26 marzo 2009

0030 [SPECULAZIONE] L'architettura di Franco La Cecla

di Salvatore D'Agostino

Un dialogo con Franco La Cecla camminatore e architetto smarrito. Autore del libro Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.

Salvatore D’Agostino Appena ho finito di leggere il tuo libro1, ho avvertito un fastidio nei confronti del titolo. Questo mi sembrava una furbata editoriale per fare più clamore e quindi vendere di più con il conseguente redditizio marketing. Infastidito, sono ritornato sulla pagina interna del titolo e, a matita, ho appuntato:
«Perché 'Contro l'architettura'? Non era meglio: consigli per gli architetti per non credere più nell'architettura mediatica?».
Il titolo sminuisce l'importanza delle tue esperienze. Perché questo titolo modaiolo?

Franco La Cecla In realtà più ci penso e più sono contento del titolo. L'architettura è diventata la giustificazione ideologica di una certa trasformazione del mondo in brand, di quello che a Palermo è successo con il "cool" di quel triste figuro che è Cammarata (Diego, sindaco di Palermo ndr), ma che a Barcellona è successo con il MACBA, a Bilbao con Gehry e a Pechino con koolhaas....
Qui si tratta davvero di prendere in blocco la pratica dell'architettura e sottoporla ad una critica feroce, radicale. Non è un caso che il libro ha fatto tanto casino. Gli architetti, attaccati con dettagli, riescono solo a rispondere alle mie critiche che ho ragione, ma che loro sono diversi dalle archistar. Invece la colpa non è del sistema mediatico, ma della trasformazione della città in spettacolo alla Debord, di cui gli architetti sono i primi complici. Questa mania faceva dire ad uno dei migliori, come Miralles, che a lui non interessava la realizzazione, ma solo il progetto. Io ho avuto la fortuna di non dovere chiedere permesso o scusa a nessuno e di dire quello che in tanti sanno e cioè che il re è nudo, e, non è un caso, che sono i giovani architetti e gli studenti di architettura il mio pubblico, stufi di sentire l'architettura giustificata a destra e a manca. L'architettura è una delle poche discipline a non avere critica.

Eppure sono convinto che, questo impatto mediatico/verbale, si blocchi al suo effetto slogan 'contro l’architettura' e non venga approfondito nei suoi contenuti. Ritengo che alcune tue tesi siano importanti, elenco a mio parere le più rilevanti:

  • l’architettura contemporanea deve prendere sul serio la catastrofe e non pattinarci sopra o ai margini;2
  • proporre la sola soluzione architettonica in aree urbane complesse è imbarazzante;3
  • è discriminante parlare dei quartieri periferici come se non facessero parte della città;4
  • la forza della città sta nella sua capacità all'aggregazione  come la gente riesce a tessere relazioni e impadronirsi degli spazi o parafrasando Rebecca Solnit, la città democratica è: «un poter passeggiare tra sconosciuti»;5
  • ogni progetto ‘importante’ dovrebbe avere non solo la valutazione di impatto ambientale ma anche la valutazione di impatto sociale;6
  • l’uso della polizia per eliminare tutto ciò che è imprevedibile e multifunzionale non serve per la gestione dell’urbanità.7
Non temi che il tuo messaggio resti in superficie?

Dai Salvatore, sono un po’ stanco di parlare del mio libro. L'ho scritto e credo di aver detto lì tutto quello che era necessario dire. Oggi cercare di aggiungere qualcosa è un po’ inutile, perché i libri hanno una loro coerenza, le interviste no.

Sono d’accordo le interviste sono riduzioni di pensieri complessi, spesso resi banali dalla stupidità della divulgazione.
«Sarà ricordato come l'11 settembre della super-architettura, il 9 febbraio 2009? Come il fuoco delle vanità dell'architettura iconica del nuovo millennio? Impazzano su Youtube i video dell'incendio che ha devastato parte di uno dei simboli della Pechino olimpica, il Cctv di Rem Koolhaas. Crollano le borse, crollano i consumi e neanche le archistar stanno tanto bene».
Questo è l'incipit di un articolo di Fulvio Irace pubblicato sul Sole 24 Ore dal titolo L'archistar è in crisi, 15 febbraio 2009.8
L'archistar è veramente in crisi?

Direi che il problema è: Fulvio Irace non è in crisi. L'articolo era un esempio classico di opportunismo. Lui che ha sempre leccato il sistema delle archistar, adesso che il maestro koolhaas glielo permette, dice che c'è del marcio in Danimarca. koolhaas è un uomo intelligente e sa che passi fare per smarcarsi, ora, in tempo di crisi. Tra poco dirà che ha appiccato lui il fuoco. D'altro canto per ora è un coro di architetti che dicono: ah, avete ragione, bisogna cambiare strada...

Nell'ultimo libro di Vittorio Gregotti dal titolo antitetico al tuo "Contro la fine dell'architettura" scrive:
«L'incertezza culturale delle commissioni (dei concorsi di architettura ndr) finisce poi per affidarsi alle mode senza mettere in conto la relazione tra la loro transitorietà e la permanenza delle opere e soprattutto il loro valore urbano e contestuale. Naturalmente questo giudizio può derivare non tanto dalla fortuna di essere fuori moda, quanto dallo sperimentare che la moda in quanto immagine è diventata l'unico criterio di giudizio ridotto e diffuso sino alle provincie, dove la riproduzione dei successi delle idee di novità è diventata imitazione degradata nella vana speranza che la bizzarria, divenuta ormai consumo, possa ancora valere come elemento di successo mediatico.»9
Le tesi dei due libri hanno in comune il discredito verso un'architettura fashion, ma divergono profondamente nell'azione propositiva. Vittorio Gregotti rivendica l'autonomia artistica del fare architettura contro l'interdisciplinarità omologante, tu invece non credi nell'azione autoreferenziale dell'architetto e proponi una rieducazione della disciplina che sappia:
«[...] inventarsi una capacità vera di intervento sul reale, sul bene della comunità e della città.»10
Gregotti si è suicidato mediaticamente nell'intervista data alle Iene e diffusa su Youtube.11 Com'è possibile che non parli mai di quello che fa? Com'è possibile che non accetti la benché minima critica e che per giunta da magnate dica che lui non è un proletario e per questo allo ZEN non ci vivrebbe mai. Io ho letto il suo libro e devo dire che non capisco da dove prenda le sue tesi. Sembra che non abbia letto nulla dalla caduta del muro di Berlino in poi, la sua analisi è ancora quella di un iscritto al PCI che giustifica tutto in base a struttura e sovrastruttura e la sua idea di artista mi fa rabbrividire. L'arte oggi è molto più in crisi, contraddittoria, problematica di quello che lui anche vagamente pensa. Devo dire che mi verrebbe da aggiungere che le idee servono agli architetti a giustificare scelte già fatte, come una ideologia posticcia che si attacca a posteriori.Per finire, ti aggiungo quello che Stefano Boeri mi ha detto all'ultimo dibattito insieme due settimane fa a Urbania (29 gennaio 2009 ndr) a Bologna. Mi ha accusato di essere come Berlusconi, di attaccare gli architetti come Berlusconi attacca i giudici. Dalle ultime file del pubblico qualcuno ha urlato con una vocina: «Esagerato!».

Non attacchi gli architetti e questo si deduce dalla lettera informale che scrivi a Renzo Piano,12 chiamato a costruire una nuova sede universitaria nel quartiere Harlem a New York. L’architetto genovese ha cercato, anche grazie al tuo aiuto, di progettare, evitando la mera gentrificazione e tentando una possibile integrazione tra culture abitative/architettoniche diverse. Un'idea che non è stata accettata, anzi è stata quasi sostituita da un altro progetto dall’enstabilishment della Columbia University. Hai creduto in quel progetto e ti rammarichi dell’arroganza con cui è stato, gentilmente ma parzialmente escluso, dall’iter progettuale. Concludi la tua lettera con un suggerimento di abbandonare definitivamente il progetto per coerenza. Nel libro apprezzi il lavoro di Carlos Ferrater a Barcellona, John Peterson con la sua idea di Public Architect e sei accusato dall’urbanista Josep Acebillo di pensare «à la de Carlo» (Giancarlo De Carlo ndr).13 Infine al direttore del TG1 Gianni Riotta alla sua domanda: «Qual è l’architetto contemporaneo che approva?» Rispondi Balkrishna Doshi e Oscar Niemeyer pensando al suo recente intervento per riqualificare la più grossa favela di Rio De Janeiro Rocinha.14 Possiamo fare a meno dell’architettura?

Possiamo fare a meno dell'architettura come sistema spettacolo, cioè il tipo di architettura che oggi è diventata una sorta di neomonumentalismo senza alcun senso del contesto. Ad esempio, qui a Berlino è impressionante il senso di accozzaglia di oggettini enormi a cui corrisponde il periodo di interventi degli ultimi dieci anni, ma quella che doveva essere la main street della città, Frederick Strasse è una cupa, insignificante serie di palazzi acciaio e vetro senza alcun senso dell'insieme.
Schizzo di Renzo Piano per il progetto Campus della Columbia University da Casabella, n. 738, novembre 2005, p. 28.

A proposito del tuo ultimo libro, Marco De Michelis, su abitare scrive:
«Che l’architettura di oggi sia noiosa è questione vera e di cui dovremmo imparare a discutere seriamente. Non lo fa, appunto seriamente, il nuovo pamphlet di Franco La Cecla, che accumula per 128 pagine luoghi comuni e insostenibili vaghezze e imprecisioni, come quelle su Mies van der Rohe per esempio: è infatti falso che avesse provveduto alla pulizia “etnica” del Bauhaus per compiacere i nuovi governanti nazisti, e non è ugualmente vero che Hitler gli avesse preferito Albert Speer come progettista della Nuova Berlino. Una simile idea, al Führer, neppure era passata per la mente! Appunto.»15
A De Michelis non c’è bisogno di rispondere, basta dirgli di cominciare a leggere i libri, tipo: Elaine S. Hochman, Architects of Fortune: Mies Van Der Rohe and the Third Reich, New York, Weidenfeld & Nicolson, 1989.
«Poi restiamo un po’ sull'altra sponda, sulla Calabria o sulle Calabrie che, dice, hanno inventato l’espressione “lo stretto indispensabile” per dire che con la Sicilia e i suoi abitanti non vogliono avere nulla a che vedere.» 16
La stessa espressione che in questi giorni viene utilizzata dal governo e dalla stampa, per indicare la priorità assoluta e quindi l’indispensabilità della costruzione del ponte sullo stretto. Un ponte che è stato concepito per analogia tecnologia: la campata unica più lunga del mondo. Un progetto che si fa beffa del luogo, concettualmente simile al Burj Dubai il grattacielo più alto del mondo, niente di più...

Sul Ponte sullo Stretto c'è ben poco da dire. Io vi ho dedicato uno studio che poi D di Repubblica17 ha pubblicato integralmente. È un'opera stupida, dubbia, che non serve perché oggi i veri flussi si spostano in nave sui container e in più il progetto migliore ammette una oscillazione centrale di cento giorni (con escursioni fino a venti metri) all'anno, tale da dovere in quei giorni chiudere il ponte al traffico.

Recentemente il governo ha comunicato la sua idea anticrisi per l’edilizia: “Piano dell’edilizia”.18 Possiamo definirla ‘libera superfetazione’, meno cemento-meno economia/più cemento-più economia. Gregotti, Aulenti e Fuksas urlano allo scempio e invitano a un «sussulto civile delle coscienze».19 Stefano Boeri analizza il provvedimento indicando tre assenze: incentivi per gli affitti di case sfitte, incentivi per chi costruisce edifici ecosostenibili e non sufficienti incentivi per gli investimenti delle famiglie.20
Tu pensi che sia una legge che rispecchia l’idea del ‘regime populista’ e purtroppo l’idea che i cittadini hanno di sé stessi.21


Anche qui la questione è che abbiamo al governo dei mediocri piccoli commercianti di spazzole e che il decreto promesso rovina quel che c'è, ma sopratutto non prende in considerazione per niente il settore edilizio nel suo insieme come occasione straordinaria di rivalutazione di tutto il patrimonio urbano che l'Italia possiede. Se pensiamo che il ministro al Turismo è la promessa Brambilla, abbiamo un'idea della cosa.

Riprendo due tue note:

«Ad una triennale di Milano del 1994 l’idea che le future case popolari dovessero essere pensate prevalentemente per gli immigrati sembrava una bestemmia ai professionisti presenti, nel 1998 l’idea che il piano regolatore per il comune di Prato, affidato a Bernando Secchi, dovesse prevedere un quartiere per la nuova grande immigrazione cinese nella zona ha suscitato l’ilarità del progettista.»22 (Negli anni 90 a Prato si stimavano circa 7000 cinesi oggi ne vivono 30.000 ndr)
e
«Permettermi di dire a questo punto che da una recessione dell’architettura abbiamo tutti da guadagnare, compresi, purtroppo, gli architetti. È ormai abbastanza chiaro che imbrigliati come sono nel tentativo di partecipare al Casino Capitalism hanno perso da un bel po’ il senso dello spazio pubblico, l’intuizione e la visione necessaria per pensare il futuro con le sue varie opzioni senza dovere per forza attuarlo subito, la capacità utopica di concepire la convivenza umana come una dialettica tra identità e luoghi.» 23
Adesso che siamo in piena recessione, in Inghilterra si parla di ‘bagno di sangue degli architetti’ quali sono le tue speranze e, soprattutto, non credi che possa prevalere l’architettura del controllo, della sicurezza e della polizia?

Ma sì, tutto il settore dell'architettura sarà in preda ad una recessione peggiore di quella che c'è adesso. L'effetto è che resisteranno i grandi studi e per i giovani sarà ancora più difficile rinnovare la professione.

Chi è il sopralluoghista?

Il sopralluoghista è un misto tra un antropologo e un architetto, qualcuno che fa dell'osservazione e dell'osservazione partecipata uno strumento fondamentale del suo lavoro di progettazione. Qualcuno che impara a vedere, a camminare, a sentire, ad ascoltare e che lo fa usando le tecniche più sofisticate che oggi abbiamo a disposizione, ma anche il suo lento e costante training e sopratutto qualcuno che ha visto, ascoltato e camminato molte città e quindi si serve della sua esperienza comparativa.


26 marzo 2009
Intersezioni ---> SPECULAZIONE
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Note:
1 Franco La Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008
2 Franco La Cecla, op. cit., p. 42
3 Franco La Cecla, op. cit., p. 53
4 Franco La Cecla, op. cit., p. 56
5 Franco La Cecla, op. cit., p. 83
6 Franco La Cecla, op. cit., p. 103
7 Franco La Cecla, op. cit., p. 113
8 Fulvio Irace, L'archistar è in crisi, Sole 24 Ore, 15 febbraio 2009
9 Vittorio Gregotti, Contro la fine dell'architettura, Einaudi, Torino, 2008, p. 84
10 Franco La Cecla, op. cit., p. 117
11 Video, 'L'architettura dello ZEN, Enrico Lucci intervista Vittorio Gregotti', tratto dal programma le Iene, Italia Uno del 27 aprile 2006. [Link]
12 Franco La Cecla, op. cit., pp. 102-103
13 Franco La Cecla, op. cit., p. 82
14 Programma Rai Uno, 'Benjamin' condotto da Gianni Riotta, del 15 giugno 2008 (ed. delle 13.30)
15 Marco De Michelis, Solo un libro sbagliato, Abitare n. 483, giugno 2008. [Link]
16 Franco La Cecla e Piero Zanini, Lo stretto indispensabile, Bruno Mondadori, Milano, 2004, p. 211
17 Franco La Cecla, Ponte dei miracoli, D di Repubblica, settembre 2004 [Link]
18 Al. S., Il piano per l'edilizia avrà effetti straordinari e non ci saranno abusi, Corriere della Sera, 7 marzo 2009 [Link]
19 Gae Aulenti, Massimiliano Fuksas, Vittorio Gregotti, Una legge contro il territorio, Pagina del giornale della Repubblica dov'è possibile firmare l'appello. [Link]
20 Stefano Boeri, 'Edilizia, serve realismo e non appelli', La stampa, 11 marzo 2009 [Link]
21 Franco La Cecla, Casa. Se passa la nuova legge nel paese del "fai da te", La Repubblica, 17 marzo 2009 [Link]
22 Franco La Cecla, Perdersi, Laterza, Bari, 2000, p. 135
23 Franco La Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, p. 11

35 commenti:

  1. A La Cecla è mai capitato di maneggiare la "cantarella" o la cazzuola? Oppure lo scrittore e polemista La Cecla pensa di essere dispensato della fatica di stare in mezzo ai muratori, ai carpentieri, tra mattoni e calce e filo a piombo solo perché è (indubbiamente) intelligente? Pensa La Cecla che l’intelligenza sia un surrogato della dura fatica del mestiere, di qualunque mestiere? Mio figlio non ha mai saputo fare alcunché, solo perché tutto capiva e di tutto aveva il senso dei limiti (altrui). Se, ad esempio, un libro sul fascismo non piace, bisogna che se ne scriva un altro e mostrare il vero libro sul fascismo contro quello, supposto, falso. Insomma, mi sfugge del curriculum di La Cecla l'indicazione delle opere realizzate, della sua vera architettura contro quella falsa! E ritengo che lo "sport" più frequentato dalla FALSA, a mio parere, NUOVA CRITICA DELL'ARCHITETTURA CONTEMPORANEA è lo "sbrizziamento dei nomi" (come dice un mio carissimo amico frequentatore dell'Università di Cambridge, il “name-dropping"). Trovo questo parlare apparentemente profondo, ma chiaramente oscuro, "internazionale" a parole, ma localisticamente fattuale, di ridicola filosofia und sociologia a quattro un soldo, tutto insensato, di un "passatismo" parruccone pari a quello dei veteropalladiani! Al contrario del Nostro, a me, più volte andato a Berlino, quella "satanica" architettura di palazzi d'acciaio e di vetro, di legno e di titanio "senza alcun senso dell'insieme", mi fa venire "orgasmi multipli" visivo-intellettuali-professionali! La cantarella, la calce, il mattone si trasmutano in un cielo in una stanza, come direbbe Gino Paoli. Si, vorrei risiedere lì! Inebriarmi di contemporaneità! Dico semplicemente che quella di Berlino è l'intelligenza estetico-spaziale dei miei tempi, la trasposizione architettonica della globalizzazione! Il trionfo dell'autoreferenzialità dell’architetto, dei tanti geniali architetti (che se vedono un antropologo chiamano la neuro postmoderna come è postmoderno l’antropologo della contemporaneità: insomma uno manco inizia a vivere la contemporaneità e già è un fossile un dinosa-u(r)omo e trova il suo paleografo, il suo antropoetnologo!). La risposta alla città ideale, la città che abbiamo in testa in Idea! Ovvero la città di Dio che apocalitticamente realizza l’epifania hic et nunc, non illic et tunc inverificabili! Di che parla, insomma, la Cecla antropologo se non sa che questa (a Berlino) è il chiaro esempio di "antropizzazione dei luoghi" in chiave contemporanea? La Natura-città, ferita (anche dai bombardamenti) ricostruita in commistione tra vecchio e nuovo!Chi la doveva inventare? Forse La Cecla? Mi risulta che il lavoro di Hans Stimmann di Lubecca sia stato di gran raffinatezza e poco lo si coglie perchè ha fatto il "compositore", raccogliendo le composizioni degli ARCHITETTI ( anch’io ha la sindrome del “name-dropper”) come Will Alsop, David Chipperfield, David Childs, Helmut Jahn, Nicholas Grimshaw, Michael Wilford, Rem Koolhas, Arata Isozaki, Romuald Loegler, Jean Nouvel, Dominique Perrault, Frank Gehry, Daniel Libeskind, Peter Eisenman, Hans Hollein, Calatrava, Renzo Piano, Norman Foster, Hans Kollhoff e tantissimi altri!Degli spazi architettonico-urbanistici della rivoluzione “digitale” un’altra volta.

    Maurizio Zappalà

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  2. ---> Maurizio,
    a pagina 35, Franco La Cecla scrive: «Ma si sa, gli architetti non leggono, sfogliano.»
    Un consiglio prima della tua ‘nientificazione’, perché ciò che hai detto mi sembra fuori luogo.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  3. Mi sfugge qualcosa? Che ci azzecca la tua citazione di pag 35 con le mie domande in "luogo", dentro il "luogo" e del "luogo" ?
    Forse, dovrebbe rispondere La Cecla? Erudiscimi Salvatore, anche senza immagini!

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  4. ---> Maurizio,
    domanda secca hai letto il libro?
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  5. Quando vuoi, guardiamo le "figurine" insieme!
    stop!

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  6. ---> Maurizio,
    se non avessi letto il libro mi sarei, anch’io, impuntato sulla risposta di La Cecla data su Berlino ma snellito dal suo effetto ‘contro’, gli argomenti trattati, a mio avviso, non sono da sottovalutare.
    Come si dice nel colloquio, il ‘sistema’ intervista implica la banalizzazione di un pensiero complesso, resta un semplice invito alla lettura. T’invito, anche, a leggere il libro di Gregotti, per capire come una certa ‘cultura’ reagisce ai propri inconfessabili errori.
    A proposito di figurine ieri mi sono arrivati tre libri di Cecil Balmond: ‘Informal’, ‘Element’ e ‘Number 9’. Eventualmente, dopo la visione, che scambio proponi?
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  7. ---> Maurizio,
    non fare il furbo, lo sai che è un cambio improponibile.
    Saluti,
    Salvatore D'Agostino

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  8. ...E allora, vediamo, vediamo un pò...Adesso l'architettura di jacques derrida? ma quello lo avrai straletto!!!...e non ha immagini!peccato!...oppure Berlin-Physiognomie einer Grobstadt, Wasser in der Stadt, Babilon Berlin etc, ma questi sono in tedesco ed hanno molte immagini! Mah, non è meglio farsi consigliare da La Cecla?

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  9. ...e sono un regalo (personale!) prezioso di Hans Stimmann!!!ahahahahallah!

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  10. Caro Salvatore,
    non ti pare che FLC ti abbia risposto in maniera spocchiosa alle tue domande sul libro?
    come al solito, quando si entra nel vivo delle questioni sul contemporaneo e sulla cultura di chi opera nel contemporaneo, è molto facile sparare a zero sui volti noti, anzi meglio se arcinoti.
    Mi pare poi che la sufficienza con cui si evita di rispondere rimandando ad un salto culturale che il mondo professionale architettonico non possiede più (e di cui lui è invece il depositario) sia l'evidenza che ormai nella comunicazione lo "sgarbismo" premi in maniera maggiore rispetto a ragionate e ponderate e documentate risposte. e dove dovrei trovarle quelle risposte? nel suo libro? ma se è un continuum di sparate e poco documentate risposte. e dove si cerca la soluzione al problema? in altri progetti. come a dire l'architettura è il problema, ma l'architettura è la soluzione.
    infine le sparate da novello franceschini sono piuttosto sgradevoli.
    non perchè non abbiano fondamento. figuriamoci. ognuno è libero di pensarla come vuole.
    ma nei meriti sarebbe auspicabile una critica fondata e non liquidata da un'aggettivazione ("commercianti di spazzole").
    oppure il rimandare alla lettura di libri particolari e di dubbio fondamento scientifico per aver difeso l'onestà intelletuale di un Mies. e quel libro invece cosa sarebbe? verità rivelata?
    oppure l'affondo su Irace.
    risposte da talkshow televisivo in fascia pomeridiana.

    dalla tua intervista capisco molte cose.
    che un atteggiamento radical-chic non ha mai lasciato la presunta intellighentia di sinistra.
    e ciò lo avvicina molto al Gregotti. un degno figlio, che come ogni figlio astioso non disdegna di parlar male del proprio padre.

    un saluto
    il parallelografo.

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  11. ----> Maurizio,
    complimenti per le tue relazioni, ti volevo proporre di scambiare Franco La Cecla e Melo Minnella, La Lapa 50 anni su 3 ruote, Edizioni Guida, 1998, ma evito perché non mi è stato neppure omaggiato.
    Comunque per agevolare i nostri scambi, posso sempre passare nella tua ‘nera’ Catania, certo, credo che sarà molto difficile che tu possa venire, per una mangiata di fave, nel mio piccolo paese della Val Demone di poca architettura e di molto cemento.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  12. ---> Parallelografo,
    decisamente si, ho tentato di argomentare il suo libro,ma lui ha risposto come se parlasse ad un giornalista di TG popolare, per ‘frasi fatte’ e ‘invettive facili’. Il mio ruolo, in questo caso, è stato di porre delle domande, ma forse queste sono risultate sbagliate.
    Comunque il libro non è così banale e non è vero che le sue tesi non siano documentate.
    Su ‘Mies’ non ho potuto approfondire, ma a mio avviso è un argomento marginale come la recensione letta su Abitare, mi sembra che parlino di nulla.
    Condivido la tua chiosa finale sull’atteggiamento radical-chic della sinistra ormai insopportabile.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  13. Certo che ti trovo più strano del mio previsto, caro Salvatore! Ha ragione Pietro, che ringrazio per la sua opposizioni (e gli ricordo la mia doppia natura nippo-sicula...per cui "non iucari troppo co' pupu"!...)sempre corretta!Com me, hai provato lievemente la difesa di La Cecla che non ha bisogno di essere difeso! Tirando fuori luogo "name-dropping" libreschi e dopo m'inviti sulla Lapa? Ma con grande piacere! Quando vuoi! Se la mia conoscenza della geografia non vacilla, facciamo parte della stessa vallata? quindi, a disposizione! Fave, selz-e-limone e rock and roll.

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  14. ---> Maurizio,
    La lapa è lapa, come una mangiata di fave dalle mie parte e un selz-e-limone a Catania.
    T’inserisco nella lista dei miei invitati, però vieni senza Kimono mi raccomando!
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  15. Caro Salvatore,
    Prima di tutto complimenti per l'intervista che mi appare veramente notevole. Su La Cecla, hai potutto leggere, il mio interesse è grande, anche perchè grande è stata la sua influenza negli ultimi mesi. Non condivido molto alcune tematiche, perchè secondo me ci sono vistosi vizi di fondo che pregiudicano il resto. Sulla medialità dell'architettura non sono daccordo: sono i media che hanno reso tale l'architettura, non l'incontrario. C'è molta confusione sul come veniva concepita la periferia durante il razionalismo, ed oggi durante il tardo post-moderno. Questa continuità a parer mio è molto labile, ma si continua a sbagliare proprio su questo. Il fatto che oggi si perpetuano errori di ieri non deriva dalla medialità dell'architettura, ma da alcune ideologie perpetuate. Se la strada che cita non gli piace, il problema è dei singoli architetti poco delicati. Se i singoli architetti sono incompetenti, deriva dalla loro formazione. Questa assenza di formazione deriva a sua volta da un buco teorico, di cui parla anche La Cecla, e che mi trova incredibilmente daccordo. Sul nome mi trovi assai daccordo, è molto divertente la prospettiva toponomastica che poni e la condivido. Però credo che il malinteso prima descritto, deficita molto il testo.
    A proposito di Renzo Piano, il suo intervento a Roma a me appare molto mediatico, anche perchè sfruttato politicamente, ma non mi sento di dire che Renzo Piano sia un'autore grossolanamente autoreferenziale, anzi. Stare quì a snocciolare nomi ed esempi non sarebbe comunque produttivo, penso di essermi chiarito!
    A presto carissimo, spero che riesci a mantenere il ritmo di quest'ultimo tuo post!

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  16. Ho finalmente capito! dato che in questo blog, Koolhaas anzi, Rem, ve lo fumate, Renzo lo bevete piano come aperitivo ...caro Salvatore, t'invito a cercare lupini in val di noto di passagio sulla lapa di La Cecla da val di mazara dove visitare Salemi di Sgarbi!bon voyage!

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  17. Emmanuele e Salvatore... bravi! Ho letto con piacere le vostre angolature su Franco La Cecla... e non ho argomentazioni profonde da confrontare... qualche tempo fa casualmente avevo visto questo archietto, che ha smesso di fare l'architetto, ospite di un TG nazionale, quelli dove ti fanno due tre domande in pochi minuti, e la cosa mi aveva molto incuriosito... questo tizio parlava di certa architettura troppo presente nei media (tv riviste) di moda... ho pensato: però ...zo anche lui va in tv... puzza al naso? mah. Poi ho pensato: ci sono riusciti bastardi, mi avete indotto a comprare il libro. Non ho capacità recensorie, però questo libro l'ho letto (quasi tutto) e al contrario di altri, ero sereno e non particolarmente irritato... ho capito che mi offriva punti di vista diversi, chiavi di lettura insolite... mi è parso già qualcosa! ogni tanto ributto l'occhio, così per condividere...
    ciao a tutti, marco+ (sperimento una iperattività di stupidi byte nel web, e lascio lo stesso commento su due blog!)

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  18. ---> Peja,
    La Cecla nell’intervista pone due interessanti temi ‘l’architettura non si critica ma si elogia’ e che ‘la crisi non aiuterà di certo i piccoli architetti’.
    L’architettura mediatica si è dimenticata d’indagare la vera complessità delle città e costruisce pezzi unici per le sfilate stagionali delle riviste patinate e del potere politico.
    Qui nasce il cortocircuito dell’architettura mediatica e da qui bisogna ripartire per non confondere ReggioCalabria con Abu Dhabi.
    Il buco teorico per me è una voragine.
    Grazie e a presto,
    Salvatore D’Agostino

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  19. ---> Maurizio,
    suggerimento accolto.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  20. ---> Marco +,
    andrò a leggere la risposta di Peja. Il libro pone delle domande ma anche suggerisce delle modalità di approccio interdisciplinare per aiutare il processo progettuale degli architetti. Le sue esperienze a New York, Barcellona e Tirana sono da leggere.
    Ecco perché consigli agli architetti.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  21. ---> Paolo Mancini,
    ha postato quest'intervista sul suo blog ecco il link ---> http://ilparallelografo.ilcannocchiale.it/post/2205720.html
    Altri punti di vista.
    Grazie e un saluto,
    Salvatore D'Agostino

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  22. Pubblico una mail del 23 gennaio del 2010:

    Caro Salvatore,
    sono capitata sul tuo blog proprio wilfing, mentre seguivo le tracce dei commenti al libro di La Cecla contro l'architettura.
    Volevo solo ricordare che c'è stato un momento in cui nella cultura italiana c'era, vivace, una corrente (minoritaria e sbeffeggiata) urbanistico-architettonica che aveva riconosciuto nel recupero, nella riqualificazione del costruito (le "risorse edificate\") una strategia di buon operare per il settore edilizio e (anche) di "redenzione" della professione di architetto: invitava a risparmiare territorio, usare al meglio le risorse esistenti, combattere lo spreco edilizio del patrimonio tenuto sfitto, tutelare e salvaguardare il patrimonio culturale dei centri storici attraverso interventi di recupero diffuso, attento, mirato, partecipato. Erano gli anni '70, forse appartieni a una generazione che non li ha vissuti; c'era l'ANCSA che proclamava (nel '71) che i centri storici erano beni economici e culturali insieme, che la questione urbana e la salvaguardia del territorio erano soprattutto un problema di redistribuzione più equa delle risorse; c'erano riviste come Città Classe e Recuperare. Inoltre l'Agenda21 per l'architettura sostenibile ha proclamato che il riuso edilizio è la sola strategia sostenibile per il settore delle costruzioni, ma la cultura degli architetti preferisce ancora baloccarsi con problemi di packaging.
    Concludo: grazie per il tuo prezioso blog che frequenterò spesso e che aggiungo con piacere alla mia piccola lista di resistenti umani (per citare lo slogan della della rivista Cuore, un po' di anni fa) che amano l'ambiente costruito.

    Con molta stima, ti mando i miei saluti più cordiali

    C

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    1. Quella cultura ha creato la museificazione dei storici, delle cose di valore e di quelle prive di valore, l'idea era che andasse tutelato l'insieme... Ma questo ha creato un totale immobilismo e il congelamento dello stato di fatto, salvo le eccezioni Benetton o Zara, a cui è stranamente consentito tutto... I Rue sovrappongono retini a casaccio guardando un prospetto senza valutare le decine di trasformazioni subite da quegli edifici all'interno... Il risultato oggi sono i centri storici degradati (perché nessuno investe senza prospettive di reddito) sono i centri commerciali nelle periferie (perché è impossibile adeguare i centri con servizi e parcheggi)... Ricordo un progetto di siza per il casinò Salisburgo in cui in quegli anni sventrava il tetto e l'interno di una preesistenza per infilarci un ascensore panoramico che collegava le diverse quote del centro e del casinò in netta polemica con quella filosofia... Se li vogliamo salvare secondo me li dobbiamo togliere dalle mani dei bigotti borghesi e conservatori... Oppure fare come Terragni al novocomum :-)

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    2. Il centro storico, ammesso che esista (in realtà esiste solo nei regolamenti comunali e nelle leggi regionali), non va tutelato o salvato, ma ricongiunto con la città perché è città esso stesso, non un elemento astruso o un povero vecchio a cui regalare il bastone.

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    3. Quello che volevo dire però, per chiarezza, è che è vero si tratti della sola strategia possibile di rilancio per le costruzioni, sono assolutamente d'accordo, e appassionato :-) ma ciò che glielo impedisce, da quel poco che ho modo di vedere io dalla mia piccola bottega di provincia, sono proprio le degenerazioni ideologiche con cui sono state applicate le fondamenta culturali di quegli anni...

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    4. Paolo Carli Moretti e Francesco Alois,
      una delle matrici culturali che hanno causato questo divario semantico tra città ‘A’ e città ‘altra’ è stata il concepimento del moderno come in ‘discontinuità storica’. Un dibattito molto ‘borghese’ che ha limato la nostra ‘moderna’ legge urbanistica del 42 in una legge all'italiana del ni o dell’inciucio.
      Creando in realtà due città ‘i nuclei storici’ e ‘i nuclei moderni’ in antitesi e non in un naturale dialogo evolutivo ‘storico’.
      Nella realtà non abbiamo mai avuto una legge urbanistica dai canoni ‘moderni’.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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    5. Salvatore, concordo su tutto. Purtroppo, non so altrove, ma almeno fino a ieri, che poi sarebbe fino ad ottobre, nella mia facoltà c'è ancora chi insegna l'urbanistica della zonizzazione, con tanto di separazioni nette fra zone anche se con qualche spiraglio di 'unità di vicinato'. Nel laboratorio di urbanistica, per la realizzazione del piano urbanistico di un comune di max 10.000 abitanti, le aree verdi rientranti nel canonici 18 mq/ab di attrezzature, venivano messe nei vuoti lasciati dagli edifici, negli spazi di risulta, nelle terre di nessuno. Seppur nella necessaria semplificazione didattica, l'idea di 'rattoppare' le lacune edilizie con il verde, è purtroppo passata come fare lecito ed in pochi si sono posti il dubbio sulla sua validità, perché le idee di città A e città B1, B2, C1, C2, D, ecc. sembravano le uniche valide in quanto ferocemente e superficialmente applicate nelle nostre città e anche perché si lottava per il voto finale. Io il dubbio me lo sono posto e speravo che se lo ponesse qualcun altro, ma così non è stato. L'idea della periferia con la gente perbene a confine con i 'malamenti', i centri storici con i vecchi e i 'marrucchini', è continuo argomento di quella retorica politica che ha creato quelle definizioni e ne continua a sfornare altri. A Caserta c'è chi parla di 'mobilità debole' intendendo non 'queipoverinidiversamenteabili', ma le persone sulla sedia a rotelle, quelli con il bastone, i bambini e le loro mamme che vanno a scuola (non i papà o chi preferisce usare le gambe piuttosto che un mezzo). Categorie su categorie per parlare della stessa cosa senza comprendere o voler comprendere che il problema non è la mobilità in sé, ma le leggi e la mentalità che pretendono di governarla.

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    6. Spirito libero,
      condivido la tua considerazione finale.
      L’idea di città come ‘scienza urbana’ ovvero la nascita della parola ‘urbanistica’ in Italia va declinata con le forti spinte’estetiche borghesi’ che hanno impedito uno sviluppo sano delle città contemporanee.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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  23. Premetto che non ho ancora letto il libro di La Cecla, ma mi incuriosisce, anche se la mia impressione è che sia una riedizione di Maledetti architetti di Tom Wolfe e di Dopo l'architettura moderna di Paolo Portoghesi, con la differenza che invece di criticare i grandi moderni, critica i contemporanei.
    Leggo nella scheda del libro: "Mai come adesso l’architettura è di moda... Eppure mai come adesso l’architettura è lontana dall’interesse pubblico, incide poco e male sul miglioramento della vita della gente."
    Sono perfettamente d'accordo sull'autoreferenzialità di molte architetture contemporanee, ma lo sono molto poco sulla teoria della loro inutilità. Mi meraviglia che un "sopralluoghista" (bellissima a proposito la definizione) tratti in maniera così superficiale il tema del rapporto delle nuove architetture, che sono poi quasi sempre nuovi servizi, con la città e i suoi abitanti. Aggiuingerei poi che l'inutilità eventuale dipende dalla committenza e l'architetto lavora per chi lo paga, non per gli ideali o per il partito.

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    1. Stefano Nicita,
      l’impressione è errata niente a che vedere con Wolfe o Portoghesi; La Cecla non critica ma analizza, facendo ‘mente locale’ (come definisce il suo metodo di analisi antropologica), il trend sempre più esasperato di un’architettura marketing.

      Ti consiglio di leggere il libro perché la Cecla non è superficiale, non sempre le sue idee sono condivisibili, ma l’attacco contro una deriva architettonica iconica che si prende solo cura più di un marchio, dimenticandosi dell’urbanità, non può essere trascurato.

      Hai ragione, l’architetto lavora per chi lo paga, ma ha la libertà di non sottomettersi alle logiche di merchandising, in sostanza, di non diventare ‘L’avvocato del diavolo’ come sosteneva qualche anno fa: Manfredo Tafuri.

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  24. Trovandomi tra le mani il numero di Internazionale 6/ 12 maggio mi imbatto in un ampio articolo dal titolo:
    Il Louvre arriva ad Abu Dhabi
    Nell'articolo, ben fatto, vengono prese in considerazione i vari aspetti di un simile progetto.
    Quello culturale, quello economico, quello architettonico, quello sociale e quello politico.
    Tra le varie questioni prese in esame si trova notizia dei 440 milioni di euro spesi solo per la concessione trentennale del celebre “brand” museale parigino ed ovviamente delle condizioni disumane dei lavoratori impiegati nella costruzione di questo tipo di opere e dei possibili futuri fruitori di questa struttura (le elite economiche e culturali transnazionali e non gli i popoli asiatici).
    Lascio a chi è interessato la lettura di quest'articolo.
    Questa mia era semplicemente una premessa per spiegare come mai mi trovo su questo blog e mi accingo ad aggiungere un mio commento su alcune questioni qui trattate.
    Facendo un ulteriore passo indietro preciso di aver, nel passato, frequentato, per tanti, troppi anni, la facoltà di Architettura di Roma e di aver studiato per poco, troppo tempo, certe tematiche.
    Sporadicamente mi viene la curiosità di “informarmi” su che tipo di dibattito ci sia oggi in Italia sulle questioni delle grandi opere, museali e non e sull'annosa questione delle archistar.
    Chiedo ad un mio caro amico architetto di consigliarmi un blog dove poter leggere qualcosa e mi vengono consigliate queste pagine.
    Mi sono così immerso, ed un po' perso, nei tanti articoli pubblicati e nei quali, effettivamente, vengono toccati molti dei punti che reputo salienti legati alle questioni del progettare e dell'abitare.

    Provo a dare un'inizio ed una struttura alle mie conseguenti riflessioni.
    Parto dall'articolo intervista a Franco La Cecla che tanto seguito ha ottenuto su queste pagine (è qui che posiziono il mio commento anche se in seguito toccherò anche qualche altra questione).
    L'intervista prende spunto dalla pubblicazione nel 2008 del testo “Contro l'architettura”
    Ho letto questo libro qualche anno fa e mi piacque molto. Come molto avevo apprezzato altri scritti del medesimo autore che circolavano con molta frequenza tra noi studenti di architettura, e non solo, negli anni '90.
    L'intervista parte nell'introduzione con una velata critica al testo. Critica che si inspessisce drasticamente nel momento di porre la prima domanda.
    Secca e brutale direi io.
    Cito testualmente.
    “Il titolo sminuisce l'importanza delle tue esperienze. Perché questo titolo modaiolo? “
    Va da se che si sarebbe infastidito anche quel bravuomo di San Francesco appena rientrato da una piacevole passeggiata con delle amorevoli bestiole.
    Il buon La Cecla ribatte un po' piccato di essere felicissimo della scelta del titolo e tira in ballo tra le altre cose “La Società dello spettacolo “ di Guy Debord come idea/esempio di quella socialità che anche gli architetti hanno contribuito a costruire come invito a “parlare d'altro”.
    Segue un dibattito un po' sterile e fatto di contrapposizioni partendo dalla richiesta non accolta dell'intervistato.
    Si prova ad imporre una visione “riformista” della disciplina quando il pensiero di La Cecla spinge chiaramente verso una radicale trasformazione.
    Nessun cenno ai vari capitoli del libro dove vengono affrontate questioni interessanti, per esempio il capitolo sulla Barcellona delle grandi trasformazioni urbane che si contrappongono alle abitudini di vivere gli spazi dei cittadini.

    “Qui non può più nascere letteratura ma solo slogan per surgelati”
    - Manuel Vazquez Montalban
    segue...

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  25. Letta l'intervista proseguo nella lettura dei commenti dove fior fiore di architetti distruggono il povero La Cecla sbeffeggiandolo ed invitandolo a prendere una cazzuola in mano e dimostrando in più di uno (mi sembra che solo uno lo dichiari sfacciatamente) di non aver nemmeno letto il libro (eccezion fatta per un intelligente e garbato commento di una lettrice che fa notare come il pensiero di La Cecla non cada dalle nuvole ma come sia inseribile in un contesto teorico pratico che vede nell'architettura partecipata, nell'autocostruzione e nel riuso l'elemento centrale per poter pensare lo spazio in maniera democratica e giusta.)
    In un commento sulla pagina facebook si dice:
    “Aggiungerei poi che l'inutilità eventuale dipende dalla committenza e l'architetto lavora per chi lo paga, non per gli ideali o per il partito.”
    La frase il lavoratore x (architetto, cameriere, soldato , maestro) utilizzata per scaricare responsabilità delle proprie azioni su chi ci chiede o impone di farle mi ha sempre fatto perdere la calma. Provo a mantenerla e nonostante sia letteralmente rimasto esterrefatto da tutto ciò e passo alla lettura di altri articoli.

    Lo stordimento continua, la vastità delle tematiche toccate è incredibile, si ha quasi la sensazione di trovarsi a confronto con l'intero scibile umano. Fantascienza, Filosofia, Urbanistica, Musica, Sociologia, Artigianato, Nuove Tecnologie, di tutto e di più. Riconosco in tutto ciò un impegno e delle qualità enormi in chi si dedica alla gestione di queste pagine, e trovo che l'approccio multidisciplinare sia encomiabile.
    Ma molte cose non mi tornano, dei riferimenti non mi quadrano, noto delle inesattezze ai miei occhi grossolane.
    Mi sento comunque in difficoltà nell'affrontare tanta vastità e decido così di proseguire nella lettura di cose a me più vicine per permettermi di capire prima che di giudicare.

    Nel definire il titolo del nuovo articolo che mi appresto a leggero utilizzo un termine a mio parere utilizzato in maniera poco adatta dall'autore di questo blog riferendosi al testo Non Luoghi di Marc Augé: bislacco.
    “Come leggere l'architettura transnazionale e vivere felici”.
    Si parte indicando come linea guida di questo articolo il pensiero del sociologo Leslie Sklair e si tira in ballo la TCC.
    Sklair (basta utilizzare wikipedia e non avere una laurea in architettura o sociologia) è uno studioso che, semplificando, si potrebbe forse definire neo gramsciano o che comunque si muove in un terreno teorico che continua a fare riferimento al pensiero ed alle tesi di Marx per leggere ed interpretare le dinamiche sociali ed economiche.
    La sua Transnational Capitalist Class è quindi chiaramente quella classe di burocrati, uomini d'affari, dirigenti e professionisti (anche architetti) che collaborano per curare i propri interessi e consolidare il proprio potere.
    Questo loro agire non ha più un radicamento territoriale ottocentesco bensì è il mondo intero. Questo è il loro vivere globale.
    Siamo al ABC di qualunque scienza sociale od economica contemporanea.
    Ribadisco che non sono un esperto, le mie nozioni sono basilari, insufficienti e frutto di letture da autodidatta.
    Bene.
    A questo punto si fanno varie piroette linguistiche, si stravolgono significati essenziali, ed il TCC diventa prima un generico abitante della contemporaneità (perché internet, cervelli in fuga, gli aerei, gli annullamenti delle distanze fisiche etc.etc,) e poi diventa di colpo il mega architetto.
    Copio ed incollo dal testo:



    Saluti

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  26. ....segue
    “Una popolazione transnazionale che non abita i non luoghi ma che vive il non luogo, per essere più chiari, che hanno un’identità e senso civico globale e vivono il pianeta terra non in un luogo specifico ma nella sua interezza.”

    Il concetto centrale, per quello che ricordo, espresso nel 1992 da Marc Augé, probabilmente imperfetto ma sicuramente non banalizzabile o bislacco visto che è tuttora un testo fondamentale in qualunque università del mondo, era quello del distinguere gli spazi tra quelli realmente vissuti, spazi antropologici, con storia ed elementi di democrazia da quelli esclusivamente di fruizione temporanea, astorici, destinati allo svago vacuo, allo spostamento ed alla mercificazione.
    La mia impressione è che su queste pagine venga fatto uno stravolgimento dei significati che non capisco come possa portare a rapportarsi con l'architettura transnazionale e vivere felici.

    Non voglio dilungarmi ulteriormente e spero di essere riuscito a spiegare in qualche modo il mio pensiero nonostante non mi sia mai interessato troppo adargomenti qui centrali come il “Linguaggio dell'architettura” o le “Tecniche di rappresentazione”.
    Mia intenzione è anche quella di farlo in maniera comunque propositiva, aggiungendo possibili spunti di riflessione
    pur utilizzando un approccio che non nego essere dissidente ed a tratti "irrispettoso" nei confronti di che qui scrive.
    Saluti

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