NOI
«Nicholas Carr è uno dei più astuti e riflessivi promotori dell’idea che l’ascesa dei nuovi media comporti diverse minacce per la cultura del libro. Credo tuttavia che la discussione si stia muovendo oggi in una direzione molto più produttiva e civile. Lo stesso Carr accetta un’analogia che uso spesso, alludendo al Fedro di Platone in cui Socrate sostiene che l’adozione della lingua scritta rappresenti una minaccia per la memoria, che è centrale nella cultura orale. La realtà è che si è perso qualcosa con l’avvento della scrittura prima e della stampa poi, ma ci sono stati anche molti progressi per la conoscenza umana e per la cultura. Sarebbe sciocco voler tornare indietro. Dal mio punto di vista, il problema delle argomentazioni di Carr è che sono costruite come un punto di determinismo tecnologico: i mezzi di comunicazione che usiamo riscrivono il modo in cui il nostro cervello funziona e, sempre secondo Carr, ci obbligano ad abbandonare vecchie competenze che sono culturalmente valide. Io non sono d’accordo su questo, come non sono d’accordo con Stephen Johnson quando dice che tutto quello che ci fa male ci fa bene. Dalle idee di Johnson, che pescano negli studi sul cervello, emerge l’idea contraria: i computer ci stanno rendendo intelligenti. Sono solo due facce opposte della stessa medaglia. Per me, invece, la questione importante non è ciò che la tecnologia sta facendo a noi, ma ciò che stiamo facendo noi con la tecnologia».
CULTURA
«Certi argomenti spesso rischiano di sembrare profondamente radicati nei vecchi modi di pensare e nelle gerarchie di valore esistenti, invece di rimanere aperti alle prospettive di innovazione culturale e di scoperta collettiva che assomigliano molto alla mia esperienza quotidiana della nuova era dei media. Io ho un grandissimo rispetto per la cultura dei libri – ne ho scritti 13 e ne ho diverse migliaia nella mia biblioteca personale. Questa cultura è effettivamente a rischio e la literacy tradizionale può essere in pericolo. Ma il mio obiettivo è vedere crescere una cultura in cui si legge con un libro in una mano e si ha un mouse nell’altra. Una cultura in cui tutti noi abbiamo la capacità di adeguare la nostra alfabetizzazione in modo da utilizzare al meglio i media e in modo da assecondare le nostre attività».
WIKILEAKS
«Il primo esempio è il rilascio di documenti del governo degli Stati Uniti attraverso Wikileaks. È probabilmente la serie più importante di materiali fuoriusciti dai tempo dei Pentagon Papers, quando molte notizie erano trapelate grazie al lavoro del New York Times (e del Washington Post) durante la guerra del Vietnam. E il caso di Wikileaks è ancora più significativo perché i documenti vengono da un’agenzia di stampa non convenzionale, che li ha rilasciati come risorse a disposizione degli altri giornalisti e del pubblico, che così possono esaminarli. È saltata la mediazione di una notizia accompagnata dal reporting e dall’analisi degli esperti che prendono i fatti e li inseriscono in un contesto più ampio per il lettore.
[...]
Ci si può chiedere, in entrambi i casi, se l’ecologia dell’informazione stia eseguendo bene o male il proprio compito, a seconda della nostra concezione di quale sia la missione del giornalismo e di quale sia l’esigenza d’informazione dei cittadini. Ma i due esempi suggeriscono che la notizia si diffonde utilizzando schemi differenti da quelli cui siamo abituati, schemi modellati da player molto diversi rispetto al passato. In entrambi i casi, non possiamo capire che cosa è successo semplicemente leggendo una contrapposizione tra media vecchi e nuovi: non è così semplice, perché un processo che coinvolge varie forme di collaborazione e di critica nei diversi settori dei media».
PUGNO, CARTA E WEB
«L’idea di una società senza carta non è sicuramente nuova. Se n’è parlato per metà del XX secolo. Il computer avrebbe dovuto preannunciare l’età dell’ufficio senza carta. Come è la situazione invece? Sicuramente stiamo producendo più testi, siamo stampando più documenti e copiando cose con più confusione di prima. Sospetto che ci troviamo in una fase simile, in cui alcune funzioni della stampa si sposteranno sui dispositivi digitali. »
SCUOLA
«La formazione, poi, continua a essere un altro territorio chiave in cui il pubblico combatte per costruire il suo rapporto con le nuove tecnologie multimediali e per sperimentare nuove pratiche. Da un lato, l’educazione è profondamente conservatrice, e tende a resistere ai cambiamenti che hanno un impatto altrove. Ma, dall’altro, c’è una crescente consapevolezza: le pratiche esistenti spesso non rispondono più ai bisogni di una generazione che è cresciuta in una cultura di rete. In tutto il mondo, stiamo osservando tentativi di immaginare in modo diverso l’istruzione per il XXI secolo, ma c’è ancora da combattere molto contro lo status quo».
Un aneddoto per chi ama la FOTOGRAFIA
«Faccio un piccolo esempio: mia moglie, quando parcheggia l’automobile, scatta una foto per ricordare dove ha parcheggiato. Questo è un uso della fotografia che sarebbe stato inimmaginabile anche solo una decina di anni fa. La fotografia diventa parte del suo processo cognitivo, una protesi per la sua memoria a breve termine. Allo stesso modo, quando discutiamo, ci basta accedere al computer portatile per confermare o correggere rapidamente le informazioni di cui stiamo parlando. E così via. Ognuno di noi ha un rapporto diverso con questi dispositivi e con le informazioni, e naturalmente anche io sono convinto che sia un grande vantaggio poterle personalizzare e scegliere quale applicazione o contenuto avere sul nostro dispositivo, in modo da dare la priorità a ciò che meglio asseconda i nostri interessi. Ma vorrei che queste decisioni fossero prese da me e non da qualche azienda».
Giuseppe Granieri, «Siamo in transizione, stiamo imparando», Apogeonline, 3 agosto 2010. Link
3 agosto 2010
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RispondiEliminaGiulio Pascali::
molto Jenkins-sofia
a Carr verrebbe da rispondere: "e allora?"
una volta De Andrè ad un concerto sostenne che la mafia al sud dava lavoro a milioni di persone, non per questo bisognerebbe preservare la Mafia
vogliamo mantenere la cultura del libro per puro spirito nostalgico?
oppure vogliamo mettere un tassello in più in questa corsa millenaria verso la conoscenza?
nel capolavoro di Victo Hugo si parla dell'avvento del libro come la fine dell'architettura come mezzo di comunicazione di massa
L'architettura è ancora li, diversa, logorata eppure sempre viva affascinante (anche nelle versioni popular kitch)
"video killed the radio star" canta una canzone dei The Bubbles
ora la radio vive una nuova giovineza, guarda un po', grazie ad internet...
siamo ancora qui! siamo vivi! comunichiamo più di prima!
meglio di prima
Salvatore D’Agostino:
Giulio,
Carr ha un punto di vista critico non sullo strumento ‘internet’ ma sulla gestione ‘monopolistica-economica’ della struttura ‘internet’.
Nel suo famoso articolo su Google c‘è un passaggio che io trovo molto stimolante: «Nel 1882 Friedrich Nietzsche comprò una macchina da scrivere. Aveva cominciato a perdere la vista, e tenere lo sguardo concentrato su una pagina stava diventando doloroso e stancante: spesso soffriva di spaventosi mal di testa. Scriveva sempre meno e teneva di dovervi rinunciare del tutto. La macchina da scrivere lo salvò. Una volta imparato a battere Nietzsche poté scrivere con gli occhi chiusi e le parole tornarono a fluire sulla pagina.
Ma la macchina ebbe anche un effetto più impalpabile. Un amico compositore notò un cambiamento di stile nella scrittura del filosofo: la sua prosa era ancora più scarna e telegrafica di prima. "Forse attraverso questo strumento passerai a un nuovo idioma", gli scrisse l'amico in una lettera, aggiungendo un'impressione personale: "Spesso i miei pensieri sulla musica e sul linguaggio dipendono dalla qualità della carta che uso". Sotto l'influsso della macchina da scrivere, osserva Friedrich A. Kittler uno studioso tedesco dei mezzi d'informazione, la prosa di Nietzsche " è passata dalle argomentazioni articolate all'aforisma, dalla riflessione alla battuta. Insomma, da uno stile aulico a uno telegrafico».
Comprendo e condivido il pensiero di De André, anzi se ci permetti, da siciliano, vorrei aggiungere che l’alta ‘finanza del Nord’ vive di riciclaggio proveniente dagli imprenditori diversamente abili del Sud.
Milano 2 nasce dal surplus economico proveniente dal ‘Sacco di Palermo’ di Ciancimino & amici.
Ovvio, detto questo, personalmente combatto questo sistema ‘criminale’.
Sui libri e le considerazioni dell’arcidiacono Claude Frollo t’invito a leggere un libro o meglio una conversazione di Jean-Claude Carrière e Umberto Eco ‘Non sperate di liberarvi dei libri’ bella e illuminante.
Condivido il pensiero di Henry Jenkins:«Per me, invece, la questione importante non è ciò che la tecnologia sta facendo a noi, ma ciò che stiamo facendo noi con la tecnologia».
Per questo motivo m’interessa la vostra idea di ‘Urban Experience’.
Buona estate,
Salvatore D’Agostino