26 marzo 2009

0030 [SPECULAZIONE] L'architettura di Franco La Cecla

di Salvatore D'Agostino

Un dialogo con Franco La Cecla camminatore e architetto smarrito. Autore del libro Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.

Salvatore D’Agostino Appena ho finito di leggere il tuo libro1, ho avvertito un fastidio nei confronti del titolo. Questo mi sembrava una furbata editoriale per fare più clamore e quindi vendere di più con il conseguente redditizio marketing. Infastidito, sono ritornato sulla pagina interna del titolo e, a matita, ho appuntato:
«Perché 'Contro l'architettura'? Non era meglio: consigli per gli architetti per non credere più nell'architettura mediatica?».
Il titolo sminuisce l'importanza delle tue esperienze. Perché questo titolo modaiolo?

Franco La Cecla In realtà più ci penso e più sono contento del titolo. L'architettura è diventata la giustificazione ideologica di una certa trasformazione del mondo in brand, di quello che a Palermo è successo con il "cool" di quel triste figuro che è Cammarata (Diego, sindaco di Palermo ndr), ma che a Barcellona è successo con il MACBA, a Bilbao con Gehry e a Pechino con koolhaas....
Qui si tratta davvero di prendere in blocco la pratica dell'architettura e sottoporla ad una critica feroce, radicale. Non è un caso che il libro ha fatto tanto casino. Gli architetti, attaccati con dettagli, riescono solo a rispondere alle mie critiche che ho ragione, ma che loro sono diversi dalle archistar. Invece la colpa non è del sistema mediatico, ma della trasformazione della città in spettacolo alla Debord, di cui gli architetti sono i primi complici. Questa mania faceva dire ad uno dei migliori, come Miralles, che a lui non interessava la realizzazione, ma solo il progetto. Io ho avuto la fortuna di non dovere chiedere permesso o scusa a nessuno e di dire quello che in tanti sanno e cioè che il re è nudo, e, non è un caso, che sono i giovani architetti e gli studenti di architettura il mio pubblico, stufi di sentire l'architettura giustificata a destra e a manca. L'architettura è una delle poche discipline a non avere critica.

Eppure sono convinto che, questo impatto mediatico/verbale, si blocchi al suo effetto slogan 'contro l’architettura' e non venga approfondito nei suoi contenuti. Ritengo che alcune tue tesi siano importanti, elenco a mio parere le più rilevanti:

  • l’architettura contemporanea deve prendere sul serio la catastrofe e non pattinarci sopra o ai margini;2
  • proporre la sola soluzione architettonica in aree urbane complesse è imbarazzante;3
  • è discriminante parlare dei quartieri periferici come se non facessero parte della città;4
  • la forza della città sta nella sua capacità all'aggregazione  come la gente riesce a tessere relazioni e impadronirsi degli spazi o parafrasando Rebecca Solnit, la città democratica è: «un poter passeggiare tra sconosciuti»;5
  • ogni progetto ‘importante’ dovrebbe avere non solo la valutazione di impatto ambientale ma anche la valutazione di impatto sociale;6
  • l’uso della polizia per eliminare tutto ciò che è imprevedibile e multifunzionale non serve per la gestione dell’urbanità.7
Non temi che il tuo messaggio resti in superficie?

Dai Salvatore, sono un po’ stanco di parlare del mio libro. L'ho scritto e credo di aver detto lì tutto quello che era necessario dire. Oggi cercare di aggiungere qualcosa è un po’ inutile, perché i libri hanno una loro coerenza, le interviste no.

Sono d’accordo le interviste sono riduzioni di pensieri complessi, spesso resi banali dalla stupidità della divulgazione.
«Sarà ricordato come l'11 settembre della super-architettura, il 9 febbraio 2009? Come il fuoco delle vanità dell'architettura iconica del nuovo millennio? Impazzano su Youtube i video dell'incendio che ha devastato parte di uno dei simboli della Pechino olimpica, il Cctv di Rem Koolhaas. Crollano le borse, crollano i consumi e neanche le archistar stanno tanto bene».
Questo è l'incipit di un articolo di Fulvio Irace pubblicato sul Sole 24 Ore dal titolo L'archistar è in crisi, 15 febbraio 2009.8
L'archistar è veramente in crisi?

Direi che il problema è: Fulvio Irace non è in crisi. L'articolo era un esempio classico di opportunismo. Lui che ha sempre leccato il sistema delle archistar, adesso che il maestro koolhaas glielo permette, dice che c'è del marcio in Danimarca. koolhaas è un uomo intelligente e sa che passi fare per smarcarsi, ora, in tempo di crisi. Tra poco dirà che ha appiccato lui il fuoco. D'altro canto per ora è un coro di architetti che dicono: ah, avete ragione, bisogna cambiare strada...

Nell'ultimo libro di Vittorio Gregotti dal titolo antitetico al tuo "Contro la fine dell'architettura" scrive:
«L'incertezza culturale delle commissioni (dei concorsi di architettura ndr) finisce poi per affidarsi alle mode senza mettere in conto la relazione tra la loro transitorietà e la permanenza delle opere e soprattutto il loro valore urbano e contestuale. Naturalmente questo giudizio può derivare non tanto dalla fortuna di essere fuori moda, quanto dallo sperimentare che la moda in quanto immagine è diventata l'unico criterio di giudizio ridotto e diffuso sino alle provincie, dove la riproduzione dei successi delle idee di novità è diventata imitazione degradata nella vana speranza che la bizzarria, divenuta ormai consumo, possa ancora valere come elemento di successo mediatico.»9
Le tesi dei due libri hanno in comune il discredito verso un'architettura fashion, ma divergono profondamente nell'azione propositiva. Vittorio Gregotti rivendica l'autonomia artistica del fare architettura contro l'interdisciplinarità omologante, tu invece non credi nell'azione autoreferenziale dell'architetto e proponi una rieducazione della disciplina che sappia:
«[...] inventarsi una capacità vera di intervento sul reale, sul bene della comunità e della città.»10
Gregotti si è suicidato mediaticamente nell'intervista data alle Iene e diffusa su Youtube.11 Com'è possibile che non parli mai di quello che fa? Com'è possibile che non accetti la benché minima critica e che per giunta da magnate dica che lui non è un proletario e per questo allo ZEN non ci vivrebbe mai. Io ho letto il suo libro e devo dire che non capisco da dove prenda le sue tesi. Sembra che non abbia letto nulla dalla caduta del muro di Berlino in poi, la sua analisi è ancora quella di un iscritto al PCI che giustifica tutto in base a struttura e sovrastruttura e la sua idea di artista mi fa rabbrividire. L'arte oggi è molto più in crisi, contraddittoria, problematica di quello che lui anche vagamente pensa. Devo dire che mi verrebbe da aggiungere che le idee servono agli architetti a giustificare scelte già fatte, come una ideologia posticcia che si attacca a posteriori.Per finire, ti aggiungo quello che Stefano Boeri mi ha detto all'ultimo dibattito insieme due settimane fa a Urbania (29 gennaio 2009 ndr) a Bologna. Mi ha accusato di essere come Berlusconi, di attaccare gli architetti come Berlusconi attacca i giudici. Dalle ultime file del pubblico qualcuno ha urlato con una vocina: «Esagerato!».

Non attacchi gli architetti e questo si deduce dalla lettera informale che scrivi a Renzo Piano,12 chiamato a costruire una nuova sede universitaria nel quartiere Harlem a New York. L’architetto genovese ha cercato, anche grazie al tuo aiuto, di progettare, evitando la mera gentrificazione e tentando una possibile integrazione tra culture abitative/architettoniche diverse. Un'idea che non è stata accettata, anzi è stata quasi sostituita da un altro progetto dall’enstabilishment della Columbia University. Hai creduto in quel progetto e ti rammarichi dell’arroganza con cui è stato, gentilmente ma parzialmente escluso, dall’iter progettuale. Concludi la tua lettera con un suggerimento di abbandonare definitivamente il progetto per coerenza. Nel libro apprezzi il lavoro di Carlos Ferrater a Barcellona, John Peterson con la sua idea di Public Architect e sei accusato dall’urbanista Josep Acebillo di pensare «à la de Carlo» (Giancarlo De Carlo ndr).13 Infine al direttore del TG1 Gianni Riotta alla sua domanda: «Qual è l’architetto contemporaneo che approva?» Rispondi Balkrishna Doshi e Oscar Niemeyer pensando al suo recente intervento per riqualificare la più grossa favela di Rio De Janeiro Rocinha.14 Possiamo fare a meno dell’architettura?

Possiamo fare a meno dell'architettura come sistema spettacolo, cioè il tipo di architettura che oggi è diventata una sorta di neomonumentalismo senza alcun senso del contesto. Ad esempio, qui a Berlino è impressionante il senso di accozzaglia di oggettini enormi a cui corrisponde il periodo di interventi degli ultimi dieci anni, ma quella che doveva essere la main street della città, Frederick Strasse è una cupa, insignificante serie di palazzi acciaio e vetro senza alcun senso dell'insieme.
Schizzo di Renzo Piano per il progetto Campus della Columbia University da Casabella, n. 738, novembre 2005, p. 28.

A proposito del tuo ultimo libro, Marco De Michelis, su abitare scrive:
«Che l’architettura di oggi sia noiosa è questione vera e di cui dovremmo imparare a discutere seriamente. Non lo fa, appunto seriamente, il nuovo pamphlet di Franco La Cecla, che accumula per 128 pagine luoghi comuni e insostenibili vaghezze e imprecisioni, come quelle su Mies van der Rohe per esempio: è infatti falso che avesse provveduto alla pulizia “etnica” del Bauhaus per compiacere i nuovi governanti nazisti, e non è ugualmente vero che Hitler gli avesse preferito Albert Speer come progettista della Nuova Berlino. Una simile idea, al Führer, neppure era passata per la mente! Appunto.»15
A De Michelis non c’è bisogno di rispondere, basta dirgli di cominciare a leggere i libri, tipo: Elaine S. Hochman, Architects of Fortune: Mies Van Der Rohe and the Third Reich, New York, Weidenfeld & Nicolson, 1989.
«Poi restiamo un po’ sull'altra sponda, sulla Calabria o sulle Calabrie che, dice, hanno inventato l’espressione “lo stretto indispensabile” per dire che con la Sicilia e i suoi abitanti non vogliono avere nulla a che vedere.» 16
La stessa espressione che in questi giorni viene utilizzata dal governo e dalla stampa, per indicare la priorità assoluta e quindi l’indispensabilità della costruzione del ponte sullo stretto. Un ponte che è stato concepito per analogia tecnologia: la campata unica più lunga del mondo. Un progetto che si fa beffa del luogo, concettualmente simile al Burj Dubai il grattacielo più alto del mondo, niente di più...

Sul Ponte sullo Stretto c'è ben poco da dire. Io vi ho dedicato uno studio che poi D di Repubblica17 ha pubblicato integralmente. È un'opera stupida, dubbia, che non serve perché oggi i veri flussi si spostano in nave sui container e in più il progetto migliore ammette una oscillazione centrale di cento giorni (con escursioni fino a venti metri) all'anno, tale da dovere in quei giorni chiudere il ponte al traffico.

Recentemente il governo ha comunicato la sua idea anticrisi per l’edilizia: “Piano dell’edilizia”.18 Possiamo definirla ‘libera superfetazione’, meno cemento-meno economia/più cemento-più economia. Gregotti, Aulenti e Fuksas urlano allo scempio e invitano a un «sussulto civile delle coscienze».19 Stefano Boeri analizza il provvedimento indicando tre assenze: incentivi per gli affitti di case sfitte, incentivi per chi costruisce edifici ecosostenibili e non sufficienti incentivi per gli investimenti delle famiglie.20
Tu pensi che sia una legge che rispecchia l’idea del ‘regime populista’ e purtroppo l’idea che i cittadini hanno di sé stessi.21


Anche qui la questione è che abbiamo al governo dei mediocri piccoli commercianti di spazzole e che il decreto promesso rovina quel che c'è, ma sopratutto non prende in considerazione per niente il settore edilizio nel suo insieme come occasione straordinaria di rivalutazione di tutto il patrimonio urbano che l'Italia possiede. Se pensiamo che il ministro al Turismo è la promessa Brambilla, abbiamo un'idea della cosa.

Riprendo due tue note:

«Ad una triennale di Milano del 1994 l’idea che le future case popolari dovessero essere pensate prevalentemente per gli immigrati sembrava una bestemmia ai professionisti presenti, nel 1998 l’idea che il piano regolatore per il comune di Prato, affidato a Bernando Secchi, dovesse prevedere un quartiere per la nuova grande immigrazione cinese nella zona ha suscitato l’ilarità del progettista.»22 (Negli anni 90 a Prato si stimavano circa 7000 cinesi oggi ne vivono 30.000 ndr)
e
«Permettermi di dire a questo punto che da una recessione dell’architettura abbiamo tutti da guadagnare, compresi, purtroppo, gli architetti. È ormai abbastanza chiaro che imbrigliati come sono nel tentativo di partecipare al Casino Capitalism hanno perso da un bel po’ il senso dello spazio pubblico, l’intuizione e la visione necessaria per pensare il futuro con le sue varie opzioni senza dovere per forza attuarlo subito, la capacità utopica di concepire la convivenza umana come una dialettica tra identità e luoghi.» 23
Adesso che siamo in piena recessione, in Inghilterra si parla di ‘bagno di sangue degli architetti’ quali sono le tue speranze e, soprattutto, non credi che possa prevalere l’architettura del controllo, della sicurezza e della polizia?

Ma sì, tutto il settore dell'architettura sarà in preda ad una recessione peggiore di quella che c'è adesso. L'effetto è che resisteranno i grandi studi e per i giovani sarà ancora più difficile rinnovare la professione.

Chi è il sopralluoghista?

Il sopralluoghista è un misto tra un antropologo e un architetto, qualcuno che fa dell'osservazione e dell'osservazione partecipata uno strumento fondamentale del suo lavoro di progettazione. Qualcuno che impara a vedere, a camminare, a sentire, ad ascoltare e che lo fa usando le tecniche più sofisticate che oggi abbiamo a disposizione, ma anche il suo lento e costante training e sopratutto qualcuno che ha visto, ascoltato e camminato molte città e quindi si serve della sua esperienza comparativa.


26 marzo 2009
Intersezioni ---> SPECULAZIONE
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Note:
1 Franco La Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008
2 Franco La Cecla, op. cit., p. 42
3 Franco La Cecla, op. cit., p. 53
4 Franco La Cecla, op. cit., p. 56
5 Franco La Cecla, op. cit., p. 83
6 Franco La Cecla, op. cit., p. 103
7 Franco La Cecla, op. cit., p. 113
8 Fulvio Irace, L'archistar è in crisi, Sole 24 Ore, 15 febbraio 2009
9 Vittorio Gregotti, Contro la fine dell'architettura, Einaudi, Torino, 2008, p. 84
10 Franco La Cecla, op. cit., p. 117
11 Video, 'L'architettura dello ZEN, Enrico Lucci intervista Vittorio Gregotti', tratto dal programma le Iene, Italia Uno del 27 aprile 2006. [Link]
12 Franco La Cecla, op. cit., pp. 102-103
13 Franco La Cecla, op. cit., p. 82
14 Programma Rai Uno, 'Benjamin' condotto da Gianni Riotta, del 15 giugno 2008 (ed. delle 13.30)
15 Marco De Michelis, Solo un libro sbagliato, Abitare n. 483, giugno 2008. [Link]
16 Franco La Cecla e Piero Zanini, Lo stretto indispensabile, Bruno Mondadori, Milano, 2004, p. 211
17 Franco La Cecla, Ponte dei miracoli, D di Repubblica, settembre 2004 [Link]
18 Al. S., Il piano per l'edilizia avrà effetti straordinari e non ci saranno abusi, Corriere della Sera, 7 marzo 2009 [Link]
19 Gae Aulenti, Massimiliano Fuksas, Vittorio Gregotti, Una legge contro il territorio, Pagina del giornale della Repubblica dov'è possibile firmare l'appello. [Link]
20 Stefano Boeri, 'Edilizia, serve realismo e non appelli', La stampa, 11 marzo 2009 [Link]
21 Franco La Cecla, Casa. Se passa la nuova legge nel paese del "fai da te", La Repubblica, 17 marzo 2009 [Link]
22 Franco La Cecla, Perdersi, Laterza, Bari, 2000, p. 135
23 Franco La Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, p. 11

21 marzo 2009

0029 [SPECULAZIONE] Gli architetti italiani contro i concorsi?

Pubblico l'editoriale di Francesco Dal Co, Gli architetti italiani contro i concorsi?, Casabella, n. 775, febbraio 2009, pp. 2-3.*




Gli architetti italiani contro i concorsi?
di Francesco Dal Co



   Nel numero 774 di «Casabella», in edicola il mese scorso, abbiamo fatto un cenno al tema del welfare, ritenendolo di attualità dato il progressivo acuirsi della crisi economica che da mesi attanaglia il mondo. Questo cenno fungeva da premessa alla constatazione del fatto che tra i provvedimenti che sarebbe auspicabile venissero presi per superare le attuali difficoltà, quelli volti a rilanciare l'attività edilizia e i programmi di riforma urbana e di potenziamento delle infrastrutture dovrebbero venire varati con particolare urgenza. Questa constatazione trova ogni giorno conferma e a quanto da essa consegue molti Governi dedicano non poche attenzioni. Anche il Governo italiano ha prospettato interventi a favore dell'edilizia, ma le crescenti proteste che si levano dalle Associazioni degli imprenditori, dai Sindacati e dalle Amministrazioni Locali denunciano che alle dichiarazioni di principio non hanno fatto seguito provvedimenti operativi. A queste lamentele è possibile vengano date rapide risposte politiche; non è facile crederlo ma è auspicabile (editoriale scritto prima della posposta del governo, il cosiddetto ‘Piano dell'edilizia’ ndr). Tuttavia, anche qualora il Governo italiano varasse provvedimenti organici per il rilancio delle attività edilizie, finalizzati alla realizzazione di opere destinate ad incidere a fondo sugli assetti urbani e territoriali del nostro Paese, ci troveremmo soltanto a metà del cammino che sarebbe auspicabile iniziare a percorrere. Accanto e insieme ai provvedimenti miranti a favorire la ripresa delle iniziative edilizie sarebbe infatti necessario porre mano a una profonda revisione delle leggi e delle norme che regolano tutto ciò che questa attività coinvolge. Attualmente in Italia questa attività è sottoposta ad un trattamento simile a quello che Procuste riservava alla sue vittime. Per uscire da questa situazione sarebbe necessario porre mano alla stesura di un nuovo Testo Unico per l'edilizia e gli appalti; in questa prospettiva sarebbe un significativo passo avanti sottoporre la "Legge Merloni" ad una drastica revisione. Da questa revisione trarrebbero vantaggio i soggetti che a vario titolo operano nel campo dell'edilizia, fatta eccezione per le società di ingegneria (così come oggi configurate) e gli studi legali che le affiancano.

   Una radicale opera di revisione legislativa, di snellimento normativo e di coordinamento degli indirizzi, gioverebbe anche agli architetti, come «Casabella» ha più volte sostenuto puntando l'indice sull'arretratezza che in Italia caratterizza l'organizzazione della loro professione. Tra l'altro, l'avvio di un simile processo potrebbe spingere la committenza a fare ricorso in maniera più capillare, come avviene nei più evoluti Paesi europei, allo strumento del concorso per l'assegnazione degli incarichi di progettazione. Ma se ciò accadesse, sarebbe necessario che al contempo gli architetti italiani si ponessero onestamente una serie di domande, iniziando col chiedersi se si ritengono preparati ad affrontare una simile, inedita prospettiva. Questa domanda non è frutto soltanto dei dubbi riguardanti il grado di preparazione degli architetti sui quali ci siamo in altre occasioni soffermati. Ciò di cui vogliamo ora parlare è una questione che precede questi dubbi e concerne la mentalità collettiva dei progettisti attivi in Italia e l'etica che guida i loro comportamenti individuali.

   Gli architetti italiani da tempo insistono nell'indicare nell'istituto del concorso uno strumento da privilegiare per raddrizzare le storture di cui soffre il loro lavoro, l'opacità dei comportamenti dei committenti pubblici e persino il malaffare che tormenta la professione (anche per questa ragione in questo e nei prossimi numeri «Casabella» dedica e dedicherà una speciale attenzione ad alcuni concorsi particolarmente significativi). Ma ciò detto: sino a che punto questi auspici condivisibili si accompagnano a comportamenti conseguenti, volti a riconoscere l'autorevolezza dell'istituto concorsuale e quindi a favorirne una utilizzazione sempre più diffusa? Se sarebbe opportuno che gli architetti si ponessero domande simili nell'affrontare anche i passaggi più pedissequi della loro attività professionale, non meno opportuno sarebbe porre un freno al diffondersi della falsa coscienza che giustifica comportamenti professionali censurabili e il dilagare della litigiosità.

   Poiché lo spazio non ci consente di andare oltre, dobbiamo limitarci per il momento ad alcune considerazioni riguardanti questo ultimo punto. Per farlo, una premessa è però necessaria: se l'istituto del concorso suscita attualmente tra i committenti un diffuso scetticismo, se il prestigio di cui gode è modesto, se la sua incidenza pratica è limitata ciò lo si deve anche e in buona misura agli architetti. In Italia i concorsi che vengono banditi senza che all'espletamento faccia seguito la presentazione di ricorsi da parte dei concorrenti non premiati si contano sulle dita di una mano. Questa ormai endemica litigiosità è un male da estirpare; per farlo sarebbe necessario che tutti coloro che hanno qualche ruolo in commedia si impegnassero a mutare le distorsioni da cui è afflitta la mentalità dei professionisti attivi nel nostro Paese.

   Per meglio chiarire ciò che motiva queste affermazioni, citeremo due esempi, ovviamente documentati. Due diverse città, una di piccole dimensioni, l'altra tra le più importanti del Paese; due problemi differenti, affrontati, in un caso, da una Amministrazione Comunale e nell'altro da una Società privata facendo ricorso a procedure concorsuali differenti, una aperta, l'altra basata sulla preventiva selezione di gruppi comprendenti professionisti di diversa formazione. Nel primo caso a una procedura semplice ha fatto seguito la formulazione da parte della giuria di un giudizio che nel rispetto delle prescrizioni e delle richieste del bando di concorso, ha mirato a comprendere come ciascun concorrente le abbia naturalmente interpretate (non è l'interpretare il compito, individuale in un caso collettivo nell'altro, che ogni progettista condivide con ogni giuria?).
Per maggior trasparenza, una volta terminati i lavori della giuria, l'Amministrazione banditrice ha informato i concorrenti che tutte le fasi del concorso sarebbero state rese pubbliche ed esposte al giudizio collettivo. Nonostante ciò, chi non ha ottenuto la vittoria ha presentato ricorso contro le decisioni assunte. Naturalmente ogni verdetto è opinabile, come lo sono tutte le decisioni prese democraticamente, ma proprio per questo sino a che punto è opportuno spingersi nel contestarlo? Questo punto non coincide forse con la linea al di là della quale l'esercizio di un diritto individuale nuoce agli interessi sociali e collettivi, ovvero a quelli degli architetti che più possono trarre vantaggio dalle opportunità che l'istituto del concorso offre ma di cui con pervicace continuità minano con i loro comportamenti l'autorevolezza e l'efficacia?

   Il secondo caso è soltanto apparentemente più complesso. L'ente banditore era un soggetto privato; dopo averli selezionati ha affidato a una decina di gruppi internazionali, retribuendoli, il compito di elaborare altrettanti progetti per il problema che intendeva risolvere. Allo scopo ha nominato una giuria, preoccupandosi che vi fossero rappresentate le competenze professionali che riteneva opportuno coinvolgere. Al termine dei lavori la giuria ha emesso un verdetto. Tra i gruppi selezionati ve ne era uno capeggiato da un noto architetto spagnolo, coadiuvato da uno studio italiano. Il progetto elaborato da questo gruppo non è risultato vincitore del concorso. Una volta conosciuto questo esito, il titolare dello studio italiano, evidentemente abituato a intrattenere altri tipi di rapporti in particolare con le amministrazioni pubbliche come attestano i curricula, ha presentato ricorso. Informato del fatto, il capogruppo, ossia l'architetto spagnolo, ha preso carta e penna e ha inviato una lettera all'ente banditore nella quale ha sostenuto più o meno questo: «quando partecipo a un concorso non è mio costume mettere in discussione le decisioni della giuria e non ho alcuna intenzione di iniziare a farlo ora». Data questa circostanza, il lavoro che il Tribunale Amministrativo Regionale è stato chiamato comunque a svolgere dato il ricorso presentato dagli architetti italiani, si è risolto in una inopportuna perdita di tempo.

   Ma sin quando gli architetti demanderanno ai TAR il compito di decidere gli esiti dei concorsi di progettazione e si affideranno ai Tribunali, di ogni tipo e grado, per la soluzione dei problemi che affliggono il loro lavoro, nulla nel mondo della professione sarà normale e sempre più raramente il merito avrà opportunità di imporsi. È, come si diceva, anche una questione di mentalità. Lo prova il comportamento dell'architetto spagnolo di cui abbiamo parlato -a dimostrazione, tra l'altro, che se le cose, per l'architettura almeno, in Spagna vanno incomparabilmente meglio che in Italia una ragione c'è e questa ha molto a che fare con l'etica con cui gli architetti svolgono la loro professione e il rispetto che riservano alle regole vigenti nella comunità di cui fanno parte.

21 marzo 2009

Intersezioni ---> SPECULAZIONE
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Note: 
*E-mail di contatto:

Gentile Francesco Dal Co,
reputo il suo ultimo editoriale “Gli architetti italiani contro i concorsi?” importante per il dibattito critico sull’architettura italiana, mi piacerebbe pubblicarlo sul mio blog dedicato all’architettura.
Cordialmente,
Salvatore D’Agostino
Inviato: Giovedì 19 marzo 2009 12.48

Gentile Salvatore D’Agostino,
la ringrazio per l'attenzione.
Indicandone appropriatamente la provenienza può pubblicare lo scritto di cui mi parla sul suo blog.
Con i migliori saluti,
Francesco Dal Co
Inviato: Sabato 21 marzo 2009 12.31


16 marzo 2009

0023 [MONDOBLOG] Byte di cemento

di Salvatore D'Agostino

Una conversazione con Diego Lama, autore del blog Byte di cemento.

Salvatore D’Agostino
Secondo il giornalista e blogger Nicholas Carr:

 «Anche se ci sono molti blog validi, mi sembra difficile sostenere che oggi esista ancora una blogosfera. Quel mondo vasto, incontenibile e intimo in cui gli autori condividevano osservazioni, pensieri e discussioni fuori dal circuito dei mezzi d'informazioni tradizionali».1 
L'idea che i blogger sarebbero diventati un'alternativa all'informazione si è rilevata un'ingenuità, perché il sistema dell'informazione sta inglobando i blog/blogger. Recentemente anche il Corriere del Mezzogiorno ha aperto una sezione dedicata ai blog (segnalo 'Scuola di paesologia' di Franco Arminio) dove il 24 novembre 2008 nasce il tuo 'Byte di cemento'.

Diego Lama
L'inglobazione da parte del sistema dell'informazione del blog/blogger è un fenomeno curioso che rientra in un fenomeno più vasto: i giornali inglobano sempre più immagini, box, grafici, allegati, dischi, libri, fumetti, oggetti, rubriche, vendono oggetti in rete e si espandono in televisione, su radio, su internet. Prima il sistema dell'informazione era potente, oggi è mostruoso e i blog sono un suo microscopico frammento. 


Leggendo i tuoi asciutti e non retorici post/articoli s’intravede una Napoli in lotta tra le vicende interventiste mediatiche e la realtà occultata dalla cronaca. Una Napoli ‘immobile’, ‘strategica’, ‘recintata’, ‘pseudo rinascimentale’, ‘violentata nel suo territorio’. 

...un paradiso abitato da diavoli...
«Giustizia è fatta. Abbiamo sempre sostenuto che a causare il crollo dell'edificio non fu il terremoto, ma che la tragedia fu determinata dalla mano dell'uomo. Oggi ci hanno detto chi ha ammazzato i nostri cari».2 
Queste sono state le considerazioni di Antonio Morelli, presidente del comitato vittime di San Giuliano. Tra i condannati c'è il sindaco che ha firmato il progetto nonché il padre di una bambina morte il 30 ottobre 2002 sotto le macerie della scuola insieme a 27 compagni/e e la maestra.
Un padre uccide la figlia per approssimazione e imperizia ed è stridente con l'orgoglio manifestato dal presidente dell'associazione Nazionale Costruttori Edili che festeggia per il nono anno consecutivo la crescita del settore (rapporto congiunturale del maggio 2008).3

Sono personalmente favorevole al boom edilizio (ma c'è davvero? dove?): lo sviluppo edilizio non è necessariamente distruzione o imbruttimento del territorio. Però non riesco a capire cosa c'entra la tragedia di San Giuliano (con i suoi errori, il suo dolore, la sua unicità), cosa c'entra con il mondo dell'edilizia e dell'architettura?

Io non credo che il caso San Giuliano sia isolato, resto sempre un po’ perplesso davanti a incidenti annunciati, molta della nostra recente edilizia è precaria, costruita per inerzia, nel tentativo di massimizzare i profitti e sgravando gli extra (compiacenze clientelari/partitiche) a discapito della qualità edilizia. Qualità da intendersi nel suo significato basico: una struttura che non crei pericolo.
In quest’ultimo ventennio di vittorie quantitative edilizie, l’architetto sembra aver abbandonato il campo più vivo e importante ‘l’abitazione dell’uomo’ e il ‘progetto della città’, nascondendosi dietro le patinate vicende dell’architettura d’eccellenza, spesso con ottimi risultati non solo formali, ma estranei alle necessità edilizie che erano richieste in quel periodo.
Credo che l’architetto debba riflettere su quest’Italia autocostruita posticcia/pasticciata, perché osservandola meglio è l’Italia più vera e genuina, spesso maldestramente ingenua, come nel caso di San Giuliano.
Non credi?

L'Italia posticcia e pasticciona è certamente interessante, non abbiamo ancora gli strumenti culturali per rifletterci senza commettere errori, semplificazioni, valutazioni sbagliate. L'architettura napoletana degli anni '60, per decenni considerata l'emblema dello scempio edilizio partenopeo, oggi - dopo più di mezzo secolo - comincia a essere rivalutata: non era tutta spazzatura. 

Che cos'è o che cos'è stata la rivista Ventre? 

Dal 1995 al 1997 a Napoli, l’associazione culturale Ventre fondò, stampò e distribuì a livello nazionale (prima con Diest di Torino e poi con Joo di Milano) la rivista di architettura Ventre (formato 420x300, grafica underground, prezzo molto basso) che conteneva ciò che nessun allora pubblicava: solo opere di giovani architetti (under 30) o materiale proveniente dagli Usa o dall’Europa e mai arrivato in Italia (ad esempio Neil Denari, Lebbeus Woods, Greg Lynn), nuove tendenze (a volte lanciate direttamente sulle sue pagine e riprese da altre riviste), contaminazioni mediante altre discipline (comics, cinema, letteratura). Per i testi veniva utilizzato un linguaggio diverso da quello solito (soprattutto per una rivista di architettura): scrittura diretta, apparentemente ingenua (pur ospitando firme prestigiose: Niccolò Ammanniti, Isabella Santacroce, Tiziano Scarpa, Gaetano Cappelli), senza pretenziosi intellettualismi, molto corrosiva, a volte irruente, irritante, attenta, vigile (il nostro modello era Il Male o Cuore, volevamo fare il Cuore dell’architettura, poi divenne il Ventre). La rivista ironizzava e ridicolizzava le accademie, gli ordini professionali, le amministrazioni pubbliche, le soprintendenze e il mondo dell’editoria, ponendosi per scelta all’opposizione, dalla parte degli studenti e dei giovani architetti scontenti, che divennero i maggiori acquirenti del periodico. 

Uno degli aspetti più interessanti fu che per Ventre (la prima rivista cartacea di architettura in Italia ad andare su Internet con testi e immagini) si dispiegò una straordinaria rete sul territorio nazionale: ben presto nacquero redazioni succursali a Milano, Roma, Palermo, Torino, Venezia, Bari, New York, Parigi, Oporto, Tokyo trascinando dentro intere redazioni di altre riviste diffuse solo a livello cittadino o regionale (Tracce, La piega, Formato, Integra, Archipendolo e molte altre…). In ciascuna di queste città vennero organizzati incontri e feste per promuovere Ventre e per recuperare idee e allargare la griglia, creando interessanti sinergie con altri gruppi operanti in Italia (Stalker, A12 , SaR, LSB, Cliostraat , 5+1, Elastico e altri…) e calamitando un gruppo sempre più grande (e sempre più ingestibile) di persone attorno al progetto.

Con il passare degli anni (variato il mondo editoriale) anche Ventre è mutata. Oggi non pubblica progetti ma ciò che c’è alle spalle dell’architettura, astrazioni, concetti, modelli, idee, anche le più strambe o le più contestabili, capaci comunque di suscitare curiosità e dibattito. La rivista, molto attenta alla grafica, alle immagini (ma non per forza progetti visto che i progetti sono ben pubblicati da altri) e ai testi, stuzzica i giovani architetti a pensare.
Per ventre negli ultimi anni hanno scritto: Zygmunt Bauman, Jean-Luc Nancy, O. M. Ungers, Luigi Prestinenza Puglisi, Alejandro Jodorowsky, Olivier Razac, Roberto Alajmo, Félix de Azùa, Antonio Franchini, Giovanni Arduino, Piero Meldini, Edoardo Albinati, Efraim Medina Reyes, James G. Ballard, Rick Moody, Xu Kun, Richard House, Gabriele Frasca, Gabriele Pedullà, Mosè Ricci, Marco Biraghi, Gabriele Basilico.
 

Ventre sembra anticipare Domus e soprattutto Abitare della gestione Boeri. La multidisciplinarietà nel recente libro di Vittorio Gregotti 'Contro la fine dell'architettura' è una delle cause dell’incoerenza dell’architettura contemporanea.
È importante un dialogo del mondo dell'architettura con le altre discipline?

Il dialogo con le altre discipline è vitale per l'architettura, ma non penso a discipline 'elevate' come letteratura, cinema, musica, arte. Penso che l'architettura può trarre idee e linfa vitale dalla televisione, dai comics, da facebook, dai writer, dai cosplayer, dall'urban climbing.
«Attraversando l'agro aversano sembra di avere sotto gli occhi una sorta di catalogo di sintesi di tutti gli stili architettonici degli ultimi trent'anni. Le ville più imponenti dei costruttori e dei proprietari terrieri tracciano il modello per i villini degli impiegati e commercianti. Se le prime troneggiano su quattro colonnati dorici di cemento armato, le seconde ne avranno due e le colonne saranno alte la metà. Il gioco all'imitazione fa sì che il territorio si dissemini di agglomerati di ville che gareggiano in imponenza, complessità e inviolabilità in una ricerca di stranezze e singolarità, come per esempio farsi riprodurre le linee di un quadro di Mondrian sulla cancellata esterna».4
  • Gennaro McKay: villa in legno stile dacia russa situata in via Limitone d'Arzano a Secondigliano;5
  • Cosimo Di Lauro: elegante masseria del Settecento, ristrutturata come una villa pompeiana in via Cupa dell'Arco a Secondigliano;6
  • Antonio Iovine: villa in stile liberty a San Cipriano;7
  • Michele Zagaria: complesso edilizio con al posto del tetto una cupola di vetro per permettere alla luce di entrare e alimentare la crescita di un enorme albero che troneggia al centro del salone tra San Cipriano e Casapesenna;8
  • Walter Schiavone: aveva chiesto al suo architetto di costruirgli una villa identica a quella del gangster cubano a Miami, Tony Montana, in Scarface a via Cecco Angiolieri Casal di Principe;9
  • Augusto La Torre: tenuta progettata come la villa di Tiberio in Zona Ariana di Gaeta.10
...la camorra è postmodern... 

In uno dei tuoi post proponi di leggere il Libro di Roberto Saviano come un testo di urbanistica perché, senza retorica, ci parla della città più viva e forse attenta alle esigenze del territorio, quella ‘illegale’. 

Consiglio Saviano perché analizza il territorio meglio dei testi di urbanistica sfornati sul territorio negli ultimi anni. Ma non ho nessuna tipo di attrazione o deferenza o stima verso la città illegale che mi fa orrore e che vorrei combattere, ma per combatterla bisogna conoscerla davvero. 

Perché Byte di cemento? 

Byte di cemento mette assieme concetti opposti (leggerezza/pesantezza, velocità/immobilità, presente/passato) che segnano il momento di passaggio attuale. Gli architetti di cemento stanno diventando architetti di byte, costruiscono sempre meno ma fanno tanti rendering. 

A che cosa serve un blog per un architetto? 

Un blog non serve a nulla, perciò è di fondamentale importanza.

16 marzo 2009 (ultima modifica 9 febbraio 2012) 
Intersezioni ---> MONDOBLOG 

Come usare WA ---------------------------------------------------Cos'è WA 
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Note:
1 Nicholas Carr, Chi ha ucciso la Blogosfera, Internazionale, n. 782, 13 febbraio 2009, pp. 40-41. [Link]
2 Crollo di San Giuliano, in appello condannati cinque imputati, Corriere della Sera, 26 febbraio 2009. [Link]
3 AA. VV. 'Osservatorio congiunturale sull'industria delle costruzioni maggio 2008', L'industria dei laterizi. Luglio-agosto 2008, pp. 227-240. [Link]
4 Roberto Saviano, Gomorra, Mondadori, 2006, p. 266.
5 Roberto Saviano, op. cit., p. 103.
6 Roberto Saviano, op. cit., pp.124-125.
7 Roberto Saviano, op. cit., p. 227.
8 Roberto Saviano, op. cit., p. 227.
9 Roberto Saviano, op. cit., pp. 267-269.
10 Roberto Saviano, op. cit., p. 303.

11 marzo 2009

0022 [MONDOBLOG] Giornalisti o blogger?

di Salvatore D'Agostino

Secondo, il blogger e giornalista, Nicholas Carr le qualità dirompenti dei blog sono state assorbite dalle pubblicazione web dei maggiori quotidiani.
I giornali online, negli ultimi anni, hanno cambiato la loro struttura da 1.0 in 2.0. Novità fondamentale è stata l’inserimento dei commenti, come avviene sui blog, e d'infiniti contenuti multimediali.


«Ma l’idea che i blog avrebbero rappresentato un’alternativa all'informazione commerciale o che ne avrebbero addirittura minacciato la sopravvivenza, si è rilevata un’ingenuità. Chi ha ucciso la blogosfera? Nessuno. È stata una morte naturale, e annunciata.»1

Le testate giornalistiche, hanno carpito le potenzialità dei blog trasformando i loro giornalisti in blogger. Con la comparsa dei social network, più dinamici e strutturalmente semplici come Facebook, Twitter o il vecchio Myspace, il blog perde la sua valenza di diario pubblico online e la sua struttura appare rigida, per non dire pachidermica, rispetto alla flessibilità dei nuovi strumenti. Il blog nasce come piattaforma dei dialoghi informali e liberi, ma questa potente specificità è traghettata altrove. 

Per i blogger è venuto il momento di una riflessione.
«La previsione più ottimistica - secondo Michael Hirschorn per i giornali cartacei - è che i report, che in molti casi saranno anche blogger, sfrutteranno l’esperienza per mescolare il loro lavoro con quello di altri colleghi, offrendo una visione del mondo più complessa e in tempo reale. […] Di recente il direttore del New Yorker, David Remnick, ha sottolineato che i blog e i report locali hanno svolto un ruolo importantissimo nelle ore immediatamente successive agli attentati di Mumbai. La stessa cosa è successa quando l’uragano Katrina ha colpito New Orleans.»2
Se per i giornali il destino è il giornalista/blogger, qual è il futuro dei blogger?

Byte di cemento è un blog dedicato all'architettura, inserito all'interno della pagina web del quotidiano, Corriere del mezzogiorno, scritto da Diego Lama. Racconta di una città da favola: Napoli.

11 marzo 2009
Intersezioni ---> MONDOBLOG

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Note:
1 Nicholas Carr, Chi ha ucciso la Blogosfera, Internazionale, n. 782, 13 febbraio 2009, pp. 40-41. Post sul suo blog.
2 Michael Hirschorn, L’ultima copia, Internazionale, n. 785, 6 marzo 2009, pp. 30-36.


4 marzo 2009

0003 [BLOG READER] Dove sta andando l'architettura?

L’architettura oggi, s’interroga, anche se in Italia con molta lentezza e circospezione.
Occorre un’analisi attenta sui fenomeni complessi che hanno coinvolto l’architettura negli ultimi anni, indagando il sistema economico, politico e la professionalità dell’architetto in tutte le sue sfaccettature.
Bisogna non perdersi in questo processo e fissare dei limiti temporali o meglio individuare l’inizio del cambiamento, il 1989:
  • è la data della caduta del muro di Berlino da quel momento si aprono i confini economici al commercio mondiale con uno stravolgimento dell’assetto geopolitico;
  • contemporaneamente le sperimentazioni architettoniche spagnole con le olimpiadi del 1992 a Barcellona e il museo di Frank Gehry a Bilbao inaugurato nel 1997, ci consegnano l’architettura concertata con l’idea economica e politica;
  • le release CAD e i nuovi sistemi di personal computer accessibili a tutti, cambiano gli studi di architettura e il loro processo lavorativo;
  • molta architettura traghetta nel ‘brand’ e si distrae dal suo ruolo primario: cercare l’equilibrio tra l’abitare e il senso civico;
  • in questi vent’anni il territorio italiano, agevolato dalla disattenzione dei critici dell’architettura è stato autocostruito, si perde l’idea del moderno di città funzionale e si sovrappone la città informale. La quantità di suolo occupato e di cemento utilizzato è inimmaginabile, gli analisti si smarriscono dato che la maggior parte del patrimonio edilizio è nascosto o occultato ai governi delle città.
In questo Blog reader si può leggere l’architettura con il punto interrogativo. Alcune segnalazioni possono sembrare divagazioni, ma non lo sono.

Nell’elenco, in verde, vi ho segnalato un articolo che, a mio parere, apre nuovi punti di vista e non si nasconde dietro la facilità di chi vuole risolvere situazioni complesse con l’imposizione di regole spesso auto-condivise.

Recentemente attraverso alcuni commenti abbiamo cominciato a riflettere sull’inconsistenza in Italia dei blogger/architetti, il dibattito è aperto. Aspetto vostri suggerimenti, segnalazioni, idee…
lettera aperta di francesco dal co al ministro gelmini | Fabio D'Ambrosio editore ---> 29 gennaio 2009
L'architettura degradante: «Le chiedo scusa, gentile Ministro, per la rapidità e la modesta originalità di queste considerazioni che negli ultimi tempi libri, saggi, articoli e prese di posizione autorevoli hanno sviluppato con più agio. Ma è evidente, onorevole Gelmini, che se non si affrontano le questioni che Le ho prospettato il degrado dell’Università italiana diverrà inarrestabile e con esso anche quello della professione, quella dell’architetto, dei cui destini questa rivista si occupa da più di ottanta anni.»

Urbanistica a Gomorra | Diego Lama ---> 03 febbraio 2009
L'architettura illegale: «Ed è sempre più evidente che a Napoli esistano due realtà: la città della borghesia, che non conta più nulla, e la città della periferia, l’immenso semi-anello metropolitano che circonda Napoli, che guida il territorio e dove avvengono le cose terribili per le quali i partenopei ormai sono famosi nel mondo. In queste due realtà (quella fasulla e quella autentica) esistono due motori, due volontà: quella della borghesia che impiega vent’anni per non fare il parco di Bagnoli, e quella della città illegale che al contrario è efficiente, sorprendente, spaventosa.»

a cimma | Cibo architettura ---> 08 febbraio 2009
«L'architettura scaramantica:
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via.»
«Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via»


Il TVCC in fiamme | Abitare Featured ---> 09 febbraio 2009
L'architettura in fiamme: «La torre TVCC di OMA, di fianco all’edificio CCTV, è in fiamme.»

L’Architettura spogliata dei suoi orpelli |Conferenze e talks of Architettura by Antonino Saggio ---> 11 febbraio 2009
L'architettura immorale: «Ossessionata soltanto dalla massiva visibilità, l’Architettura si è affidata alla visione dell’”Architetto come Artista”, tenuto a rendere conto solo alle proprie inspirazioni e desideri, “Architetto come Designer”, occupato nella creazione di abiti, collezioni di moda, portacenere e borsette da viaggio, “Architetto come Intrattenitore”, che mette in scena spettacoli pseudo intellettuali. Senza più bisogno di seguire le regole della logica, coerenza e chiarezza dei piani, l’”Architetto come Architetto” è presto diventato irrilevante.» (Zvi Hecker)


lagopesole | Paesologo ---> 11 febbraio 2009
L'architettura discount: «Sto cercando un caseificio dove comprare il famoso pecorino di Filiano e mi ritrovo in un discount dell'architettura. Muri, finestre, marciapiedi, cataste di legna, una chiesa, una scuola, macchine parcheggiate, tutto come in una frase in cui non si riconosce il soggetto e il predicato.»

Li becco tutti io | Logorromins ---> 12 febbraio 2009
L'architettura palestrata: «Così gli ho detto che, se la sua amicizia era a scopo di scopo o a scopo di business, ciao, povero sfigato!!!
Ovviamente l'ho eliminato e bloccato.»

Un paese di Baroni | Architettura in progress ---> 12 febbraio 2009

L'architettura baronale: « Non ho mai conosciuto nessuno che sia diventato professore solo in base ai propri meriti.Paolo Bertinetti, preside della facoltà di Lingue e letteratura, Torino.»

Gli esami non finiscono mai | Il parallelografo ---> 14 febbraio 2009
L'architettura copiata: «ieri ho fatto esami.
due eccellenti su circa 30.
poi è successo una cosa. prima o poi doveva accadere.
un ragazzo in particolare ha fatto la prova scritta e ha evidentemente copiato


!!!! Breaking News - Breaking Glass !!!! | Architetti senza tetto ---> 16 febbraio 2009
L'architettura scombiccherata: «Incredibile notizia: il bicchiere di Toyo Ito si è rotto a causa del freddo.»

The opening of the Iraqi Museum | Salam Pax ---> 23 febbraio 2009

L'architettura recintata: «The Iraqi Museum was opened today. I wasn’t invited :(
so I stood at the fence and took pix.»

Piazza Farnese, l’intervento di Andrea Camilleri | Micromega ---> 22 febbraio 2009

L'architettura reale: «Il testamento biologico […] la scelta libera, individuale, indiscutibile di che fare della propria morte, di come morire senza che ci siano intromissioni o condizionamenti d'ogni genere. Badate, se passa una qualsiasi legge sul testamento biologico che in qualche modo limiti la libertà di scelta, essa sarà usata, siatene più che certi come grimaldello per l'introduzione di altre leggi sempre più restrittive per le nostre libertà più preziose. Ed io non voglio avere, la vergogna, la ver-go-gna, di andarmene lasciando i miei nipoti, le macerie di un'Italia senza libertà, senza nemmeno quella di morire come meglio ci aggrada, devastata nella morale pubblica, nella morale privata, devastata nella sua finanza, nella sua economia reale e persino nel profondo della sua stessa coscienza. Fate che ciò non accada. Grazie.» (Tratto dal video della manifestazione)

Racconto del giardino da tavolo. assemblage e accoglienza di parti di mondo | Luoghi sensibili ---> 22 febbraio 2009
L'architettura accolta: «Ci sono modalità verticali e modalità orizzontali, sistemi ordinati e sistemi caotici. C’era un artista americano Joe Brainard che poneva tutte le sue cose una a fianco dell’altra. Lo faceva organizzando il suo spazio, la sua pagina di lavoro: le sue tavole, i suoi scritti erano un accrochage di elementi “paralleli”. Come nel testo “I remember”, preso e citato da George Perec nel frontespizio di “Mi ricordo”, un “dispositivo” letterario che affianca le memorie di chi scrive alle memorie di chi legge. Sono scritture che creano spazio. Non ne parlo in una chiave di nostalgia, ma di organizzazione spaziale e di accoglienza; parlo dell’assemblaggio delle cose che si posizionano una a fianco dell’altra e così facendo si concentrano intorno ad un centro (che siamo noi). E’ quello che accade nei giardini in miniatura, nei tiny garden, dove “citazioni” di mondo si affiancano l’uno all’altra e parlano, per citare Gilles Clement, della disposizione alla diversità, della disposizione ad accogliere prima di tutto un principio di accoglienza.»

Rondaaaa su rondaaa... | Der Pilger (Il pellegrino) ---> 27 febbraio 2008
L'architettura ronda: «Ecco cosa era successo, avevamo avuto paura, avevamo cominciato a stabilire cosa si potesse fare o non si potesse fare alle tre di notte.»

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