Salvatore D’Agostino:- Qual è l’architetto noto che apprezza e perché?
- Qual è l’architetto non noto che apprezza e perché?
Scusi l’invadenza.
Qui l’articolo introduttivo
POISON.GALORE di Sergio Polano:Caro D'Agostino,non è affatto invadente ma il problema è che da qualche anno mi interesso assai poco di architettura e quindi non sono in grado di darle le risposte che si attenderebbe.Cordiali saluti e auguri per il suo blogging!SD:Grazie,lo stesso.Il mio blogging è quasi necessario ed è dettato dall'indifferenza della critica italiana nei confronti di questo strumento (solo da qualche mese, grazie all’apertura dei blog di Abitare e Domus, qualcosa sta cambiando).Va ricordato che l’indifferenza è giustificata, perché molti blogger scadono in beghe personali, scrivendo dei propri gusti personali e dimenticandosi dell’approccio critico.Ahimè, siamo italiani anche in questo e come succede per i giornalisti amiamo l’opinionismo e non la profondità critica.So già che mi mancherà la sua risposta, come il suo acume critico, anche per queste domande che volutamente ho reso banali. In quest’inchiesta mi occorre capire.Un caro saluto,Salvatore D’AgostinoPG/SP:Son d'accordo con lei: il blogging è necessario ed è penoso constatare l'indifferenza e il ritardo delle riviste (e degli editori) nei confronti del fenomeno blog.Le allego un mio testo del 1992, sperando le giunga gradito, con i miei migliori auguri: insista! Sergio Polano Pamphlet per Pamìo
Allo scandaglio costante delle riviste italiane di settore, da quelle un po’ nojose stilées blasonate fino alle sgargianti chiaccherine moderniste, agli occhi cioè di quegli organi deputati alla ricognizione se non anche alla visione critica dell’architettura contemporanea nel nostro paese sembrano sfuggire ampie aree della produzione edilizia (o è solo un rifuggirne?).
Una specie di opacità percettiva ma fors’anche un malinteso pouvoir di discriminazione elettiva, unito a questioni di clan e alla scarsità di tempo o voglia, paiono impedire a molti redattori, commentatori, opinionisti di azzardarsi al di fuori di recinti sicuri e di prevedibili scelte, per rischiare di conoscere e far conoscere (e di sbagliare, pure, come s’attaglia a ogni ricerca) non solo temi scabrosi ma anche soltanto nuove opere e progettisti diversi da quelli di repertorio, che sappiamo bravi anzi bravissimi.Problematico allora capire da tali fonti se la generazione vorace e forse un po’ cinica di grandi professionisti-accademici che domina la scena da decenni, indeformabile come i nostri politici, ha saputo allevare almeno qualcuno delle generazioni successive a fare architettura (buona, magari, cioè civile), se esistono dei “giovani” che non siano cinquantenni, se chi si affaccia alla professione deve attendersi solo delusioni, frustrazioni, corruzione e papocchi o non vi siano ancora ragioni per impegnarsi in un lavoro complesso e affascinante come pochi, se gli ordini professionali non possono svolgere un ruolo diverso da quello corporativo-passivo.Difficile così cercare di mettere a fuoco trasformazioni, mutazioni e ibridazioni del mestiere e della formazione, come il processo di progressiva (auto)delegittimazione che ha finito concausalmente per affidare la costruzione dell’Italia o ai geometri o agli ingegneri, come il paradosso del numero straripante di studenti-architetti e di laureati-architetti rispetto al resto d’Europa, come la straordinaria capacità di adattamento di questa bizzarra e a suo modo creativa fauna, come la mostruosa incapacità dell’università di dare accesso a giovani studiosi, di adattarsi a forme diverse del lavoro, di cercare di rispondere a esigenze elementari degli studenti.Arduo perciò cercare di capire, tra l’altro, che cosa accade nelle 100 città d’Italia, di intendere come mutano e crescono i 1000 borghi del Belpaese, di prefigurarsi criticamente quale destino (e magari tentare di modificarlo) attende gli insediamenti e il paesaggio, e con loro gli uomini e una cultura urbana secolare.Ad esempio, c’è da scoprire (quasi) tutta l’Italia delle regioni e delle province di marginale collocazione geografica, delle città e cittadine di media o modesta taglia – dimenticate o meglio ignorate dalle riviste pel timore forse di uno strapaese – ove le attività edilizie si sono espresse e talora ancora fervono con vena (non solo quella affaristico-quattrinaia delle ville con patio, delle residenze a schiera, dei quartierini di secondo-terze case, ma neanche solo del mattone bene-rifugio per un parsimonioso prudente popolo di proprietari come siamo e neppure quella criminal-speculativa di tanti ghetti periferici) ben diversa dai grandi capoluoghi, dalle metropoli, dalle capitali politiche, morali, industriali: i luoghi secondari, insomma, ove tradizioni e esperienze locali si sono dipanate nel tempo con significative derive genetiche, lente eco, interpretazioni riflesse ma non meno significative.SD:Credo che il nostro dialogo informale e il suo articolo di diciassette anni fa siano la risposta perfetta per il mio quesito.Se mi autorizza, vorrei pubblicarli, sfrondando solo alcune parti del colloquio via mail.Grazie per la chiosa finale ‘insista!’ poiché in Italia ci si stanca sempre presto.Aspetto una sua risposta,SDP:S.: Eventualmente mi occorrono i dati bibliografici per la citazione del suo testo.PG/SP:Se mi autorizza, vorrei pubblicarli, sfrondando solo alcune parti del colloquio via mail. faccia pure, sfrondando opportunamente, la autorizzo - quando ha fatto, mi segnali il post, grazie in anticipo Grazie per la chiosa finale ‘insista!’ poiché in Italia ci si stanca sempre presto. stando a Lessing: "Genie ist Fleiss", "Genio è assiduità"
P:S.: Eventualmente mi occorrono i dati bibliografici per la citazione del suo testo.
da Pamphlet per Pamìo, in Roberto Pamìo architetto, Vianello, Treviso 1992, snp (qui il link del libro)SD:Sarà avvisato opportunamente.Grazie,Salvatore D’AgostinoColloquio avvenuto tramite mail tra il 12 e il 13 giugno 2009
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