, che come si sa, ama parlare in modo misurato.

Ho milioni di screenshots di quando lavoro. Ora sto meno ai computers anche se continuo a voler loro bene. Davvero non destabilizzavo nulla. Salvo sempre molti screenshots e produco come sempre molti più schizzi e disegni. Gli screenshots non mi danno problemi di archiviazione, i fogli si.
Mi piace così tanto il disegno tecnico. Secondo me faccio degli esecutivi veramente densi.
Un po' fini a se stessi visto che i miei cantieri sono controllabili più che tranquillamente a voce.
Qualche giorno fa - proprio riguardo “For a while we were obsessed with rooftops” - pensavo a come mai ci fosse ancora una parte del progetto modellata in digitale... in realtà penso sia una cosa di misura e sincerità. Anche quando disegno un progetto di ricerca ne conosco e ne peso le misure.
Non ti sembro misurato? 


Abbandoniamo il blog e il senso della misura, ti confesso che non ho mai letto il tuo libro scritto con Mariella Tesse ‘Sanaa. Kazuyo Sejima + Ryue Nishizawa. Bellezza disarmante’.

Hai fatto bene. Era scritto in termini eccessivamente entusiastici. Però il libro ha un ottimo indice.

Da anni scrivi per Exibart. Credi che sia possibile fare della buona critica in un contenitore Web che ama citare tutti e tutto?

È un po’ che non scrivo per Exibart. Per un po’ di tempo ho condotto la loro rubrica di architettura. Effettivamente non era possibile esprimersi in modo personale. Le regole erano altre ma magari ci sta pure che mi sia stato offerto uno strumento che non ho saputo usare. Non importa. Scrivendo ho la forte necessità di essere aperiodico e di parlare soltanto di ciò che mi piace. Poi sono un po’ autistico quanto a controllo della qualità. Ho bisogno di uno spazio la cui qualità dipenda esclusivamente da come la progetto io ed assieme alla sensazione di far parte di qualcosa di più vasto. La nuova rubrica su Abitare – Diffuse Outtakes – magari funzionerà così. Per ora va benissimo. Invio i pezzi, me li traducono in inglese, ma non mi editano neppure i refusi. Bello.
Io poi non faccio critica, al limite diffido anche di chiunque dica di se una cosa del genere di se stesso. Parlo delle cose che mi piacciono e nel migliore dei casi mi succede di metterle insieme in modi inattesi. Sempre nel migliore dei casi sarei interessato più che altro ad un certo tipo di scrittura…


Quale?

Contini che impara ad usare il pc, va in dipendenza per qualche chat e scambia mail con Foster Wallace? Tipo irraggiungibile per chiunque. Due giorni fa ho incontrato il traduttore proprio di Foster Wallace e di Gus Van Sant. Già bello ed irraggiungibile anche lui. Settimana prossima poi mi sono procurato un appuntamento con Heather McGowan e quasi mi vergogno ad andare.

Contini e Wallace è proprio un bel connubio. In una tua conversazione Web - commenti su abitare online - con Fabrizio Gallanti parlavi del tuo rapporto ormai inesistente con i progetti editi nelle riviste. Che cosa non va?

I progetti editi sulle riviste li trovo su Internet. Sempre ad avere voglia di andarli a cercare. Quello che mi può interessare di una rivista è come si esprime la redazione. Insomma più che la testata cerco le persone e le loro idee quando le esprimono. Il mio problema è più cartaceo che altro. In generale non porto più i miei libri con me da tanto tempo. Almeno da due traslochi fa. Proprio la settimana scorsa ho ripreso a casa dei miei due o tre cose ancestrali, il paperback di Infinite Jest, i De Lillo (uno firmato), la storia del terzo reich di Shirer, altre cose. Nella casa di Roma ora ho una grande libreria. Semivuota. Quando viene gente nuova a cena mi vergogno un po' che non sia strapiena e dico sempre questa cosa che sto scrivendo anche a te ora...

Per finire mi passi il tuo ultimo Screenshot.

Eccolo. Un saluto a chi mi ha seguito fin qui. Ciao Salvatore, grazie e a presto. 


29 novembre 2010
Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note:
1 Parafrasi di una di  frase tratta da un saggio di Antonella Sbrilli, Tristram Shandy Web: il capolavoro di Laurence Sterne come generatore di una rete di conoscenza, Engramma n. 48, ‘Internet e umanesimo’, Maggio 2006. Link: «Nello spirito dell'intelligenza connettiva, TristramShandyWeb si configura dunque come una rete di saperi messi in comune, usabili e ampliabili.»
2 Ettore Sottsass, Metafore, Milano, Skira, 2002.