23 giugno 2009

0025 [MONDOBLOG] Archistar o Archipov? 2° parte

di Salvatore D'Agostino
introduzione e prima parte 

Un dialogo doppio con il gruppo blogger architetti senza tetto. Provincia, ironia, sbalzi umorali, Computer Aided Design, parcelle, uffici tecnici e storie di un gruppo di amici architetti che dialogano in rete. 

Legenda: 
ANG Angiolo;
AST Architetti senza tetto;
LB Lina Bo;
MF Massimiliano;
RK Rem;
SD Salvatore D'Agostino;
TD Tadao;
ZH Zaha. 

SD Nel maggio del 2008 bandite un concorso Vectorialize This! invitate gli architetti ad uscire fuori dagli schemi di routine di vetorializzazione e offrite l'occasione di una nuova visione artistica. 
Tra le proposte pubblicate segnalo quella di:
A proposito dell'avvento del disegno al computer Gae Aulenti annota:
«[...] le dico una differenza [...] nel mio studio prima si sentiva la radio, la musica, il chiacchiericcio e tutti disegnavano parlando, vedendo, chiedendosi e quindi un gran fracasso, oggi il silenzio è preoccupante, perché tutti hanno la testa dentro il computer, si parla solo quando si organizzano le riunioni1
MF Concordo sul fatto che ci sia silenzio assordante anche nel nostro studio, ma io ci provo a fare djset nello studio ritmicamente interrotti da telefonate e altro. Un plotter che stampa comunque è un ottimo sottofondo glitch/loop se si vuole ;)

TD Ciao Salvatore,
La chiamo per nome come compete alle persone ormai familiari... Il timore della Aulenti lo condivido, e in effetti anche rispondere a una mail mi genera perplessità in merito... in fin dei conti nei nostri studi un po' di baccano c'è ancora... io (potendoLe testimoniare solo quanto mi riguarda personalmente) quando lavoro da solo è un conto, sono concentrato, "dentro" il monitor del mio computer, mi faccio accompagnare solo dalla mia musica preferita (non sopporto la radio, perché amo decidere da me la colonna sonora della mia vita...), principalmente classica con una preferenza al barocco, ma quando condivido l'ambiente con qualcuno allora la parola e la musica (di lastfm.it) non mancano mai... sarà che la dimensione del mio lavoro non è quella "industriale" di certi grandi studi e che preferisco contornarmi di persone con cui ho un rapporto personale prima che professionale? 

RK L’idea di Vectorialize This! È nata per gioco quando, lavorando con un altro studio a distanza ci sono arrivati, nascosti tra le sezioni, omini e sagome bizzarre. È la follia del caddista che nasconde dove non te lo aspetti scherzi e trabocchetti. Da lì la cosa è degenerata in un concorso, tuttora aperto e senza un vincitore (d’altronde se partecipi e ti diverti hai comunque vinto!), che ha come fine la valorizzazione dell'uso "improprio" del disegno tecnico al cad.
Per quanto riguarda l'effetto che il computer ha sulla vita dello studio devo dire che la nostra esperienza è molto diversa da quella di Gae (che tra l'altro saluto con affetto - non si fa così in tv quando un intervistato cita qualcuno che non ha mai nemmeno lontanamente incontrato? - ): quando siamo sotto consegna siamo silenziosi e concentrati ma quando siamo meno stressati facciamo veramente di tutto tra cui: improvvisare duetti canori a squarciagola fingendo di stare girando un musical ambientato in uno studio di architettura, sfidarci in accese competizioni di ginnastica ritmica (la mia specialità preferita è il nastro), inventare nuove ricette a base di nutella e crackers integrali, giocare a baseball su poltrone a rotelle e molte altre cose amene di questo tipo.

ZH ricordo anch'io le notti prima di un esame passate a bere caffè, ascoltare la radio, ridere e lucidare, panico da rapidograph 0,13 rotto in quanto caduto di punta, o lo 0,40 che sbavava rovinando all'ultimo una tavola quasi finita... o il tentativo di incollare piccolissimi e complicatissimi retini che rimanevano ostinatamente incollati al dito o al taglierino... o la cancellazione con la lametta, e si finiva sempre con la tavola bucata... la preparazione dei sottolucidi... il mal di schiena da tecnigrafo e/o parallelografo, a seconda se eri un purista oppure no (per non parlare delle sacre tecniche di sistemazione del parallelografo, due fili o un unico filo passante?)...
Al ricordo provo contemporaneamente nostalgia e nausea. Oggi il panico è dovuto alla stampante o al plotter che si rifiutano di lavorare all'ultimo minuto, oppure salta la corrente eletGAe Aulentitrica. Però è vero che si parla meno, il disegno al computer richiede più concentrazione. Ma in realtà ha talmente cambiato i tempi e le modalità del progetto, che solo un "boss" come Gae Aulenti può rilevare l'aspetto marginale della conversazione in studio. Immagino che lei faccia gli schizzi, e gli altri disegnino. 
Invece, il disegno al computer influisce sul modo di progettare, sulle possibilità di modifiche, sulla complessità degli edifici, e consente cose prima inimmaginabili (e non mi riferisco alla grafica). Magari non necessariamente tutte cose positive, è vero, però... è una rivoluzione, come la catena di montaggio di Ford per l'automobile, ed ancora tutta da valutare, secondo me.

AST & presS/Tletter Il nome di un edificio famoso che non ti piace affatto.

SD La ricostruzione della cattedrale di Noto un falso storico perfetto, bianco, ideale, giusto per i filologici che amano farsi prendere in giro dalla storia. 

AST & presS/Tletter Il nome della tua rivista preferita e perché. 

SD Lotus perché si deve leggere.

AST & presS/Tletter
Non c'è critica, ma solo storia (Tafuri). Sei d'accordo?

SD In parte. Tafuri ha presentato agli architetti italiani Peter Eisenman nel suo libro Five architects N.Y.2, in quel testo non esiste la parola decostruttivismo, termine che in seguito ha creato una totale confusione linguistica perché chi conosce il significato (dal vocabolario De Mauro: filos. scomposizione di un'elaborazione concettuale in un insieme di concetti allo scopo di analizzarli in modo comparativo e di relativizzarli storicamente) intuisce che l'architettura bisogna leggerla processandola, chi invece ha un cultura intuitiva cade in una sorta di ambiguità linguistica-figurativa del de-costruire, ovvero un'attività di smontaggio formale come le costruzioni Lego. Dato che, come dice Franco La Cecla - «gli architetti non leggono ma sfogliano» -3 molti guardano l'aspetto e non lo sviluppo semantico dell'architettura creando una confusione storica. Bisognerebbe osservare la storia con conoscenza evitando la critica militante.

AST & presS/Tletter Bruno Zevi. Un giudizio sintetico sul personaggio. 

SD Spazialista, aveva capito che lo studio dell'architettura non può avvenire attraverso la lettura delle piante, sezioni o fotografie, al limite attraverso lo sguardo cinematografico. Io sono convinto che l'architettura sia teatrale e non flat ---> disegno/rendering/fotografia. Inoltre asseriva che l'architettura non può essere giudicata come un quadro, lezione ancora non compresa da molti critici della forma.

SD A che cosa serve un blog per un architetto?

LB ...forse qualcuno al posto di Gae potrebbe dire: "[...] oggi tutti si mandano messaggi in chat, postano video, si scambiano file per email, commentano libri arte musica e architettura attraverso il blog... !!!" ...
Ecco a che cosa serve un blog per un architetto o per lo meno a cosa potrebbe servire... fare scambio.
Come dice Roy Ascott (ndr
Cybercettività, 1994):
«Siamo tutti interfacce. Siamo computer-mediati e computer aumentati».

MF Può servire a quello che si vuole ma nel nostro caso è uno sfogo, una possibilità di non prendersi troppo sul serio, l'autoironia è sempre meno presente, ovunque.

TD Il blog è un luogo. Architettisenzatetto è luogo dove ci si ritrova e dove si romanza la propria giornata, un luogo di evasione, di riflessione, di autocritica... direi un luogo dove si socializza, dove infondo si può stare insieme a ritmi asincroni e a distanze qualunque, cose che nella fisicità spesso risultano complicate... A cosa serve questo? In una professione difficile da esercitare, che richiede orari di lavoro impensabili ad altre categorie, direi che serve, insieme a tante altre cose, a ricordarsi di essere "persone", prima che architetti...

RK La questione è aperta, da grande esperto e guru del Web (scusa ma mi vien da ridere anche a scriverlo...) vedo nel futuro degli architetti sempre più blog e meno siti impaludati e raffinati (come se non sapessimo cosa c'è dietro questa patina di algida perfezione...). Oramai guardo distrattamente i siti degli architetti, sempre più simili tra di loro, e la cosa di cui sento fortemente la mancanza è la possibilità di interagire colloquialmente. Mi piacerebbe che anche gli architetti si esponessero ai commenti, che intorno a un progetto o a un dettaglio si scatenassero scambi infuocati di post come tra fan e detrattori dei Tokyo Hotel.


ZH il blog serve a non sentirsi soli.

AST & presS/Tletter L'università italiana...la consiglieresti? E se sì in quale città. 

SD No, consiglio un'iniziazione pedestre, l'architettura di strada accompagnato da uno o più Virgilii e non dai ciceroni come lo sono molti 'insegnanti della poltrona' in Italia.

AST & presS/Tletter Mettimi in ordine di preferenza i seguenti architetti: Eisenman, Koolhaas, Moss, Hadid, Herzog e de Meuron, Gehry, Coop Himmelb(l)au, Fuksas, Piano, Anselmi, Purini, Cellini, Casamonti, Culotta (per cortesia non mettere parimerito). 

SD
Koolhass|La misura del contemporaneo;
Eisenman|Il diagramma e il concetto;
Piano|L'ultimo degli artigiani;
Herzog & De Meuron|Allegorici formalisti;
Hadid| Concreti Aritmetici Disegni;
Purini|Paesaggio teorico;
Gehry|Detto F.O.G. il baroccaccio;
Fuksas|Anno zero;
Casamonti|Villamare;
Culotta|Dov'è l'architettura mediterranea?;
Cellini|Architetto o professore?;
Anselmi|Apologia del recinto;
Moss|s. v.;
Coop Himmelb(l)au|s. v.

AST & presS/Tletter Un libro che consiglieresti a uno studente, a un architetto, a un critico. 

SD
  • studente ---> Leo Colovini, I giochi nel cassetto. Guida teorica per aspiranti autori di giochi, Unicopli, Milano, 2002;
  • architetto ---> Stefano Bartezzaghi, Lezioni di enigmistica, Einaudi, Torino, 2001;
  • critico ---> Freccero & Lucentini, I ferri del mestiere. Manuale involontario di scrittura creativa con esercizi svolti. Einaudi, Torino, 2007. 
AST & presS/Tletter Saranno famosi: fammi tre nomi.

SD Sarah Schneider, Estudio Barozzi Veiga e il mio amico Alessandro Cavallaro, una provocazione, ma anche una speranza perché rappresenta uno dei tanti bravi e giovani architetti di provincia che devono arrabattarsi con il lascito culturale dequalificante della figura dell'architetto e dell'edilizia in generale.

AST & presS/Tletter Tre parole oggi importanti. 

SD Trans, Distopia e la disobbedienza di Don Milani.  

23 giugno 2009 (ultima modifica 23 giugno 2009)


Intersezioni ---> MONDOBLOG
Come usare WA -----------------          ----------------------------------Cos'è WA
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Note:
1 Tratto dal programma di radio tre "Il Terzo Anello - Mostri sacri" con Roberto Andreotti e Federico De Melis ospite Gae Aulenti del 27/10/2008. Link 
2 Manfredo Tafuri, Five architects N.Y., Officina edizione, 1981 
3 Franco La Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008

12 commenti:

  1. ---> ZH,
    condivido la tua riflessione non è semplice disegno al computer ma una rivoluzione ‘culturale’del modo di concepire l’architettura. Pari all’introduzione della tecnica prospettica che darà vita al Rinascimento. Brunelleschi senza prospettiva non avrebbe mai avuto gli strumenti tecnici per concepire la cupola di S. Maria del Fiore.

    ---> RK,
    sul tema blog/studio architettura ci tornerò in autunno (BLOG READER). L’idea di commentare i progetti altrui e i propri è stimolante.

    ---> TD,
    condivido il blog è un luogo come Facebook, Skype, aNobii, Twitter, MySpace e via dicendo.
    Dal De Mauro Luogo: filos., argomento o tema generale applicabile a casi particolari di un’argomentazione.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  2. Sto ancora ridendo per il saturday night modulor!

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  3. sappi che ho appena acquistato on-line tutti e tre i libri consigliati: perché sebbene io non sia più studentessa la guida di colvini suona così allettante..., occasionalmente innamorata dell'enigmistica e non c'e' due senza tre.

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  4. ---> Lina Bo,
    ottimi acquisti, spiego perché:

    STUDENTE: Leo Colovini è un ideatore di giochi da tavola. (Se ti piacciono, acquista i giochi della Venice connection alcuni sono geniali).
    Impari a porti delle domande per risolvere dei problemi concreti. La simulazione è la base dell’architetto. Le piante, le sezioni o i rendering sono tavole da gioco dell’abitare.

    ARCHITETTO: Con Stefano Bartezzaghi impari la semantica delle parole. Importante per capire la terza fase del Web, che non a caso si chiama Web Semantico. Capire le infinite possibilità chele parole ti offrono per comporre i giochi è vitale.
    Combinare /Leggere /Comporre/Risolvere sono le operazioni fondamentali di un buon enigmista a mio parere le stesse di un buon architetto.

    CRITICO: Con Fruttero & Lucentini impari i limiti della parola, perdi il concetto della tassonomia e smetti di essere definitivo.
    Scrittori troppo sottovalutati.

    Dimenticavo ottima la citazione di Roy Ascott. Condivido.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  5. ---> DVDV (Davide Vizzini),
    anch’io ho riso parecchio, spero che il concorso sia ancora aperto.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    P.S.: errata corrige del mio precedente commento giochi da tavolo (non da tavola).

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  6. io adoro i "giochi da tavola" ovvero quei giochi che qualcuno tira fuori dopo una bella cena tra amici e si finisce a fare le tre di notte a scarabocchiare, mimare, domandare, spostare pedine... (hei ma che fai giochi con le parole?) ^_^

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  7. ---> LB,
    lapsus calamai non del tutto errato dalla tavola (cibo) al tavolo (piano di gioco).
    Nel libro di Leo Colovini vi è uno scritto di Alex Randolph (http://www.repubblica.it/2003/g/rubriche/lessicoenuvole/29apr/29apr.html): «Ho una visione ricorrente … di qualcosa che mi è stato detto, o che ho letto da qualche parte, o forse solo sognato, ma in ogni caso molto tempo fa: un bambino sulla spiaggia, appena capace di camminare, sta prendendo in mano dei sassolini e con grande concentrazione li sta allineando in una riga. Questo è tutto, fine della visione. Davvero non c’è altro.»
    Il titolo del saggio è ‘Homo ordinator’ che trasposto è la funzione dell’architetto: mettere ordine partendo da un sistema di regole.
    «Non credo neanche un po’ che i giochi di tavoliere siano in pericolo, certamente non i miglior. Ma il mio atteggiamento ha poco a che fare con la qualità. Semplicemente credo che fino a quando ci saranno tavoli e gente a cui piace la convivialità del sedervisi attorno, ci saranno giochi da giocare su questi tavoli.»
    Per me questa è la definizione ideale di ‘città’.
    Suggerimenti giocosi:
    Carcassonne (la mia scatola ormai è quasi usurata)----> http://it.wikipedia.org/wiki/Carcassonne_(gioco)
    Il gioco dei gatti di Alex Randolph.
    Un po’ più complesso e forse meno femminile Alexandros di Leo Colovini.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  8. mi piace l'idea dell'architettura come risultato di un gioco da tavolo (ovvero di un processo ludico), tavolo intorno al quale si siedono gli architetti, i committenti, gli imprenditori, i politici ecc. Solo che dubito del carattere "giocoso" che tale processo possa avere (avere a che fare con committenti e amministrazioni è tutto fuorchè giocoso) e poi alla fine si sa quasi sempre chi vince... (e non è l'architetto)

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  9. ---> Rem,
    ti cito una frase del saggio di Alex Randolph pubblicato nel libro di Leo Colovini «Perché c’è sempre nei giochi da tavolo questa dualità tra noi stessi e i nostri pezzi: siamo sia dentro che fuori del gioco; c’è un livello Lilliput quando sentiamo e quasi crediamo di essere dentro ed un livello Gulliver, quando dall’esterno e dall’alto maneggiamo i pezzi e li muoviamo qua e là.» p. 99.
    Una dualità tra il ‘flat’ progetto (piante, sezioni, renderig) ovvero il gioco da tavolo (livello Lilliput) e la realtà committenti, imprenditori, politici (livello Gulliver).
    Chi vince?
    «Accingendoci a giocare un gioco, dichiariamo di accettare le regole – che in cambio devono dirci precisamente quello che vogliamo sapere: cioè come si gioca, cosa è permesso e cosa non lo è, e cosa dobbiamo fare per vincere. Anni fa annotai ai margini del mio vecchio Homo Ludens (ndr libro di Johan Huizinga), per distinguere tra i giochi (games) e altri modi di giocare(play): “Se un’attività di gioco ha regole che non possono essere trasgredite, e se il suo scopo, a parte il mero divertimento, è di generare un vincitore, si tratta di un gioco, altrimenti no”.» Alex Randolph, p. 98.

    Occorrono regole condivise:
    committente programma funzionale/economico;
    politico regolamenti edilizi a 360°/controllo sociale;
    imprenditore esecuzione ottimale del manufatto.

    Domanda chi dichiara di accettare le regole in Italia.
    Non vorrei essere retorico e tantomeno fare la morale: ma l’Italia è una repubblica fondata sui furbi, ci piacciono, non ne possiamo fare a meno.
    Non possiamo giocare.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  10. sono felice che il mio libro sia oggetto di discussione in questo sito che parla apparentemente di tutt'altro.
    In realtà gli architetti sono probabilmente la categoria che più spesso si cimenta con la creazione di giochi da tavolo. Sono stati moltissimi infatti gli architetti che hanno partecipato al Premio Archimede. Quasi sempre si tratta degli autori dei prototipi più belli. Attenzione ho detto prototipi, non giochi, perchè troppo spesso accade che gli architetti mandino prototipi bellissimi, senza però contenuti sufficienti dal punto di vista dei meccanismi.

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  11. ---> Leo,
    grazie, per la tua riflessione: «spesso accade che gli architetti mandino prototipi bellissimi, senza però contenuti sufficienti dal punto di vista dei meccanismi.»
    Anche nei progetti degli architetti spesso mancano i meccanismi di base. Ho consigliato il tuo libro agli studenti per questo motivo.
    Leggere il capitolo che dedichi ai meccanismi ci potrebbe aiutare a entrare nelle logiche basiche del costruire e dell’abitare, semplici regole e non principi assoluti.
    Solo dopo aver chiarito i meccanismi possiamo fornire il vestito alla nostra architettura (vedi cap. ambientazione.)
    Cito : «Questo libro […] Non sarà in grado di fornirvi delle idee, ma vi aiuterà ad afferrare le vostre e non perché vi farà diventare più creativi, ma perché vi insegnerà semplicemente come riconoscerle.»
    La creatività è il dramma dell’architetto, socialmente (in modo errato) riconosciuto come creativo e non come un semplice mestiere.
    L’architetto spesso è vittima del glamour giornalistico.
    Scusa ti cito nuovamente: «Sgombriamo il campo da equivoci. Per creare un gioco non serve una creatività straordinaria, non è indispensabile entrare in stato di grazia. Ce la possono fare anche i comuni mortali. Certo, un po’ di creatività ci vuole, ma ci vuole anche del “mestiere”, senza il quale l’astratta creatività non avrebbe modo di concretizzarsi.»
    Per questo motivo consiglio anche Bartezzaghi e Fruttero & Lucentini sono libri che parlano del mestiere e non dei «prototipi bellissimi».
    A proposito di creatività vi suggerisco un altro libro di S. Bartezzaghi, L' elmo di Don Chisciotte. Contro la mitologia della creatività, Laterza, 2009: «Creatività è sapere che la maggior parte dei problemi non ha una soluzione sola; sapere che la maggior parte delle soluzioni del problema ammette più di un modo per arrivarci; sapere che non c'è un modo univoco per scegliere il più opportuno fra i percorsi che promettono di portarci a una soluzione... Un po' somaro, un po' mago, il creativo è Don Chisciotte, el Ingenioso Hidalgo che vede un bacile da barbiere e lo promuove a elmo.»
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  12. ---> una citazione dal libro Fruttero & Lucentini,
    «L’idea che non valesse la pena di imparare a scrivere se non per tentare di scrivere Moby Dick era ridicola e nociva, meglio questo accostamento alla letteratura, pragmatico, ragionevole, che non sboccava in lacrimosi fallimenti, non si lasciava dietro una scia di Melville mancanti, ma promuoveva (era ora!) l’onesto artigianato come le analoghe scuole per elettrotecnici e stenodattilografe. D’accordo, c’era un po’ troppa casalingheria in quelle facce soddisfatte, troppo tinello, troppo doppio garage, troppa coscienza dei propri limiti, troppa, come dire, normalità. Ma non c’immalinconivano forse ancora di più le facce, e le opere, segnate da salivose velleità, da sregolatezze inconcludenti, da una genialità superficiale o così tortuosa da confondersi con l’inettitudine? E poi, non era detto. Chissà che proprio di lì, da quei ranghi operosi, diligenti, modesti…» p. 6
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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