di Salvatore D’Agostino
Con i primi tweet delle nove e tre minuti, qualche secondo dopo l’ultimo distruttivo sisma avvenuto in Italia nel 2012, nei dintorni dell’Emilia, anche la stampa italiana si è trovata spiazzata nei confronti delle informazioni veicolate da chiunque si trovi, suo malgrado, al posto giusto. Quei tweet hanno messo in pensione le vecchie procedure dei dispacci di agenzia. Oggi, chicchessia e in qualsiasi momento, può rilanciare, in contemporanea ad un evento imprevisto, delle informazioni costringendo il giornalismo ufficiale a confrontarsi con le voci informali che anticipano o a volte ridimensionano gli eventi in corso.
Con i primi tweet delle nove e tre minuti, qualche secondo dopo l’ultimo distruttivo sisma avvenuto in Italia nel 2012, nei dintorni dell’Emilia, anche la stampa italiana si è trovata spiazzata nei confronti delle informazioni veicolate da chiunque si trovi, suo malgrado, al posto giusto. Quei tweet hanno messo in pensione le vecchie procedure dei dispacci di agenzia. Oggi, chicchessia e in qualsiasi momento, può rilanciare, in contemporanea ad un evento imprevisto, delle informazioni costringendo il giornalismo ufficiale a confrontarsi con le voci informali che anticipano o a volte ridimensionano gli eventi in corso.
Questa della condivisone globale delle informazioni è un’idea che già, circa venticinque anni fa, Tim Berners Lee metteva a punto attraverso la scrittura di un protocollo aperto che, nell'agosto del 1991, porterà alla nascita del World Wild Web. Un’estensione cognitiva dell’uomo che in poco tempo ha trasformato e trasformerà l’umanità del pianeta terra.
Mentre Tim Berners Lee sviluppava la sua idea, nel cuore dell’Europa, il nove novembre del 1989 il corrispondente estero per l’agenzia italiana ANSA, tale Riccardo Ehrman, veniva invitato nella conferenza stampa indetta per le 18 nel ‘sottomarino’, così chiamata in codice la sala della conferenza stampa. L’invito gli era stato rivolto da Günter Pötschke, suo collega dell’agenzia stampa ADN - della allora DDR - nonché suo confidente segreto, attraverso una telefonata in codice (ricordiamoci che c’era allora la guerra fredda e i telefoni, e non solo, venivano controllati dagli agenti segreti di tutto il mondo) con l’intenzione di porre una domanda al Segretario del Comitato Centrale SED delle scienze dell'Informazione (l’equivalente odierno del portavoce del governo) Günter Schabowsk, sulle nuove disposizioni di legge di viaggio all'estero.
Dopo la telefonata, Riccardo Ehrman si avvia con la sua auto verso l’edificio del ‘sottomarino’. Perde del tempo perché non trova parcheggio: negli ultimi tempi queste anonime conferenze stampe cominciavano ad essere sempre più frequentate a seguito dei continui cambiamenti innescati dal 1985, grazie al processo di apertura del presidente dell’URSS Michail Gorbačëv. Essendo in ritardo trova la sala piena, scavalca il cordone di sicurezza e si accovaccia con i suoi sessantanni e il blocchetto degli appunti da buon cronista sul predellino, sotto il tavolo del segretario Günter Schabowsk.
Per cinquanta minuti ascolta le consuete e noiose comunicazioni del portavoce, per poi prendere la parola e porre al segretario la domanda che Günter Pötschke gli aveva suggerito.
Il portavoce, come si può vedere dal video, quasi ad aspettarsi una domanda del genere, prende un foglio che si trova sul tavolo e legge le nuove norme in materia di viaggio. Legge con precisione per non sbagliare. Fin qui tutto procede secondo la raffinata abilità retorica dei politici di quel periodo, che è quella di usare un linguaggio aperto che si presta a diverse interpretazioni.
Dopo questa lettura, segue una «domanda veloce con un effetto enorme» - come dirà Willy Brandt. Riccardo Ehrman, incalza il segretario Günter Schabowsk, chiedendo una precisazione temporale: “da quando?” La risposta, accompagnata prima da una sbirciata sui fogli della norma, è ambigua ma decisiva: “che io sappia da subito”.
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La vicenda di Riccardo Ehrman è ambigua, un po’ come la risposta del segretario, come si vede in un repertorio di spezzoni dei telegiornali di allora raccolti dalla neo nata trasmissione di rai tre, blob, del dieci novembre di quell'anno. Ehrman dice che subito dopo la notizia tutti si catapultarono fuori a scrivere che il muro era caduto.
Parole che ritratterà nelle interviste di questi ultimi anni, dove afferma che solo in due cercano subito di rilanciare la notizia e che solo lui aveva avuto la giusta interpretazione della risposta del segretario che aveva dato il via alla ‘caduta del muro’. Non solo, tiene anche a ribadire che la sua domanda non era per niente casuale, ma era frutto di una soffiata avuta dal collega confidente Günter Pötschke. In seguito, il giornalista Peter Brinkmann cercherà, a tutti i costi, di dimostrare che la domanda decisiva l’aveva posta lui.
Questa storia della prima importate conferenza stampa del ventesimo secolo meriterebbe un racconto parallelo perché è ricca di misteri, umanità e intrecci di politiche globali, in un periodo in cui le informazioni, senza il web, erano in mano a pochi corrispondenti gestiti dalla stampa ufficiale e questi pochi avevano delle vite più da 007 o controspionaggio che da ‘giornalisti della realtà’.
Questa storia della prima importate conferenza stampa del ventesimo secolo meriterebbe un racconto parallelo perché è ricca di misteri, umanità e intrecci di politiche globali, in un periodo in cui le informazioni, senza il web, erano in mano a pochi corrispondenti gestiti dalla stampa ufficiale e questi pochi avevano delle vite più da 007 o controspionaggio che da ‘giornalisti della realtà’.
Un racconto parallelo è il reportage di Pietro Motisi a Berlino, venticinque anni dopo la «domanda veloce con un effetto enorme». Un diario di viaggio ibrido, volutamente ambiguo nella narrazione, che intreccia riflessioni, citazioni, fotografie con pellicola, istantanee polaroid e immagini digitali.
Un racconto che v’invito a leggere e osservare. Un racconto che finisce con una foto digitale che incornicia una foto polaroid dove appare, sulla parete della stanza in cui ha vissuto, un manifesto con su scritto “Show you are not afraid” ossia "Non aver paura di mostrare". Senza punto esclamativo, né intimidazione, né evocazione. È la visione di una narrazione possibile nella Berlino di oggi.
9 novembre 2014
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