20 gennaio 2010

0008 [FUGA DI CERVELLI] Colloquio Italia ---> Cina con Giacomo Butte

di Salvatore D'Agostino
Fuga di cervelli è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista'.

Italia, Olanda, Germania, Finlandia, Iran, Indonesia, Giappone e Cina. Un'osservazione attenta delle diverse culture di un architetto che temporaneamente vive e lavora in Cina.

Salvatore D’Agostino Giacomo Butte di anni..., originario di..., migrante a, ...qual è il tuo mestiere?

Giacomo Butte 28 anni. Nato a Milano. Migrante in Asia, al momento in Cina. Sul mio biglietto da visita c'è scritto architetto.

Qual è stato il tuo percorso formativo?

Ho iniziato a studiare architettura d'interni a Milano presso la facoltà di Design. Grazie ad un programma chiamato "Master of European Design" organizzato da sette università europee ho avuto modo di studiare per due anni all'estero: a Colonia e ad Helsinki. Quindi, nonostante ora io lavori più o meno come architetto, ho un background accademico un po' diverso che credo abbia generato in me un'idea di architettura più come evento socio/economico/tecnologico/politico/culturale piuttosto che come gioco compositivo. Prima di tornare a Milano mi sono fermato 5 mesi a Rotterdam a lavorare presso l'Atelier Van Lieshout.

Poi l'ultimo anno a Milano. Mi diverte pensare che il ritorno al luogo dove sono nato sia stato quello che mi ha dato più difficoltà di adattamento. Come molti negli ultimi mesi di università, ho fatto tutto fuorché cercare di finire gli studi: tirocinio Park associati, lavori part time kazuyo komoda Design, Poli Design, concorsi ma soprattutto ho avuto la possibilità di partecipare a due workshop in Iran ed Indonesia. Ripensandoci sono stati questi due momenti a convincermi ed incuriosirmi ancora di più a vedere ciò che sta fuori dal mondo occidentale. In questi ultimi due, tre anni ho capito che per me il progetto è uno strumento per capire, affrontare, interpretare ciò che mi circonda. Non è un fine. Quindi ho pensato di poterlo utilizzare per osservare altre realtà.

Finita l'università sono andato a lavorare a Tokyo per un anno e mezzo Studio Han Design. M'interessava vedere come fosse l'atteggiamento verso il design/architettura in un paradigma culturale profondamente diverso dal nostro. Mi interessava vedere più da vicino come facesse un paese ad essere ipercontemporaneo ma allo stesso tempo a mantenere solide radici con il proprio passato. Dopo un anno e mezzo ho deciso di spostarmi in Cina sia per vedere come sono davvero i cinesi, di cui tanto parliamo, nella loro madre terra sia per ragioni professionali. Appena arrivato ho iniziato a lavorare da Zhu Pei ma subito dopo mi sono spostato in uno studio più piccolo dove ora lavoro Crossboundaries.

La tua formazione è eterogenea Olanda, Germania, Finlandia, Italia, Iran, Indonesia, Giappone, Cina:
«In architettura, come in altri ambiti, la classe capitalistica transnazionale è transnazionale perché: gli interessi economici dei suoi membri sono sempre più collegati a livello globale, piuttosto che di origine esclusivamente locale e nazionale: la TCC (ndr Transnational Capitalist Class) cerca di esercitare il controllo economico nei luoghi di lavoro, il controllo delle politiche interne e internazionali, e il controllo ideologico - culturale nella vita quotidiana attraverso forme specifiche di retorica e pratica del consumo e della concorrenza; i membri della TCC tendono a condividere l'alto livello di istruzione e il consumo i beni e servizi di lusso. Infine, i membri della TCC vogliono dare un'immagine di se stessi come dei cittadini del mondo, oltre che dei propri luoghi di nascita». (Leslie Sklair) [1]
Per Leslie Sklair il TCC ha generato l'architettura iconica [2] e invita a riflettere sulla genesi e sul valore della recente architettura, su come quest'ultime possono incontrare le esigenze di coloro che vivono fuori dalle logiche transcapitalistiche:
«Ma ciò implicherebbe la fine della globalizzazione capitalistica che conosciamo». [3]
Credi che questo sia possibile?

Per rispondere bisognerebbe chiedersi se può esistere qualcosa al di fuori dell'Impero. La recente crisi finanziaria potrebbe creare un cambiamento ma questo non ci può portare a credere che questo sia radicale. Per cui risponderei ni. Non vedo, in un futuro prossimo, la fine di quest'architettura iconica (salvo drammatici cambiamenti economici) ma credo che una parte dell'architettura si stia riorganizzando: usando strumenti globali ma cercando di rispondere a problematiche reali, radicate sul territorio e di genuina importanza.
Credo che la nostra generazione non accetterà di progettare per fama e/o guadagno. Non lo credo perché il nostro sviluppo è già discendente. Stiamo intuendo che quell'idea di sviluppo continuo e quel modello di vita che ci hanno proposto non dà risposte su molte questioni. In questa situazione il progetto potrebbe ritornare ad essere una risposta a problematiche quotidiane e necessarie, non a questioni di marketing.

Vorrei però farti una domanda visto che sei anche un comunicatore di cultura progettuale. Trovo sbagliato la maniera in cui solitamente un progetto viene comunicato: lo si riduce ad essere solo immagine come se fosse una natura morta. Non capisco perché i progetti non vengano problematicizzati all'interno delle logiche in cui sono nati. Dovrebbe essere chiaro in ciascun progetto quali sono stati i drivers, i limiti, le esigenze, i desideri che hanno portato a quel risultato. Riassumendo, mi sembra che si faccia finta di non vedere che soprattutto ora l'architettura è un evento socio/economico/culturale/speculativo/tecnologico... Sei d'accordo? E se si, credi sia possibile cambiare?

Nei miei appunti di prossime rubriche c’è l’idea di pubblicare dei progetti. Sto lavorando su due ipotesi:
  • la prima, individuare progetto/ista e proporgli un'autopresentazione che racconti il progetto e i suoi compromessi, più che una rappresentazione di belle foto o rendering;
  • la seconda, è tecnicamente più complicata un viaggio/intervista con l’autore/i dell’opera coadiuvato da foto più da reportage che da still life.
Il limite è costituito dalla struttura non economica di un blog. Credo sia necessario ritornare a fare critica e non fermarci alle descrizioni dei progetti.
Cambiare?
L’architettura ‘evento’ non è invenzione del nostro t
empo. L’architettura è sempre stata usata come espressione di concetti politici/religiosi/commerciali/estetici, opporsi all'iconicità non avrebbe senso. In Italia bisognerebbe uscire fuori dalla logica degli indignati da ‘divano del centro storico’ e obbligare i critici a camminare, in modo tale da far scoprire e dar spazio agli architetti bravi che sappiano violare la recente identità dell’architettura italiana - dagli anni 60’ in poi -, ovvero l’edilizia speculativa. C'è un altro mondo fuori dalle belle immagini, ed è lì che andrebbe cercata l'architettura.

Questo brano è tratto da un supplemento di Domus in occasione di una mostra in Cina. Mera operazione di marketing celata dietro la frase 'scambio culturale'.

«[…] all’inizio dell’attività di cooperazione ambientale con la Cina, dopo un incontro con la stampa a Guanzhou (Canton) una giovane giornalista di un giornale locale mi chiese: “Voi italiani volete venire a lavorare qui, ma quali sono le tecnologie che volete portare, quelle in cui siete più forti?” Io ricordo che la domanda mi diede fastidio perché sapevo che la mia risposta non avrebbe potuto essere che generica e sicuramente insoddisfacente.
Non avevo a disposizione in quel momento strumenti di comunicazione adeguati a comunicare, a spiegare che si trattava tanto di queste o di quella tecnologia quanto di un approccio, di un modo diverso di fare le cose usando al meglio le tecnologie a disposizione con ingegno e spesso con creatività, rispettando nel contempo il contesto in cui si opera, e che questa capacità italiana veniva dalla nostra storia, dalla nostra cultura.» (Massimo Martinelli)[4]
Ti ripropongo la domanda della giovane giornalista.

Sicuramente non portiamo, in linea generale, tecnologie "rigide". Per quanto ho capito sin ora, l'italianità' si differenzia per l'idea
che ha di come rapportarsi con l'esistente, per la gerarchia di valori che abbiamo, per la non disciplina che nei migliori casi fa nascere un pensiero laterale, diverso. Aggiungerei che la crisi che il nostro paese sta avendo, oltre ad avere ragioni interne, ha anche ragioni esterne tra le quali c'è la difficile commercializzazione di queste qualità. Poiché sono astratte, indirette, invisibili e quindi spesso in contrasto con lo sviluppo rapido (e in alcuni casi di corte vedute) che sta avvenendo in Cina. Comunque penso che in un secondo momento, quando sarà necessario un diverso grado di sofisticazione, si potrà recuperare terreno.

Vorrei porti una domanda sulla Cina, ma mi accorgo di aver letto poca letteratura, di conoscere qualche fotografo, alcuni artisti e dei registi, troppo poco perché formuli una domanda sensata. Ti chiedo una risposta non convenzionale, un appunto visivo attraverso immagini e parole che ci possa dare degli spunti e ci aiuti a entrare in un mondo forse solo immaginato.

Cluster 93A. 
Video 0.00: L'edificio si trova all'interno di un hutong[5] nel centro di Pechino. Essendo dentro al secondo anello questi quartieri si sono salvati dallo "sviluppo" economico.


Video +0.70: Al piano rialzato un mercato. Aperto ogni giorno dalle otto del mattino fino all'imbrunire.

 

Video + 4.00: Al primo piano degli uffici di incomprensibile natura. Sempre silenziosi e apparentemente non in attività. Di tanto in tanto qualche nuova società trasloca e allora il piano riprende vita.

 

Video + 8.00: Al secondo un dormitorio (cosi come nell'interrato). Tante piccole camere con due, tre, quattro persone. La permanenza è di solito di breve durata, sono perlopiù persone che sono appena arrivate a Pechino in cerca di lavoro.

 

Video +12.00: Al terzo uno studio di architettura, un'abitazione privata e due atelier d'arte.



Video + 16.00: Il tetto, vuoto, offre una visuale sugli hutong del centro. In lontananza i grattacieli sorti dal recente sviluppo economico.

 

Cluster93A è un edificio multifunzionale creatosi spontaneamente e che offre un'eccezionale spaccato sulla complessa realtà urbana cinese. Purtroppo alla fine di quest'anno[6] l'edificio verrà rinnovato per stare al passo con i tempi e forse per sfruttare meglio le possibilità che il mercato offre.

Come si svolge il tuo lavoro nel Cluster 93A?
 
Io lavoro in uno studio di architettura, 12 metri sopra l'hutong. A mio giudizio la cosa più interessante è che devo attraversare, essendo l'ascensore montacarichi rotto, gli altri piani. Inoltre dopo le 10 di sera bisogna uscire da un uscita secondaria che si raggiunge attraversando il corridoio del dormitorio. Tra un mese ci sposteremo in un'altra parte di Pechino[7] . Purtroppo. Ciò che aveva di speciale questo edificio oltre alla vitalità e operosità che forse solo i cinesi hanno, stava nel fatto che mi permetteva di sentire i cambiamenti della Cina, delle stagioni delle festività sulla scala quotidiana. I segnali sono piccoli e passerebbero inosservati se una persona non li vedesse ogni giorno: il cambio dei prodotti al mercato, l'oscillare dei prezzi, la vendita di soldi falsi da bruciare per le festività, la ristrutturazione delle case per l'anniversario dei sessant'anni...
In conclusione direi che questo edificio, dalla struttura banale, utilitaria, non pianificato, in parte forse non voluto, ha molte più cose da dire sulla Cina di tanti libri o progetti dallo slogan facile che credono di poter afferrare l'identità dell'Impero di Mezzo.

Per chi attraverso i CAD elabora stereometrie complesse sa che è vitale il comando ‘filtro’, senza il suo utilizzo sarebbe impossibile orientarsi. Il filtraggio o 'filtering' consente di selezionare alcune specifiche del disegno, trascurando ciò che non serve, attraverso semplici operatori logici. La stessa logica viene utilizzata in Cina per filtrare le parole non desiderate dal governo centrale. Richiamo alcuni episodi: 
«Come ha scritto nel suo blog uno studente italiano in Cina per motivi di studio, “la censura è invisibile, silenziosa, snervante, casuale. Non sai quando colpisce, hai sempre il dubbio di aver sbagliato tu qualcosa, non la ‘vedi’ e non puoi contestarla»; (Zambardino/Russo)[8]
    Tongzhi è uno scrittore gay cinese, che non psvelare la sua identità, poiché il suo libro ‘Beijing story’ (molto letto grazie alla pubblicazione in rete) è considerato sovversivo;[9]  Shi Tao e Li ZXhi sono stati condannati a diversi anni di carcere grazie all’aiuto dei ‘filtri’ di Yahoo. I dirigenti del browser americano, chiamati in causa su queste vicende, hanno risposto:
«Se fai affari in un paese, devi rispettarne le leggi»; (Zambardino/Russo)[10]
il recente discorso del presidente americano Barak Obama, in terra cinese, è stato ‘filtrato’, censurando alcuni passaggi non graditi dai dirigenti politici. Tu sei anche un blogger (The diary of Jakob Knlup) e scrivi i tuoi post da Beijing. Qual è il tuo punto di vista?

Due ovvietà.
Inizierei sottolineando l’ovvio: la diversità di rapporto tra il singolo e il collettivo e la priorità del governo cinese. Il singolo individuo, il suo agire, il suo pensare, la sua presenza sono parte di un qualcosa di più grand
e a cui sono subordinate. L’idea di un individuo che partecipa in maniera attiva alla società è propria del mondo occidentale. Pensiamo all'importanza che ha l’armonia del gruppo nelle situazioni quotidiane (in Cina ma anche in Giappone, iinteressante il libro di Chie Natane sulla società giapponese puoi trovare una recensione in italiano qui), oppure al pragmatismo con cui vengono implementati piani urbanistici che prevedono lo spostamento di masse di persone. Potremmo riassumere affermando che l’individuo fa parte di un collettivo, il suo agire non deve essere d’intralcio ma anzi fluidificare e aiutare il gruppo. Ovviamente questa appartenenza crea anche vantaggi al singolo. Vantaggi che non avrebbe se agisse individualmente.
Se partiamo da questa premessa credo che non sia poi così lontana un’affermazione del tipo “L’opinione pubblica deve essere controllata ed indirizzata” .A questo punto ci confrontiamo con una seconda peculiarità del sistema cinese: l’importanza della sua unità (geografica, politica, ideologica). Se ci pensiamo bene un paese di 1.3 miliardi di persone, con 56 etnie, con tre fusi orari (che però non vengono considerati, ufficialmente Pechino e Urumqi hanno lo stesso orario) non può non avere a cuore la propria unità. Riportando il discorso alla censura su internet potremmo chiederci: “Perché vogliamo un’informazione libera?”. Se dovessi rispondere direi, in termini generali, perché può garantire pluralità e qualità. Alla Cina, in questo momento, ciò interesserebbe? Io credo di no. Un gruppo affiatato, disciplinato e compatto che lavora all'unisono può raggiungere migliori risultati.
   Mi sembra che dietro la questione della censura ci sai un’altra questione: come gestire i grandi numeri? Come e dove trovare un punto di equilibrio tra libertà individuale e collettivo?

Armonizzazione.
Nel gergo hacker cinese, essere bloccati si dice “essere armonizzati”. Stando in Cina confermo che la censura si sente quotidianamente [per avere un’idea vedi qui]. La definirei fastidiosa ed irritante. Fastidiosa perché i mezzi per aggirarla ci sono (e i giovani cinesi li conoscono) ma questo comporta una spreco di tempo ed energie che a volte lascia perplessi. Irritante perché è attuata, in molti casi, in maniera casuale. Esistono siti bloccati per i contenuti ma molti altri perché potenzialmente pericolosi oppure perché allocati in particolari server. Prendiamo l’esempio di You Tube, poiché tra i milioni di video ne esistono alcuni non graditi al governo cinese, tutto il sito e i link vengono censurati.
Le tecniche di censura in realtà sono oggi più raffinate (In questo video Evgeny Morozov spiega come funziona in Biellorussia). In Cina ci sono tecniche simili che prevedono una contro-controinformazione che cerca di screditare critiche e denunce. Sono anche pagati (5 mao, che sono mezzo yuan, all'incirca 5 centesimi di euro) per ogni post che lasciano in giro per siti. Siccome i cinesi sono sempre creativi hanno anche creato un nuovo ideogramma formato dall'unione di wu “cinque” e mao "mezzo yuan" dando vita al “wao”.
Vorrei fare una precisazione: in Cina non è proibito parlare di certi argomenti in senso assoluto. È “proibito” parlarne in luogo pubblico. Ciò che non viene permesso è la diffusione su grande scala di certe idee. Trovo che in questo ci siano delle somiglianze con ciò che dice Roberto Saviano:«L’eccezionalità di Gomorra è stata nella sua diffusione, nel fatto che abbia portato certe questioni al grande pubblico».

Cattiva Cina.   
C’è un altro aspetto da considerare: la posizione che occupa o che si vorrebbe occupasse la Cina nell'immaginario comune occidentale. “La Cina è un paese disumano che sacrifica vite, territori risorse per il suo sviluppo”. Detto che probabilmente qualcosa di vero c’è anche in un’affermazione di questo tipo, mi sembra che a volte si cerchi soprattutto la conferma di quest’idea piuttosto che l’analisi dei fatti.

Per chi?
Naturalmente quando ci si imbatte nell'ennesimo sito
bloccato senza senso (ad esempio Wilfing Architettura) viene spontaneo chiedersi per chi venga realmente fatta questa censura. Per gli stranieri? Ovviamente no. Per i cinesi esposti all'occidente che magari hanno studiato all'estero? Difficile. Per la maggior parte dei cinesi che vivono fuori dai grossi centri? Probabilmente. Trovo però difficile immaginare che un ragazzo dell'Anhui che usa il suo tempo libero nei giochi online all'improvviso si metta a controllare il sito della BBC.
L’idea che mi sono fatto è che davanti a qualcosa di nuovo, internet, il cui impatto non è ancora ben chiaro, abbiano deciso di blocc
are tutto ciò che potenzialmente potrebbe creare problemi.
   C’è consapevolezza da parte di molti giovani cinesi su questa censura e quindi viene naturale prevedere che in futuro internet sarà sempre più libero. Se però dovessi fare un’ipotesi non mi stupirei se la Cina, cosi come ha fatto con il sistema economico, creasse una situazione unica al mondo in cui libertà e controllo coesistono.

Il 12 gennaio 2010, David Drummond il vice presidente e direttore legale di Google sul blog ufficiale dell’azienda, ha annunciato al governo cinese che non filtrerà più i contenuti non graditi dalla loro amministrazione come accordi in precedenza pattuiti, poiché da qualche tempo, è soggetta a sofisticati attacchi, da parte dei loro specialisti, che violano la proprietà intellettuale debilitando il servizio di Google. Conclude minacciando la chiusura di Google in Cina. Prontamente il ministero degli esteri Ma Zhaoxu in una conferenza stampa ha replicato: «Internet è aperta, le compagnie straniere sono le benvenute se agiscono in accordo con la legge». La paventata minaccia nel giro di pochi giorni si è ridimensionata, poiché Google smentendo il tono perentorio di David Drummond adesso sta cercando una mediazione con gli apparati di governo. Google, semplicemente, si è accorta che non si può permettere di lasciare un bacino di utenza ‘economico’ così vasto. Che cosa sta succedendo in Cina?

L’annuncio di Google è stata una sorpresa per tutti. Proprio ieri ho letto alcune riflessioni di Nart Villeneuve a riguardo che propone una lettura meno radicale suggerendo che Google in fondo voglia sedersi ad un tavolo e ridiscutere i termini. Altri invece sottolineano che questa mossa, comunque vada, giova a Google poiché lo pone in prima linea per un internet libero (interessante il post di Rebecca MacKinnon's 'Google, China, and the future of freedom on the global Internet' vedi qui). Io credo che, nel caso ci siano ripercussioni forti come l’addio di Google o il cambiamento di alcune leggi, potrebbe essere un momento quasi storico. Sarebbe il primo gesto a mostrare che il mercato cinese non è poi così essenziale. La vera forza della Cina, oltre ai soldi, alle risorse, alla manodopera, è il suo mercato. Per entrare in questo mercato Yahoo e Google hanno inizialmente accettato “condizioni particolari” oppure film come 2012 che sono stati studiati per fare presa sul pubblico cinese.
Non saprei prevedere cosa succederà ma proverei a pensare a cosa non succederà: non vedo la Cina “piegarsi” alle richieste di Google. Questo sarebbe un segno di indebolimento che sicuramente è l’ultima cosa che il governo vuole. Io credo che se ci sarà un cambiamento sarà fatto in quella maniera tutta cinese di far coesistere poli opposti (pensiamo ad Hong Kong, al motto “un paese, due sistemi”) che in fondo non mostra chiaramente né vincitori né vinti.

Che cosa resta di Milano vista da Pechino? 

Oggi è troppo facile lamentarsi. Rispondo a metà, parlando solo del lato positivo della città. C'è una parte di Milano -fatta di understatement, controllo, educazione, etica, rispetto- che appare in questo turbo capitalismo come un miraggio, una visione proveniente quasi da un mondo altro. Non è l'immagine di Milano più conosciuta, né più pubblicizzata forse perché non venderebbe abbastanza. A volte devo ammettere che cerco nel carattere di quella Milano quasi scomparsa una risposta, o ancora meglio, una possibile domanda che mi possa aiutare.

20 gennaio 2010

Intersezioni ---> Fuga di cervelli
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Note:
[1] Leslie Sklair, La classe capitalistica transnazionale e l’architettura contemporanea nelle città globali, Lotus, n. 138, giugno 2009, pp. 4-5;
[2] «Per architettura iconica si intendono gli edifici e gli spazi che sono famosi per gli architetti e/o per il pubblico in generale e rivestono una particolare importanza simbolico/estetica. In questo senso possono essere iconici anche gli stessi architetti.» op. cit. p. 4;
[3] op. cit. p. 11;
[4] Responsabile della Commissione Tecnico Scientifica del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. Supplemento di Domus, n. 894, Luglio/agosto 2006, p. 2;
[5] Hutong: quartieri con vicoli e strade strette;
[6] Data colloquio agosto 2009;
[7] Data colloquio settembre 2009;
[8] Vittorio Zambardino e Massimo Russo, Eretici digitali, Apogeo, Milano, 2009 (Libro disponibile online qui);
[9] Edizione italiana a cura di Mario Fortunato, Tongzhi, Beijing story, Nottetempo, Roma, 2009;
[10] Vittorio Zambardino e Massimo Russo, Eretici digitali, Apogeo, Milano, 2009 (Libro disponibile online qui).


Colloquio avvenuto tra il 10 maggio 2009 e il 18 gennaio 2010.

11 gennaio 2010

0036 [SPECULAZIONE] Paesi, paesaggi, paesologia e Franco Arminio

di Salvatore D'Agostino

Franco Arminio è un ipocondriaco per curarsi scrive. Vive a Bisaccia, un comune campano di 4.400 anime. Quasi giornalmente va a fare visita ai piccoli comuni della sua zona, cammina, osserva, chiacchiera e spesso consuma il suo pranzo (un panino imbottito) seduto su una panchina, quando la trova. Dopo anni di attività pedestre ha inventato una nuova scienza la paesologia.1


Salvatore D'Agostino In Italia ci sono:
  • 835 comuni con meno di 500 abitanti
  • 1138 comuni fra i 500 e 999 abitanti;
  • 1669 comuni fra i 1000 e 1999 abitanti;
  • 1010 comuni fra i 2000 e 2099 abitanti;
  • 702 comuni fra i 3000 e 3999 abitanti;
  • 488 comuni fra i 4000 e 4999 abitanti.

Per un totale di 5842 su 8100. Cioè circa il 72% dei comuni hanno meno di 5000 abitanti pari a una popolazione di circa 15.000.0000 milioni su 60.000.000, quindi il 25% della popolazione italiana vive nei piccoli paesi.
Scrivi: «Un paese è un luogo dove non si può barare».2 Sono tutti luoghi da bandiera bianca?3

Franco Arminio Non credo che siano tutti paesi da bandiera bianca. I paesi da bandiera bianca in realtà sono molto pochi. Sicuramente non sono paesi da bandiera bianca quelli vicini alla città o quelli in pianura. il fatto che quindici milioni di italiani vivano nei piccoli paesi non significa che vivano in luoghi simili. Ogni paese è un po' un caso a sé e quelli di cinquecento abitanti sono assai diversi da quelli di quattromila. Rimane il fatto impressionante che si parla poco di paesi e dei loro problemi. La paesologia nasce proprio dalla constatazione che ci sono i paesi e non se ne parla. Al massimo ci sono quelli che scrivono del proprio paese.
«"E' da li che a me è venuta la voglia, o è tornata, di guardare non solo sempre avanti, ma anche oltre il bordo della strada. Per "PAESAGGIRE" come dice Zanzotto.No! Il paesaggio non è il panorama che si può comprare in cartolina, perché ci siamo dentro noi nel paesaggio!!PAESAGGIRE! IMMAGINARE!!Non solo nel virtuale, ma anche nel reale. Leggere i segni di quello che accadrà domani in quello che hai intorno adesso; il paesaggio non è una quinta da teatro che si possa tirare via così insieme al resto... senza che insieme strappino anche noi dalla scena. E' per questo che ci sentiamo rigidi, spaesati, impauriti...»4
Marco Paolini inizia così il suo viaggio, prima veneto e dopo italiano, facendo suo lo sguardo del poeta Andrea Zanzotto,5 il 'paesaggio' non è una visione estetica ma un deposito di tracce. La paesologia?

Con Zanzotto ho avuto una lunga frequentazione epistolare e anche telefonica quando scrivevo solamente in versi. Ho sempre amato il suo lavoro. Lui, come me, ha una precisa geografia della scrittura, nel senso che scrive quasi sempre all'interno dello stesso paesaggio. La paesologia non è una visione estetica, ma una forma di attenzione per i luoghi più sperduti e affranti. Ovviamente si può descrivere qualunque paese, ma credo che a me riesca meglio parlare dei luoghi più desolati, che poi spesso sono i luoghi più vicini al mio paese. La paesologia è un viaggiare nei dintorni, è la soluzione di chi non riesce più a stare nel proprio paese ma non riesce neppure a lasciarlo. Quando parlo di paesi parlo soprattutto di paesaggi, direi che sono la cosa che sento di più. Mi ricordo quando vado in un luogo più la curva di una collina che il profilo di un viso.

Alla 10° Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia dal tema "Città. Architettura e società" del 2006, il curatore del padiglione tedesco Philipp Oswalt presentò, la ricerca sulle 'Shrinking cities' ovvero le città che si contraggono: 
«La decrescita porta - esattamente come a sua volta la crescita - a trasformazioni di carattere fondamentale, cui corrispondono modifiche dei principi, dei modelli di azione e delle pratiche che di conseguenza generano nuove tendenze all'interno della società. Il fenomeno della contrazione urbana è dovuto a diversi processi di trasformazione. Nei vecchi paesi industrializzati, nei quali principalmente si è riscontrato il fenomeno del ritiro urbano negli ultimi decenni, le cause principali sono dovute alla suburbanizzazione, alla deindustrializzazione, al calo demografico e ai cambiamenti politici seguiti alla caduta del comunismo.»6
In Germania vi è una programmazione nei confronti di queste realtà, l'IBA di Berlino a tal proposito ha stilato 10 principi.7
In Italia, molte città si sono contratte ma contrariamente alla sensibilità politica/accademica tedesca sono stati agevolati interventi non organici che favoriscono la cementificazione coatta.
Qual è il rapporto tra il costruito e gli abitanti nei paesi che vai a visitare?

Nei paesi ci sono più case che abitanti, penso soprattutto ai paesi svuotati dall'emigrazione, quelli che stanno nelle zone più interne e montuose. Spesso sono stati proprio questi emigranti ad alimentare la cementificazione. Molti tornano nei paesi proprio per fare prendere aria alle loro case, chiuse tutto l'anno. Un'altra cosa che mi colpisce è che i paesi abbiano il buco a centro. Quelli che non sono andati via hanno realizzato una sorta di emigrazione in periferia. Io li chiamo i disertori sociali. A causa loro i paesi sono abitati più nei loro margini che al centro. E questa conformazione del costruito contribuisce a creare una sorta di effetto vuoto che si ha andando in giro per i paesi. Sarebbe opportuno riportare nuovi residenti creando delle facilitazioni chi decide di comprare casa nei piccoli centri. D'altra parte sarebbe anche il caso di bloccare la costruzione di nuove case, ma favorire solo la ristrutturazione di quelle ubicate nei centri storici.

È possibile ristrutturare le abitazioni del nucleo più denso dei paesi, non credi che per gli emigranti o gli abitanti siano case povere, inospitali, vecchie?

Ieri sono stato ad Accadia,8 in provincia di Foggia. C'è un pezzo di paese interamente ristrutturato, ma completamente vuoto. Ora vorrebbero affidarlo a un'agenzia turistica, ma è una scelta che non ha senso. La sfida vera è portare nuovi residenti nei paesi. Il patrimonio edilizio è notevole, come quantità e qualità. È una situazione che ho constatato di persona in moltissimi paesi. Magari ci sono zone in cui le case sono povere e inospitali, ma sarebbe meglio risistemarle piuttosto che costruire ancora case nuove.

Non credi che questi luoghi amabili per il turista di passaggio siano incompatibili con le esigenze abitative dell’uomo contemporaneo?

In parte si. D'altra parte "l'uomo contemporaneo" deve capire che non può usare gli spazi a suo piacimento. E penso che alla logica di casa bella in un luogo brutto debba subentrare una logica in cui la bellezza del luogo sia più importante della bellezza della casa. L'uomo contemporaneo deve lasciare il delirio della dimora autistica e deve tornare ad abitare di più gli spazi collettivi. Se ognuno vuole abitare in una reggia è chiaro che fra poco non ci sarà più terra e il mondo diventerà un gigantesco deposito di materiale edile. Purtroppo da questo punto di vista l'italia è all'avanguardia.
«Il centro storico è in rovina, il resto è periferia, una periferia dispersa casa per casa. Solita storia di una comunità in fuga dal passato.» Franco Arminio9
Per Vincenzo Cerami: «l'Italia di oggi è un'unica città senza soluzione di continuità.»10 La fuga di cui parli è osservabile sorvolando il nostro territorio. Che cos'è la periferia nelle piccole comunità?

Io frequento i luoghi italiani dove questa città diffusa si interrompe. Penso alla Lucania, al Molise, alla Sardegna. L'italia costruita dalle betoniere è veramente sconsolante.
Le periferie nei piccoli centri sono i luoghi dei disertori, i luoghi di chi ha voltato le spalle al suo paese, ma non ha avuto il coraggio di andarsene lontano.

Che cos'è la paesanologia?

La paesanologia è la disciplina praticata dagli storici locali, dai presidenti delle pro loco. Sono figure a tutti note, non credo sia necessario aggiungere altro.
«Una volta nei piccoli luoghi si guardava il mondo come una faccenda che avveniva altrove. Il paese era un altro mondo.»11 e «Adesso è quasi l'una. Accenda (sic) la videocamera su una vespa dove un tipo del paese vende due orologi a cinque euro. Mi dice che ha pure gli accendini porno e che se voglio incontrarlo posso andare su youtube o su facebook. Adesso l'incontro reale è sempre più solo l'occasione per darsi appuntamento nel mondo virtuale, un appuntamento che spesso si evade perché dimentichiamo il nome o perdiamo i numeri che ci hanno dato.»12
Qual è la visione del mondo nei paesi oggi?

Difficile dire qual è la visione del mondo nei paesi oggi. Direi che salvo eccezioni c'è un sentimento piccolo, che è quello di entrare in questo mondo, senza rendersene conto che la grandezza di un paese oggi sta proprio nel suo essere fuori dal mondo. Un mondo spento e velleitario dovrebbe incoraggiare più spinte che centrifughe e non le ossessive spinte centripete a cui ancora assistiamo.
«Franco Arminio uno dei poeti più importanti di questo paese, il migliore che abbia mai raccontato il terremoto e ciò che ha generato scrive in una sua poesia: "Venticinque anni dopo il terremoto dei morti sarà rimasto poco. Dei vivi ancora meno". Siamo ancora in tempo perché in Abruzzo questo non accada. Non permettere che la speculazione vinca come sempre successo in passato è davvero l'unico omaggio vero, concreto, ai caduti di questo terremoto, uccisi non dalla terra che trema ma dal cemento».
Roberto Saviano conclude così il suo articolo dedicato al terremoto abruzzese del 6 aprile 2009, teme «la maledizione del terremoto non è soltanto quel minuto in cui la terra ha tremato, ma ciò che accadrà dopo».13

Ormai è normale definire con la parola terremoto anche tutto quello che accade dopo, con la fase di ricostruzione. La via che mi sento di suggerire è quella di ricostruire i paesi più che le case. Un paese è qualcosa di più che un insieme di case, questo bisogna sempre ricordarselo.

Lo scrittore Angelo Ferracuti nel 2005 ti venne a fare visita, ecco come descrisse Bisaccia:
«Venerdì 18 novembre 2005.
9.00
Ho preparato il bagaglio. Anche questo breve viaggio è finito e penso che ho visto un altro piccolo pezzo di mondo. Il cielo è aggrottato, per le strade annusi aria di neve. Prima di andarmene faccio un giro per il paese. Le casette in pietra del corso, ‘equilibrio e la grazia dei caseggiati fanno a cazzotti con il cemento del paese nuovo. Stanno come la civiltà alla barbarie. Vicino alle scuole elementari c’è la chiesa, ma sembra un osservatorio della Nasa. circolare, e davanti ha una specie di strano obelisco con in cima quello che sembra un radar. Forse è un misuratore del cattivo gusto, del brutto, e qui ce n’è davvero tanto. È quasi tutto opera di un geniale architetto napoletano.»14
L’architetto napoletano è Aldo Loris Rossi, Anch'esso bisaccese, chiamato a ricostruire il paese dopo il terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980.
«Io quando muoio non voglio essere portato in questa chiesa (ndr la stessa descritta da Angelo Ferracuti) e non voglio che sia questo prete a dire la messa». Franco Arminio15
Oggi le due Bisaccie si osservano, forse si fronteggiano. Dopo 29 anni come e dove vivono i bisaccesi?

Ci sono tre paesi. Il nuovo, il vecchio e il cimitero. Oggi, almeno a Bisaccia, il paese dei morti mi pare di gran lunga il più vivo. Ho sempre pensato al mio paese come a un luogo particolare, un luogo con una combustione intellettuale molto forte. Adesso e piuttosto precipitosamente questa anomalia del mio paese va scemando. Stiamo diventando uno dei tanti luoghi spenti dell’appennino meridionale. I bisaccesi vivono male e dicono di stare malissimo, come tutti i meridionali. È un paese di cattivo umore e di cattiva volontà, luogo ideale per i miei esercizi di anatomopaesologia. Non ci sono slanci speranzosi. La vitalità è così bassa che perfino i rancorosi sembra abbiano perso le unghie e i denti.

Questa non è una domanda ma una richiesta: un consiglio agli architetti, urbanisti e ingegneri delle piccole comunità.

Un architetto che lavora nel suo paese dovrebbe sempre ricordarsi che se fa una porcheria dovrà vedersela davanti agli occhi ogni giorno. In un piccolo paese ci vuole una grande architettura, questa è l'idea che dovrebbe guidare il lavoro dei tecnici.

11 gennaio 2010
Intersezioni ---> SPECULAZIONE

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Note:
1 «La paesologia è una forma di attenzione. È uno sguardo lento, dilatato, verso queste creature che per secoli sono rimaste identiche a se stesse e ora sono in fuga dalla loro forma.» Franco Arminio, Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia, Laterza, 2008, p. 180
«In realtà il mondo in cui viviamo è perfettamente simile a quella cosa un po' opprimente che è un posto di cinquecento abitanti, La società globale è la società della ruralità di massa. Niente piazza, niente vita comunitaria, ognuno è un pastore che pascola le sue pecore morte. Veramente non c'è scampo. Poi uno può decidere di non pensarci, può capitare che ci si diverta passeggiando in riva al mare o facendo l'amore in una stanza d'albergo, può essere che si stia bene su una panchina del proprio paese, tutto può essere, ma siamo nel campo delle deroghe, delle eccezioni. La regola, la legge che si profila sembra seguire la curva delirante della mia disciplina: paesologia, tanatologia, teratologia. Detto altrimenti: il mondo è un paese, il paese è morto, dunque il mondo è un inferno abitato da mostri.» op. cit., p. XIII
«La paesologia non si occupa di chi parte ma di chi resta. È la disciplina che segue chi non avanza a vele spiegate, ma chi inciampa, chi sente la vita che si guasta giorno per giorno, paese per paese.» op. cit., p.186
2 Franco Arminio, op. cit., pp. XII-XII
3 «Va di moda assegnare le bandiere ai luoghi. C'è chi assegna la bandiera blu alle migliori località di mare e chi quella arancione ai paesi più belli. La scuola di paesologia potrebbe assegnare la bandiera bianca ai paesi più sperduti e affranti, i paesi della resa, quelli sulla soglia dell'estinzione. Ce ne sono tanti e sono i meno visitati. Non hanno il museo della civiltà contadina, non hanno il negozio che vende i prodotti tipici, non hanno la brochure che illustra le bellezze del posto, non hanno il medico tutti i giorni e la farmacia è aperta solo per qualche ora. Sono i paesi in cui si sente l'assenza di chi se n'è andato e quella di chi non è mai venuto. Non hanno neppure stranezze particolari: gli abitanti non sono tutti parenti tra di loro, non fanno processioni coi serpenti, non fanno la festa degli ammogliati, non hanno dato i natali a una famosa cantante o a un politico o a un calciatore. Non hanno neppure particolari arretratezze, hanno l'acqua calda in tutte le case, hanno le macchine e il televisore, tutti hanno di che mangiare e un tetto dove dormire.» op. cit., p. IX
4 Marco Paolini, I Cani del gas', Einaudi, Torino, 2002
5Andrea Zanzotto, La Beltà, Mondadori, Milano, 1968
6 Città in contrazione presso la 10° Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia, 2006
7 IBA ristrutturazione urbana 2010. Nuove prospettive per le città in cambiamento
8 10 luglio 2009 [ndr data dell'email]
9 Franco Arminio, op. cit., p. 147
10 Intervista a Vincenzo Cerami su 'Fahrenheit' radiotre, 5/12/2007
11 Franco Arminio, op. cit., p. 179
12 Franco Arminio, mattinata a candela, blog Scuola di paesologia, 27 marzo 2009
13 Roberto Saviano, La ricostruzione a rischio clan ecco il partito del terremoto, La repubblica, 14 aprile 2009 (qui)
14 Angelo Ferracuti, Le risorse umane, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 204
15 Franco Arminio, op. cit., p. 49

Approfondimenti:


5 gennaio 2010

0006 [BLOG READER] Bla, bla, bla...BLAG

di Salvatore D'Agostino
«Da Anthony Hamelle di Linkfluence è arrivato uno studio molto interessante sulla “eurosfera”, la nuvola di contenuti e link del continente, per il momento limitata a quattro paesi: Germania, Olanda, Francia e Italia. Lo scopo era monitorare come le diverse blogosfere/infosfere nazionali si confrontassero vicendevolmente e soprattutto rispetto ai temi di attualità continentale. Particolarmente interessante è il caso italiano, che appare molto isolato, rinchiuso in se stesso, sostanzialmente disinteressato rispetto all’agenda dell’Unione e pesantemente incline alle opinioni personali piuttosto che alle analisi politiche. Da studiare il grafo sociale presentato».
communities of political bloggers and portals (i.e. communities whose members are affiliated to a given party or clearly advocating a political platform, represented in shades of blue);
communities of journalists and experts (shades of green);
communities of political pundits commenting on public issues without a clear or distinctive party line (under the label “opinion”, shades of red);
media websites (shades of orange);
trade unions (shades of purple);
think tanks (light blue);
institutions (websites of public bodies or international organisations, brown);
NGOs and activists (grey).


Questa frase è stata estrapolata da un post di appunti del giornalista e blogger Sergio Maistrello, sul Personal Democracy Forum Europe tenutosi a Barcellona tra il 20 e il 21 novembre 2009.
Frase che ha colpito particolarmente Giuseppe Granieri, esperto di comunicazione e culture digitali che – come sottolinea nel suo articolo in modalità brainstorming – definisce la blogosfera italiana molle, poiché:
  • a) la ‘massa critica’, ovvero i lettori italiani, clicca poco sui link essendo poco interessati alle notizie;
  • b) il clima culturale del giornalismo ama il titolo di guerra ed è asservito alla linea politica editoriale;
  • c) Friendfeed (letteralmente l’aggregatore dei feed amici, dove per feed s’intende contenuti che si desiderano leggere o tener traccia) è una piattaforma che: «evidenzia molto i “bar” in cui la diversità di pensiero è poco tollerata»;
  • d) la cultura politica risente del punto b, si parla poco di contenuti sociali per preferire derive ‘personali’.
Stupisce la sintesi di Granieri che per anni è stato un'ottimista digitale. Tesi descritte nei suoi libri, Blog generation (2005), La società digitale (2006), Umanità accresciuta (2009).

Stupisce che Vittorio Zambardino giornalista e blogger di ‘La repubblica’ autore del manifesto/libro ‘Eretici digitali’ sia affascinato dal nuovo neologismo ‘la blogosfera molle’: «Le cause che Giuseppe ipotizza sono quattro (leggetevelo, quel maledetto post) e io propendo per quelle di cultura politica e antropologica. Detesto quelli che l’avevano detto, ma diciamo che mi fa piacere questa enunciazione di Giuseppe. Il punto però è che siamo nei guai, perché il focus del ritardo provinciale di questo paese non è nell’attardarsi della blogosfera nel cortile: è la mimesi che l’opinione pubblica che si esprime in rete fa del paese: rissoso, fazioso, non fattuale, incolto, non laico, cioè non aperto a normare in modo tollerante e non dogmatico. Perché dovrebbe esserci una buona blogosfera in un paese che ha una politica ferma agli anni ‘50 (e peggio), che taglia la ricerca scientifica per mano di legge (la legge 40), un posto dove il problema dell’industria è farsi sussidiare? Un paese dove la banda larga non parte, non perché manchino i soldi, ma perché si teme che quella modalità d’uso della rete danneggi il potere costituito della tv generalista… E via di seguito». (qui il post)

Stupisce che molti ‘giornalisti/blogger’ abbiano apprezzato il neologismo, parlando al presente e dimenticandosi la storia, se pur breve dei blogger (vedi Luca Sofri, Luca De Biasi, Massimo Mantellini).

Mario Perniola nel suo editoriale Scrivere, scrivere...perché? sulla rivista Ágalma (n.17, marzo 2009) sostiene: «E’ stato osservato che la cultura dei blog si muove in una direzione opposta alla globalizzazione, perché, essendo legata allo spontaneismo espressivo e all’estensione digitale dell’oralità, adopera le lingue nazionali e addirittura gerghi conosciuti da cerchie sociali molto ristrette. Il primo esito è perciò la provincializzazione d’Internet, nel quale la lingua inglese occuperebbe soltanto il 30% dell’intero traffico della rete mondiale: questo fenomeno non ha tuttavia un risvolto neo-nazionalistico, ma conduce ad un ripiegamento provinciale e “strapaesano” della blogosfera. […] Essi sono il prodotto finale, la forma compiuta, il punto d’arrivo di un disastro che è cominciato molto tempo fa e che può essere definito come il dissolvimento dell’opera nella comunicazione. Il proliferare bulimico di scritture che pretendono di essere in presa diretta con l’attualità registrandola nel momento in cui avviene comporta conseguenze clamorose sulla letteratura, rendendola impossibile. L’autismo comunicativo toglie ogni autorevolezza all’autore, contrae il passato e il futuro in un presente effimero, spezza ogni rapporto con una dimensione storica collettiva la quale implica l’esistenza di un significato che va aldilà della mera cronaca».


Stupisce perché credo che vada fatta una banale ma semplice distinzione, tra la scrittura giornalistica e quella Web, poiché molti giornalisti/blogger vivono la propria ubiquità miscelando temi solo apparentemente simili ma antitetici, creando spesso equivoci:
  • la scrittura giornalistica è mediata/retribuita. Nel giornalismo statunitense ci sono due figure importanti il copy editor e il fact checker, il primo controlla la coerenza dell’articolo, il secondo la veridicità della notizia.
  • la scrittura del Web è spontanea/gratuita. Nessun filtro, responsabilità personale sui contenuti, nessuna linea editoriale e la costruzione crossmediale del post (non articolo).
Partendo da questo presupposto, non capisco:
  • il ritardo di Giuseppe Granieri, costretto da un’analista a rivedere molti dei sui punti di vista sulla blogosfera;
  • il manifesto di Zambardino/Russo dove ritroviamo i due mondi non distinti che condividono gli stessi mali. «La storia d'Italia è storia di ossimori - scrive nel suo ultimo libro Francesco Merlo [1] -, dall'imperialismo straccione di Mussolini alle convergenze parallele di Moro, dal partito di lotta e di governo di Berlinguer agli atei devoti di Giuliano Ferrara, le sintesi impossibili sono il piatto forte della nostra storia». Aggiungo un altro ossimoro il giornalista blogger;
  • infine, pur riconoscendo la validità delle tesi del filosofo Mario Perniola, non si può non considerare la differenza sostanziale della scrittura mediata/editoriale e quella spontanea/crossmediale, credo che occorra iniziare a pensare alla vera questione della scrittura Web, ovvero, l’abbondanza.
Come evidenziato la scrittura blog non va confusa con il giornalismo.
Il blog permette una scrittura non sempre strutturata, dove è possibile inserire link (rimandi a contenuti in rete), immagini, video, file audio e soprattutto il post non è statico, anzi è in continuo mutamento grazie: ai commenti, all’estetica delle pagine che possono essere cambiate dall’utente, alle possibili correzioni o integrazione e infine sono scritture temporanee poiché possono svanire (fallimento server, forzatura coatta o cancellazione da parte dell’utente).

Seguendo la genesi critica della ‘blogosfera molle’ sulla mia finExTRA ho ripubblicato un articolo del giornalista (delle “protesi umane”, concetto fondamentale per capire la rete, già McLuhan parlava degli strumenti tecnologici come semplice estensione dell’uomo) Gianluca Nicoletti [2]: «Il blog tipo, se evitiamo quelli di personaggi già noti e fisiologicamente euforici da successo [ndr definiti precedentemente fighetti], è un diario tristerrimo dove il logorio del quotidiano distrugge irrimediabilmente la voglia di vivere. Tra lo/la/l’ scrivente e il resto del mondo esiste una patina limacciosa che rende catarattico anche il punto di vista di un adolescente».


Dove ho ricevuto dei commenti di dissenso da parte di Loredana Lipperini (blogger a tutto tondo - vedi Lipperatura - e recente neo conduttrice del programma di culto di radio tre 'Fahrenheit') poiché non aveva già condiviso l’articolo (nel 2005) e continuava a non condividerlo, attraverso i commenti ho detto: «il Web (non nella sua totalità, ci sono alcune perle da tutelare) soffre della stessa malattia del giornalismo italiano ‘solipsismo elitario con deriva all’opinionismo controllato’».
Lei ha replicato: «Inoltre, frequento da tempo la rete - credo molto più di Nicoletti a cui, sì, si può imputare uno snobismo disgustato nei confronti di tutto ciò che è plebe - per dire che non è vero. Dalla rete sono venute a galla non poche riflessioni fondanti degli ultimi anni: non ultima, la questione femminile, che è arrivata tardissimo sui media mainstream.
I cercatori di perle ci sono. Ma vengono oscurati dai cercatori di merda, che sono molto più numerosi e visibili».
Strano come anche una ‘blogger navigata’ come la Lipperini confonda i due tipi di scritture e si lasci prendere la mano dal male evidenziato all’inizio da Anthony Hamelle degli italiani inclini: «alle opinioni personali piuttosto che alle analisi politiche».


Fabio Metitieri giornalista di tematiche ‘digitali’, prima di morire prematuramente (2009) ha scritto un libro dal titolo ‘Il grande inganno del Web 2.0’, nel quale analizza i vizi dei blogger italiani e smonta molti neologismi ‘mediatici’ privi di senso come ad esempio il ‘Web 2.0’.
A proposito dei blogger scriveva: «In Tali scenari, nostrani e internazionali, mentre i blog più personali e senza pretese prosperano [ndr analisi ancora prive del boom di facebook in Italia], è naufragata quella rivoluzione dei blog di qualità che, con buona pace dei suoi guru, non è mai neppure iniziata. Tra qualche anno, tuttavia, nessuno parlerà più di blog intesi come una modalità di comunicazione rivoluzionaria e i blog verranno visti soltanto per quello che son veramente: degli strumenti che hanno regalato a tutti navigatori la possibilità di pubblicare on line in modo estremamente facile. Senza più enfasi, ideologie o filosofie di vita si perderà l’orgoglio di appartenere a una nuova categoria di Internet e non ci sarà più un “noi generazione blog”, così come sta cessando di esistere un “noi on line” e non è mai esistito un “noi che scriviamo con i word processor”» [3]

Il limite, come abbiamo detto, ma anche l’aspetto più interessante dei blog è l’autopubblicazione, non capire questo significa semplicemente fare confusione. Per Metitieri la scrittura non redazionale, senza titoli accademici o senza esperienze pregnanti nella vita reale è indice di degrado critico, non a caso chiamava gli autori dei blog, bloggher con la h, per enfatizzare la sgrammaticatura (spesso reale) di molti improvvisati critici. Come etichettava con VIB (Very Important Blogger) alcuni blogger che improvvisandosi esperti riuscivano ad avere un gran seguito nella rete.

Uno spunto interessante proviene dal 43° ‘Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2009’ del Censis (4 dicembre 2009), riporto la sintesi relativa alla politica e l'informazione:
«Viviamo in un mare tumultuoso di opinioni». Tuttavia, le componenti sociopolitiche, partitiche o giornalistiche, anche quando non cedono al degradarsi verso il gossip, restano prigioniere nell’esasperazione di un diffuso antagonismo (talvolta a forte tasso di personalizzazione) che non permette loro di uscire dal recinto dell’opinionismo. Nell’«antagonismo vissuto colpo su colpo», i soggetti politici perdono il ruolo di ricerca, sintesi interpretativa e proposta che solo può legittimarne la leadership. Non abbiamo nessuno spazio di autorità condivisa, e non bastano a restituire allo Stato autorità e fiducia isolati episodi di un buon governo del fare. «La corrosione esercitata dal primato dell’opinione ha comportato un grande deficit di interpretazione sistemica, di capacità e volontà di definire una direzione di marcia su cui orientare gli interessi in gioco».
Le considerazioni sulla blogosfera italiana di Anthony Hamelle coincidono con le analisi del CENSIS.
L’Italia digitale/cartacea/TV sembra essere seppellita da un bla, bla, bla senza costrutto.
Un bla, bla, bla (vedi commenti su WA qui, qui, qui) che non esclude i blog di architettura i quali, sovente, trasformano i loro blog in bla, bla, bla...BLAG.
Occorre capire che le scritture blog, anche se blag, al momento restano una parte marginale dell'informazione, nelle ultime elezioni italiane i blog, i forum di discussione o i gruppi su Facebook hanno inciso per il 2,1% sulla scelta del voto (CENSIS-2009).
Metitieri e Perniola sbagliano ad attribuire ai blog una possibile scrittura alta. Poiché i blog vanno letti e criticati capendo la loro struttura ‘mainstream’ cioè uno strumento conosciuto e adoperato da tutti.


Ad esempio il blog Archiwatch di Giorgio Muratore ha tutti i requisiti accademici (fondamentali per Metitieri) per non essere un BLAG ma non è così, poiché il critico romano ama la deriva BLAG.
Nell’inchiesta MONDOBLOG su Wilfing Architettura alla domanda: A che cosa serve un 'blog' per un architetto? Giorgio Muratore rispose: «Tutto quello che dice Grillo sulla stampa è vero … la censura esiste … il mondo della carta stampata nella quale ho vissuto per quarant’anni, come l’università è un letamaio; … un blog … finché non staccheranno la spina … è l’unico modo per avere l’illusione di poter parlare, ma è, comunque, una bottiglia nell’oceano, … ma, sicuramente, sempre meglio di niente ...»


Proprio da questa errata convinzione nasce l'equivoco giornalismo/blogger. Molti blogger sono affetti dalla sindrome, 'Speaker's Corner' ovvero hanno la sensazione (e forse ci credono profondamente) che basta scrivere - urlare - qualsiasi cosa per superare le censure del sistema politico-economico-giornalistico (trinomio inscindibile per le vicende italiane), chiarito quest'equivoco mi chiedo: ma se i blag sono la parte più deleteria (anche se sono convinto del contrario, poiché fanno parte del comune sentire) qual è l’aspetto più interessante dei blog?
Per Jorn Barger, l’autore del primo blog, era la possibilità di condividere in rete il suo work in progress sull’Ulisse di James Joyce e l'intelligenza artificiale (Jorn Barger non fu il primo blogger per una breve storia blog leggere qui).

I blog nascono come ‘appunti’ condivisi attivi (grazie ai commenti). La forza dei blog risiede nella sua capacità di scambiare informazioni. Il post non è un articolo poiché ha la consapevolezza di espandersi attraverso le voci (concorde, flame, snark, troll) dei lettori.
L’energia latente dei blog consiste nella sua capacità, ma anche ingenuità, di essere scrittura 'aperta'.
Molti blogger/giornalisti, a mio avviso, non riescono a cogliere la peculiarità dei blog, cioè la scrittura non ‘giornalistica’ e l’impaginazione crossmediale (testi, audio, video, immagini e link), non a caso i loro blog sono ‘articoli per la stampa’, pillole per i facili linkaggi (personali o per i VIB) e critiche 'giornalistiche' (spesso semplicemente opinioni).

Per le sue caratteristiche intrinseche, nel blog possiamo trovare la scrittura mediata dai bar, non è ammesso il contrario, ovvero, il giornalismo molle-asservito.


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Wilfing Architettura essendo tra i bloggher e non tra i blogger, ama prendere nota di questa storia 'aperta' e si è sempre posto una domanda: nel bla, bla, bla delle scritture blog e tra gli autori Wannabe (Want to be, voler esser) o Speaker’s Corner c’è qualcosa che vale la pena leggere?


Questo denso BLOG READER inizia con due eccezioni e procede in ordine cronologico.

Buona rilettura o lettura


Prima eccezione:
MIss Kappa Alias Anna Pacifica Colasacco il 31 marzo 2009 alle ore 11.09 scriveva questo laconico post dal titolo terremoto:

Sono tre mesi che a L'Aquila la terra trema. Quasi trecento scosse. Ieri alle 15,38 c'è stata quella fortissima. Panico in tutta la città. A seguire, altre quattro abbastanza intense. E stamani alle 8 un'altra ancora. Io ho dormito in auto. Sono terrorizzata.
A presto. Spero.
I suoi amici commentavano (riporto una selezione):
  • guglielmo: Non si dice questa notizia da nessuna parte. Il terremoto non è trendy? ciao. (31 marzo 2009 12.19)
  • rodocrosite: Dai, vedrai che smette! Resisti. Ultimamente quando sento parlare di terremoti, mi viene sempre in mente Tesla. Mah! (31 marzo 2009 13.41)
  • donnigio: Annaaaaaa... mi spiace!!! Io in 35 anni non ho mai sentito un terremoto... e non ho idea di quel che si possa provare!!!! Resisti, prima o poi la terra si stabilizzerà...e spero tante altre cose insieme a lei!! Un abbraccio e a prestoooooooo (31 marzo 2009 14.48)
  • Debbi: Aiuto! Non dev'essere una bella sensazione sentire la terra tremare sotto i piedi,speriamo non si faccia male nessuno. Comunque è vero,al telegiornale non se ne sente parlare per niente. (31 marzo 2009 17.54)
  • Lello: l'incoronazione dello psiconano é riuscito ad oscurare anche una notizia del genere....come state ciginetta?...ti daró uno squillo!! (01 aprile 2009 12.43)
  • NADIA: hola querida..ma èpossibile che non ne parlano ne gionali ne televiosioni...è vero che stanno dietro a quella specie di presidente , ma caspiterina però!! ti sono vicina sono terrorizzata dai terremoti e ti capisco!!! ti abbraccio forte!!! (01 aprile 2009 20.0)
  • Andrew: lo so, ho 2 amici che studiano a L'Aquila e mi hanno raccontato delle continue scosse. Anna hai paura, ti capisco benissimo, non è una bella sensazione sentirsi ballare la terra sotto i piedi (02 aprile 2009 02.0)
Anna Pacifica Colasacco: Sì, si balla ancora. La casa in montagna sta bene, lì il terremoto non c'è stato. La protezione civile ha dichiarato la mia casa di L'Aquila agibile. Ma io resto in montagna, tutto sommato si sta bene. Forse rientrerò a L'Aquila domenica sera. Forse.
Un bacio a tutti. Scappo ché ogni minimo rumore mi sembra il terremoto.... (02 aprile 2009 20.22)

Lunedì 6 aprile alle 3:32 una scossa d'intensità pari a 6,3 magnitudo momento ha distrutto in parte l'Aquila e molti comuni della sua provincia uccidendo più di 300 persone.

Seconda eccezione:
cyber.|N|.ethics |edmondo occhipinti architect ---> 6 giugno 2007 Ritorno sul blog di Edmondo Occhipinti e mi chiedo:
  • possiamo dimenticare uno spunto/appunto così irriverente e libero?
  • possiamo abbandonare le scritture Web alle semplificazioni/distrazioni giornalistiche?
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.** Paradigmi ignorati | Peja TransArchitecture research ---> 21 maggio 2009
La sezione 'dialoghi' di Emmanuele Pilia è un esempio rilevante di scrittura Weblog, dove possiamo trovare la spontaneità, l'informalità, l'immediatezza di un semplice dialogo tra due persone che si espande attraverso i commenti.

Copertura leggera per una piccola corte interna | PROG ---> 14 giugno 2009
Alberto Pugnale autore di un blog senza l'assillo del tempo e del linkaggio virale con questo post sperimenta la condivisione di un suo progetto. La chiosa finale: «Si accettano consigli!» forse anticipa i temi del futuro prossimo la cloud project (trasposto dal concetto di cloud computing dove la nuvola -cloud- non è da intendersi esclusivamente come utilizzo in remoto di software).

L’architettura della cybercezione | Il nido e la tela di ragno ---> 28 agosto 2009
Rossella Ferorelli in questo post traduce un inedito dell'artista e teorico Roy Ascott un modo intelligente per ampliare e condividere le proprie letture senza aspettare la stampa ufficiale. Da imitare, potrebbe offrirci una vera strategia di emancipazione 'culturale' e uscire fuori dalla lagna (giustificatrice) che l'editoria italiana non offre molto.

Inizia il workshop | Le 12 isole deserte ---> 29 giugno 2009
Un'interessante iniziativa di Salottobuono che in collaborazione con l'IUAV ha organizzato un Workshop, dove sul blog creato per l’occasione è stato possibile seguire il work in progress dei lavori. Da rivedere i video degli ospiti Stefano Graziani, Francesco Librizzi, Francesca Benedetto qui. Idea che spero possa essere ripresa da altri, sarebbe stimolante far veicolare in rete i contributi dei convegni, workshop e appuntamenti vari.

L’eutanasista - 1 | Fiori di Zucca Ugo Rosa ---> 6 settembre 2009
«Un mio carissimo amico, recentemente scomparso, mi lasciò alcuni fogli con la raccomandazione di leggerli dopo la sua morte e di farne poi quel che volevo. Dopo averli letti mi sono reso conto di avere una di queste due possibilità:
1) Andare alla polizia
2) Distruggerli».
Appena ho letto questo inizio, ho esclamato: finalmente Ugo Rosa! Un consiglio lasciate perdere i tristerrimi (mi perdonerà Nicoletti) bestiari e rintracciate questo racconto (qui il 2°; ; ; ) ne vale la pena (qui uno scambio di vedute tra Wilfing Architettura e Fiori di Zucca).

Vanna Venturi House – tra memoria e maniera del moderno | =Architettura= =Ingegneria= =Arte= ---> 21 ottobre 2009
Matteo Seraceni scrive un post che i teorici del blogging declinerebbero senza riserva poiché non è né breve né intuitivo. L'incipit di questo piccolo saggio è antigiornalistico. Il finale ci offre un'analisi realistica sul manierismo non professionale che caratterizza il nostro paesaggio.

Lied vom Kindsein. canto dall’infanzia dell’architetto | luoghi sensibili ---> 10 novembre 2009
Fabio Fornasari ricorda la caduta del muro di Berlino del 9 novembre 1989. Essenziale, semplice, attento, come di consueto nei suoi post, occorre caderci dentro senza tante chiacchiere.

perché si scrive? | And the rights before ---> 27 novembre 2009
«Scrivo perché ce l'ho con voi, con tutti [...] Scrivo perché amo l'odore della carta, della penna e dell'inchiostro. [...] Scrivo perché come un bambino credo nell'immortalità delle biblioteche e nella posizione che i miei libri occupano sugli scaffali».
Un post, forse epigrafico, scritto da un architetto Wannabe (come lui stesso si ama definire).

1. Le puntate del compasso: Politica e Meritocrazia | Conferenze e talks of Architettura by Antonino Saggio ---> 5 dicembre 2009
Il 5 dicembre 2009 (forse) sarà ricordato come la giornata del 'popolo viola' Antonino Saggio - già ideatore del primo podcast universitario - avvia una nuova serie di blogTV dal titolo 'Le puntate del compasso' prima di partecipare alla manifestazione riflette su tre rivoluzioni che hanno sortito l'effetto contrario: la legge Ponte, l'avvento delle radio/TV libere e tangentopoli. Termina il suo messaggio video con questa frase: «Speriamo di essere sempre più coscienti».

Organic Modeling - a different approach | Beyond The Light Bulb ---> 7 dicembre 2009
Carlo Beltracchi sperimenta il nuovo comando metaballs dell'ultima versione di Grasshopper, non per la creazione di forme bizzarre ma per permettergli: «il passaggio da una modellazione scultorea (come di fatto avviene da sempre) ad una modellazione di logica, di processo e di possibilità».

Ciao Biz | Bizblog ---> 18 dicembre 2009
Un blog che si arresta:
Mi è stato postato questo commento: «Il problema generalizzato della crisi dell'architettura è importante. E' importante discutere e capire come migliorare...
Però pensiamo anche a noi stessi CONCRETAMENTE ! Secondo me la nostra presenza così frequente nei blog e in facebook è chiaro sintomo che lavoriamo poco... in futuro ce ne potremmo pentire di gettare così il tempo prezioso della nostra vita. Salvatore cosa ti da per la tua professione gestir questo blog? Quanto tempo vi dedichi? A cosa lo sottrai? Lo spunto mi viene dalla confessione del nostro amico Guido Aragona (uno dei migliori curatori di blog in circolazione: http://bizblog.splinder.com/).
STIAMO ATTENTI A NON ESSERE ANCHE NOI TRA DIECI ANNI AD ACCORGERSI DI AVER BUTTATO IL TEMPO QUI A SCAPITO DI CRESCITA SUL LAVORO E RAPPORTI FAMIGLIARI.
ECCOVI GUIDO ARAGONA: "Credo che io abbia sentito il bisogno di esternare la scrittura a seguito dell'attentato dell'11 settembre. […] Ma poi, chissà, se il Direttore, non mi dica ancora, fra un po': "scrivi, scrivi ancora"».
Una piccola nota, il mio blog - ma credo tutti i blog - come si evince dal sottotitolo è in transito non durerà in eterno, dammi il tempo di toccare terra, sempre che ci riesca.

Raffinazione digitale: nuova cantina per il "Consorzio Vini Tipici di San Marino" _ [Un prototipo] | S H I F T ---> 19 dicembre 2009
Andrea Bugli ci racconta il suo lavoro dal disegno CAD alla prototipazzione prodotto con una Z-Corp stampante 3D a SILAB dell'Università degli Studi di Bologna. Idee in rete.

Abbiamo turbato la concorrenza, poveri geometri !! | Amate l'architettura ---> 27 dicembre 2009
Dietro questo titolo urlato (ahimè troppa TV e stampa generalista fa male) c'è un post circostanziato sul ruolo del geometra, cosciente che la devastazione della nostra terra non provenga solo da quest'ordine ma anche dagli ingegneri e architetti tornacontisti. Per questo motivo occorre cominciare a fare chiarezza sui ruoli dei professionisti del cemento. Un post oltre il bla, bla, bla...BLAG. Un post concreto, sostantivo, non aggettivante.

A As Architecture | A As Architecture ---> 27 dicembre 2009
Un blog che inizia:
A As Architecture, ha diverse redazioni sparse nel mondo, è nato su facebook (qui) attualmente ha 10.755 amici, adesso la sezione italiana ha aperto un blog. Qui i loro obiettivi.

n.21967066 | Opla+ ---> 31 dicembre 2009
Un anno di POPconversazioni tra il gruppo OPLA+ e Wilfing Architettura: «Post-fazione
Riporto infine questo commento che Salvatore D'Agostino lasciava ad un mio post per il natale 2008 e di buon auspico dell'anno a venire: “Hai ragione niente buoni propositi ma solo “sostanza”. Aggiungo il 2009 è l'anno zero non possiamo più credere nel passato. Inventarsi il presente non quello eccezionale ma quello concreto diventa un imperativo assoluto. Siamo nell'era della post devastazione dei posticci politici (posticci non pasticci). Quindi un buon tutto e un in bocca al lupo da parte mia”
[ndr chiosa di Marco+] Ecco, è passato un anno (tra crisi emergenze gossip)! Dovevamo “...inventarsi il presente non quello eccezionale ma quello concreto”... mi pare che noi abbiamo incominciato a camminare! ... verso un'architettura pop.»

2009 to 2010| Digitag& ---> 1 gennaio 2010
Infine ecco a cosa può servire un blog:
«Per quanto mi riguarda è stato un anno intenso e meraviglioso in cui ho avuto l'opportunità di concretizzare alcuni dei miei sogni e di rendere il mio interesse digitale maggiormente al centro della mia professione. Ma anche un anno in cui il blog ha avuto modo di sfociare in iniziative, workshop, ed incontri. Ecco, sicuramente la cosa più bella ed interessante del 2009 è che il blog mi ha permesso di "incontrare" gente interessante ed interessata .... e tanta.»
FINe sommessamente BUON TUTTO

5 gennaio 2010 (ultima modifica: 29 luglio 2010)


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[1] Francesco Merlo, Faq Italia, Bompiani, Milano, 2009, p. 78
[2] Gianluca Nicoletti, La blogosfera italiana si è costruita come un universo piramidale non scalfibile ed elitario. Altro che libertà espressiva e letteratura spontanea, Supplemento Tuttolibri, La Stampa, 12 marzo 2005.
[3] Fabio Metitieri, Il grande inganno del Web 2.0, Laterza, Roma-Bari, 2009 pp. 43-44. un modo intelligente per ampliare e condividere le proprie letture senza aspettare la stampa ufficiale. Da imitare, potrebbe offrirci una vera strategia di emancipazione 'culturale' e uscire fuori dalla lagna (giustificatrice) che l'editoria italiana non offre molto.