Inizialmente avevo pensato di fare un’intervista sulle Biennali e non sulla Biennale coordinata da Luca Molinari.
Pensiero che ho corteggiato per pochi giorni, poi ho cambiato idea e inviato questa mail:
Pensiero che ho corteggiato per pochi giorni, poi ho cambiato idea e inviato questa mail:
Luca Molinari non sarò io a porle le domande ma saranno 14 italiani tra architetti, scrittori, fotografi, politici e, se riesco a trovarla, la casalinga di Voghera (in seguito sostituita da un più consono muratore).
Sarà un dialogo tra lei e alcuni italiani.
Antonie Manolova (Sofia): Un vuoto che rappresenta la crisi dell’architettura italiana
Simona Caleo (Roma): La migliore Italia
Stefano Mirti (Milano): Senza selezione, senza eleganza
Alessio Erioli (Bologna): Ecosistema informatico
Gianmaria Sforza (Milano): L’architettura a volume zero
Uto Pio (Facebook): L’ucronia per leggere il presente
Ettore Maria Mazzola (Roma): Tradizionale non concettuale
Alfredo Bucciante aka AlFb (Roma): Tornare normali
Giacomo Butté (Apolide asiatico): L’Italia di oggi
Mila Spicola (Palermo): Architettura democratica
Mahdy (Muratore emiliano): In cantiere
Francesco Cingolani (Milano-Madrid-Parigi): Spazio reale virtuale
Rossella Ferorelli (Bari): Accademia
Louis Kruger (Bari): Qual è l’architettura italiana
Simona Caleo (Roma): La migliore Italia
Stefano Mirti (Milano): Senza selezione, senza eleganza
Alessio Erioli (Bologna): Ecosistema informatico
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Ettore Maria Mazzola (Roma): Tradizionale non concettuale
Alfredo Bucciante aka AlFb (Roma): Tornare normali
Giacomo Butté (Apolide asiatico): L’Italia di oggi
Mila Spicola (Palermo): Architettura democratica
Mahdy (Muratore emiliano): In cantiere
Francesco Cingolani (Milano-Madrid-Parigi): Spazio reale virtuale
Rossella Ferorelli (Bari): Accademia
Louis Kruger (Bari): Qual è l’architettura italiana
Vorrei iniziare prendendo spunto da una riflessione, posta in un commento sul blog della rivista Abitare[1], da una donna architetto non italiana:
- Antonie Manolova: vive a Sofia in Bulgaria.. Architetto, interior designer, fondatrice e curatrice dell'edizione bulgara della rivista italiana Abitare, il suo intento è di offrire un punto di vista contemporaneo agli architetti bulgari. Per alcuni mesi ha collaborato come progettista e presentatrice a un programma sul design d’interni per il canale bTV.
Antonie Manolova, 05.05.2010 alle 11.43 :
«my italian is not good, but correct me if I got it wrong – you criticize Molinari for not stating that “l’Italia è in crisi fortissima, e non lo si dice.”
Imagine then, what the wise thing to do would be?
It seems to me, that to keep the Italian pavilion closed for the whole duration of the Biennale might convey the message.
Bulgaria will not be in Venice this time, and there will hardly be anyone noticing.
But if Italy does the same – a void will be created, and … the risk involved is to be willing to see what happens next?» [2]
- Luca Molinari Fermo restando che per il momento si è parlato solo intorno a un comunicato stampa con un elenco provvisorio di progetti che in questi mesi stanno anche in parte cambiando, non credo di aver mai negato la condizione di crisi strutturale in cui versa l'architettura italiana. I tanti articoli che ho scritto in questi anni lo testimoniano. Ma credo anche che il padiglione Italia abbia il dovere e la responsabilità culturale di rileggere criticamente chi siamo, la situazione complessa che stiamo vivendo, oltre che a rendere visibile le tante storie interessanti e di ricerca faticosa che tanti bravi architetti portano avanti nel nostro territorio. Non credo che l'assenza crei presenza (alla Nanni Moretti, se vengo alla festa e mi nascondo sul balcone tutti mi notano perché non mi vedono...) ma credo invece che una presenza critica forte, consapevole e generosa sia invece necessaria da parte della critica. A forza di assenza, l'architettura italiana è letteralmente scomparsa dalla scena internazionale, forse perchè non ha nulla da dire, o forse perché è laterale rispetto al mainstream del dibattito generale.
- Simona Caleo: giornalista e fotografa freelance di base a Roma. Collabora con l'agenzia OtN e con il sito dell'Espresso. Ha collaborato con il World Food Programme e l'Unicef e pubblicato sui principali quotidiani e magazine italiani.
L'Italia - paese dominato da speculazioni, miserie edilizie e fame cronica di abitazioni dignitose per sempre più nutrite fasce meno abbienti - sembra vivere ormai in uno stato di costante scollamento tra i grandi progetti che toccano appena (a volte felicemente, altre meno) la vita della gente e una disertata quotidianità.
Quando si parla di visioni concettuali, di anomalie e di sperimentazione vorrei tanto che tutte queste forze di pensiero e di immaginazione si volgessero da quella parte, non per qualche notabile progetto saltuario, ma per un'azione forte e incisiva, almeno in forma progettuale e propositiva. Non potrebbe essere proprio la Biennale il luogo per fomentare una nuova stagione di concretezza creativa, offrendo spazio e voce a tutte le nuovissime leve che potrebbero avere qualcosa da dire e mostrare? Io vorrei essere sorpresa. E lei?
- LM Lo scenario che lei dipinge è vero; mai come negli ultimi vent'anni il consumo di territorio e una vera e propria "fame chimica" di cemento ha aggredito il nostro territorio da Nord a Sud. Concordo anche molto sul fatto che la realtà attuale stia producendo domande e desideri inediti che attendono risposte nuove anche dall'architettura. Nella sezione centrale della mostra intitolata "laboratorio Italia" abbiamo provato a individuare alcune famiglie tematiche e progetti di autori spesso sconosciuti che si confrontano con alcune di queste prospettive. Nelle sezioni "Costruire a 1000 euro al metro quadro" abbiamo individuato progetti costruiti di autori che si sono confrontati con i budget tipici da cooperativa e da geometri per costruire residenze con una qualità superiore nelle periferie urbane. Oppure la questione di come utilizzare i beni sequestrati alle mafie che apre prospettive interessanti e mai indagate in una Biennale di architettura, o la questione urgente dell'emergenza paesaggio che sta colpendo tutto il nostro Paese. Sulla questione delle sperimentazioni credo invece che gli autori debbano anche confrontarsi con temi più generali a cui l'architettura possa dare una delle possibili, parziali soluzioni, proprio per riportare la sua ragione d'essere a una dimensione civile e vicina ai reali bisogni delle persone.
- Stefano Mirti: architetto e designer. Fondatore di Cliostraat, responsabile della scuola di design 'NABA', partner di Id-lab, curatore (per un anno) della rubrica Mirtilli per la rivista Abitare sezione online, nel giugno del 2010 ha ideato ὄψις: l'enciclopedia di tutti i tempi, tutte le persone, tutti i paesi.
Luca, sto formulando questa domanda domenica 11 luglio 2010. Questa sera si gioca la finale della Coppa del Mondo, per cui, penso a quel mondo li'.
:-)
Concedimi una cattiveria infinita. Provo a stabilire un parellelo tra il commissario tecnico della nazionale e il curatore del padiglione Italia (so gia' che ti stai toccando, sorry).
;-)
Siamo andati in Sud Africa con una nazionale bolsa e il fatto di essere usciti malamente al primo turno non ha sorpreso nessuno. Similmente a Lippi, anche il tuo lavoro di "selezionatore" ha suscitato molti dubbi e perplessita'. Se la Biennale fosse organizzata tipo la Champion's League, io direi che il Padilgione Italia non passa il primo turno.
Hai riempito la tua squadra di titolari che non farebbero giocare neanche a Dubai (e gia' con Cannavaro abbiamo visto che non si va lontano). In un paese che invece e' ricco di qualita' (a mio avviso). Perche'?
Se il Padiglione Italia della Biennale d'Arte puo' reggere Vezzoli e Penone, non si puo' immaginare un Padiglione Italia della Biennale di Architettura che non vive di tutto e del contrario di tutto?
Che so, quando Sejima aveva fatto il Padiglione del Giappone qualche anno fa, c'era lei e basta.
Non lei che organizzava lo spazio dove poi trovavano spazio e posto 392 figurine ognuna con un ruolo miserrimo e tutto sommato banale.
Che cosa sarebbe successo se il padiglione fosse stato uno spazio significante in quanto tale, affidato a Francessco Librizzi + Salottobuono + Tankboys (o chiunque altro delle persone da te selezionate che una per una sono in genere ok, ma che tutte assieme si annullano e disintegrano)?
Non sarebbe stato molto piu' forte, potente, significativo?
Lo so che la tua natura e' un'altra, ma per quel tipo di lavoro li', c'e' gia' il web che funziona egregiamente. Nel 2010, ha ancora senso il padiglione con mille figurine?
Grazie per la risposta, buon "mondiale", ciaociao
Stefano Mirti
- LM caro Stefano
se avessi vinto un Mondiale prima e ripresentassi la stessa nazionale avresti ragione, ma così non è, invece quello che avviene in Italia, alla stessa stregua della nazionale, è che tutti vorrebbero fare i commissari tecnici solo perché leggono tutti i giorni la Gazzetta dello Sport!
Pensare che i progettisti che ho invitato siano "bolsi" fa pensare che la nostra architettura sia messa molto male; ci sono autori anche da te molto amati, ma soprattutto ci sono architetti che malgrado il Paese in cui vivono e lavorano, producono architettura di grande qualità e di forte resistenza culturale e che è necessario rendere visibili a dispetto delle riviste che pubblicano sempre gli stessi autori e di chi si parla solo molto addosso.
Poi i commenti fatti sula lista della spesa pubblicata i primi di maggio mi lasciano abbastanza indifferente perché della scelta di 45 autori nessuno sa cosa esporremo e cosa ne faremo; del gruppo dei 14 autori di Italia2050 si possono fare solo supposizioni visto che stiamo lavorando in tempo reale con loro in un laboratorio interessante e imperfetto.
Io non sono Sejima, sono uno storico dell'architettura d'oggi e penso di avere un altro ruolo politico e culturale. Non posso pensare di mettermi in scena; nè credo che basti chiamare dei giovani di talento per fare un padiglione pieno di poeticissimi coriandoli o di fiori di alluminio.
Lo spazio diventa "significante" se è capace di portare provocazioni utili e consapevoli, questo è il ruolo che sto cercando di dare al padiglione Italia; non una antologia inutile, non un campo giochi per esercitazioni accademiche, ma un progetto su cui confrontarsi attivamente e generosamente.
Che cosa serve oggi all'architettura italiana?
La scoperta del giovane di turno emergente?
La presentazione di una nuova generazione o stile o dogma?
La messa in mostra del lavoro più polemico e provocatorio da solo come se bastasse a presentare un Paese così complesso e contraddittorio?
L'ennesima lode del "famolo strano" che ci piace a tutti?
Non credo alcuna di queste risposte da sola...
Io credo illusoriamente che oggi bisogna ripartire da nuovi racconti. Racconti corali, di parte, civili, portatori di contenuti culturali e politici, sembrerà retorico e un poco "vecchia maniera", ma i contenuti densi e che devono necessariamente sedimentare con calma, hanno bisogno di piattaforme anche tradizionali, piattaforme che nessun abile surfing può garantire in questo momento.
Poi si aprirà finalmente la mostra, finalmente tutti voi vedrete cosa abbiamo fatto e, finalmente, si parlerà di contenuti e di scelte.
A questo punto, la mostra, nel bene e nel male, avrà assolto il suo compito, e alla fine della partita si vedrà se il vincitore ci ha fatto emozionare, divertire, insegnato qualcosa di nuovo o se invece ha solo vinto su di un fuorigioco non segnalato.
ciao
L
(ndr risposta del 12 luglio 2010)
28 agosto 2010 (Ultima modifica 1 settembre 2010)
Intersezioni --->SPECULAZIONE
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Note:
[1] Redazionale, AILATI. RIFLESSIONI DAL FUTURO, Abitare Web, 4 maggio 2010. Link
[2] Traduzione: Il mio italiano non è dei migliori, correggetemi se ho capito male – Molinari viene criticato perché sottovaluta che: "l'Italia è in fortissima crisi, e non lo si dice".
Cerchiamo di immaginare, quale dovrebbe essere la cosa saggia da fare?
Mi sembra che chiudere il padiglione italiano per l'intera durata della biennale potrebbe trasmettere un messaggio.
La Bulgaria non sarà alla biennale quest'anno e dubito che ci sarà qualcuno che lo noterà. Ma se l'Italia facesse lo stesso - non si creerebbe un vuoto – con il rischio di essere obbligati a vedere cosa succederebbe dopo?