«Se c’è una cosa che accomuna i nati in Italia dopo il 1970 è l’eccezionalità del contesto, e cioè il fatto di essere cresciuti in quello che – ultimo o penultimo invitato alla tavola delle grandi potenze democratiche – è diventato neanche troppo lentamente un paese del secondo mondo.
Bene, l’ho detto: “secondo mondo”, e con questo spero di aver contribuito a rompere il tabù di chi ritiene che l’uso di eufemismi quali “difficoltà” o “arretramento” abbia un valore apotropaico, o peggio ancora di chiunque voglia convincerci che seminando il vuoto a rendere dell’euforia fine a se stessa cresca l’albero della cuccagna. Capisco che sia dura da accettare per coloro che, sospinti dall’onda del vecchio boom sullo scranno di una qualche docenza universitaria, alta dirigenza, segreteria di partito, hanno scambiato col trascorrere degli anni la propria inamovibilità per autorevolezza, e dunque la putrefazione per progresso. È per questo che proprio non me la sento di dare l’onere di chiamare le cose col proprio nome alla generazione dei Tommaso Padoa-Schioppa – l’ex ministro figlio dell’amministratore delegato delle Assicurazioni Generali a cui solo un Edipo non risolto può avere suggerito un giorno la parola: “bamboccioni”.
In questo modo è più facile che le parole “secondo mondo” le possa pronunciare senza troppe crisi isteriche chi, come me, non aveva avuto il tempo di ricavarsi un posto al sole quando il vento ha iniziato a cambiare – chi, tanto per dirne una, ha frequentato un’università che di competitivo aveva ormai solo i bidelli che facevano a gara per chiederti una mancetta di cinquantamila lire dopo averti fotografato durante la sessione di laurea.
Nessuna università italiana tra le prime 100 secondo l’Academic Ranking of World Universities. Settantrateesimo posto alla voce libertà di stampa secondo il rapporto di Freedom House, dietro la repubblica presidenziale del Benin e in coabitazione con Tonga… Non continuerò con le classifiche. Troppe da elencare, troppo univoche, e perfino noiose: era solo per rendere il concetto; allo stesso modo non farò l’avvocato del diavolo che brandisce il vessillo del Pil pro-capite adeguato alla parità dei poteri d’acquisto (un dignitoso ventisettesimo posto nel 2009 secondo il Fmi, dietro Belgio, Francia, Spagna…) perché questi calcoli vivono sotto il ricatto di troppe variabili, e soprattutto perché ad esempio gli Emirati Arabi hanno un reddito pro capite che straccia il Regno Unito ma basterebbe spostarsi sul versante dei diritti umani per non definirli un paese del primo mondo.
Credo sia invece più interessante capire come mai per gli under 40 italiani di oggi un certo realismo richieda pochi sforzi e, contemporaneamente, sia anche la dura lezione appresa nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta. La definirei una questione di imprinting: difficile pensare di non vivere in uno dei paesi più corrotti dell’occidente se ti congedi dal liceo poco prima di Tangentopoli; così come è piuttosto complicato credere a uno Stato sovrano se dai il tuo primo esame all’università non quando esplode la bomba sull’autostrada Capaci-Palermo ma 57 giorni dopo, perché se il beneficio del dubbio poteva sopravvivere con molto sforzo alla morte di Falcone, la sua lapide è stata scritta in via d’Amelio. Faticoso, del resto, credere a una politica che favorisca meritocrazia e bene comune se – scontrandoti già da qualche anno col muro di gomma gerontocratico in campo lavorativo – hai assaporato l’insostenibile pesantezza della sospensione democratica in quel di Genova durante il G8 del 2001; e hai faticato a sostenere un deja-vu degno di Philip Dick quando il Ministro dell’interno di allora, costretto a dimettersi per aver definito “un rompicoglioni” una vittima delle Brigate rosse, si sia ri-dimesso non tanto per l’incredibile circostanza di non sapere chi gli aveva comprato casa ma per l’ancora più incredibile circostanza di essere stato nominato ministro un’altra volta».
Nicola Lagioia, Manifesto per autori under 40, Domenicale del Sole 24 ore, 8 agosto 2010. Link
Bene, l’ho detto: “secondo mondo”, e con questo spero di aver contribuito a rompere il tabù di chi ritiene che l’uso di eufemismi quali “difficoltà” o “arretramento” abbia un valore apotropaico, o peggio ancora di chiunque voglia convincerci che seminando il vuoto a rendere dell’euforia fine a se stessa cresca l’albero della cuccagna. Capisco che sia dura da accettare per coloro che, sospinti dall’onda del vecchio boom sullo scranno di una qualche docenza universitaria, alta dirigenza, segreteria di partito, hanno scambiato col trascorrere degli anni la propria inamovibilità per autorevolezza, e dunque la putrefazione per progresso. È per questo che proprio non me la sento di dare l’onere di chiamare le cose col proprio nome alla generazione dei Tommaso Padoa-Schioppa – l’ex ministro figlio dell’amministratore delegato delle Assicurazioni Generali a cui solo un Edipo non risolto può avere suggerito un giorno la parola: “bamboccioni”.
In questo modo è più facile che le parole “secondo mondo” le possa pronunciare senza troppe crisi isteriche chi, come me, non aveva avuto il tempo di ricavarsi un posto al sole quando il vento ha iniziato a cambiare – chi, tanto per dirne una, ha frequentato un’università che di competitivo aveva ormai solo i bidelli che facevano a gara per chiederti una mancetta di cinquantamila lire dopo averti fotografato durante la sessione di laurea.
Nessuna università italiana tra le prime 100 secondo l’Academic Ranking of World Universities. Settantrateesimo posto alla voce libertà di stampa secondo il rapporto di Freedom House, dietro la repubblica presidenziale del Benin e in coabitazione con Tonga… Non continuerò con le classifiche. Troppe da elencare, troppo univoche, e perfino noiose: era solo per rendere il concetto; allo stesso modo non farò l’avvocato del diavolo che brandisce il vessillo del Pil pro-capite adeguato alla parità dei poteri d’acquisto (un dignitoso ventisettesimo posto nel 2009 secondo il Fmi, dietro Belgio, Francia, Spagna…) perché questi calcoli vivono sotto il ricatto di troppe variabili, e soprattutto perché ad esempio gli Emirati Arabi hanno un reddito pro capite che straccia il Regno Unito ma basterebbe spostarsi sul versante dei diritti umani per non definirli un paese del primo mondo.
Credo sia invece più interessante capire come mai per gli under 40 italiani di oggi un certo realismo richieda pochi sforzi e, contemporaneamente, sia anche la dura lezione appresa nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta. La definirei una questione di imprinting: difficile pensare di non vivere in uno dei paesi più corrotti dell’occidente se ti congedi dal liceo poco prima di Tangentopoli; così come è piuttosto complicato credere a uno Stato sovrano se dai il tuo primo esame all’università non quando esplode la bomba sull’autostrada Capaci-Palermo ma 57 giorni dopo, perché se il beneficio del dubbio poteva sopravvivere con molto sforzo alla morte di Falcone, la sua lapide è stata scritta in via d’Amelio. Faticoso, del resto, credere a una politica che favorisca meritocrazia e bene comune se – scontrandoti già da qualche anno col muro di gomma gerontocratico in campo lavorativo – hai assaporato l’insostenibile pesantezza della sospensione democratica in quel di Genova durante il G8 del 2001; e hai faticato a sostenere un deja-vu degno di Philip Dick quando il Ministro dell’interno di allora, costretto a dimettersi per aver definito “un rompicoglioni” una vittima delle Brigate rosse, si sia ri-dimesso non tanto per l’incredibile circostanza di non sapere chi gli aveva comprato casa ma per l’ancora più incredibile circostanza di essere stato nominato ministro un’altra volta».
Nicola Lagioia, Manifesto per autori under 40, Domenicale del Sole 24 ore, 8 agosto 2010. Link
9 agosto 2010
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1° report da facebook
RispondiEliminaSalvatore D’Agostino:
---> Mila,
articolo che finisce incerto (vedi link) ma condivido in toto l'incipit.
Mila Spicola:
l'ho letto velocemente...
per adesso sono concentrata all'età che va dai 7 ai 14 .. :-)
giovani giovani insomma... i veri padroni del mondo di domani: nativi digitali.
ne sai parlare? ti interessa?
:-)
Salvatore D’Agostino:
Certo che m'interessa sono padre di un figlio di 14 anni e marito di un'insegnate precaria delle elementari.
Mila Spicola:
ecco..allora documentati un pochino,..è molto ma molto interessante
leggi qua (ti apro un mondo e sono certa che ne sarai felice... .-) ) io mi sono immersa e non riesco più a staccarmene...
http://www.facebook.com/l/60c1e;www.scribd.com/doc/26359358/Educazione-e-Nuovi-Media
http://www.facebook.com/l/60c1e;sociologia.tesionline.it/sociologia/articolo.jsp?id=2984
http://www.facebook.com/l/60c1e;www.scribd.com/doc/4830435/Pier-Cesare-RivoltellaComunicazione-ed-educazione
Matteo Seraceni:
Mah...ci sono paesi del terzo mondo in cui comunque c'è un certo grado di civiltà...e quindi non mi sento di dare definizioni di questo tipo.
L'altra cosa: è vero,noi under 40 siamo tutti indignati, scoraggiati e incazzati per come sono le cose in Italia. E allora: dove sono le bombe (ovviamente in senso metaforico)?
Voglio dire: ogni giorno cerco di fare quel che posso per dare dei calci nel sedere al lavoro ai vecchi tromboni (che esistono in ogni campo professionale, vi assicuro) e fargli capire quanto siano ignoranti, cerco di battermi per la libertà di opinione e informazione (per quel che posso), quando vado a votare non voto "contro" qualcuno o "per il meno peggio", ma voto per chi credo riesca a dare un'altra impronta a questa Italia.
Gli over 40 che hanno diritto al voto rappresentano circa il 45%-50% della popolazione votante: visto che le persone di cui parla Lagioia sono al governo allora ci sono invece "giovani" che abbassano la testa e dicono "si, mi va bene".
Quindi: non tutti gli under 40 sono indignati, scoraggiati e incazzati.
Forse il problema è semplicemente questo
Salvatore D'Agostino:
---> Mila,
Condivido questo passaggio di Pier Cesare Rivoltella: «È necessario proprio partire da qui, dagli uomini e dalle donne che sono impegnati nella formazione per iniziare a promuovere una cultura della comunicazione formativa, ad aprire (o allargare) lo spazio di dialogo tra le due istanze. E lo strumento per farlo è la formazione: la formazione di educatori capaci di aggiornamento costante,continuamente impegnati a specializzarsi, capaci di fare ricerca, capaci di un atteggiamento riflessivo. Sono loro, i nuovi carbonari della società, il ponte che la Media Education può gettare tra la comunicazione e l’educazione».
Non a caso ho aperto un laboratorio (Wilfing Architettura) che indaga sul mondo della architettura e i nuovi media.
In autunno aprirò un approfondimento sugli ‘Urban Blog’.
Il mio resta comunque un approccio molto jenkinsiano: «Per me, invece, la questione importante non è ciò che la tecnologia sta facendo a noi, ma ciò che stiamo facendo noi con la tecnologia».
Vedi: http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2010/08/0421-finextra-3-agosto-2010-www-o-wwc.html
Condivido che il nodo cruciale sia l’approccio degli ‘educatori’ sui temi dei vecchi e nuovi media.
Quindi buon lavoro.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Mila Spicola:
e io condivido che ci siano gentiori come te.. :-)
Salvatore D’Agostino:
---> Mila,
generosa :-)
Buona giornata
2° report da facebook
RispondiEliminaSalvatore D’Agostino:
Matteo,
qui non è una questione di giovani e vecchi (ci sono molti giovani ignoranti e molti vecchi colti anzi coltissimi).
Lagioia pone una questione: non possiamo più considerare l’Italia come un paese facente parte del primo ‘mondo’, poiché (numeri alla mano) siamo una nazione del ‘secondo mondo’.
Da questa (perdona la semplificazione) constatazione occorre iniziare a inquadrare la letteratura (nel suo caso) d’oggi.
Sugli over e under 40 ti offro una riflessione di un old italiano Umberto Eco a proposito dell’intelligenza collettiva: «Intervistatore di Wikipedia: Vero, sono i più facili. Le cose più sottili sono molto più complicate. Supportati in parte da qualche ricerca, possiamo dire che più c'è una comunità di persone (una sottocomunità, un gruppo di persone) interessate ad un argomento, meglio è. Queste persone infatti si salvano le pagine in una lista dei preferiti (Osservati speciali si chiamano). Per esempio, se io ho la sua pagina negli Osservati speciali, quando qualcuno la modifica mi viene segnalato, ed io posso andare a controllare: con un meccanismo di diff, una sorta di collazione, vedo la variante, quello che è stato il contributo, e posso vedere se è stata inserita una notizia giusta oppure no. Il principio di Wikipedia, in un certo senso, è che in più gente c'è, più è interessata, meglio funziona, e questo è un po' un paradosso. C'è stata qualche ricerca a riguardo, (l'ultima che io ricordi è del febbraio 2007, dei laboratori HP di Palo Alto) puramente a livello quantitativo, statistico, basata sulla Wikipedia inglese, che diceva che le pagine più modificate, mediamente, sono quelle con la maggiore qualità. Più c'è gente, meglio è. Poi c'è il discorso effettivo, problematico, della coda lunga, delle tante pagine abbastanza importanti, o problematiche o contraddittorie. La sua pagina, per esempio, può cascare in questo insieme delle pagine importanti ma non troppo, oltre ad essere una biografia. Le biografie dei viventi sono le più problematiche, avendo il problema del recentismo, del reperimento delle fonti, ecc. Le biografie, generalmente, sono un problema, anche se in quelle dei personaggi storici c'è più accordo. È interessante, secondo me, il discorso delle pagine che in teoria dovrebbero essere le più problematiche, come temi quali il creazionismo, l'intelligent design, che nella Wikipedia inglese sono chilometriche, perché le persone si scannano, spesso, non su interi paragrafi, ma sui singoli termini, l'incipit, le parole. Più occhi ci sono, meglio è. Riprende un po' la teoria della "saggezza della folla", portata avanti da Surowiecki, che afferma che quando sono presenti 4 parametri (indipendenza, diversità d'opinione, aggregazione, decentramento), mediamente, il giudizio di una folla supera quello degli esperti.
Eco: Io qui correggerei. Io sono un discepolo di Peirce, che sostiene che le verità scientifiche vengono, in fin dei conti, approvate dalla comunità. Il lento lavoro della comunità, attraverso revisioni ed errori, come diceva lui nell'Ottocento, porta avanti "la torcia della verità". Il problema è la definizione della verità.
...continua nel prossimo commento
3° report da facebook
RispondiEliminaSe alla verità io fossi obbligato a sostituire "folla", non sarei d'accordo. Se si va a fare una statistica dei 6 miliardi di abitanti del globo, la maggioranza crede che il Sole giri intorno alla Terra, non c'è niente da fare. La folla sarebbe pronta a legittimare la risposta sbagliata. Questo accade anche in democrazia, lo stiamo vivendo in questi giorni, la folla vota Bossi. Napoleone III per fare il colpo di stato fece allargare l'elettorato alle campagne, perché la folla delle campagne era più reazionaria della folla delle città.
Allora bisogna trovare un altro criterio, che è quello della folla motivata. Quelli che collaborano a Wikipedia, non sono soltanto un'aristocrazia, solo professori dell'università, ma neanche la folla indiscriminata: sono quella parte della folla che si sente motivata a collaborare a Wikipedia. Ecco, sostituirei alla teoria della "saggezza della folla" una teoria della "saggezza della folla motivata". La folla generalizzata dice che non dobbiamo pagare le tasse, è la folla motivata che dice che è giusto pagarle. E infatti in Wikipedia non si inserisce lo zappatore o l'analfabeta, ma già qualcuno che fa parte, per il fatto stesso di usare il computer, di una folla colta».
Sottile distinzione tra la gente-folla ‘populista’ e la gente-folla motivata ‘pensante’.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
4° report da facebook
RispondiEliminaMatteo Saraceni:
@Salvatore: è semplicemente il fatto che, in genere, ci si aspetta una rivoluzione dai giovani, no?
Salvatore D'Agostino:
Matteo,
no!
Credo che non esista più questa differenza vi è uno strano mix di ‘giovani e ‘vecchi’ accomunati da un disagio comune.
Questa seconda Italia interessa tutti.
Questa seconda Italia ha bisogno di essere ripresa da tutti.
Almeno spero,
Salvatore D’Agostino
credo che sarebbe un importante passo in avanti il considerare l'italia come paese del secondo mondo.
RispondiEliminaCambierebbe totalmente le carte in tavola e noi non avremo altro che da guadagnarci.
Da un atteggiamento trapattoniano ad un 4-2-4 stile cittadella.
Abbiamo bisogno di avere fame ( cosa che abbiamo ma non tutti, soprattutto chie prende le decisioni). Abbiamo bisogno di ritornare a percepire la possibilita'di un miglioramento.
Inoltre come "developing country"potremmo usufruire di aiuti UN....
Giacomo,
RispondiEliminala frase finale (Inoltre come "developing country"potremmo usufruire di aiuti UN.... ) mi sembra una battuta, per ringalluzzire, gli scaltri imprenditori che imperano nella nostra piccola, piccola, piccola Italia.
Si!
Sono d’accordo con te.
Dobbiamo partire da questa consapevolezza “l'italia come paese del secondo mondo” altrimenti reiteriamo sempre gli stessi errori.
Come puoi vedere ho utilizzato quest’incipit per i prossimi dialoghi di WA: "L'Italia è un paese del secondo mondo" ha scritto Nicola La Gioia. Quest’autunno Wilfing Architettura cercherà di raccontarla.
Dobbiamo trovare un sistema per uscire fuori da questa gestione ‘distruttiva ‘ della nostra Italia.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
ho visto oggi il nuovo rapporto, mi sembra interessante segnalarlo per avere anche un riscontro numerico (con tutti i dubbi che si hanno davanti ai paramentri economici)
RispondiEliminapiccolo quiz: L'italia nella classifica dulla competitivita'mondiale occupa il
12mo,24mo o 48mo posto?
http://www.weforum.org/en/initiatives/gcp/Global%20Competitiveness%20Report/index.htm
Giacomo,
RispondiEliminanon conoscevo questo studio.
Molto interessante.
Sicuramente hai ragione, la mera valutazione dei caratteri economici, non ci aiutano a raccontare la vita della gente.
Però ci offre delle indicazioni:
FALLIMENTO ECONOMICO
Pagina 25: «The public perception was that a few southern countries—notably Greece, Italy, Portugal, and Spain—were facing unsustainable public deficits that endangered their growth prospects to the point of potential insolvency».
Nascosto dai media della lottizzazione.
Ricordo un Tremonti prodigo verso la Grecia per evitare il nostro collasso.
LA DOPPIA ANIMA ITALIANA
Pagina 27:«Italy remains stable at 48th place this year, still by far the lowest-ranked G-7 member country. The country continues to do well in more complex areas measured by the GCI, particularly the sophistication of its businesses environment, where it is ranked 23rd, producing goods high on the value chain and with the world’s top business clusters (1st). Italy also benefits from its large market size—the 9th largest in the world—which allows for significant economies of scale.
However, Italy’s overall competitiveness performance continues to be held back by some critical structural weaknesses in the economy. The labor market remains highly rigid, ranked 118th for its labor market efficiency, hindering job creation. Financial markets are not sufficiently developed to provide needed finance for business development (ranked 101st). Other institutional weaknesses include high levels of corruption and organized crime and a perceived lack of independence within the judicial system, which increase business costs and undermine investor confidence, with Italy ranked 92nd overall for its institutional environment».
Tralascio le considerazioni su ciò che non va bene e prelevo il dato positivo: l’Italia va bene nella produzione di beni di lusso.
Perdona la semplificazione, in questa sintesi emergono le due anime antitetiche dell’Italia: la sofisticata speculazione ‘concettuale’ e il parossismo della speculazione ‘dei furbi’.
COSI COM’È
Grafico pagina 192:
The most problematic factors for doing business
Inefficient government bureaucracy...............19.3
Access to financing.....................................15.2
Tax rates ..................................................14.9
Tax regulations ..........................................13.0
Inadequate supply of infrastructure ................11.9
Restrictive labor regulations............................9.1
Corruption...................................................5.8
Policy instability............................................3.2
Crime and theft ............................................2.1
Poor work ethic in national labor force ..............2.0
Inadequately educated workforce.....................1.7
Poor public health..........................................0.8
Inflation ......................................................0.6
Foreign currency regulations............................0.3
Government instability/coups ..........................0.1
Ecco! Altri numeri che descrivono l'Italia del secondo mondo.
Buona giornata,
Salvatore D'Agostino