Luca Molinari non sarò io a porle le domande ma saranno 14 italiani tra architetti, scrittori, fotografi, politici e un muratore.
Sarà un dialogo tra lei e alcuni italiani.
Antonie Manolova (Sofia): Un vuoto che rappresenta la crisi dell’architettura italiana
Simona Caleo (Roma): La migliore Italia
Stefano Mirti (Milano): Senza selezione, senza eleganza
Alessio Erioli (Bologna): Ecosistema informatico
Gianmaria Sforza (Milano): L’architettura a volume zero
Uto Pio (Facebook): L’ucronia per leggere il presente
Ettore Maria Mazzola (Roma): Tradizionale non concettuale
Alfredo Bucciante aka AlFb (Roma): Tornare normali
Giacomo Butté (Apolide asiatico): L’Italia di oggi
Mila Spicola (Palermo): Architettura democratica
Mahdy (muratore emiliano): In cantiere
Francesco Cingolani (Milano-Madrid-Parigi): Spazio reale virtuale
Rossella Ferorelli (Bari): Accademia
Louis Kruger (Bari): Qual è l’architettura italiana
L’architettura di oggi, ben rappresentata dalle immagini del "promo" di “Ailati – Italia”, è sempre più concepita in maniera puntiforme e individualistica, sicché i quartieri “moderni” risultano sempre più lontani dall’idea di città e di comunità.
Luca Molinari on AILATI from Y Magazine on Vimeo.
Personalmente ritengo che sarebbe il caso di tornare a parlare anche di “architettura delle Città”: non pensa che un evento come la Biennale dovrebbe servire anche a suggerire delle soluzioni che portino a delle città più vivibili e, come si usa dire oggi, più sostenibili? E se sì, non pensa che sarebbe il caso di iniziare a proporre al pubblico anche le architetture tradizionali piuttosto che fossilizzarsi sulla promozione di manufatti edilizi che fanno confusione tra architettura, arti figurative e concettuali?
Simona Caleo (Roma): La migliore Italia
Stefano Mirti (Milano): Senza selezione, senza eleganza
Alessio Erioli (Bologna): Ecosistema informatico
Gianmaria Sforza (Milano): L’architettura a volume zero
Uto Pio (Facebook): L’ucronia per leggere il presente
Ettore Maria Mazzola (Roma): Tradizionale non concettuale
Alfredo Bucciante aka AlFb (Roma): Tornare normali
Giacomo Butté (Apolide asiatico): L’Italia di oggi
Mila Spicola (Palermo): Architettura democratica
Mahdy (muratore emiliano): In cantiere
Francesco Cingolani (Milano-Madrid-Parigi): Spazio reale virtuale
Rossella Ferorelli (Bari): Accademia
Louis Kruger (Bari): Qual è l’architettura italiana
- Ettore Maria Mazzola: Architetto, urbanista, autore di diversi libri di Architettura, Urbanistica e Sostenibilità, docente presso la University of Notre Dame School of Architecture.
L’architettura di oggi, ben rappresentata dalle immagini del "promo" di “Ailati – Italia”, è sempre più concepita in maniera puntiforme e individualistica, sicché i quartieri “moderni” risultano sempre più lontani dall’idea di città e di comunità.
Luca Molinari on AILATI from Y Magazine on Vimeo.
Personalmente ritengo che sarebbe il caso di tornare a parlare anche di “architettura delle Città”: non pensa che un evento come la Biennale dovrebbe servire anche a suggerire delle soluzioni che portino a delle città più vivibili e, come si usa dire oggi, più sostenibili? E se sì, non pensa che sarebbe il caso di iniziare a proporre al pubblico anche le architetture tradizionali piuttosto che fossilizzarsi sulla promozione di manufatti edilizi che fanno confusione tra architettura, arti figurative e concettuali?
- Luca Molinari Personalmente credo che la vera architettura non debba avere problemi di “genere” quanto piuttosto debba rispondere a una responsabilità civile che la vede come arte/tecnica chiamata a rispondere alle sollecitazioni e ai desideri che la società contemporanea pone con forza.
L’ “architettura della città” per come era stata pensata programmaticamente da Rossi nel 1966 è quanto di più distante dai paesaggi metropolitani contemporanei, e lo stesso Rossi nella sua illuminante “Autobiografia scientifica” si era molto distanziato da quella brillante opera giovanile. Credo invece che pensare alle architetture per le città d’oggi voglia dire ragionare su quei frammenti civili, generosi e visionari che aprano prospettive su come le metropoli stanno cambiando e su come noi potremmo viverle in maniera più aperta, laica e curiosa. Questi sono stati ad esempio alcuni dei principi con cui ho selezionato le opere della sezione “Laboratorio Italia”.
- Alfredo Bucciante aka AlFb: (1980) dopo la laurea in Giurisprudenza si è progressivamente impegnato nel campo della comunicazione su Internet. Collabora con diversi siti web (recentemente per il Post cura una rubrica su Roma) e gestisce vari blog, tra cui Luoghi comuni al contrario. Nel 2010 ha pubblicato per Einaudi il libro 'Scusa l'anticipo, ma ho trovato tutti verdi'. Poco di piú si sa di lui.
Guardando ad alcune grandi città italiane, sembra che il problema del bello passi prima dalla sconfitta del brutto. E questo è particolarmente evidente nell'urbanistica e nella viabilità: impianti pubblicitari invasivi, auto e moto sui marciapiedi, sugli scivoli degli handicappati e via dicendo.
Alcuni meccanismi sembrano saltati, in una nome di una visione equivocata di efficientismo e praticità che non arriva a domani, figuriamoci ad un ripensamento degli spazi che guardi al vero benessere, al lunghissimo periodo e magari anche all'estetica.
Dobbiamo prima considerare che un disabile a Roma non può uscire di casa, o possiamo permetterci di ragionare come se stessimo in Norvegia (o, senza andare troppo lontano, anche in Spagna)?
Quali priorità ci dobbiamo dare?
Gli arredi urbani possono ovviamente giocare un ruolo decisivo in questo senso, ma si scontrano anche con un'amministrazione la cui visione della città è spesso chiusa, "orizzontale", e raramente "verticale" e di vasto respiro, come su una mappa.
La riflessione è quindi se sia necessaria una sorta di moratoria, un iniziale ripensamento che parta da una "messa a norma" dell'esistente, un "tornare normali" che potrebbe durare magari 10 o 20 anni e che poi da lì ci dia il diritto, per così dire, di cominciare a ragionare da grandi. Oppure, se farlo da subito si porterà dietro anche tutto il resto.
- LM Non posso che essere totalmente d’accordo con lei, e credo che questo nuovo secolo dovrà essere molto utilizzato per bonificare molti dei misfatti e dei danni prodotti nel XX. Il grande problema italiano riguardo allo spazio pubblico riguarda una forma di ignoranza cinica e violenta del valore dello spazio collettivo che ha investito le nostre città negli ultimi 50 anni dopo che per due millenni abbiamo insegnato al mondo come costruire spazio urbano a misura d’uomo. Le città del boom sono città costruite sull’Ego.ismo e su di una visione spiazzante che anteponeva l’oggetto edificio a tutto quello che gli stava intorno. Le nostre periferie sono collezioni di oggetti (belli o brutti che siano) che hanno dimenticato che la città è soprattutto fatta di vuoti, di marciapiedi, di piazze, di spazi aperti, di luoghi leggeri di vita e connessione.
- Giacomo Butté: progettista. Dopo gli studi in Europa si è spostato in Asia. Attualmente in Cambogia dove divide il suo tempo lavorando con comunità urbane, progettando da freelance, insegnando e curiosando tra le pieghe "dell'altra Asia".
Premessa:
mi sembra che la maggior parte dei problemi italiani nascano da come il paese risponde a problematiche globali.
La biennale è una mostra internazionale, non sono i "trials" pre olimpici dove gli italiani decidono chi mandare a competere.
Quindi io non guarderei la mostra dall'interno, come molti commenti che si leggono online mi sembra facciano, ma dall'esterno.
Forse potremmo affermare che questa mostra serve a ridare, al mondo, una percezione di cosa sia l'architettura italiana oggi.
In quale modo AILATI contribuisce a costruire, nell'immaginario internazionale, la percezione di cosa sia l'architettura italiana oggi?
- LM la ringrazio del commento di partenza che condivido appieno! La mostra è stata immaginata anche per dare segnali sulla condizione italiana verso il resto del mondo. La nostra è una condizione anomala da molto tempo, almeno dal secondo dopoguerra in cui l’anomalia dell’architettura è corrisposta all’anomalia del Paese reale, e questo tipo di condizione sembra essersi ulteriormente ampliata. Il nostro è un Paese sempre più ai margini del dibattito centrale, del mainstream e ogni tentativo di rincorrere i centri risulta sempre essere provinciale e molto debole. La parola Ailati indica questo e insieme la necessità di costruire percorsi diversi, autonomi, forti di un’anomalia che oltre che essere una condizione obbligata potrebbe anche essere una interessante risorsa su cui lavorare. Ho provato a mostrare un’Italia che sia anche laboratorio e luogo in cui sarebbe interessante tornare a sperimentare seriamente, Paese permettendo!
Guardando ad alcune grandi città italiane, sembra che il problema del bello passi prima dalla sconfitta del brutto. E questo è particolarmente evidente nell'urbanistica e nella viabilità: impianti pubblicitari invasivi, auto e moto sui marciapiedi, sugli scivoli degli handicappati e via dicendo.
Alcuni meccanismi sembrano saltati, in una nome di una visione equivocata di efficientismo e praticità che non arriva a domani, figuriamoci ad un ripensamento degli spazi che guardi al vero benessere, al lunghissimo periodo e magari anche all'estetica.
Dobbiamo prima considerare che un disabile a Roma non può uscire di casa, o possiamo permetterci di ragionare come se stessimo in Norvegia (o, senza andare troppo lontano, anche in Spagna)?
Quali priorità ci dobbiamo dare?
Gli arredi urbani possono ovviamente giocare un ruolo decisivo in questo senso, ma si scontrano anche con un'amministrazione la cui visione della città è spesso chiusa, "orizzontale", e raramente "verticale" e di vasto respiro, come su una mappa.
La riflessione è quindi se sia necessaria una sorta di moratoria, un iniziale ripensamento che parta da una "messa a norma" dell'esistente, un "tornare normali" che potrebbe durare magari 10 o 20 anni e che poi da lì ci dia il diritto, per così dire, di cominciare a ragionare da grandi. Oppure, se farlo da subito si porterà dietro anche tutto il resto.
- LM Non posso che essere totalmente d’accordo con lei, e credo che questo nuovo secolo dovrà essere molto utilizzato per bonificare molti dei misfatti e dei danni prodotti nel XX. Il grande problema italiano riguardo allo spazio pubblico riguarda una forma di ignoranza cinica e violenta del valore dello spazio collettivo che ha investito le nostre città negli ultimi 50 anni dopo che per due millenni abbiamo insegnato al mondo come costruire spazio urbano a misura d’uomo. Le città del boom sono città costruite sull’Ego.ismo e su di una visione spiazzante che anteponeva l’oggetto edificio a tutto quello che gli stava intorno. Le nostre periferie sono collezioni di oggetti (belli o brutti che siano) che hanno dimenticato che la città è soprattutto fatta di vuoti, di marciapiedi, di piazze, di spazi aperti, di luoghi leggeri di vita e connessione.
- Giacomo Butté: progettista. Dopo gli studi in Europa si è spostato in Asia. Attualmente in Cambogia dove divide il suo tempo lavorando con comunità urbane, progettando da freelance, insegnando e curiosando tra le pieghe "dell'altra Asia".
Premessa:
mi sembra che la maggior parte dei problemi italiani nascano da come il paese risponde a problematiche globali.
La biennale è una mostra internazionale, non sono i "trials" pre olimpici dove gli italiani decidono chi mandare a competere.
Quindi io non guarderei la mostra dall'interno, come molti commenti che si leggono online mi sembra facciano, ma dall'esterno.
Forse potremmo affermare che questa mostra serve a ridare, al mondo, una percezione di cosa sia l'architettura italiana oggi.
In quale modo AILATI contribuisce a costruire, nell'immaginario internazionale, la percezione di cosa sia l'architettura italiana oggi?
- LM la ringrazio del commento di partenza che condivido appieno! La mostra è stata immaginata anche per dare segnali sulla condizione italiana verso il resto del mondo. La nostra è una condizione anomala da molto tempo, almeno dal secondo dopoguerra in cui l’anomalia dell’architettura è corrisposta all’anomalia del Paese reale, e questo tipo di condizione sembra essersi ulteriormente ampliata. Il nostro è un Paese sempre più ai margini del dibattito centrale, del mainstream e ogni tentativo di rincorrere i centri risulta sempre essere provinciale e molto debole. La parola Ailati indica questo e insieme la necessità di costruire percorsi diversi, autonomi, forti di un’anomalia che oltre che essere una condizione obbligata potrebbe anche essere una interessante risorsa su cui lavorare. Ho provato a mostrare un’Italia che sia anche laboratorio e luogo in cui sarebbe interessante tornare a sperimentare seriamente, Paese permettendo!
- Mila Spicola: Sicilia, architetto, insegnante, componente della direzione regionale del PD, ideatrice insieme alla registra Emma Dante della rassegna di teatro civile "cu arriva ietta vuci", nello spazio di Emma "La Vicaria". A fine settembre uscirà il suo nuovo libro 'La scuola s'è rotta' per i tipi Einaudi.
Le lascio un tema da svolgere: "architettura come rappresentazione della democrazia", come lo tratta?
Dal punto di vista delle modalità della progettazione, della partecipazione e dalla scelta della committenza, del "tipo" e della "tipologia" dello spazio costruito.
- LM Un tema tosto ma necessario vista la deriva estetizzante di molta della nostra architettura ma soprattutto vista la scarsa attenzione alla qualità civile dell’architettura che viene data dalla maggior parte della committenza pubblica italiana. La mostra insiste moltissimo, anzi direi ha come obbiettivo centrale, quello di rafforzare l’idea civile dell’architettura e il suo ruolo/responsabilità civile. Inoltre nella sezione Italia2050 uno dei 14 temi è dedicato a “Democrazia e Media” con un intervento molto interessante di Ian+.
- LM Un tema tosto ma necessario vista la deriva estetizzante di molta della nostra architettura ma soprattutto vista la scarsa attenzione alla qualità civile dell’architettura che viene data dalla maggior parte della committenza pubblica italiana. La mostra insiste moltissimo, anzi direi ha come obbiettivo centrale, quello di rafforzare l’idea civile dell’architettura e il suo ruolo/responsabilità civile. Inoltre nella sezione Italia2050 uno dei 14 temi è dedicato a “Democrazia e Media” con un intervento molto interessante di Ian+.
6 settembre 2010
Intersezioni ---> SPECULAZIONE
Come usare WA----------------------------------------------------------------------------Cos'è WA
Caro Salvatore,
RispondiEliminasono stato molto indeciso se commentare o ignorare la risposta del sig. Molinari alla mia domanda. Infatti, avendo lui ignorato - o finto di non capirne - il senso, ho pensato che sarebbe stato utile far cadere tutto nel silenzio. Però ho anche pensato che c'è gente che legge, e che rischia di credere che ci sia del vero e del giusto nelle parole che nessuno ha provato a confutare. Come si suol dire, "chi tace acconsente", sicché ho deciso di scrivere, ben sapendo che la cosa rischia di aprire il Vaso di Pandora. Ritengo assolutamente indegno che si dica che questa mostra "rappresenti la realtà italiana", tant'è che la realtà di chi si interessa di architettura tradizionale, vernacolare e "non alla moda", non esiste essendo stata dal sig. Molinari ignorata o incompresa. Opto per la seconda ipotesi e dico, non l'ha compresa perché è troppo all'avanguardia per i suoi occhi miopi, è un'architettura all'avanguardia perché già pensa a quando si dovrà, gioco forza, tornare a relazionarsi con il territorio, con l'artigianato e con le economie locali distrutte da una globalizzazione dipendente dall'era del petrolio a buon mercato. Sarebbe utile smetterla quanto prima di produrre cose che non appartengono alla nostra cultura e, onestamente, nemmeno a questo pianeta. Il fatto che Molinari rifiuti la risposta, e confonda la mia domanda con il libro di Rossi per fare sfoggio di una presunta cultura, lo fa scadere nel ridicolo! Personalmente sai come la penso, tra l'altro si percepisce dalla mia domanda, quindi è inutile che lo ripeta. Tuttavia voglio sottolineare che, se venissi pagato (profumatamente tra l'altro), per presentare al mondo una panoramica dell'architettura italiana, specie delle nuove leve, metterei da parte le mie inclinazioni, e lascerei spazio a tutte le correnti, anche al fine di mostrare che l'Italia non è solo il Paese dei pecoroni che scimmiottano malamente le produzioni estere. A questo punto devo anche malignare, e come disse Andreotti, "a pensar male si fa peccato, ma spesso si è nel giusto", e devo dedurre che dietro tale appiattimento e spersonalizzazione ci sia la mano degli interessi di un'industria edilizia che sponsorizza certe manifestazioni. Infine, a proposito della Biennale mi chiedo quale sia il suo senso ultimo? L'idea che mi faccio è che si faccia gran confusione tra architettura e oggetti di consumo, mentre si dovrebbe riflettere sul fatto che l'architettura non è merce da vendere sulle bancarelle. Questa manifestazione mi fa pensare ad una fiera campionaria
Beh...ma la Biennale è una fiera campionaria (e così rispondo anche al quesito sul perchè della Biennale).
RispondiEliminaMatteo Seraceni
1° report Facebbok (selezione di alcuni dialoghi)
RispondiEliminaA proposito della domanda di Mila Spicola:
Simona Caleo: Mi piace molto
Salvatore D'Agostino: Mila è una donna tosta, sa ciò che dice, poiché non ama stare seduta sul divano della politica.
Cammina battendo strade impervie.
Simona Caleo: A cominciare dal luogo di lavoro. Sono le vere rivoluzioni, quelle di tutti i giorni
Salvatore D'Agostino:
Simona,
riporto (sarà la finExTRA di domani) le parole finali di Riccardo Iacona in un'intervista su Radio tre: "La cosa più semplice del mondo raccontare l’Italia, basta andarci"
Puoi ascoltare la puntata qui ---->http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/mostra_evento.cfm?Q_EV_ID=318925
Prima parte
RispondiElimina[Ettore rispondo prima a Matteo per introdurre un argomento che reputo importante]
---> Matteo,
non mi sento di dissentire sul tuo giudizio definitivo: ‘la Biennale è una fiera campionaria’.
Per me (con tutte le sue contraddizioni) resta un dispositivo critico importate, da non sottovalutare.
La biennale è un assaggio non un pasto completo. Parziale, non conclusivo. Un punto, non una linea.
Ti riporto una sintesi storica per ricordare il suo percorso negli anni (non certo da fiera campionaria):
Anno zero (1975)
Direttore indicato dal Presidente Carlo Ripa di Meana: Vittorio Gregotti
Tema: A proposito del Mulino Stucky
Sede: Magazzini del Sale alle Zattere
+
Werkbund 1907. Alle origini del design (1976)
Il razionalismo e l’architettura in Italia durante il fascismo (1976)
Europa-America, centro storico, suburbio (1976)
Sedi: Ca’ Pesaro, San Lorenzo, Magazzini del Sale, Fondazione Cini
Utopia e crisi dell’antinatura. Intenzioni architettoniche in Italia (1978)
Sede: Magazzini del Sale alle Zattere
ANNO I (27 luglio – 20 ottobre 1980)
Direttore indicato dal Presidente Giuseppe Galasso: Paolo Portoghese)
Tema: La presenza del passato
Sede: Corderie dell’Arsenale
N.B.:
- Riflessione sul postmoderno;
- Strada Novissima: venti facciate su una strada -à Frank O. Gehry, Rem Koolhaas, Arata Isozaki, Robert Venturi, Franco Purini, Ricardo Bofil, Christian de Portzamparc;
- Teatro del Mondo di Aldo Rossi;
- Retrospettiva su Ernesto Basile.
ANNO II (20 novembre – 6 gennaio 1982)
Direttore indicato dal Presidente Giuseppe Galasso: Paolo Portoghese)
Tema: Architettura nei Paesi Islamici
Sede: Padiglione Italia ai Giardini
N.B.: Uno sguardo dell’architettura orientale del secondo dopoguerra.
ANNO III (20 luglio – 29 settembre 1985)
Direttore indicato dal Presidente Paolo Portoghesi: Aldo ROSSI
Tema: Progetto Venezia
Sede: Padiglione Italia ai Giardini
N.B.: Una riflessione progettuale su Venezia.
Iniziano i leoni.
Leoni di pietra per i vincitori di Progetto Venezia: border=3 v:shapes="_x0000_s1026">
Robert Venturi, Manuel Pascal Schupp, COPRAT, Franco Purini (Ponte dell’Accademia)
Raimund Abraham, Raimund Fein, Peter Nigst, Giangiacomo D’Ardia (Ca’ Venier dei Leoni)
Alberto Ferlenga (Piazza di Este)
Daniel Liebeskind (Piazza di Palmanova)
Laura Foster Nicholson (Villa Farsetti a Santa Maria di Sala)
Maria Grazia Sironi e Peter Eisenman (Castelli di Giulietta e Romeo a Montecchio Maggiore)
Anno IV (18 luglio – 28 settembre 1986)
Direttore indicato dal Presidente Paolo Portoghesi: Aldo ROSSI
Tema: Hendrik Petrus Berlage. Disegni
Sede: villa Farsetti a Santa Maria di Sala (Ve)
N.B.: Una riflessione sull’architetto olandese: Guardare all’edificio e alla storia dell’edificio
ANNO V (8 settembre – 6 ottobre 1991)
Direttore indicato dal Presidente Paolo Portoghesi: Francesco DAL CO
Tema: Mostra Internazionale di Architettura
Sedi: Padiglione Italia, Padiglioni nazionali ai Giardini, Corderie dell’Arsenale
N.B.: Esposizioni dei padiglioni nazionali
- Austria: Coop Himmelb(l)au
- Stati Uniti:Peter Eisenman e Frank O. Gehry
- Svizzera: Herzog & de Meuron
- Norvegia Sverre Fehn
Costruito il Padiglione del Libro progettato da James Stirling
Concorso per la ristrutturazione del Padiglione Italia vinto da Francesco Cellini
Vincitore del Concorso Internazionale per il nuovo Palazzo del Cinema 1990: Rafael Moneo
Vincitori del concorso internazionale “Una Porta per Venezia” per la ristrutturazione di Piazzale Roma: Jeremy Dixon e Edward Jones
Seconda parte
RispondiEliminaANNO VI (15 settembre – 17 novembre 1996)
Direttore indicato dal Presidente Gianluigi Rondi: Hans HOLLEIN
Tema: Sensori del futuro. L’architetto come sismografo
Sedi: Padiglione Italia, Padiglioni nazionali ai Giardini
N.B.: Una riflessione sul contemporaneo. Si riconferma l’impostazione di Francesco Dal Co delle esposizioni nazionali
- Hans HOLLEIN cura Emerging Voices ovvero le giovani promesse da tutto il mondo: Odile Decq, Liz Diller con Ricardo Scofidio, Peter Zumthor, Ben van Berkel, Kazuyo Sejima.
- Retrospettiva Radicals
- Gabriele Basilico e l’architetto Stefano Boeri presentano: ‘Sezione del paesaggio italiano’
Ritornano i Leoni.
Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale: Padiglione Giapponese border=3 v:shapes="_x0000_s1027">
Leone d'Oro per la migliore interpretazione della Mostra: Odile Decq - Benoît Cornette, Juha Kaako, Illka Laine, Kimmo Llimatainen, Jari Tirkkonen, Enric Miralles Moya
Osella speciale per una straordinaria iniziativa nel campo dell’architettura contemporanea:Pascal Maragall, Sindaco di Barcellona
Osella speciale per la copertura mediatica nel campo dell’architettura contemporanea:Wim Wenders
Osella speciale per un fotografo d’architettura: Gabriele Basilico
ANNO VII (18 giugno – 29 ottobre 2000)
Direttore indicato dal Presidente Paolo Baratta: Massimiliano FUKSAS
Tema: Less Aestethics, More Ethics
Sedi: Arsenale e Giardini
N.B.: Una riflessione sulle trasformazioni delle città metropolitane. Puntando l’accento sulle megalopoli del XXI secolo.
Tre tematiche: Ambiente - Sociale – Tecnologico.
Leoni:
Leoni d’Oro alla carriera: Renzo Piano, Paolo Soleri e Jørn Utzon
Leone d'Oro per la migliore interpretazione della Mostra: Jean Nouvel
Premio speciale per la migliore partecipazione nazionale: Padiglione Spagnolo
Premio Speciale "Bruno Zevi" per un professore di architettura: Joseph Rykwert
Premio Speciale a un patrocinatore individuale di lavori architettonici: Thomas Krens
Premio Speciale per un editore d’architettura: Eduardo Luis Rodriguez, editore della rivista Arquitectura Cuba
Premio speciale per un fotografo d’architettura: Ilya Utkin
ANNO VIII (8 settembre – 3 novembre 2002)
Direttore indicato dal Presidente Paolo Baratta: Deyan SUDJIC
Tema: Next
Sedi: Arsenale e Giardini
N.B.: Domanda cardine: Quale sarà l’architettura del futuro?
- Analisi sulle tipologie diffuse nel mondo: Abitazione, Musei, Interscambio, Formazione, Città delle torri, Lavoro, Negozi, Spettacolo, Chiesa e Stato, Piani regolatori urbanistici, Italia.
- Il Padiglione degli Stati Uniti presenta fotografie sull’11 settembre 2001 e le proposte per le nuove edificazioni su Ground Zero.
Leoni:
Leone d’Oro alla carriera: Toyo Ito
Leone d'oro per il miglior progetto della Mostra Internazionale: Ibere Camargo Foundation di Porto Alegre (Brasile) progettata da Alvaro Siza Vieira
Leone d'oro per la migliore partecipazione nazionale: Padiglione Olandese
Premio Speciale a un patrocinatore individuale di lavori architettonici: Zhang Xin
Premio Speciale per il patrocinio governativo: Città di Barcellona
Menzione Speciale a Next Mexico City: The Lakes Project
Terza parte
RispondiEliminaANNO IX (12 settembre – 7 novembre 2004)
Direttore indicato dal Presidente Franco Bernabè: Kurt W. FORSTER
Tema: Metamorph
Sedi: Arsenale e Giardini
N.B.: Una riflessione sull’impatto dell’uso del computer nelle architetture contemporanee
- Temi: Trasformazioni, Topografia, La natura del’artificio, Superfici, Atmosfera, L’erpicatura della città, Iper-Progetti.
* La sezione italiana, curata dalla DARC, presenta gli scatti di dieci fotografi italiani che hanno collaborato con altrettanti storici e critici dell’architettura per un’indagine sugli ultimi 50 anni di architettura italiana.
Leoni:
Leone d’Oro alla carriera: Peter Eisenman
Leone d’oro per la migliore installazione presentata da un Paese: Padiglione del Belgio (“Kinshasa, the Imaginary City”)
Leone d’oro per l’opera più significativa della mostra Metamorph: Studio SANAA di Kazuyo Sejima + Ryue Nishizawa per i progetti del Museo del XXI Secolo per l’arte contemporanea (Kanazawa, Giappone) e per l’ampliamento dell’Istituto Valenciano de Arte Moderna (Valencia, Spagna)
Premio speciale per l’opera più riuscita della sezione Sale Concerti: Studio Plot di Julien De Smedt e Bjarke Ingels per il progetto della Concert House (Stavanger, Norvegia)
Premio speciale per l’opera più riuscita della sezione Episodi: il fotografo tedesco Armin Linke e l’architetto italiano Piero Zanini per l’installazione Alpi
Premio speciale per l’opera più riuscita della sezione Trasformazioni: l’architetto austriaco Günther Domenig per il Documentation Centre at the Party Rally Grounds di Norimberga, in Germania
Premio speciale per l’opera più riuscita della sezione Topografie: lo Studio Foreign Office Architects Ltd per il Novartis Car Park (Basilea, Svizzera)
Premio speciale per l’opera più riuscita della sezione Superfici: l’architetto giapponese Shuhei Endo per il progetto Springtecture (Singu-cho, Hyogo, Giappone)
Premio speciale per l’opera più riuscita della sezione Atmosfera: studio australiano PTW Architects pty Ltd e il partner cinese CSCEC + Design per il progetto National Swimming Center (Pechino Olympic Green, Cina)
Premio speciale per l’opera più riuscita della sezione Iper-Progetti: Martines Lapeña- Torres Arquitectos per l’Esplanada Fòrum (Barcellona, Spagna)
Premio speciale per l’opera più riuscita della sezione Morphing Lights, Floating Shadows (fotografia): le immagini di Marte scattate dalla NASA in collaborazione con JPL e la Cornell University
Quarta parte
RispondiEliminaANNO X (12 settembre – 7 novembre 2006)
Direttore indicato dal Presidente Davide Croff: Richard BURDETT
Tema: Città. Architettura e società
Sedi:Arsenale, Giardini. Sezione collaterale a Palermo
N.B.: Una riflessioni sulle città globali
- Il Padiglione Italia presenta: VEMA di Franco Purini
Sezioni collaterali:
- Città di Pietra a cura di Claudio D'Amato Guerrieri
* Città - Porto, a cura di Rinio Bruttomesso, allestita a Palermo
Leoni:
Leone d’Oro alla carriera: Richard Rogers
Leone d’Oro per le città: Bogotá, Colombia
Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale: Danimarca (“CO-EVOLUTION”, collaborazione Danese/Cinese sullo sviluppo urbano sostenibile in Cina)
Leone d’Oro per i progetti urbani: Javier Sanchez/Higuera + Sanchez per il progetto di edilizia abitativa “Brazil 44” a Città del Messico
Premio speciale per le scuole di architettura: I Facoltà di Architettura Politecnico di Torino per un progetto su Mumbai
Menzioni per tre mostre di notevole valore: Padiglione Giapponese, Padiglione Islandese, Padiglione dell’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia
Sette Leoni di Pietra,Città di Pietra - Sezione nell’ambito del progetto Sensi Contemporanei:Bari, capogruppo arch. Adolfo Natalini; Crotone, capogruppo arch. Carlo Moccia; Pantelleria, capogruppo arch. Gabriella Giuntoli; Bari, capogruppo arch. Guido Canella; Bari, capogruppo arch. Antonio Riondino; Bari, capogruppo arch. Vitangelo Ardito; Pantelleria, capogruppo arch. Marino Narpozzi
Premio di Architettura Portus, Città – Porto - Sezione nell’ambito del progetto Sensi Contemporanei: “Il parco della Blanda” della Regione Basilicata. Area di progetto: Maratea, Piana di Castrocucco (Potenza). Progettista: Gustavo Matassa, con Vincenzo De Biase, Silvia Marano, Rosa Nave
Premio Manfredo Tafuri, assegnato dal Padiglione Italiano: Vittorio Gregotti
Premio Giancarlo De Carlo, assegnato dal Padiglione Italiano: Andrea Stipa
Premio Ernesto Nathan Rogers, assegnato dal Padiglione Italiano: Luca Molinari
ANNO XI (14 settembre – 23 novembre 2008)
Tema: Out There: Architecture Beyond Building
Direttore indicato dal Presidente Paolo Baratta: Aaron BETSKY
Sedi: Arsenale e Giardini
N.B.: La città nella sua complessità
- Installations, installazioni di grandi dimensioni e site specific, che si domandano come è possibile sentirsi “a casa” nel mondo.
- Uneternal City.
- Trent’anni da “Roma interrotta”, dodici visioni progettuali su Roma e la sua periferia.
Al Padiglione Italia ricognizione dell’architettura sperimentale, Experimental Architecture.
Leoni:
Leone d’Oro alla carriera: Franck O. Gehry
Un Leone d’Oro Speciale per uno storico dell’architettura: James S. Ackerman.
Leone d’Oro per la migliore Partecipazione nazionale: Polonia (“Hotel Polonia. The afterlife of buildings”) Progetto di Nicolas Grospierre e Kobas Laksa.
Leone d’Oro per il miglior progetto di installazione della Mostra Internazionale: Greg Lynn Form (“Recycled Toys Forniture”)
Leone d’Argento per promettenti giovani architetti della Mostra Internazionale: gruppo cilenoElemental
Per una nota più articolata leggi: http://www.ymag.it/wp-content/uploads/2010/05/1-allegato_-sabati-dellarchitettura.pdf
Parte prima
RispondiElimina---> Ettore,
prima d’iniziare perdona se ti rimando ad altro link: http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2010/08/0427-finextra-9-agosto-2010-identita.html
E perdona nuovamente, se prendo in prestito una frase dello scrittore Giuseppe Genna (non è sfoggio di cultura, ma semplicemente un modo di stare insieme: rispettare e condividere le idee altrui).
L’incipit del libro di Giuseppe Genna ‘Assalto a un tempo devastato e vile (3.0)’ è straordinario.
Finisce la prima parte con questa frase: “Benvenuti nel Tempo dell’Astio’.
A pagina 16 trovi una frase lapidaria: “Come cani randagi ci guardiamo, tra amici, pochissimi: rabbiosi e disperati. Con la schiuma alla bocca e le lacrime agli occhi”.
Ecco! Io vivo nel paese del secondo mondo evidenziato da Nicola La Gioia, nel rapporto ’The Global Competitiveness Report 2010-2011’ redatto in occasione del forum economico globale e nella narrazione di Giuseppe Genna.
TEMPO DELL’ASTIO
(Prendo spunto dal tuo commento)
ATTTO I – ITALIANO DIO -
«sono stato molto indeciso se commentare o ignorare la risposta del sig. Molinari”: siamo uomini che s’ignorano, poiché nessuno è disposto a mettere in discussione le proprie idee ‘DIO’».
ATTO II – LA GENTE -
«Però ho anche pensato che c'è gente che legge, e che rischia di credere che ci sia del vero e del giusto nelle parole che nessuno ha provato a confutare»: la gente non è credulona o infantile. La gente è una parola senza senso.
ATTO III – INDIGNAZIONE –
«Ritengo assolutamente indegno che si dica che questa mostra "rappresenti la realtà italiana"»: assoluta perdita di senso del verbo indignare: Benvenuti nel Tempo dell’Astio
ATTO IV – LA STUPIDITA’ DEGLI ALTRI –
«[ndr Molinari] non l'ha compresa perché è troppo all'avanguardia per i suoi occhi miopi»: apoteosi del dialogo italiano.
ATTO V IGNORARE
«Sarebbe utile smetterla quanto prima di produrre cose che non appartengono alla nostra cultura e, onestamente, nemmeno a questo pianeta».
Legge dell’ignorare l’altro. Tautologia del pensiero, Luca Molinari dice (risposta a Alfredo Bucciante aka AlFb): Non posso che essere totalmente d’accordo con lei, e credo che questo nuovo secolo dovrà essere molto utilizzato per bonificare molti dei misfatti e dei danni prodotti nel XX. Il grande problema italiano riguardo allo spazio pubblico riguarda una forma di ignoranza cinica e violenta del valore dello spazio collettivo che ha investito le nostre città negli ultimi 50 anni dopo che per due millenni abbiamo insegnato al mondo come costruire spazio urbano a misura d’uomo. Le città del boom sono città costruite sull’Ego.ismo e su di una visione spiazzante che anteponeva l’oggetto edificio a tutto quello che gli stava intorno. Le nostre periferie sono collezioni di oggetti (belli o brutti che siano) che hanno dimenticato che la città è soprattutto fatta di vuoti, di marciapiedi, di piazze, di spazi aperti, di luoghi leggeri di vita e connessione.
Parte seconda
RispondiEliminaATTO VI - CITAZIONE -
«fare sfoggio di una presunta cultura»: ogni nostra azione è somma di esperienze e, se ci pensi, di citazione altrui. Dimmi la tua architettura fa sfoggio di non cultura?
ATTO VII – FARE I CONTI IN TASCA –
«Tuttavia voglio sottolineare che, se venissi pagato (profumatamente tra l'altro)»: perdonami nuovamente, se cito un libro per me importante Guy Debord ‘La società dello spettacolo’ (quanta Italia in questo libro!): «I Villaggi, contrariamente alle città, sono sempre stati dominati dal conformismo, dall’isolamento, dalla sorveglianza meschina, dalla noia, dalle chiacchiere ripetute all’infinito sulle stesse famiglie Ed è così che ormai si presenta la volgarità del pianeta spettacolare, in cui non è più possibile distinguere la dinastia dei Grimaldi-Monaco, o dei Borbonici –Franco, da quella che aveva sostituito gli Stuart». pp. 210-211
ATTO VIII – RETROPENSIERO –
«A questo punto devo anche malignare, e come disse Andreotti, "a pensar male si fa peccato, ma spesso si è nel giusto", e devo dedurre che dietro tale appiattimento e spersonalizzazione ci sia la mano degli interessi di un'industria edilizia che sponsorizza certe manifestazioni»: non pensi che a pensar male si ci possa fare del male? Come fai a sostenere queste tesi?
Citazione (ovvero sul prendere spunti positivi dalle esperienze altrui) dal blog di Luca Conti: « Gestire un blog comporta rischi che spesso si sottovalutano, come quello di essere querelati. E’ successo anche a me, per una vicenda durata più di tre anni. Per fortuna c’è il lieto fine e ora, che il tutto è stato archiviato, posso parlarne tranquillamente. Non farò il nome del querelante, ininfluente rispetto alla vicenda in questa sede» continua ----> http://www.lucaconti.it/2010/09/02/lieto-fine-per-la-querela-relativa-ad-un-commento-sul-blog/
ATTO IX – ARCHITETTURA MERCE -
«riflettere sul fatto che l'architettura non è merce da vendere sulle bancarelle. Questa manifestazione mi fa pensare ad una fiera campionaria». Nuova tautologia dice Luca Molinari a Stefano Mirti (ndr 0040 [SPECULAZIONE] Dialogo AILATI con Luca Molinari [1]): «Che cosa serve oggi all'architettura italiana? La scoperta del giovane di turno emergente? La presentazione di una nuova generazione o stile o dogma? La messa in mostra del lavoro più polemico e provocatorio da solo come se bastasse a presentare un Paese così complesso e contraddittorio? L'ennesima lode del "famolo strano" che ci piace a tutti? Non credo alcuna di queste risposte da sola... Io credo illusoriamente che oggi bisogna ripartire da nuovi racconti. Racconti corali, di parte, civili, portatori di contenuti culturali e politici, sembrerà retorico e un poco "vecchia maniera", ma i contenuti densi e che devono necessariamente sedimentare con calma, hanno bisogno di piattaforme anche tradizionali, piattaforme che nessun abile surfing può garantire in questo momento».
ATTO X – CARATTERISTICA DELL’ASTIO E’ IL LAMENTO –
Vedi il sunto della storia della biennale:
- Le biennali non hanno mai trascurato il tema della città e il suo tessuto.
Iniziando dalla prima biennale di Portoghesi ‘Strada Novissima’ tema: La presenza del passato.
Riprendendo il filo dalla sesta biennale a seguire.
Nella decima biennale, Richard BURDETT, dedicò un intero spazio alla mostra: Città di Pietra a cura di Claudio D'Amato Guerrieri.
Ettore,
che dirti cominciamo a dialogare di architettura sfrondando le nostre idee dalla stasi del nostro tempo: l’ASTIO?
Saluti,
Salvatore D’Agostino
E.M. Mazzola pone dei problemi, li spiega, fa una domanda a Molinari, che ha eluso con il niente la prima e nemmeno risponde alla seconda, invece risponde Salvatore con un insensato metodo citazionistico che nemmeno entra nel merito su quanto Mazzola ha detto.
RispondiEliminaSe non fosse una comica sarebbe un'offesa.
Pietro
---> Pietro,
RispondiEliminaappunto, io parlavo di dialogo non di astio.
Delle risposte sono state date e si è anche spiegato il metodo.
Come dicevo; una biennale è un punto non una linea.
Io parlerei di questo punto non della personale linea immaginaria.
Off Topic.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Punto, linea, off topic, astio ma cosa dici, quale lingua parli? Questo è lo stesso linguaggio della presunta risposta di Molinari: parlare e non dire, cioè reticente.
RispondiEliminaMa poi chi l'ha detto che bisogna essere buoni? Basta con questo buonismo di quart'ordine!
Bisogna spiegarsi, altro che storie, bisogna argomentare, spiegare con parole proprie e comprensibili e, soprattutto, in italiano normale.
La violenza la esercita chi nasconde le proprie intenzioni, oppure il proprio vuoto, dietro cortine fumogene di parole, chi fa uso di parole immaginifiche ma prive di alcun senso.
Invita il sig. Molinari a rispondere con argomenti, non con chiacchiere. E possibilmente facendo meno uso di pensiero altrui e più del proprio.
Tutti sappiamo fare citazioni, ma a me piacciono i pensieri e gli argomenti, dato che Mazzola è stato chiarissimo nella domanda e nel commento. Te ne faccio una di citazioni: "Odio le citazioni, dimmi quello che sai", Ralph Waldo Emerson
Saluti
Pietro
Pietro,
RispondiEliminaa mio parere Luca Molinari ad Ettore Maria Mazzola ha dato una risposta chiara e semplice.
Non solo, dovresti rileggere queste altre considerazioni:
Luca Molinari a Stefano Mirti (ndr 0040 [SPECULAZIONE] Dialogo AILATI con Luca Molinari [1]): «Che cosa serve oggi all'architettura italiana? La scoperta del giovane di turno emergente? La presentazione di una nuova generazione o stile o dogma? La messa in mostra del lavoro più polemico e provocatorio da solo come se bastasse a presentare un Paese così complesso e contraddittorio? L'ennesima lode del "famolo strano" che ci piace a tutti? Non credo alcuna di queste risposte da sola... Io credo illusoriamente che oggi bisogna ripartire da nuovi racconti. Racconti corali, di parte, civili, portatori di contenuti culturali e politici, sembrerà retorico e un poco "vecchia maniera", ma i contenuti densi e che devono necessariamente sedimentare con calma, hanno bisogno di piattaforme anche tradizionali, piattaforme che nessun abile surfing può garantire in questo momento».
Luca Molinari dice (risposta a Alfredo Bucciante aka AlFb): «Non posso che essere totalmente d’accordo con lei, e credo che questo nuovo secolo dovrà essere molto utilizzato per bonificare molti dei misfatti e dei danni prodotti nel XX. Il grande problema italiano riguardo allo spazio pubblico riguarda una forma di ignoranza cinica e violenta del valore dello spazio collettivo che ha investito le nostre città negli ultimi 50 anni dopo che per due millenni abbiamo insegnato al mondo come costruire spazio urbano a misura d’uomo. Le città del boom sono città costruite sull’Ego.ismo e su di una visione spiazzante che anteponeva l’oggetto edificio a tutto quello che gli stava intorno. Le nostre periferie sono collezioni di oggetti (belli o brutti che siano) che hanno dimenticato che la città è soprattutto fatta di vuoti, di marciapiedi, di piazze, di spazi aperti, di luoghi leggeri di vita e connessione».
Mi sembrano risposte semplici e pieni di contenuti.
Che sia chiaro, sono idee che io - in parte - non condivido.
Mi dispiace, nessun predicozzo sul buonismo, semplicemente con il cattivismo, amato da una generazione senza arte né parte, siamo retrocessi al rango di terzo mondo.
Essendo pseudogiovane, so bene che devo ripartire dalle macerie lasciate da una falsa democrazia all’italiana.
L’Italia, in realtà, è semplicemente un oligarchia.
Sull’uso delle citazioni e del mio linguaggio, sono libero di fare ciò che voglio, non rispetto regole e tantomeno il buon senso.
Che ci vuoi fare! Sali al potere e mi ghigliottini.
Buona domenica,
Salvatore D’Agostino
P.S.: Detto fra noi ‘il vittimismo’ è peggio del buonismo.
Caro Salvatore,
RispondiEliminaMi fa specie che tu ravveda dell’odio nella mie parole, io parlerei di “indignazione”, eventualmente di “risentimento” ma non di odio. E' vero che viviamo in una società in cui, specie gli architetti, vivono nella rivalità costante, (una rivalità mimetica) e vedono i loro colleghi come delle minacce, e questa è probabilmente la ragione della spersonalizzazione che vede le architetture somigliarsi tutte in nome del "famolo strano".
Non credo ci sia nulla di male nel denunciare il fatto che chi produce architettura “non alla moda” venga costantemente ignorato! È forse una violenza dire le cose come stanno?
Non capisco quindi perché ti disturbi tanto se dico «Però ho anche pensato che c'è gente che legge, e che rischia di credere che ci sia del vero e del giusto nelle parole che nessuno ha provato a confutare», tanto da arrivare a dire che «La gente è una parola senza senso», però posso sforzarmi di capirlo: … pensare alla gente non è compito da architetti, l’architetto modernista deve realizzare sempre un monumento a se stesso, non deve sporcarsi la mente provando ad immedesimarsi nel pensiero e nelle esigenze della gente, deve fare come diceva Fiorentino «Io ricorderò sempre come Ridolfi, che è stato il mio vero maestro, sempre mi diceva: “quando progetti per un cliente (e l’edilizia pubblica è un cliente come un qualsiasi altro privato), senza rivelarglielo tu devi sempre sperimentare” perché, in effetti, queste sono esattamente le opportunità nelle quali gli esperimenti possono essere fatti!». Bhé, nel mio andare controcorrente, sono così strano da vergognarmi del fatto che i miei colleghi dicano e facciano certe cose, se questo viene letto come odio nel confronto degli architetti non so che dire.
Ma cosa è più odioso, preoccuparsi di non fare del male alla gente, oppure sostenere, come diceva lo slogan di una Biennale d’Arte all’inizio del XXI secolo, “against the arrogance of the viewer”?
Io non credo che si voglia fare piagnistei, il problema è che non è accettabile che chi la pensa diversamente dall'ideologia imperante debba, costantemente, essere ignorato. Anche quando mi ricordi della Biennale del 2006 con la mostra/concorso "La Città di Pietra", visto che l'ho vissuta con il mio progetto per Pantelleria, selezionato, pubblicato ed esposto, voglio farti sapere che è stata uno specchietto per le allodole. Il bando era chiarissimo negli intenti, tuttavia il risultato non è stato dissimile da ciò che accade negli altri concorsi, sicché i progetti vincitori hanno presentato progetti che nulla (tranne qualche rivestimento) avevano a che fare con l'idea di costruire una città di pietra per ridar vita all'artigianato e alle tecniche e materiali locali.
Cosa ci sarebbe di male nel dire a Molinari «Ritengo assolutamente indegno che si dica che questa mostra "rappresenti la realtà italiana"». La mostra, checché ne dica lui, è la sola vetrina di ciò che interessa al curatore rigidamente allineato con l’ideologia imperante. Chi vive nell’ideologia imperante risulta quanto meno miope, quindi non c’è nulla di male a dire che «[ndr Molinari] non l'ha compresa [ndr l’architettura rispettosa delle tradizioni locali] perché è troppo all'avanguardia per i suoi occhi miopi».
Per me odio e violenza sono quelle di chi condanna al silenzio chi non la pensa come lui.
La sfilza di chiacchiere di Molinari e D'Agostino - sia detto senza astio - io non le ho capite. La domanda di Mazzola sì. L'ospite di casa potrebbe essere così cortese da spiegarsi meglio, e brevemente?
RispondiEliminaFriedrich
Friedrich,
RispondiEliminasenza astio.
NO!
Per dovere di sintesi.
Buona serata,
SD
Con tutta la stima che ho per Mazzola, credo però che la polemica sia inutile.
RispondiEliminaE' chiaro che Molinari, in quanto direttore, sceglie la "sua" idea di "Italia", pertanto ritengo abbastanza inutile incolparlo di non aver compreso tutti (mi sembra la vecchia polemica degli Impressionisti col Salon d'automne...).
In quanto strumento dell'ideologia dominante, la Biennale non può far altro che rispecchiare l'ideologia dominante.
Se si vuole proporre una idea diversa di architettura e urbanistica allora serve un diverso spazio.
Tutto qui.
A presto
Matteo
---> Ettore,
RispondiEliminaSULL’INUTILITA’ DELL’INDIGNAZIONE
L’Italia è il paese degli inani indignati.
A tal proposito, Roberto Benigni, ha scritto e cantato: La marcia degli incazzati.
Link: http://www.youtube.com/watch?v=-9cqNhBNGZg
LA STASI E L’E-STASI DELL’IO (IL COMMENTO)
«C’è un racconto gotico di Lovecraft (L’estraneo) il cui protagonista si rinchiude e vive in un castello, anche mentale, e crede di essere, crede di somigliare, crede di diventare…
Finché non si imbatte in uno specchio e fugge spaventato. Lo specchio è l’unico che tradendolo, gli è fedele, l’unico che senza riflettere lo riflette» (Francesco Merlo).
Non a caso ho chiamato ‘UTO PIO’ - a formulare una delle risposte a Luca Molinari - proprio per capire il paradosso dei dialoghi in rete.
Nei commenti, sovente, vi è una totale contrazione della memoria, preferendo parlare del contingente, in una compressione di senso e significato del presente/passato/futuro.
AILATI è frutto della storia ‘critica’ e personale di Luca Molinari.
Nella tua reazione alla sua risposta, spazzi via o meglio fai tabula rasa, della memoria di Molinari.
AILATI non nasce nel promo.
Se permetti ti copio incollo alcune tracce del suo percorso:
14 dicembre 2008
Link: http://www.abitare.it/featured/luca-molinari/langswitch_lang/it/
«In questi ultimi anni si sono moltiplicati eventi, dibattiti e appelli dedicati all’Identità dell’architettura italiana. Nella maggior parte dei casi si trattava di una malinconica difesa di parole-chiave e di radici consumate dalla metamorfosi che sta interessando non solo l’Italia ma la maggior parte dei Paesi occidentali, ma che indirettamente sembrava confermare la profonda crisi e il provincialismo di una parte rilevante della cultura architettonica italiana. Se alcuni dei migliori talenti della recente storia architettonica nazionale si trovano per firmare petizioni in difesa del suolo patrio, o per confermare i valori identitari della nostra architettura, questo probabilmente testimonia una debolezza e una frustrante sensazione di accerchiamento e, insieme, l’incapacità di portare idee fertili e radicali in una situazione generale di crisi profonda e di sostanziale mancanza di grandi visioni. La situazione italiana, vista dall’esterno, deve sembrare curiosa: Orfana di alcuni dei grandi maestri e pensatori del secondo dopoguerra (Aldo Rossi, Manfredo Tafuri, Bruno Zevi, Giancarlo de Carlo ed Ettore Sottsass); le nuove star (si veda Renzo Piano e Massimiliano Fuksas) sono considerate più come grandi professionisti internazionali che prodotti nazionali. Vittima di un individualismo diffuso ed eterogeneo quanto la sua complessa geografia, condizione che si è progressivamente acuita dagli anni Cinquanta a oggi. Frantumata tra linguaggi regionali e accademie deboli e introverse. Terra di conquista per le grandi e piccole star del firmamento internazionale, ma insieme incapace di offrire budget e investimenti significativi alla produzione di importanti opere di architettura. Patria elettiva dell’architettura, ma insieme Stato incapace di partorire in cinquant’anni una legge specifica sull’argomento e sul suo valore civile per la società. Eppure, da quindici anni, almeno tre generazioni di giovani architetti italiani hanno prodotto opere interessanti, pubblicate e ospitate nelle più importanti mostre e riviste internazionali. Questo però non sembra bastare a soddisfare una domanda che sembra diventata ossessiva: ma cosa si sta costruendo in Italia?
Parte seconda:
RispondiElimina[…]
L’architettura italiana contemporanea viene soprattutto riconosciuta per un sofisticato aggiornamento di quel regionalismo critico tanto caro ai cultori di una immagine stereotipata dell’Italia a metà tra il buon gusto patinato e la Toscana del Mulino Bianco, e che spinge per una immagine dell’Europa regionale, moderna e insieme pittoresca, moderata a misura d’uomo. Si tratta di un traguardo interessante, soprattutto perché sta imponendo la crescita di un nuovo professionismo capace di competere a livello internazionale e di vincere, qualche volta, un buon concorso. Ma io credo che si possa fare di più, andando oltre le gabbie editoriali in cui l’architettura italiana viene giustamente messa. La condizione di marginalità, di periferia dell’impero potrebbe diventare una occasione, una risorsa su cui lavorare come già fanno alcuni autori italiani che da questa condizione ritagliano una obbligata forma di identità. Questa non è l’elogio della provincia italiana contro la grande città, quanto piuttosto la sollecitazione a tutte quelle forme di ossessiva sperimentazione che si pongono ai margini della disciplina tradizionale per individuare parole chiavi, strumenti ed esperienze capaci di rinnovarla profondamente. Il ritardo strutturale in cui versa il nostro Paese lo rende paradossalmente uno straordinario, potenziale laboratorio, soprattutto in questa fase di crisi profonda e generalizzata.
[…]
Se il “margine” italiano sarà capace di alimentare ricerche e opere utili nel dare forma a intuizioni universali allora si uscirà da questa forma di vittimistico compiacimento per tornare ad essere attori necessari allo sviluppo, senza bisogno di convegni e inutili proclami di diversità».
Primavera 2009
Link: http://www.presstletter.com/articolo.asp?articolo=1829
«Ma siamo sicuri che i problemi dell’architettura italiana siano ancora questi? In un periodo così evanescente, disgregato, imploso, brutalmente contraddittorio faccio sinceramente fatica ad eccitarmi per disquisizioni stilistiche celibi e figlie illegittime di Zevi, Ponti e Rogers.
Siamo in un epoca di neo-manierismo universale, in cui la pelle cambia ed è caduca come lo sono la maggior parte delle riviste e degli strumenti per comunicare cultura architettonica oggi.
Chi ricorda negli ultimi tempi numeri indimenticabili prodotti dalle riviste italiane? Chi ricorda un libro che abbia segnato il passo nella discussione attuale? Che opere costruite o progettate hanno spostato l’asse delle ricerche e degli interessi? Che scuola sta facendo veramente ricerca? Che istituzione sta portando avanti progetti culturali innovativi e mostre che svelino scenari inaspettati? Non sto parlando di buoni lavori, di intelligenti produzioni o di libri ben costruiti, ma di opere che hanno avuto il potere di spostare gli equilibri, ponendo problemi strutturali sugli strumenti che usiamo e sulle strade da aprire per inventarne di nuovi.
La situazione attuale è figlia di un imbarazzante conformismo culturale e sociale, e rappresenta un Paese che sembra faccia di tutto per suicidarsi, indifferente alla sorte dei suoi figli.
Mentre l’architettura deve smettere di fidarsi unicamente del proprio talento e del proprio istinto, per tornare a produrre un pensiero integrale e originale sulla realtà. Senza visione politica del mondo, senza visioni originali a cui tendere, l’architettura è puro esercizio di stile, è uno straordinario, sofisticato esercizio di onanismo virtuoso che procura solo piacere a chi lo pratica e a chi, eventualmente, assiste.
Parte terza:
RispondiEliminaEd è per questo che ho azzardato il mio elogio della lateralità italiana. Perchè trovo che questa situazione di imbarazzante ritardo economico e strategico sia una paradossale risorsa per l’architettura italiana. E che insieme su questa parola chiave l’architettura italiana di qualità abbia costruito, suo malgrado, la sua fortuna critica, lavorando con poche risorse, utilizzando i deficit come spunto critico, resistendo alle sirene mediatiche, costruendo identità difficilmente ingabbiabili e, per questo, interessanti.
[…]
Che cosa vogliamo che diventi l’architettura italiana nei prossimi anni? Dove vogliamo che vada? Che scelte? Che orizzonti generali? Che Paese vogliamo contribuire ad avere?
In una fase di crisi paurosa (finanziaria, giudiziaria e culturale) credo sia il momento di confrontarsi apertamente e di fare delle scelte, indicando soluzioni possibili. Sono tempi pericolosi, in cui, chi non fa delle scelte e non si esprime rischia veramente di perdersi».
Alla luce del percorso ‘critico’ di Molinari non capisco la tua indignazione.
SPEAKER’S CORNER
Perdona, ma i blog non possono essere utilizzati come l’angolo dell’Hyde park, dove la domenica alcuni oratori cominciano a parlare dei massimi sistemi della vita secondo il loro punto di vista.
Per carità, lasciamo gli speaker's corner a Londra,
COMINCIAMO A PARLARE DI ARCHITETTURA
Io ripartirei da ciò che dici a proposito di Mario Ridolfi: «Io ricorderò sempre come Ridolfi, che è stato il mio vero maestro, sempre mi diceva: “quando progetti per un cliente (e l’edilizia pubblica è un cliente come un qualsiasi altro privato), senza rivelarglielo tu devi sempre sperimentare” perché, in effetti, queste sono esattamente le opportunità nelle quali gli esperimenti possono essere fatti!».
Per recuperare la memoria ti consiglio di leggere un vecchio testo di Ugo Rosa per la rivista digitale Arch’it.
Link: http://architettura.supereva.com/files/20020213/index.htm
Che ne dici lasciamo perdere lo sport inane indignato italiano e iniziamo a parlare di contenuti.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
P.S.: Che tristezza fare l'offeso a casa dei compagni di merenda: 'tagli e cuci mort...archiwtach'.
---> Matteo,
RispondiEliminacondivido la tua sintesi.
Tutto qui.
:-)
Saluti,
Salvatore D’Agostino