2 marzo 2010

0003 [WILFING] Non andare oltre: le risposte di Stefano Boeri e Luigi Prestinenza Puglisi

di Salvatore D'Agostino
«Lucia mette in campo l’intero esercito delle proprie nozione, socio e psicologiche, ma Mauro continua a sembrarle un enigma. Per risarcirsi in qualche misura della triste consapevolezza che la cultura non basta, cerca di culturalizzare il loro legame, accusa Mauro di non avere interessi; «uno con il tuo intuito e la tua velocità, è un peccato restare chiuso nel recinto dei soldi… se tu leggessi di più, se ti abituassi a vedere la realtà nella sua interezza… anche non materiale, simbolica forse è perfino i tuoi orizzonti economici si allargherebbero… io ammiro molto che ti sei costruito da solo, ma tutti noi siamo responsabili di qualcosa di più ampio». «Tanto c’è internet» risponde lui per stuzzicarla. Ma sotto è ferito, gli piacerebbe assorbire il virus dell’istruzione; se ne accorge le poche volte che escono, che lei è padrona della storia e della geografia – le chiese, i palazzi, per lei vogliono dire qualcosa, è come se in città passeggiasse tra amici. Perfino “non mollare” e “tiremm innanz”, che lui li dice sempre, Lucia gli ha garantito che il primo viene da un giornale socialista e non da Gigi D’Alessio e Simona Ventura, il secondo era un patriota che rinunciava a salutare i suoi figli per non tradire la causa» (Walter Siti)[1].
Il Mauro dell’epigrafe non è altro che il Pietro Caisotti di oggi, un imprenditore - in questo caso romano - molto ‘pratico’ educato nelle borgate che grazie alla sua scaltrezza riesce a fare i soldi costruendo case: «Io je realizzo ‘n immobile, me finanzio a debito in banca… loro mo’ o strapagano come qui co’ l’appartamento, solo più grande… io ce rimborso ‘a banca e me rimane ‘na percentuale tra l’unghiette a me»[2].

Qualcuno etichetterebbe Mauro con il sostantivo ‘palazzinaro’ ma sarebbe troppo riduttivo.
Il palazzinaro è l’antitesi semantica di archistar due
parole che giornalisticamente sono utilizzate per semplificare concetti complessi come l’architettura o per sua naturale estensione l’urbanità, ovvero il rapporto tra l’abitante e la sua città.

Sulla presS/Tletter n.05-2010 e su Wilfing Architettura avevo posto delle domande a Stefano Boeri e Luigi Prestinenza Puglisi.

Nel caso specifico, a Stefano Boeri:
  • possiamo permetterci che la cultura ‘imprenditoriale’ dei Pietro Caisotti possa essere la stessa degli stimati architetti?
  • è in grado la migliore classe pensante dell’architettura italiana di disinteressarsi alla propria verità – spesso concepita come taumaturgica – e interessarsi alle verità?
Il direttore di abitare mi ha risposto sul blog della rivista:

«27.02.2010 alle 15:40
Gentile Salvatore D’Agostino,
circa un anno fa, con un editoriale che trattava di alcuni (premonitori?) fatti giudiziari che avevano investito l’architettura italiana, avevo cercato di rispondere alle sue domande.
Mi permetto di invitarla e rileggerlo (link-http://www.abitare.it/direttore/editoriale-489/).
Grazie e saluti,
Stefano Boeri» [3].



Stefano Boeri,
come spesso mi succede leggo con molta attenzione i suoi scritti, proprio quel suo editoriale mi aveva lasciato perplesso, tra l’altro avevo commentato il link che lei m’invita a leggere, a tal proposito le riporto una parte del commento: «Lei chiede agli architetti di recuperare il senso civile del mestiere, ma credo che quest’invito sia inutile se dimentichiamo di approfondire le cause sociali e lo stato attuale dell’architettura.
Non possiamo più permetterci di continuare ad “andare avanti” per rimozioni, perché temo che il nostro rapporto con il mestiere e con l’architettura ritornerà sullo stesso registro di affarismo banale e speculativo»[4].
Non solo avevo commentato ma avevo dedicato sul mio blog Wilfing Architettura un intero post su BLOG READER -una rubrica che criticamente analizza le scritture Weblog legate all’architettura - dal titolo 0002 [BLOG READER] Notizie sullo stato dell'architettura in Italia.
Nella quale riprendevo alcuni articoli che si erano occupati della vicenda che lei adesso chiama '(premonitori?) fatti giudiziari’, suggerivo di leggere anche il suo editoriale con un’avvertenza: «Il direttore dimentica di indicare la strada per avviare una profonda analisi sullo stato dell’architettura. Credo che la sola coscienza civile non possa bastare e temo che il suo sia un editoriale come atto dovuto. Letto con riserva».
La mia riserva era, ed è, semplicemente ‘culturale’ lei diceva: «Le tre voragini che si sono pericolosamente aperte ci riguardano insomma tutti; a partire da chi scrive» è ancora convinto che basti solo un semplice invito a recuperare la coscienza civile del significato dell’architettura?

Qualche giorno fa il giornalista Peppe Baldessarro del ‘Il quotidiano della Calabria’ e corrispondente per la Calabria di ‘La Repubblica’, ha ricevuto una lettera intimidatoria scritta con ritagli di giornale e riempita di pallini da fucile riportante la seguente frase: «Non andare oltre».
Peppe Baldessarro è un cronista con la laurea in architettura, racconta semplicemente ciò che vede, con lui ho condiviso alcuni ‘astratti furori’ giovanili universitari e mi creda, in questi casi, so bene che non serve a niente un richiamo alla coscienza civile.
Mi dispiace (poiché apprezzo il suo pensiero da architetto) ho letto la sua riposta al mio commento nuovamente con riserva.
Poiché siamo (m’includo) incapaci ‘culturalmente’ ad andare oltre.

A Luigi Prestinneza Puglisi avevo chiesto:

Salvatore D'Agostino: siamo proprio sicuri che la corruzione dei concorsi di architettura sia solo un problema di colore politico?

Luigi Prestinenza Puglisi: a volte si e a volte no. Nel senso che a volte ci sono cordate che hanno un certo colore e a volte ci sono solo cordate. Dire che la cordata ha un certo colore non vuol dire che i soldi o i benefici vadano a un partito o che il partito lo sappia. Può voler dire semplicemente che il gioco è fatto da personaggi che appartengono a un certo giro politico che li ha piazzati in posti di potere.

SD: perché persone come Antonio Iannello (architetto campano, non di sinistra, che aveva denunciato lo scempio in corso nella sua terra prima di Roberto Saviano, morto nel 1997) non trovano spazio nelle riviste di architettura?

LPP: In linea di massima sono con te nel considerare questo un male, ma poi bisogna vedere il caso specifico che non conosco.

SD: non credi che l’architettura inizi dal saper vedere queste città di nessuno?

LPP: E' un guaio se non si riesce a vederle. Ma il nesso politica-architettura è molto complesso. Si può fare buona architettura anche senza vedere tante ingiustizie e viceversa, vedendo le ingiustizie, si può fare lo stesso cattiva architettura.


Non aggiungo altro, poiché valgono le stesse considerazioni fatte a Stefano Boeri, mi permetto solo una nota su Antonio Iannello, la sua storia è stata raccontata da Francesco Erbani nel libro ’Uno strano italiano’, cito un brano che sintetizza la personalità dell’architetto napoletano e forse riassume alcune dinamiche endemiche italiane:
«Napoli, novembre 1983. Come altre volte, ma con più rapidità di altre volte, dopo che il bradisismo ha sollevato e poi abbassato il lembo di terra su cui è costruita Pozzuoli, l'amministrazione comunale e qualcuno dei ministeri più direttamente coinvolti varano un provvedimento straordinario, dettato, si dice, dall'urgenza degli eventi. Si decide, nel volgere di poche settimane, la costruzione di 25.000 vani in una località a qualche chilometro dal centro cittadino che si chiama Monteruscello. Le obiezioni che vengono avanzate fin da quando l'iniziativa prende corpo sono molte, e fra queste figurano quelle di Italia Nostra, che stila un documento durissimo, fa stampare un opuscolo intitolato Bradisismo e speculazione e lancia un appello sottoscritto da numerosi intellettuali.
In data 7 novembre 1983 il ministro per la Protezione civile Vincenzo Scotti invia a sei professionisti napoletani e a un avvocato dello Stato di Roma una lettera di incarico per il collaudo in corso d'opera di uno dei lotti del nuovo insediamento, il n. 18, che comprende dai 150 ai 200 alloggi. Il compenso previsto, integralmente a carico del concessionario che eseguirà i lavori, è dell'1 sul totale dell'importo, da dividersi fra i vari membri della commissione (il 15 al presidente, il 13,3 agli altri, il 5,2 a un collaboratore del presidente).
Uno dei destinatari dell'incarico è Antonio lannello. L'architetto napoletano ha cinquantatré anni. Dal 1976 è segretario regionale di Italia Nostra. «Illustre Signor Ministro - risponde il 24 novembre lannello - nel ringraziarLa dell'incarico professionale [...], devo rappresentarLe l'impossibilità nella quale mi trovo ad accettare l'incarico affidatemi che sono quindi costretto a declinare». Seguono i motivi del rifiuto, che si possono sintetizzare in alcuni punti: aggiungere altri 25.000 vani ai 15.000 già previsti per quella zona è un grave errore urbanistico; l'amministrazione prevede un'espansione che invaderà 1.800.000 metri quadri, di fatto tutta l'area agricola non edificata del comune, inglobando un raccordo stradale e una ferrovia; la scelta manca di una pur sommaria analisi di quali conseguenze il nuovo insediamento può provocare sull'assetto urbanistico della città: la decisione è stata presa, si legge infatti nella relazione dell'ufficio tecnico del Comune, «salvo il giudizio tecnico-scientifico sulla idoneità dell'area a detti insediamenti abitativi» (che è come dire: la decisione l'abbiamo adottata, ma le ragioni che l'hanno indotta ancora non le conosciamo); si è strumentalmente sopravvalutato il rischio bradisismico; non si conosce con esattezza il numero delle famiglie che eventualmente non potranno tornare nelle loro abitazioni perché ancora sono in corso le perizie che devono stabilire se un palazzo è pericolante o meno; i 15.000 vani previsti, 10.000 dei quali non ancora costruiti, fanno parte di un piano regolatore approvato appena sette anni prima con l'intento di «decongestionare» il centro storico: forse possono essere sufficienti, visto che la popolazione non è aumentata; non si capisce perché, oltre alle nuove case, siano previsti «insediamenti industriali, commerciali e turistici»; niente si è accertato sul rischio vulcanico e sismico della zona in cui dovrebbe sorgere la Pozzuoli bis e quali danni al patrimonio archeologico e paesaggistico di quell'area la colata di cemento potrà arrecare. In un altro documento Italia Nostra denuncia che per Monteruscello si spendono circa 400 miliardi. Per ristrutturare il centro storico solo 40»[5].
Ripeto siamo (m’includo) incapaci ‘culturalmente’ ad andare oltre.

2 marzo 2010

P.S.: Fabrizio Gallanti della redazione di Abitare, mi ha spedito questa mail:

Titolo: http://www.abitare.it/highlights/mineral-geo
politics/ (lunga lettera di stefano boeri architetti) si comincia a ballare...

Testo: let's roll.

Fabrizio Gallanti,
onestamente il tuo tono mi ha dato fastidio, perché credo che tu abbia perso il senso di ciò che stiamo vivendo in Italia eppure conoscevi bene l’invito del tuo direttore: «dobbiamo tutti insieme riscoprire il significato civile del fare architettura».
Come per le vignette aggiungo alla tua mail un semplice 'Senza parole'.



SENZA PAROLE



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Note:

[1] Walter Siti, Il contagio, Mondadori, 2008, p. 234

[2] op. cit. Walter Siti, p. 199

[3] Stefano Boeri, Lo spazio crea la società, Editoriale n. 489, commento

[4] riporto integralmente il mio commento al post:
«Salvatore D'Agostino
Dice: 03.02.2009 alle 23:27
«E strano: crediamo di sapere tutto sull’ultimo concorso di Berlino o sulle Olimpiadi di Barcellona ma siamo sempre più imbarazzati a soddisfare la curiosità di chi ci chiede notizie su Milano. Dipenderà di certo dalla loro maggiore trasparenza, mentre da noi le cose più importanti non si vengono a sapere. Di fatto, per paura di fare brutte figure, diciamo sempre più spesso che non succede niente. Ancora adesso, se mi chiedono chi ha progettato le torri di Ligresti a Milano non so rispondere se non azzardando un’analisi alla Morelli; posso dire, deducendo dai dettagli: forse lo studio BPR (sic), ormai ridotto al solo attempato Belgioioso. Ci comportiamo nello stesso modo di chi lamenta che non ci sono più romanzi in letteratura. […] Non bisogna pensare ingenuamente che negli altri paesi l’architettura goda di ottima salute: non siamo i soli ad avere problemi, condividiamo i drammi epocali con il resto del mondo, e i fenomeni di degrado osservati nel nostro territorio sono soltanto un frammento della rovina generale, anche se da noi non c’è altro. E poi hanno proporzioni colossali. Tuttavia esiste un’anomalia italiana, che consiste innanzitutto nella difficoltà a dar conto della situazione. […] Così il problema della corruzione pone domanda che supera le altre: che cosa ha reso possibile che non si aprisse il fronte della denuncia? E ancora: perché nessuna reazione seria da parte della cultura architettonica?»
(Pierluigi Nicolin, Notizie sullo stato dell’architettura in Italia, Bollati Boringhieri, Torino, 1994)
Questi brani sono tratti dal libro/pamphlet del direttore di Lotus subito dopo gli anni di tangentopoli. Mi sembra interessante la frase: «perché nessuna reazione seria da parte della cultura architettonica? »
La stessa considerazione fatta lo scorso dicembre da Stefano Mirti in questo nuovo spazio di abitare.
Lei chiede agli architetti di recuperare il senso civile del mestiere, ma credo che quest’invito sia inutile se dimentichiamo di approfondire le cause sociali e lo stato attuale dell’architettura.
Non possiamo più permetterci di continuare ad “andare avanti” per rimozioni, perché temo che il nostro rapporto con il mestiere e con l’architettura ritornerà sullo stesso registro di affarismo banale e speculativo.
Caro direttore, c’è bisogno di un atto catartico, altrimenti l’italiano si siede nel consueto detto, non più solo napoletano: «ca avutu avutu avutu ca dato dato dato scurdammuce u passatu…»
C’è bisogno di una profonda analisi in modo che, parafrasando Pierluigi Nicolin, non dovremmo più avere difficoltà a dar conto della situazione.
Chiudo con una citazione da un architetto da lei indicato, Ernesto Nathan Rogers, tratto da Domus, n .205, 1946, invitava gli architetti a ricostruire l’Italia dalla macerie postbelliche: «Da ogni parte la casa dell’uomo è incrinata. Da ogni parte entrano le voci del vento e n’escono pianti di donne e di bimbi. […] La casa è un problema di limiti. Ma la definizione di limite è un problema di cultura e proprio ad esso si riconduce la casa. Se così è, anche le parole sono materiale da costruzione. E anche una rivista può aspirare ad esserlo. Si tratta di trovare nel proprio spirito l’antica natura percorrendo, tuttavia, la fertile via dell’esperienza. Vi sono tante cose inutili che sollecitano le vanità borghesi, ma anche tante meravigliose di cui i più non possono ancora usufruire. Una rivista può essere uno strumento, uno staccio per stabilire il criterio della scelta. Da quanto abbiamo detto, si può dedurre quali siano i nostri intendimenti, anzi le speranze che poniamo come mete irraggiungibili alle nostre sole forze.
Si tratta di costruire una società.
Non c’è tempo da perdere a illustrare cianfrusaglie.
Aiutiamoci tutti a trovare l’armonia tra la misura umana e la divina proporzione.
Cordialmente,
Salvatore D’Agostino».
Link: http://www.abitare.it/direttore/editoriale-489/

[5] Francesco Erbani, Uno strano italiano, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 3-4

23 commenti:

  1. Mah, si trattava solo d'un mail privato, riferito al fatto che come è poi puntualmente avvenuto, la pubblicazione di quel testo avrebbe poi aperto un dibattito sul tema, visto che da settimane si andava in giro dicendo che Abitare era troppo silenzioso sul tema. Tutto lì. Ribadisco: la avvisavo di quel testo e la avvisavo del successivo dibattito. Capisco oramai che in epoca di intercettazioni pubbliche, uno deve stare attento a tutto ciò che dice e scrive, ma sinceramente non sarei così "grave" come lei. Difficile essere ironici, pare. Poi se per motivi che ignoro le viene comodo farmi apparire come un mostro o un cretino faccia pure.

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  2. ---> Fabrizio,
    sono totalmente disinteressato al dibattito sull’episodio ‘Maddalena’.

    Mi piacerebbe una riflessione più seria e ampia sul problema dell’edilizia italiana:
    in Italia ci sono 400 mila tecnici che firmano progetti e incidono sul paesaggio urbano ed extraurbano;

    secondo i dati ISTAT nell’edilizia si concentrano i neo imprenditori con il più basso livello d’istruzione, 60% fino alla licenza media inferiore;

    dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500%;

    dal 1985 al 2003 ci sono stati tre condoni edilizi e adesso ci prepariamo a ricevere un condono mascherato;

    vi è una percentuale altissima di lavoro nero. Ad esempio in provincia di Genova si stima che rispetto agli 8.500 addetti in regola vi siano 5.000 lavoratori irregolari. Vedi --> http://www.facebook.com/album.php?aid=75054&id=1543884450&saved#!/photo.php?pid=30836836&id=1543884450 ;

    secondo il censimento dell’agenzia del territorio ci sono due milioni di case-fantasma cioè il 15% delle abitazioni non risulta accatastato (dati del 2009).

    Potrei continuare la lista ma rischiamo ‘le vertigini’.

    Non credi che questa sia la vera cultura ‘architettonica’ dell’Italia?
    Non credi che questo deprima e forse incide pesantemente anche sull’architettura di qualità, come nel caso di Boeri?

    Io sono scettico sul far leva solo sul buon senso personale, come dicevo sul vostro blog un anno fa:«perché temo che il nostro rapporto con il mestiere e con l’architettura ritornerà sullo stesso registro di affarismo banale e speculativo».
    Come vedi dopo un anno i Pietro Caisotti, i Mauro sono ritornati a dettare le loro regole a discapito di un serio professionista come Stefano Boeri.
    È chiaro che c’è qualcosa che non va, occorre un’azione concertata e non quadristica dei migliori professionisti italiani per affrontare il vero nemico dell’architettura italiana, la cultura dell’edile furbetto (+politico) spesso ignorante.

    Mi dispiace che ti sei rammaricato ma sai bene che prima di pubblicare questo post ti avevo chiesto il permesso.
    Nessuna intercettazione e tantomeno nessuna mia intenzione a farti sembrare ciò che non sei.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  3. Salvatore, il tuo blog è succo di frutta per me!!! che bello!!! GRAZIE, spero che parleremo presto

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  4. ---> Francesco,
    grazie a te.
    A presto,
    Salvatore D’Agostino

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  5. Ti racconto una storiella accaduta nel mio paese, una storiella che vuole farsi parabola sullo stato dell’arte di questa Italietta del sud. Sono sicuro che anche questa volta saprai darne una lettura più interessante di quella che posso fare io da “paesano”.

    Per un progetto di Urbanistica mi ritrovo a passare in rassegna tutto il materiale disponibile relativo al mio paese. Scandaglio su PRG e strumenti urbanistici ogni millimetro del mio territorio. Mi faccio delle domande, trovo alcune risposte. Progetto. La materia si conclude con buona pace di tutti.

    Poi accade che sfogliando il sito del comune scopro che il sindaco ha indetto un incontro con la cittadinanza dal tema “La zona C”. Mi vesto in fretta e furia e scappo nei locali parrocchiali (si, nei locali parrocchiali, hai letto bene) per assistere alla riunione del comune. Ero felice perché finalmente avrei trovato risposte non ottenute in precedenza.
    Appresi ben presto che il tema era stato cambiato in “Questo è il progetto per la zona C e adesso vi convinceremo che è buono”. Ascolto in silenzio il sindaco e il geometra dell’ufficio tecnico parlare di perequazione, indici, superfici ecc. Butto un’occhiata distratta al progetto ritagliato sui lotti catastali. Pongo la mia domanda dopo non poche perplessità sull’essere fuori luogo: faccio notare che nell’area da edificare, sia il piano paesistico regionale che la soprintendenza ai beni culturali avevano individuato un sito archeologico (una necropoli greca). Domanda lecita in un paese che ha spedito negli anni 50’ un’altra necropoli greca sotto le case popolari. E sinceramente mi sarei aspettato una risposta del tipo “la sopraintendenza ci ha dato il nullaosta” o qualcosa del genere. Invece mi rispondono che non ne sapevano NULLA (e in altri colloqui con il sindaco ho appreso nulla si sapeva neanche del precedente degli anni 50’ benché documentato perfino nella biblioteca comunale oltre che negli strumenti urbanistici). Puoi immaginare cosa non sia successo in quella riunione dopo il mio imbarazzatissimo intervento.

    Una frase pronunciata da un qualche proprietario coinvolto mi è sembrata parecchio significativa : “non possiamo fare felice un architetto (immagino fossi io quell’architetto) a discapito di centinaia di proprietari!”

    Le mie conclusioni sono:
    - Il politico disconosce, è ignorante per antonomasia.
    - Il tecnico comunale conosce in parte, ma esegue ugualmente.
    - L’architetto ha mire velleitarie e sovversive (secondo il sentire comune, secondo il comune e secondo i cittadini).
    - I proprietari non possono fare a meno dei palazzinari, visto che gli architetti sono velleitari e sovversivi.

    La soluzione mi sembra sempre la stessa, forse banale ma non vedo altre alternative: cultura architettonica e comunicazione dell’architettura (e tutto ciò che riguarda le città, s’intende). Solo con questi mezzi possiamo sperare che i vari “attori” recitino la propria “parte” consapevoli del proprio ruolo; sperare che il proprietario si rivolga ad un architetto anche quando vuole “speculare” (nel senso di guadagnare onestamente); sperare in politici consapevoli e tecnici armati di buone intenzioni. Bruno Zevi mi ha dato una suggestione che difficilmente riuscirò a dimenticare: 3 anni di liceo per studiare la divina commedia, e un quarto d’ora per studiare la basilica di San Pietro, sebbene entrambe vengano considerate indiscusse opere d’arte frutto del più superbo genio umano. Il rapporto 3anni/un-quarto-d’ora è sempre presente quando si parla di architettura-urbanistica e lo vedo come uno dei mali peggiori, la base fertile che produce i palazzinari.

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  6. Non ti nascondo una mia riserva su quanto scritto a proposito della necessità di andare avanti, andare oltre. Pensieri assolutamente condivisibili, ma non posso fare a meno di pensare che se applicate, anche le nozioni di architettura di inizio novecento andrebbero bene, forse basterebbe anche solo un senso civile attecchito su persone ben preparate. E da qui si ritorna al problema della cultura architettonica-urbanistica diffusa…

    In sintesi: gli sturmenti, forse, li abbiamo già.

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  7. ---> Carmelo Cesare,
    lo scrittore siciliano Davide Camarrone prendendo spunto da Sciascia afferma che il Siciliano non ha memoria storica.
    Cioè vaga nella città senza distinguere i periodi storici.
    In questo caso il siciliano è simile al Mauro romano raccontato da Walter Siti o al ligure Pietro Caisotti di Italo Calvino.
    Molti tecnici hanno la sindrome da ‘manuale del geometra’ per risolvere i problemi tecnici cercano le regole sulla ‘sacra Bibbia’, senza riflettere sulle logiche progettuali.
    Lo scrittore Gianni Biondillo in questo senso è radicale crede che la cultura ‘scolastica’ italiana (comprensiva degli studi universitari) sia stata l’artefice della ‘geometrizzazione dell’architetto’.
    Ad esempio il Filippo Penati di sinistra che cercherà di buttare fuori il suo rivale Roberto Formigoni di destra dalla regione lombarda, qualche anno fa dichiarava: «I geometri hanno costruito l’Italia, gli architetti specialmente quelli di sinistra hanno causato i maggiori scempi».Se vuoi leggi una nota di WA ---> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2008_04_01_archive.html

    Hai perfettamente ragione non è una questione di regole ma di cultura.
    La tua citazione di Zevi ci fa capire come questo problema non sia solo di oggi.
    Io credo che la ‘geometrizzazione’ cioè l’idea tratta dai manuali o dall’esperienza pratica a discapito dei processi progettuali inizi con il dopoguerra, ma se è vero che in quel periodo vi era un’emergenza imbellente, cioè la ricostruzione del dopoguerra, in seguito questo dinamismo emergenza-cemento diventerà una regola che ci ha portato a distruggere il nostro territorio.
    Ti riporto un commento tratto da questo recente articolo ---> http://www.lavoripubblici.it/news/2010/02/edilizia-professioni/competenze-professionali-sospeso-il-ddl-vicari/#boxCommentiNotizia

    • ahh, gli architetti.....
    emilio salvatore - 26/02/2010
    come disse un capo-cantiere (con 40 anni di esperienza che aveva tanto da insegnare a diplomati e laureati) ad un architetto offeso dall'essersi sentito chiamare "geometra" : "Ahh, siete ancora architetto ? Be', Geometra sicuro ci diventerete!!!"....

    Ciò che mi preoccupa è che le pagine più interessanti sull’identità dell’architettura italiana dal dopoguerra a oggi siano state scritte da scrittori.

    Be’, studente di architettura non devi diventare geometra ma preparati a essere umiliato.
    Le tue idee di spazio non collimeranno mai con l’idea del mq utile.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  8. Ho sempre pensato che la vicenda della Maddalena fosse solo un pretesto per discutere su quelle che avevo chiamato "contraddizioni morali" dell' architettura italiana, e più in generale sul suo stato. Il modo in cui mi ha liquidato Stefano Boeri è noto a tutti: con una menzogna, cambiando argomento, screditandomi personalmente, affermando ciò che i lettori non potevano verificare, e negando perfino il contenuto di articoli direttamente linkati da me a testimonianza di trasparenza.
    L' "intellettuale" Boeri, il talent scout dei giovani architetti, mi ha degradato professionalmente, riferendo di un episodio mai avvenuto.
    Mi chiedo dunque se tra i problemi dell' architettura italiana ci sia anche quello delle "appartenenze": se sei dalla mia parte ricevi attestati di stima, ti coinvolgo nei miei progetti, magari ti pubblico sulla mia rivista, se al contrario mi critichi risponderò con una rappresaglia, con insulti e denigrazioni.
    Il sistema dei concorsi può risolvere questo circolo vizioso?
    Voglio dire subito che io sono favorevole all' istituto del concorso, in particolare mi piacerebbe che gli incarichi fossero conferiti attraverso concorsi ad invito, retribuiti, con rotazione degli invitati e garanzie di presenza di gruppi giovani; sono a favore dei concorsi palesi, con i nomi in chiaro di giurati e partecipanti, favorevole ad una presentazione pubblica dei progetti alla giuria da parte dei concorrenti....
    Tuttavia, per come stanno le cose ad oggi, credo che un concorso possa perfino accentuare il circolo vizioso sopra menzionato:i concorsi di fatto sono espressioni di "appartenenza", di un' affinità di pensiero tra giurati e concorrenti.
    E in questo credo che non ci sia nulla di male.
    Io vorrei che fosse solo quello, purtroppo però al fattore "affinità" si aggiungono i legami accademici, le amicizie, le ricerche svolte congiuntamente,i rapporti di lavoro, e in alcuni casi ancora ci si scambia disinvoltamnte il posto di giurato-concorrente-membro dello stesso gruppo progettuale del giurato in altro concorso.
    Troppo spesso nei concorsi vengono annunciate giurie non veritiere, membri internazionali, puntalmente sostituiti da burocrati locali, per incapacità organizzative e/o perchè lo stesso ente banditore non crede nello stesso concorso.
    Altre volte non sono chiari i metodi con cui vengono assegnati i premi e i bandi vogliono illuderci che l' attribuzione di vari punteggi a singoli requisiti richiesti sia un criterio che possa racchiudere un giudizio critico globale che al contrario ritengo viene così evitato.
    Pochi mesi fa, Francesco Dal Co, dalle pagine di Casabella aveva evidenziato il "distacco" degli architetti italiani dall' istituto del concorso. Citava due esempi di ricorsi al TAR a seguito degli esiti concorsuali. Credo di avere elementi sufficienti per ipotizzare che in almeno uno dei due casi si sentisse coinvolto in quanto membro della giuria contestata dal ricorso.
    Non so come sia andata a finire quella vicenda, ma mi sembra che in Italia non ci sia la capacità di fare rete e contemporaneamente ci sia presunzione da parte di tutti. A ciò voglio aggiungere una ulteriore nota. Il buon senso dovrebbe portare i colleghi a non partecipare a quei concorsi ove la giuria non rispecchia le proprie affinità culturali (alludo solo a quelle culturali senza nessuna ironia)o a quei concorsi che si reputano privi di specifiche garanzie, evitando in tal modo gli antipatici ricorsi. Ma come ci ricordava lo stesso Dal Co il problema è più ampio, investe i comportamenti e la legislazione.
    Luca Guido

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  9. E' inutile, ragazzi, tutto inutile.
    Fino a quando il valore "finanziario" di un edificio nuovo sarà superiore al costo di costruzione aumentato del 25%, si continuerà a cementificare più che si può e il più velocemente possibile. Gli Architetti, gli Ingegneri (e anche i Geometri) o sono complici - e allora una fettina di torta spetta anche a loro - o sono degli sporchi stupidi ecologisti e/o idealisti, ostacoli inutili da piallare con la ruspa.
    Il male di tutto, quello che genera speculazione, è il considerare il metro quadro di mattone come un investimento, non come un'opera necessaria alla vita, al divertimento o al lavoro.
    In queste condizioni, come si può resistere alla tentazione di decuplicare in pochi giorni il valore di terreni scarsamente produttivi? Dalle mie parti, il nuovo (con tutti i crismi della classe B) costa non meno di 3000 Euro al metro quadro, a fronte di un costo di costruzione (compreso il terreno) di 1100. Nonostante la crisi, quindi, costruire rende finanziariamente il 66% in due anni (tempo di costruzione e di vendita).
    Le possibili soluzioni ci sono, ne ho una vaga (e vile) idea:
    - Esproprio comunale obbligatorio di tutti i terreni edificabili, al costo del 50% in più del valore di mercato agricolo.
    - Piani particlareggiati redatti dai comuni e non dal privato.
    - Progetti dei singoli edifici oltre le 2 unità immobiliari a cura del comune mediante incarico ad Architetto (tutti gli iscritti all'albo a rotazione).
    - Vendita all'asta on line dei lotti già progettati e con concessione edilizia e dei piccoli lotti a bassa densità senza progetto.
    Forse così riusciremo a limitare i danni, almeno fino a quando i prezzi di mercato non torneranno ragionevoli.
    Ma forse sono solo un vile (drastico) Geometra.

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  10. Naturalmete pozioni magiche non ce ne sono!Qui in territorio di brainstorming, tutti fanno a gara a chi la spara + grossa! Fuori dal coro vi dico che la battaglia è perduta! Siamo destinati a morire...professionalmente (gli architetti) tutti!Siamo anacronistici...!Se nn si parla lo stesso codice della politica (italiota!)non c'è concorso, incarico pubblico(averla la dichiarazione per 10 volte l'incarico!), appalto integrato che tenga, a stento, se sei bravo, fai il cesso della sig.ra Maria.Qualcuno qui, sogna!Le "bollette" come le pagate? Il mio idiota orgoglio di ...lasciare perdere l'insegnamento o entrare in ufficio pubblico, mi sta violentemente punendo a sangue!Ho ormai grande coscienza che non siamo "utili|idioti" a chi può fare a meno di noi! Sarkozy ( come prima di lui Pompidou, Mitterrand e tanti altri) hanno ben utilizzato il nostro sapere!Pensate per fare soltanto affari?Penso di si! Ma fare affari a loro livello non credo sia moralmente ed eticamente cacca!E' legge di vita!Vi scandalizza perchè nn vi tocca?Che ridicolaggine!Tutti influenzati da travaglio o grillo? Che terra miserabile e piena di ascari!C'è sempre un nuovo Hegel dietro di voi!

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  11. ---> Luca,
    credo anch’io che nella sua chiosa iniziale Boeri abbia sbagliato, come ho detto sulla presS/Tletter, sia stato ‘una caduta di stile che non mi sarei mai aspettato’.
    Esagerando: ‘l’Italia è una nazione basata sulla casta’.
    Nel dopoguerra alcuni intellettuali hanno cercato di sprovincializzare la nostra ‘campanilistica’ Italia ma non credo quest’ azione sia mai riuscita.
    Come dicevo nell’epilogo della mia inchiesta OLTRE IL SENSO DEL LUOGO ci sono due tipi di provincialismo, dei piccoli e dei grandi, ambedue evitano di guardare oltre il proprio giardino.
    Non voglio difendere ‘Boeri’ poiché è in grado di farlo da solo ma ‘Abitare’(come la sua direzione di Domus) è tra le riviste più dinamiche e non credo che ancora si sia formata una casta ‘inamovibile’.
    Resta il fatto che ‘Abitare’ essendo una rivista che deve fatturare e rendere conto ai propri partner ‘pubblicitari’ non può essere estranea alle logiche ‘economiche’.
    Sui concorsi ti segnalo lo speciale del ‘Giornale dell’architettura’ di questo mese, soprattutto l’articolo di Francesco Garofalo in rete qui ---> http://www.ilgiornaledellarchitettura.com/articoli//2010/2/101332.html
    Concordo con Francesco Dal Co, anche se non condivido le sue ricerche ‘sul’identità dell’architettura italiana’ è l’unico intellettuale che ogni tanto punta il dito sul degrado della professione dell’architetto in Italia.
    Avevo pubblicato l’articolo che tu citi su WA vedi qui ---> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2009/03/0029-speculazione-gli-architetti.html
    Il recente caso ‘Boeri’ (come Desideri-Casamonti) ci dovrebbe far riflettere sui ‘comportamenti’ e soprattutto sul potere degli edili (i procacciatori di appalti) che svilisce il lavoro degli architetti di provincia e anche come in questo caso, quelli più autorevoli.
    Io rimango basito dall’indifferenza dei critici su questo problema.
    Come sono rimasto ‘senza parole’ dell’editoriale di scuse di LPP e delle sue ‘futili preoccupazioni:
    - i costi dei progetti pubblici;
    - concorsi in Italia.
    Dico futili perché, come tu stesso dici : “Ma come ci ricordava lo stesso Dal Co il problema è più ampio, investe i comportamenti e la legislazione”, occorre riflettere sulla cultura italiana del progetto e cambiarla ‘concretamente’ non a parole, altrimenti resteremo in attesa del prossimo ‘scandalo’ (o meglio come si dice nei bar dei fessi che si fanno scoprire).
    I critici/architetti IN (vendita) credo che non siano interessati (o forse non possono) ad attivare questo processo.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  12. ---> Vil Geometra,
    condivido la premessa meno le soluzioni.
    in ordine:
    1. Occorre trovare soluzioni meno ‘comuniste’ magari mettendo in discussione il mercato ‘edile’ con altri sistemi. Un po’ come sta avvenendo sul tema della ‘finanza senza regola’ che ci ha donato questa crisi, riflessione molto attiva nel mondo, soprattutto negli Stati Uniti (in Italia non se ne parla perché abbiamo la creatività al potere).

    2. Non siamo in Cina (vedi la risposta di Giacomo Butte nell’inchiesta OLTRE IL SENSO DEL LUOGO) nei comuni ci sono moltissimi impiegati da non confondere con i progettisti.
    3. condivido, anche se a rotazione toccherà all’architetto ‘incapace’. Credo che sia meglio un lavoro di equipe per limitare i danni.
    4. idea affascinate.

    Il problema non è trovare su WA l’idea migliore, sappiamo bene che non serve a niente.
    Auspico un’azione concertata, un po’ com’è avvenuto in Francia con i poli universitari (vedi qui ---> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2008/10/0002-squola-in-francia-pochi-poli.html )
    La mia domanda a Boeri cercava di dare questo suggerimento:« è in grado la migliore classe pensante dell’architettura italiana di disinteressarsi alla propria verità - spesso concepita come taumaturgica - e interessarsi alle verità?»
    In altre parole, i migliori critici sono in grado di uscire fuori dalle proprie ‘accademie’ e preoccuparsi dei problemi che hanno svilito la professione dell’architetto in Italia?
    Ho citato Siti e Calvino perché sono convinto, constatandolo giornalmente nel mio lavoro, che ci sia una profonda crisi culturale.
    Non abbiamo il senso dell’architettura.
    I nostri committenti (politici o privati) conoscono la storia e i processi dell’architettura.
    (Vedi la bella citazione di Zevi fatta da Carmelo).
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  13. ---> Maurizio,
    non credo che WA abbia una deriva alla ‘Grillo’ o ‘Travaglio’ solo un fattore contingente agli ultimi incalzanti eventi di cronaca.
    Mi piacerebbe riflettere su questa tua considerazione:«Il mio idiota orgoglio di ...lasciare perdere l'insegnamento o entrare in ufficio pubblico, mi sta violentemente punendo a sangue».
    Ti riporto questo commento di Pierre Alain Croset tratto dal sito di abitare che a mio avviso sintetizza il nostro malessere: «25.02.2010 alle 19:11
    caro Stefano,
    penso che siamo molti ad apprezzare la tua volontà di chiarezza e trasparenza, necessaria di fronte a scandali rivelazioni e intercettazioni. Ma occorre continuare e insistere, e chiedere che la stessa trasparenza che intendi imporre per quanto riguarda il lavoro progettuale del tuo studio e di tutti i giovani collaboratori, venga anche dagli organi di Stato. Devi anche essere tu a chiederlo, ad altissima voce. E’ l’occasione per denunciare le anomalie italiane delle gare di concorso, degli appalti integrati, che limitano sempre di più l’autorità tecnica, e non solo morale, del progettista. Dalla tua autorevole voce, e dalla tua rivista, potrebbe partire una campagna di denuncia, un appello internazionale: ci sono tante forze vive in Italia che non chiedono altro che di poter lavorare in condizioni “normali”».
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  14. Io non ho capito bene, quale eccelso e fulmineo pensiero abbia colto Pierre Alain Croset?Ci sono ancora "quattro" minchioni che credono alla favola del lupo e dell'agnello? Mah!Pensate che discuterne per quell'altro luogo comune e obsoleto principio (sic!)della libertà d'informazione vi assolva dalle miriadi di nefandezze che vediamo quotidianamente? o sostanzialmente le chiacchere da salotto hanno mai storicamente portato a migliorare le cose?Insomma, sostenete sempre, di andare in guerra senza armi!divertitevi!Caro salvatore meglio il suicidio che il piacere di farsi uccidere facilmente!

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  15. Maurizio,
    sono maledettamente d’accordo con te.
    Facciamo la guerra ai ‘furbi’ armandoci con il ‘tutu’ dell’architettura di qualità.
    E sai bene che i furbi o i quattro (forse oggi quarantaquattro) cavalieri dell’apocalisse mafiosa se ne fregano altamente di queste nostre chiacchiere Web, ti ricordi come continuava quest'articolo:«Tutto questo in un paese dove la gestione e la moltiplicazione della ricchezza, la grande fortuna economica o finanziaria, per struttura stessa della società politica, deve fatalmente passare attraverso un compromesso costante con il potere, con i partiti che sostanzialmente amministrano la nazione, con gli uomini politici o gli altissimi burocrati ai quali i partiti delegano praticamente tale funzione, lo spirito di nuove leggi e decreti, la scelta delle opere pubbliche, l’assegnazione degli appalti. Chi afferma il contrario è candidamente fuori dal mondo oppure è un amabile imbecille»?
    Ed io non vivo fuori dal mondo e tantomeno (almeno spero) sono un amabile imbecille.
    In questi post sto semplicemente dicendo (citando sopratutto scrittori, ovvero gente che sa vedere) che quello che sta succedendo non è un caso ma frutto della nostra idea italiana dell'edilizia e chiedo di non continuare a prenderci in giro. Occorre urgentemente iniziare a discutere come sconfiggere (con le giuste armi) questa totale indifferenza nei confronti dell'architettura?
    Da dove cominciare?
    Io credo proprio dai critici 'inani' che scrivono in 'tutu'.
    Saluti,
    Salvatore D'Agostino


    P.S.: Ho scritto un post dei post sulla Maddalena.

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  16. Salvatore, la risposta è facile!Dato che non credo più alla rivoluzione(io me la sentirei ancora!)l'unica maniera è formare un partito!Mandare a casa a pedate tutti quelli che ci governano e imporre la Legge sull'architettura! Se le leggi sono contro gli architetti e di noi, si ricordano soltanto quando vogliono uno "schizzo"...di sangue, cosa vogliamo cercare nei nuovi Sartre e Camus?

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  17. ----> Maurizio,
    non credo che occorra un partito.
    Basta capire chi è il nostro nemico, altrimenti rischiamo di essere sempre più schiavi di un sistema che non ha niente a che fare con i temi dell’architettura.
    Il brano che ti avevo citato era di Giuseppe Fava , I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa, "I Siciliani", n. 1, nel gennaio 1983.
    Un anno dopo il giornalista catanese fu assassinato.
    Se ci permetti continuo a citare il suo articolo: «A questo punto della storia dunque avanzano sul palcoscenico i quattro cavalieri di Catania, loro avanti di un passo e dietro una piccola folla di aspiranti cavalieri di ogni provincia del Sud, affabulatori, consiglieri, soci in affari, subappaltatori. Chi sono i quattro cavalieri di Catania? E’ una domanda importante ed anche spettacolare poiché i quattro personaggi sembrano disegnati apposta per costituire spettacolo. Profondamente dissimili l’uno dall’altro, nell’aspetto fisico e nel carattere. Costanzo massiccio e sprezzante, Rendo improvvisamente amabile e improvvisamente collerico, Finocchiaro soave, silenzioso e apparentemente timido, Graci piccolino e indefettibilmente gentile con qualsiasi interlocutore, vestono però tutti alla stessa maniera, almeno nelle apparizioni ufficiali, abito grigio o blu anni cinquanta, cravatta, polsini, di quella eleganza senza moda proprio dell’industriale self-made-man. Tutti e quattro hanno imprese, aziende, interessi in tutte le direzioni, industrie, agricoltura, edilizia, costruzioni. Non si sa di loro chi sia il più ricco, a giudicare dalle tasse che paga sarebbe Rendo, ma altri dicono sia invece Costanzo, il più prepotente, l’unico che abbia osato pretendere e ottenere un gigantesco appalto a Palermo; altri ancora indicano Graci, proprietario di una banca che, per capitali, è il terzo istituto della regione. La ricchezza di Finocchiaro non è valutabile. Molti ancora si chiedono: ma chi è questo Finocchiaro. Costanzo costruisce di tutto. Case popolari, palazzi, villaggi turistici (la Perla Jonica, sulla costa di Catania, ha nel suo centro un palazzo dei congressi che non esiste nemmeno a Roma, i partecipanti al congresso nazionale dei magistrati in cui era appunto all’ordine del giorno la lotta contro la mafia, improvvisamente si accorsero di essere riuniti e di lavorare in uno dei templi del potere di Costanzo). Costanzo costruisce anche autostrade, ponti, gallerie, dighe; e possiede anche le industrie necessarie a produrre tutto quello che serve alle costruzioni: travature metalliche, macchine, tondini di ferro, precompressi in cemento, infissi in alluminio, tegole, attrezzature sanitarie. Un impero economico autonomo che non deve chiedere niente a nessuno. Poche aziende in Europa reggono il confronto per completezza di struttura. Ha un buon pacchetto di azioni in una delle più diffuse emittenti televisive private. E’ anche presidente e maggiore azionista della Banca popolare».
    Ti suggerisco ti leggerlo tutto in rete lo puoi trovare qui ---> http://www.girodivite.it/I-quattro-cavalieri-dell.html

    Questi, ancora oggi con altri nomi, sono i nostri committenti e non sono dei filantropi illuminati.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  18. Salvatore, siamo alle solite reveries tardo mafiose, da "magliettina rossa" in carne!La mafia fa affari con tutti, escluso gli inesistenti (farebbe affari anche con la buona architettura che è inesistente); Fava faceva affari pericolosi e letali (per sé) con tutti ( da Ciancio a Diego Lo Giudice). Insomma, niente architetti e la mafia non c'entra con la nientificazione degli architetti.Quindi gli architetti devono (già da tempo è successo!) cambiare mestiere e darsi alla politica per inseminarla di prospettive che sonnecchiano vigorosamente!Ma quale alternative vuoi che ci siano, non hai ancora capito chi ci sta difronte? Mi sembra un'ingenuità furbetta anche questa!..e contiuiamo a fare salotto e sorbirci i "saranno famosi" alla Boeri, con le sue rispettabilissime enfasi da "enfant prodige"! Infatti aldilà di tutte le paranoie e luoghi comuni, è ineludibile che detenere potere o apparente potere (fumus! di essere anche direttore di una gran rivista di ...!) porti a esercitarlo! Scontata considerazione che deve far riflettere, per non cadere nel sillogismo potere=verità. Chi non frequenta quei “salotti bene” è tagliato fuori!Chiaro?

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  19. Maurizio,
    mi spieghi meglio questa tua frase: «Fava faceva affari pericolosi e letali (per sé) con tutti (da Ciancio a Diego Lo Giudice)».
    Sul potere=verità sono molto interessato a capire come l’architettura si possa sviluppare attraverso le menti degli imprenditori ‘italiani’. Vorrei riflettere sulla cultura degli imprenditori cioè i nostri committenti.
    Senza moralismo per carità.
    Ad esempio quale tipo di architettura può pensare e finanziare ‘Ciancio’?
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  20. Allora non ti è chiaro! Ma io nn so essere più esplicito dell'evidenza!
    Pensi che Fava vendesse pesce alla pescheria? O stava,invece, a scavare notizie pericolose (e letali!)? E quindi borderline come tutti lor "signori" che, per sapere di più, devono mischiarsi con la feccia! a rischio di infettarsi!Che i soldi per stampare un giornale dalle nostre parti chi li mette? Forse il Papa?Insomma mi fai dire ovvietà su ovvietà!inutili!
    Gli Imprenditori fanno affari no elemosina a quattro e un soldo! Se gli fai capire che faranno gli stessi soldi cn un modello di qualità alto è un problema? L'architetto non deve fare il poliziotto ma la professione del progettista! Ciancio, non ha cultura estetica ma economica, i "sogni", glieli dobbiamo dare noi, architetti e senza moralismi da terza elementare!

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  21. Maurizio,
    non condivido ciò che dici ma credo che sia un mio limite.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  22. Aaaa si, capisco! Metti che domani Ciancio ti voglia dare un incarico per fare la nuova sede del quotidiano "La Sicilia", cosa fai?
    Dai, poi ci si vede...a Catania e ti offro quel selz-und-limone che non ti piace!

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  23. Per la nuova sede della "Sicilia" ho già un'idea:
    un edificio che dall'alto assomigli ad un kalashnikov!
    Vil (stavolta molto vile) Geometra

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