11 ottobre 2010

0081 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] Off topic 'Città come stati d'animo' di Nicola Perchiazzi

Fuori qualsiasi tempo massimo, Nicola Perchiazzi curatore del blog Dal caos la stella danzante, il 5 dicembre del 2009 mi aveva spedito il suo contributo:
Ciao,
sto cercando di inviarti il mio contributo sul blog ma scatta error.
Te lo invio in allegato.
Un caro saluto,
Nicola Perchiazzi

Poiché l'inchiesta si era conclusa, mi ero dimenticato di questo testo.
Qualche settimana fa, nel rivedere le mail per il libro l'ho ritrovato, stranamente non conteneva nessun messaggio di risposta da parte mia.

Il contributo forse è un Off Topic (in italiano: fuori Tema) che nel linguaggio Web etichetta un intervento fuori contesto.
L'off-topic è considerato sgradevole, poiché costringe sia il lettore sia i commentatori a digressioni e alla conseguente perdita del filo del discorso.

A mio parere, il punto di vista di Nicola Perchiazzi non è sgradevole si pone forse OLTRE IL SENSO DEL LUOGO e quindi nella giusta collocazione.


Nicola Perchiazzi blog: Dal caos la stella danzante

Città come stati d’animo

Cos’è la città, se non un coacervo di esperienze, un cumulo di mattoni di vita.
Sedimenti di passato, bollicine di presente, fumi di futuro... D’altronde, per dirla con Saul Bellow, «le città sono stati d’animo, stati emotivi, umori, per la maggior parte distorsioni collettive…» Nella città, nella metropoli in particolare (quando non si avviano a diventare ‘necropoli’…), si avverte la disseminazione della cultura, costantemente contrattata e in divenire. Naturalmente, non lì dove vi sono i ‘ghetti’: lì c’è la massima, forzata, omogeneità in spazi anche grandi (ma il fuoco, talora, soffia sotto le ceneri: parlo, per esempio, della vivacità sotterranea di cultura e subcultura urbana in alcune realtà islamiche – v. in Iran – che cercano di ravvivare l’antica dinamicità dell’Islam medievale e delle radici arie e zoroastriane contaminandole di occidentalismo freelance). Oggi, più che metropoli versus città rurale, il dibattito è tra provincialismo, mondialismo omogeneizzante o mondialismo liberatorio e libertario che non disdegna la diversità, la specifica kultur (più che civilization), ossia tiene conto sia dei rami che si protendono verso altre realtà (lo stesso mondialismo) sia delle radici identitarie. Insomma, un cosmopolitismo localistico glocal (ogni ossimoro è una risorsa in più).

Due realtà fisiche e due gestalt – forme, strutture – che incidono diversamente sul modus viventi dei loro abitanti. E sull’immaginario urbano. Imago mundi. L’architettura che ‘co-stringe’ fisicamente, psichicamente, ‘pneumaticamente’ i suoi sudditi. Architettura da de-costruire, reset psico-territoriale, bouleversement creativo. Ritmo veloce, giungla di stimoli, sensazioni e immagini, versus ambiente rurale (o provincialismo urbano), dal ritmo lento (anche quando corre…), più abitudinario e uniforme (e conforme). «Più la folla è densa, più ci sentiamo soli», così Zygmunt Bauman ‘liquida’ la ‘città del troppo’ (altro che villaggio globale… Troppo annacquato: perciò i localismi stavano tornando a galla). Ma anche del troppo poco, del troppo uguale, dell’indistinto, dell’outlet, del ‘passaggio veloce’, del nulla – anche se iper… (e quella di Marc Augè non è un’iperbole: passiamo la maggior parte della nostra esistenza in ‘non-luoghi’, dove si consuma il presente e si abortisce l’avvenire).
creativo.
«Nella grandezza smarrente delle metropoli americane ove il singolo – ‘nomade dell’asfalto’ – realizza la sua infinita nullità dinanzi alla quantità immensa, ai gruppi, ai trusts e agli standards onnipotenti, alle selve tentacolari di grattacieli e di fabbriche… In tutto ciò, il collettivo si manifesta ancor di più senza volto che non nella tirannide asiatica del regime sovietico». Così Julius Evola, no-global antelitteram, liquida New York (e di conseguenza ogni omogeneizzazione pur nella plurietnia: in quanto auto-emarginantesi, etero-emarginata, assente, indifferente…). La metropoli del denaro e di Mammona versus la campagna del baratto (e della mamma, quella con le tette gonfie di latte). Ma anche lo sfilacciamento del tessuto comunitario – altro che manna – a vantaggio della scolorita ‘stoffa’ periurbana (le periferie anonime e suicido-file, ipermercati inclusi, per quanto architettonicamente ben disegnati). Luoghi, non-luoghi? Vita, non-vita? Il bello non ha prezzo.

Vita tra i confini. Identità versus alterità. Ma ancor di più: alterità nell’identità. Equilibrio in bilico. Città plurale, campagna singolare. Spaesamento. Urbanizzazione selvaggia. Portici, shopping malls, clochardization. Marginalità inclusiva, gentrification elitaria. Minimal o segno ipergrafico. Fast-food versus slow-food.

Boutique versus ipermercato? Un po’ l’uno un po’ l’altro. Ma con juicio. Vivere tra i margini (e, spesso, sconfinare…). Questo l’universo quotidiano. Ma anche l’intellettualità sofisticata, la riservatezza fino alla ritrosia, il formalismo blasé e il distacco anodino, il tempo che tutto scandisce e cronometra: questa la metropoli e i suoi ‘numeri’.
Ma dietro il numero c’è Dio…

11 ottobre 2010
Intersezioni --->OLTRE IL SENSO DEL LUOGO

Come usare WA ----------------------------------------------------------------Cos'è WA
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L'indice dell'inchiesta:

Prologo: Maledetti imbianchini


Gli interventi:

Gli architetti dell’inchiesta

  • 3XN [1]
  • Aadrl [1]
  • Abcarius & Burns [1]
  • AKT (Adams Kara Taylor) [1]
  • Alberti, Emilio [1]
  • Alles Wird Gut [1]
  • Altro Modo [1]
  • Altro_studio (Anna Rita Emili) [1]
  • Amatori, Mirko [1]
  • Antòn Garcìa-Abril & Ensamble Studio [1]
  • Aragona, Guido [1]
  • Aravena, Alejandro [1]
  • Archingegno [1]
  • Architecture&Vision [1]
  • Architecture for Humanity (Cameron Sinclair) [1]
  • Archi-Tectonics [1]
  • Asymptote Architects [1]; [2]
  • Atelier Bow Wow [1]
  • Ban, Shigeru [1]
  • Barozzi-Veiga [1]
  • Baukuh [1]
  • Baumschlager & Eberle [1]
  • Blogger donne (Lacuocarossa, Romins, Zaha, LinaBo, Denise e tante altre) [1]; [2]
  • Bollinger+Grohmann [1]
  • BM [1]
  • C&P (Luca Cuzzolin e Pedrina Elena) [1]
  • C+S (Carlo Cappai e Maria Alessandra Segantini) [1]
  • Calatrava, Santiago [1]; [2]; [3]; [4]
  • Campo Baeza, Alberto [1]
  • Carta, Maurizio [1]
  • CASE (David Fano) [1]
  • Catalano, Claudio [1]
  • Cirugeda, Santiago [1]
  • Clément, Gilles [1]
  • Cogliandro, Antonino [1]
  • Contemporary Architectural Practice - Ali Rahim [1]
  • Contin, Giulio [1]
  • Coppola, Dario [1]
  • Cosenza, Roberto [1]
  • Critical garden [1]
  • Cucinella, Mario [1]; [2]; [3]
  • Dal Toso, Francesco [1]
  • De Carlo, Giancarlo [1]
  • Decq, Odile [1]
  • Design Institute Cinesi [1]
  • Diffuse, Luca [1]; [2]
  • Diller Scofidio+Renfro [1]; [2]
  • Dogma [1]
  • Douglis, Evan [1]
  • Duminuco, Enzo [1]
  • Eifler, John [1]
  • Eisenman, Peter [1]; [2]
  • Elastik (Igor Kebel) [1]
  • EMBT | Enric Miralles - Benedetta Tagliabue | Arquitectes associats [1]; [2]
  • Emergent Architecture (Tom Wiscombe) [1]
  • Ferrater, Carlos [1]
  • Florio, Riccardo [1]
  • FOA [1]
  • Galantino, Mauro [1]
  • Garzotto, Andrea [1]
  • Gehl Architects [1]
  • Gehry, Frank Owen [1]; [2]
  • Gelmini, Gianluca [1]
  • Grasso Cannizzo, Maria Giuseppina [1]; [2]
  • Graziano, Andrea [1]; [2]
  • Graypants (Seth Grizzle e Jon Junker) [1]
  • Gregotti, Vittorio [1]
  • Guidacci, Raimondo [1]
  • Hadid, Zaha [1]; [2]; [3]: [4]
  • Hensel, Michael [1]
  • Herzog & De Meuron [1]; [2]
  • Holl, Steven [1]
  • Hosoya Schaefer architects [1]
  • Ingels, Bjarke [1]
  • Ishigami, Junya [1]
  • Kahn, Louis [1]
  • Kakehi, Takuma [1]
  • Knowcoo Design Group [1]
  • Kokkugia [1]
  • Koolhaas, Rem [1]; [2]; [3]
  • Kudless, Andrew [1]
  • Kuma, Kengo [1]; [2]
  • Lacaton e Vassal [1]
  • Lancio, Franco [1]
  • Libeskind, Daniel [1]
  • Le Corbusier [1]
  • Lomonte, Ciro [1]
  • Lynn, Greg [1]
  • MAB [1]
  • Made In [1]
  • Mau, Bruce [1]
  • MECANOO [1]
  • Melograni, Carlo [1]
  • Menges, Achim [1]
  • Moodmaker [1]
  • Morphosis [1]
  • Munari, Bruno [1]
  • Murcutt, Glenn [1]; [2]
  • MVRDV [1]
  • Najle, Ciro [1]
  • Njiric, Hrvoje [1]
  • Notarangelo, Stefano [1]
  • Nouvel, Jean [1]
  • Ofis [1]
  • Oosterhuis, Kas [1]
  • Oplà+ [1]
  • Oxman, Neri [1]
  • Palermo, Giovanni [1]
  • Pamìo, Roberto [1]
  • Parito, Giuseppe [1]
  • Park, Sangwook [1]
  • Piano, Renzo [1]; [2]; [3]; [4]; [5]; [6]
  • Piovene, Giovanni [1]
  • Pellegrini, Pietro Carlo [1]
  • Pizzigoni, Pino [1]
  • Porphyrios, Demetri [1]
  • R&Sie(n) (Francois Roche) [1]; [2]; [3]; [4]
  • RARE office [1]
  • Raumlabor [1]
  • Rogers, Richard [1]
  • Ruffi, Lapo [1]
  • Salmona, Rogelio [1]
  • SANAA (Kazuyo Sejima + Ryue Nishizawa) [1]; [2]; [3]; [4]
  • Sandbox [1]
  • Sanei Hopkins [1]
  • Sauer, Louis [1]
  • Schuwerk, Klaus [1]
  • Servino, Beniamino [1]
  • Siza, Alvaro [1]; [2]; [3]; [4]; [5];[6]
  • Soleri, Paolo [1]
  • SOM [1]
  • Sottsass, Ettore [1]
  • Souto de Moura, Eduardo [1]; [2]; [3]
  • Spacelab Architects (Luca Silenzi e Zoè Chantall Monterubbiano) [1]
  • SPAN (Matias Del Campo+Sandra Manninger) [1]
  • Spuybroek, Lars [1]
  • Studio Albanese [1]
  • Studio Albori [1]
  • Studio Balbo [1]
  • StudioMODE + MODELab [1]
  • Supermanoeuvre [1]
  • Tecla Architettura [1]
  • Tepedino, Massimo [1]
  • Terragni, Giuseppe [1]
  • Tscholl, Werner [1]
  • Tschumi, Bernard [1]
  • Uap Studio [1]
  • Uda [1]
  • UN Studio (Ben Van Berkel) [1]; [2]
  • Vanelli, Nildo [1]
  • Vanucci, Marco (Open System) [1]
  • Verdelli, Roberto [1]
  • Vulcanica Architettura [1]
  • Wiscombe, Tom [1]
  • Zoelly, Pierre [1]
  • Zordan, Filippo [1]
  • Zucca, Maurizio [1]
  • Zucchi, Cino [1]
  • Zumthor, Peter [1]; [2]; [3]; [4]; [5]; [6]

Epilogo: Il massimo di diversità nel minimo spazio

Note conclusive sull'inchiesta:

10 commenti:

  1. Nicola,
    con una doppia lettura ho compreso tutto.
    Ciò che non ho afferrato è l’epilogo: «dietro il numero c’è Dio…»
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  2. "Dietro il numero c'è Dio". Sì, la frase è un po' criptica... Da un lato è un 'espediente' per chiosare il tutto, d'altro canto suggerisce l'idea che nella città, come nella natura, vi è un ordine intrinseco, un determinismo di fondo che ne 'regola' la costruzione, pur non dovendosi tralasciare l'idea del caso. Insomma, c'è il numero 'razionale', cioè il 'chosmos' (l''ordine' divino - e l'uomo, come 'imago dei', tende, anche inconsciamente', a 'costruirlo'), e c'è il numero 'irrazionale', cioè il 'chaos' (il dis-ordine dia-bolico: il 'simbolo' unisce, il 'diavolo' divide) e l'uomo, come essere 'libero' (o 'servo'?), tende anch'egli a costruirlo (o de-costruirlo? D'altronde, Deus inversus est Daemon). In ogni caso... dal caos la stella danzante.
    Nicola Perchiazzi
    P. S. A proposito di 'caso' (ma il caso è il modo con cui Dio si manifesta quando non vuole essere riconosciuto): il mio post è stato pubblicato appena dopo il caos mediatico e umano di Sarah e Avetrana (ma so che la sua pubblicazione era prevista prima): "La metropoli del denaro e di Mammona versus la campagna del baratto (e della mamma, quella con le tette gonfie di latte). Ma anche lo sfilacciamento del tessuto comunitario – altro che manna – a vantaggio della scolorita ‘stoffa’ periurbana (le periferie anonime e suicido-file, ipermercati inclusi, per quanto architettonicamente ben disegnati). Luoghi, non-luoghi? Vita, non-vita? Il bello non ha prezzo..." Avetrana, segno di "luogo non-luogo", di tessuti familiari pieni di 'trame' e 'orditi', ma anche con tentativi di riscatto sociale e individuale.
    In ogni caso, tornando alla città e alla metropoli, e al suo 'appeal', c'è anche da considerare che, malgré tout: “New York é una città brutta e sporca. Il suo clima é indecente. Le sue strategie politiche terrorizzerebbero qualsiasi bambino. Il suo traffico é una follia. La sua competitività é micidiale. Ma su una questione non vi sono dubbi: dopo essere vissuti a New York, dopo aver fatto della città la vostra casa, nessun altro luogo potrà più reggere il confronto.”

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  3. "ogni ossimoro è una risorsa in più": la mia impressione su questo post è che ci sia tanta carne al fuoco, tante cose dette e subito contraddette. Se da una parte questa è una ricchezzza del testo, dall'altra ne è anche il suo punto debole: non si capisce dove si stia andando a parare! L'unico chiaro messaggio che mi rimane è un'dea di fondo, che non condivido, per cui la forma della città (la sua morfologia) riflette pianamente i suoi abitanti, o le storture del collettivo di abitanti. Non credo che lo zio assassino di Avetrana sia il prodotto di una periferia slabbrata: c'è da capire quanto, della sua colpa, sia da spartire tra il contesto e la persona in sé. Gli omicidi e le violenze domestiche maturano anche in città... Il grattacielo è il simbolo di New York ma non credo si possa imputare ai grattacieli l'esaurimento nervoso o la disperazione dei suoi abitanti, se non come sfondo, molto più lontano del lavoro, famiglia, casa, eccetera. Non tutti i neworkesi abitano nei grattacieli! Insomma, ho l'impressione che si mettano sul tappeto tanti grandi e difficili argomenti, senza avere le capacità di manovrarli all'interno di un discorso coerente. Non me ne voglia Nicola Perchiazzi, per me le critiche sono sempre momenti di crescita.

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  4. Per Emanuele: è chiaro che il mio è un discorso 'aperto', per cui non ho detto la parola 'fine' alla contrapposizione (o 'dialogo') tra città e campagna. Il mio era solo un 'aprire' varie finestre su 'cortili', 'strade' e 'piazze' che ciascuno avrebbe poi esplorato per conto suo. Non c'è quindi 'criminalizzazione' o 'demonizzazione' né della città né della campagna, ma una traccia di 'ricerca' (anche con una lettura 'multilivello' o 'stratificata', o solo accennata, come ha ben compreso Salvatore). Ai lettori il resto (o la palla o il testimone).
    Sotto questa luce c'è coerenza, o coesione, sia pur 'tesa' (o sottesa, ipertesa, fai tu). Certo, il 'male' (ma anche il 'demone' - nel senso di daimon) è dentro di noi, ma il contesto (o l'assenza di contesto sociale, come è stato ben rilevato nel caso di 'zio Michele') influisce notevolmente. Ogni uomo non è un'isola... E infatti, anche nell'ambito della psicologia, a partire dalla Gestalt (anche urbana, v. Kevin Lynch) per finire all'attuale PNL, non s'indaga più tanto all'interno dei singoli conflitti individuali - la 'vecchia' analisi o autoanalisi - quanto nell'ambito relazionale (sistemico), ossia si è passati dal 'mondo proprio' all''essere-con' e all''essere-nel-mondo': insomma, dal monismo uomo (e donna) indipendenti dal contesto al sistema (relazionale - cibernetico) uomo-contesto. In definitiva, lo stesso uomo, con la stessa 'legione' dentro (la folla delle 'subpersonalità' - cfr. Assagioli, Gurdjieff, R. D. Laing, lo stesso massmediologo Raffaele Morelli), agisce in modo ben diverso se vive in un ghetto, in un grattacielo, in campagna o in una magione hollywoodiana. Certo, ogni difficoltà è un'opportunità...
    Saluti
    Nicola Perchiazzi

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  5. --->Emanuele,
    rimanendo sul filo del discorso di Pechiazzi, ciò che mette in crisi è proprio il “discorso coerente”.
    Credo che sia arrivato il momento di attraversare i nostri luoghi.
    Distruggendo in toto questo decennio affidato alle parole ‘contenitori’ (globalizzanti e vuote).
    Abbiamo bisogno di una nuova grammatica non ‘semplificatrice’ ma ‘complessa’.
    Abbiamo la maturità di creare un sano cortocircuito tra New York (che con sottile ironia viene citato da un outsider della cultura italiana Julius Evola) e Avetrana.
    Per capire - attraverso quest’artificio - che la società liquida di Zygmunt Bauman è una teoria senza senso, i non-luoghi di Marc Augè è uno scritto per chi ha la sindrome da jet lag, la periferia un espediente giornalistico-politico e iniziare a osservare il lato ‘B’ (distopia) dei luoghi in cui viviamo.
    Il lato ‘A’ rappresenta la superficie e la grammatica dei luoghi comuni.
    È un male abitare i ‘luoghi comuni’ (nei due sensi).

    Perché non iniziamo a parlare dei luoghi in cui viviamo?

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  6. ---> Nicola,
    viviamo quotidianamente la nostra ‘città-campagna’ in un caos regolato.
    Resta in sospeso chi sia il burattinaio se Dio o il numero o forse niente di trascendentale.
    La parola, l’immagine, il commento diventa inutile fuori dal contesto.
    L’uomo decontestualizzato è semplicemente carne da macello mediatico.
    L’orco abita le favole non la villetta (new town post anni 60’ in stile italiano) di Avetrano.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  7. "L’uomo decontestualizzato è semplicemente carne da macello mediatico. L’orco abita le favole non la villetta (new town post anni 60’ in stile italiano) di Avetrana." Vero. Ma anche (e non è il 'ma anche' di Veltroni né lo 'smart anche' di Feltri): "Il mare e i muri di quei casermoni, sotto il sole rovente del mese di giugno, sembravano la vita e la morte che si urlano contro. Non c'era niente da fare: via Stalingrado, per chi non ci viveva, vista da fuori, era desolante. di più: era la miseria." (da Acciaio). Sì, Stalingrado, come metafora dell'architettura 'moderna' (sia i 'casermoni' sia le villette para-new-town, col nanetto e le veline, meglio, o peggio, le velone), è l'emblema del mal-di-vivere d'oggi: la 'platitude', la piattezza. Se non c'è gerarchia o varietà di 'punti fissi' e 'visuali' (nodi, snodi, 'segni' ipergrafici e non, portici, piazze, emergenze e dissonanze, 'crescent' e 'decrescent', architettura 'disegnata' e 'disegno urbano', consonanze e dissonanze tra quartieri e all'interno dello stesso quartiere: insomma l'ossimoro e la coerente incoerenza che a qualcuno non piace), la desolazione e la miseria ("il deserto che cresce") non saranno solo fuori, ma anche 'dentro' (e "guai a chi ha il deserto dentro!").
    Insomma, come ben Wilfling (e non solo) 'declama': c'è bisogno, non solo di architettura 'nuova', ma anche di urbanistica 'nuova': bisogna abbandonare, definitivamente, l'ottica del 'geometra' (senza offesa) e anche dell''ingegnere' (idem, fosse anche 'architetto') e recuperare quella dell'arke-tekne a tutto tondo (artista, sociologo, psicologo...: la 'politeia' e 'politekne', insomma).
    Saluti
    Nicola Perchiazzi

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  8. @ Nicola
    Le ultime tendenze della disciplina della psicologia sono quasi invasioni di campo della sociologia e se questo è giusto e innegabile, ho l'impressione che si rischi di perdere di vista il singolo, la persona in carne ed ossa, per affogare tutto nelle colpe della società, che in fin dei conti non sono colpe di nessuno...
    Seguendo l'invito di Salvatore, credo che dovremmo iniziare a parlare dei luoghi che viviamo, invece di fare grandi costruzioni teoriche. Io avevo iniziato sul mio blog, con una serie intitolata "le mie città", in cui mi ripromettivo di descrivere, con 30 righe al massimo, quel che mi è rimasto delle città in cui ho vissuto. Ricomincerò questo filone: come diceva Zappa ai chitarristi chiaccheroni: "suona e basta!"

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  9. ---> Nicola,
    non bisogna trascurare che dietro le definizioni ‘estetiche’ o ‘antiestetiche’ dell’architettura vista dagli architetti ci sono entità che producano cultura e identità (anche all’interno dell’etnia Sinti potrebbe nascere il campione del mondo Pirlo).
    Concordo serve abbandonare l’ottica del geometra e aggiungerei del geometra-architetto e del geometra-ingegnere, per iniziare a progettare rispettando le diverse distopie identitarie.
    Evitando le città in stile ‘architetto’ o in stile ‘politico’ o in stile ‘imprenditore dominante’ o peggio in stile ‘depliant’.
    L’architetto di oggi deve saper costruire la complessità.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  10. ---> Emanuele,
    ottima idea.
    Concentriamoci (osservando ciò che avviene fuori dal nostro piccolo mondo) sul nostro piccolo mondo.
    Credo che sia urgente recuperare il nostro senso civico semplicemente abitando meglio i nostri spazi (iniziamo a suonare).
    Buona giornata,
    Salvatore D’Agostino

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