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9 settembre 2010

0043 [SPECULAZIONE] Dialogo AILATI con Luca Molinari [4]

Luca Molinari non sarò io a porle le domande ma saranno 14 italiani tra architetti, scrittori, fotografi, politici e un muratore.
Sarà un dialogo tra lei e alcuni italiani.

Dialogo che sarà diviso in quattro parti: prima, seconda, terza

Antonie Manolova (Sofia): Un vuoto che rappresenta la crisi dell’architettura italiana

Simona Caleo (Roma): La migliore Italia

Stefano Mirti (Milano): Senza selezione, senza eleganza

Alessio Erioli (Bologna): Ecosistema informatico

Gianmaria Sforza (Milano): L’architettura a volume zero

Uto Pio (Facebook): L’ucronia per leggere il presente

Ettore Maria Mazzola (Roma): Tradizionale non concettuale

Alfredo Bucciante aka AlFb (Roma): Tornare normali

Giacomo Butté (Apolide asiatico): L’Italia di oggi

Mila Spicola (Palermo): Architettura democratica

Mahdy (muratore emiliano): In cantiere

Francesco Cingolani (Milano-Madrid-Parigi): Spazio reale virtuale

Rossella Ferorelli (Bari): Accademia

Louis Kruger (Bari): Qual è l’architettura italiana

Mahdy: È un immigrato regolare Egiziano, in Italia già da diversi anni. Vive e lavora al confine tra il Reggiano e il Modenese. Ha imparato il mestiere di muratore in Italia. Dopo quasi quattro anni di clandestinità, a febbraio del 2010, ha ottenuto i documenti necessari per l'emigrazione regolare in Italia. Se tutto va bene, tra circa 10 anni sarà un nuovo cittadino Italiano.

Perché gli architetti non testano direttamente, con le proprie mani, come si posano in opera i materiali innovativi e sperimentali, in modo da accorciare la catena dei miglioramenti, sia di posa che di resa e risultato?

- Luca Molinari Sono totalmente d’accordo, aggiungerei una cosa, che gli architetti dovrebbero tornare qualche anno dopo a visitare con attenzione i luoghi che hanno progettato per capire come sono stati accolti e trasformati da chi li abita e, magari, imparare qualche cosa in più! 

Francesco Cingolani: 31 anni, architetto. Collabora con lo studio Ecosistema Urbano di Madrid e lo studio HDA | Hugh Dutton Associés di Parigi. Si occupa prevalentemente di architettura parametrica, innovazione tecnologica e comunicazione. Ha fondato il progetto Meipi (cartografia digitale partecipativa) e i gruppi di ricerca architettonica e urbanistica imaginario e Thinkark."

Negli ultimi dieci o venti anni, i vari ambiti delle nostre vite sono stati fortemente caratterizzati dal fenomeno della virtualizzazione.
Questo potrebbe superficialmente portare a credere in una devalorizzazione e una perdita di significati dello spazio fisico (che a me sembra opportuno definire spazio presenziale, in opposizione allo spazio virtuale).
Un'analisi più attenta sembra invece suggerire una necessità di redefinizione della realtà fisica e sensoriale, e del suo rapporto con la virtualità.
Se consideriamo che l'architettura è la disciplina che struttura e modella il mondo fisico nel quale viviamo, quale dovrebbe essere la sua reazione, nel presente e nel futuro, a questo slittamento di significati?


- LM Ho l’impressione che dopo la prima fase di eccitazione digitale la relazione tra progetto e strumenti per renderlo possibile si sia molto evoluta. Altro discorso meriterebbe invece la nozione di spazio pubblico e il confine sempre più fluido tra pubblico e privato in cui l’esperienza digitale ha un peso molto importante e di trasformazione radicale della nostra esperienza quotidiana.

Rossella Ferorelliblogger barese, laureanda in Ingegneria Edile - Architettura con una tesi sull'origine linguistica dello spazio - appassionata di scienze cognitive e interessata al futuro in tutte le sue forme.

In occasione di una visita al Politecnico di Bari di Boris Podrecca di qualche tempo fa, ricordo di aver riesumato una intervista dell'architetto per Repubblica del maggio 2006 il cui epilogo mi aveva raggelato: «Rispetto ai giovani italiani che vengono nel mio atelier, i coetanei olandesi o svizzeri hanno più verve, ironia e immaginazione. Da voi ci sono tanti professorini, con pochi progetti realizzati ma molte chiacchiere e presenze alle mostre; vivono l’architettura attraverso le riviste, non ne conoscono a fondo le problematiche». Questa l’opinione dell’architetto austriaco, che individuava l’origine del problema «nel fatto d’aver perso due generazioni, dopo il ’68. Avete scritto libri, e sapete tutto sul Palladio o Giulio Romano, ma non come si mette una finestra».
Vorrei dunque proporle una riflessione sull’ambito teorico dell’architettura in generale, ed in particolare in Italia. Come è possibile, infatti, che il problema della generale depressione del settore sia quello individuato da Podrecca, se nemmeno nel campo della ricerca teorica (distinguendo nettamente questo dall’ambito storico) alcunché di memorabile viene effettivamente prodotto nel nostro paese da anni?
Personalmente le propongo, perché la possa mettere in discussione, una lettura del problema che individui un bagliore risolutivo nella necessità di un riaggancio tra vera teoria (cioè teoria “hardware”, delle basi filosofiche, scientifiche e politiche che stanno dietro alla funzione sociale dell’architetto), e progettazione, e vorrei a questo proposito chiederle che funzione possa ancora avere un’istituzione come la Biennale di Venezia nella spinta alla soluzione delle tare architetturali del pianeta Italia. In particolare, come studentessa, le chiedo inoltre di sbilanciarsi in una riflessione sull’ambito accademico e sui rapporti attuali e possibili tra questo e la Biennale nell’ottica di una più continua e costante tensione alla ricerca sul futuro, che non rincorra solo le vetrine dei vari festival che sono in preoccupante via di moltiplicazione.
 

- LM Il problema della produzione teorica nell’ambito dell’architettura contemporanea è serio ma forse dovremmo cambiare prospettiva. Forse non è più tempo di grandi narrazioni teoriche, dei volumi decisivi che spostavano i baricentri tematici, forse il sistema carsico e frammentario dei blogger contemporanei sta modificando il nostro modo di produrre e scambiare teoria in architettura. Insieme credo che la cultura architettonica debba fare uno sforzo diverso, cercare in un mondo che sta cambiando radicalmente e drammaticamente le parole, gli stimoli e le risorse per ridefinire confini disciplinari e elementi per rielaborazioni teoriche. Per quanto riguarda l’università non ho alcun problema a dire che la maggior parte del sistema universitario italiano è inadatto ad affrontare la situazione attuale e soprattutto a portare al suo interno quegli elementi vitali, virali e critici di cui ci sarebbe molto bisogno per combattere un irrigidimento culturale e una sindrome d’accerchiamento che l’università deve abbandonare per non morire. 

Louis Kruger: architetto italiano di origine sudafricana. Vive ad Adelfia, vicino Bari. 

Mi chiedo se la Biennale, come vetrina mediatica, consolidi solo sempre di più quel confine (i boundaries di Sejima) tra l’architettura e l’edilizia, come un ulteriore cuneo che aumenta la distanza tra l’architetto e la gente comune.
E, quindi, le chiedo se il linguaggio adottato per il Padiglione Italia, è sempre più comprensibile solo per gli addetti ai lavori e meno incline al dialogo collettivo?

- LM Ho voluto una mostra semplice e corale, densa nei contenuti ma libera di essere vissuta e attraversata da chiunque. Se riusciremo in questo obbiettivo così complesso potrò dirmi felice come curatore di questo Padiglione.

9 settembre 2010
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6 settembre 2010

0042 [SPECULAZIONE] Dialogo AILATI con Luca Molinari [3]

Luca Molinari non sarò io a porle le domande ma saranno 14 italiani tra architetti, scrittori, fotografi, politici e un muratore.
Sarà un dialogo tra lei e alcuni italiani.

Dialogo che sarà diviso in quattro parti: prima, seconda, quarta

Antonie Manolova (Sofia): Un vuoto che rappresenta la crisi dell’architettura italiana

Simona Caleo (Roma): La migliore Italia

Stefano Mirti (Milano): Senza selezione, senza eleganza

Alessio Erioli (Bologna): Ecosistema informatico

Gianmaria Sforza (Milano): L’architettura a volume zero

Uto Pio (Facebook): L’ucronia per leggere il presente

Ettore Maria Mazzola (Roma): Tradizionale non concettuale

Alfredo Bucciante aka AlFb (Roma): Tornare normali

Giacomo Butté (Apolide asiatico): L’Italia di oggi

Mila Spicola (Palermo): Architettura democratica

Mahdy (muratore emiliano): In cantiere

Francesco Cingolani (Milano-Madrid-Parigi): Spazio reale virtuale

Rossella Ferorelli (Bari): Accademia

Louis Kruger (Bari): Qual è l’architettura italiana



Ettore Maria Mazzola: Architetto, urbanista, autore di diversi libri di Architettura, Urbanistica e Sostenibilità, docente presso la University of Notre Dame School of Architecture.

L’architettura di oggi, ben rappresentata dalle immagini del "promo" di “Ailati – Italia”, è sempre più concepita in maniera puntiforme e individualistica, sicché i quartieri “moderni” risultano sempre più lontani dall’idea di città e di comunità. 





Luca Molinari on AILATI from Y Magazine on Vimeo.

Personalmente ritengo che sarebbe il caso di tornare a parlare anche di “architettura delle Città”: non pensa che un evento come la Biennale dovrebbe servire anche a suggerire delle soluzioni che portino a delle città più vivibili e, come si usa dire oggi, più sostenibili? E se sì, non pensa che sarebbe il caso di iniziare a proporre al pubblico anche le architetture tradizionali piuttosto che fossilizzarsi sulla promozione di manufatti edilizi che fanno confusione tra architettura, arti figurative e concettuali?
 
- Luca Molinari Personalmente credo che la vera architettura non debba avere problemi di “genere” quanto piuttosto debba rispondere a una responsabilità civile che la vede come arte/tecnica chiamata a rispondere alle sollecitazioni e ai desideri che la società contemporanea pone con forza.
L’ “architettura della città” per come era stata pensata programmaticamente da Rossi nel 1966 è quanto di più distante dai paesaggi metropolitani contemporanei, e lo stesso Rossi nella sua illuminante “Autobiografia scientifica” si era molto distanziato da quella brillante opera giovanile. Credo invece che pensare alle architetture per le città d’oggi voglia dire ragionare su quei frammenti civili, generosi e visionari che aprano prospettive su come le metropoli stanno cambiando e su come noi potremmo viverle in maniera più aperta, laica e curiosa. Questi sono stati ad esempio alcuni dei principi con cui ho selezionato le opere della sezione “Laboratorio Italia”.

- Alfredo Bucciante aka AlFb: (1980) dopo la laurea in Giurisprudenza si è progressivamente impegnato nel campo della comunicazione su Internet. Collabora con diversi siti web (recentemente per il Post cura una rubrica su Roma) e gestisce vari blog, tra cui Luoghi comuni al contrario. Nel 2010 ha pubblicato per Einaudi il libro 'Scusa l'anticipo, ma ho trovato tutti verdi'. Poco di piú si sa di lui. 

Guardando ad alcune grandi città italiane, sembra che il problema del bello passi prima dalla sconfitta del brutto. E questo è particolarmente evidente nell'urbanistica e nella viabilità: impianti pubblicitari invasivi, auto e moto sui marciapiedi, sugli scivoli degli handicappati e via dicendo.
Alcuni meccanismi sembrano saltati, in una nome di una visione equivocata di efficientismo e praticità che non arriva a domani, figuriamoci ad un ripensamento degli spazi che guardi al vero benessere, al lunghissimo periodo e magari anche all'estetica.
Dobbiamo prima considerare che un disabile a Roma non può uscire di casa, o possiamo permetterci di ragionare come se stessimo in Norvegia (o, senza andare troppo lontano, anche in Spagna)?
Quali priorità ci dobbiamo dare?
Gli arredi urbani possono ovviamente giocare un ruolo decisivo in questo senso, ma si scontrano anche con un'amministrazione la cui visione della città è spesso chiusa, "orizzontale", e raramente "verticale" e di vasto respiro, come su una mappa.
La riflessione è quindi se sia necessaria una sorta di moratoria, un iniziale ripensamento che parta da una "messa a norma" dell'esistente, un "tornare normali" che potrebbe durare magari 10 o 20 anni e che poi da lì ci dia il diritto, per così dire, di cominciare a ragionare da grandi. Oppure, se farlo da subito si porterà dietro anche tutto il resto.


- LM Non posso che essere totalmente d’accordo con lei, e credo che questo nuovo secolo dovrà essere molto utilizzato per bonificare molti dei misfatti e dei danni prodotti nel XX. Il grande problema italiano riguardo allo spazio pubblico riguarda una forma di ignoranza cinica e violenta del valore dello spazio collettivo che ha investito le nostre città negli ultimi 50 anni dopo che per due millenni abbiamo insegnato al mondo come costruire spazio urbano a misura d’uomo. Le città del boom sono città costruite sull’Ego.ismo e su di una visione spiazzante che anteponeva l’oggetto edificio a tutto quello che gli stava intorno. Le nostre periferie sono collezioni di oggetti (belli o brutti che siano) che hanno dimenticato che la città è soprattutto fatta di vuoti, di marciapiedi, di piazze, di spazi aperti, di luoghi leggeri di vita e connessione. 

Giacomo Butté: progettista. Dopo gli studi in Europa si è spostato in Asia. Attualmente in Cambogia dove divide il suo tempo lavorando con  comunità urbane, progettando da freelance, insegnando e curiosando tra le pieghe "dell'altra Asia".

Premessa:
mi sembra che la maggior parte dei problemi italiani nascano da come il paese risponde a problematiche globali.
La biennale è una mostra internazionale, non sono i "trials" pre olimpici dove gli italiani decidono chi mandare a competere.
Quindi io non guarderei la mostra dall'interno, come molti commenti che si leggono online mi sembra facciano, ma dall'esterno.
Forse potremmo affermare che questa mostra serve a ridare, al mondo, una percezione di cosa sia l'architettura italiana oggi.
In quale modo AILATI contribuisce a costruire, nell'immaginario internazionale, la percezione di cosa sia l'architettura italiana oggi?

- LM la ringrazio del commento di partenza che condivido appieno! La mostra è stata immaginata anche per dare segnali sulla condizione italiana verso il resto del mondo. La nostra è una condizione anomala da molto tempo, almeno dal secondo dopoguerra in cui l’anomalia dell’architettura è corrisposta all’anomalia del Paese reale, e questo tipo di condizione sembra essersi ulteriormente ampliata. Il nostro è un Paese sempre più ai margini del dibattito centrale, del mainstream e ogni tentativo di rincorrere i centri risulta sempre essere provinciale e molto debole. La parola Ailati indica questo e insieme la necessità di costruire percorsi diversi, autonomi, forti di un’anomalia che oltre che essere una condizione obbligata potrebbe anche essere una interessante risorsa su cui lavorare. Ho provato a mostrare un’Italia che sia anche laboratorio e luogo in cui sarebbe interessante tornare a sperimentare seriamente, Paese permettendo!

Mila Spicola: Sicilia, architetto, insegnante, componente della direzione regionale del PD, ideatrice insieme alla registra Emma Dante della rassegna di teatro civile "cu arriva ietta vuci", nello spazio di Emma "La Vicaria". A fine settembre uscirà il suo nuovo libro 'La scuola s'è rotta' per i tipi Einaudi.


Le lascio un tema da svolgere: "architettura come rappresentazione della democrazia", come lo tratta? 
Dal punto di vista delle modalità della progettazione, della partecipazione e dalla scelta della committenza, del "tipo" e della "tipologia" dello spazio costruito.

- LM Un tema tosto ma necessario vista la deriva estetizzante di molta della nostra architettura ma soprattutto vista la scarsa attenzione alla qualità civile dell’architettura che viene data dalla maggior parte della committenza pubblica italiana. La mostra insiste moltissimo, anzi direi ha come obbiettivo centrale, quello di rafforzare l’idea civile dell’architettura e il suo ruolo/responsabilità civile. Inoltre nella sezione Italia2050 uno dei 14 temi è dedicato a “Democrazia e Media” con un intervento molto interessante di Ian+.

6 settembre 2010
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1 settembre 2010

0041 [SPECULAZIONE] Dialogo AILATI con Luca Molinari [2]

Luca Molinari non sarò io a porle le domande ma saranno 14 italiani tra architetti, scrittori, fotografi, politici e un muratore.
Sarà un dialogo tra lei e alcuni italiani.

Dialogo che sarà diviso in quattro parti: prima, terza, quarta

Antonie Manolova (Sofia): Un vuoto che rappresenta la crisi dell’architettura italiana

Simona Caleo (Roma): La migliore Italia

Stefano Mirti (Milano): Senza selezione, senza eleganza

Alessio Erioli (Bologna): Ecosistema informatico

Gianmaria Sforza (Milano): L’architettura a volume zero

Uto Pio (Facebook): L’ucronia per leggere il presente

Ettore Maria Mazzola (Roma): Tradizionale non concettuale

Alfredo Bucciante aka AlFb (Roma): Tornare normali

Giacomo Butté (Apolide asiatico): L’Italia di oggi

Mila Spicola (Palermo): Architettura democratica

Mahdy (muratore emiliano): In cantiere

Francesco Cingolani (Milano-Madrid-Parigi): Spazio reale virtuale

Rossella Ferorelli (Bari): Accademia

Louis Kruger (Bari): Qual è l’architettura italiana
 

- Alessio Erioli: ingegnere, ricercatore presso l'Università di Bologna, co-fondatore di Co-de-iT, gravita nell'orbitale che intreccia insegnamento ed ecologie del progetto in Architettura Biodigitale.

Nell'ecosistema informativo in cui ci troviamo a vivere esistono canali di informazione strutturati, filtrati e più o meno standardizzati (ad esempio le riviste di settore, le pubblicazioni cartacee, etc.), il cui consolidamento nel tempo ne ha al contempo determinato la solidità e minato la resilienza, e canali decisamente più snelli dal punto di vista strutturale (social networks, blogs, facebook, twitter) che determinano un flusso di stimoli ed informazioni di grande immediatezza ed eterogeneità, incredibilmente sensibili alle novità e al cambiamento (volendo, per meglio descrivere i due tipi di canali di cui parlo, ci si può riferire ai modelli di gerarchia e meshwork che Manuel De Landa mutua da Gilles Deleuze).
Quanti e quali di questi canali sono stati sondati e con quali criteri si è arrivati alla selezione presentata a questa Biennale? 
In altre parole: che cosa deve (o può) mostrare una Biennale di Architettura nel 2010 in modo da dare un ulteriore contributo a questo ecosistema?

- Luca Molinari Il sistema dei diversi canali (dai tradizionali a quelli di “nuova generazione”) contribuiscono di base a ogni forma di ricerca che cerchi di sondare il più possibile e nella maniera più allargata le ricerche in corso e le opere realizzate in una realtà frammentaria come quella italiana. Nel mio caso ho voluto implementare ulteriormente le ricerche con un contatto diretto, fisico, esperienziale con le opere che trovavo interessanti e che sembravano rispondere alle mie ricerche in corso. A differenza di altre occasioni in cui ho fatto direttamente uso del call-for-paper (Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana; Sustainab-Italy), ho preferito lavorare sulla grande massa di materiali accumulati in questi anni di ricerche e, insieme, di sollecitare più studi e progettisti possibili a raccontarmi le loro ricerche in corso.
Il mio obbiettivo non era una antologia dell’architettura italiana contemporanea, quanto, piuttosto, un carotaggio “critico” su alcuni temi, problemi, fenomeni rappresentati da alcuni progetti scelti.

- Gianmaria Sforza: Architetto e designer, dottore in Architettura del paesaggio. Dal 2008 è curatore della sezione 'Città in Movimento' del Milano Film Festival.

Se davvero c'è un' "emergenza paesaggio" non le sembra che la sezione sia drammaticamente scoperta, e la questione del tutto elusa?
Dovremmo dedurne che l'architettura del paesaggio, la sua dimensione operativa, del progetto, e gli architetti del paesaggio in Italia non esistono?
E, poiché non è così, che i progetti a volumetria zero non sono di per sé "interessanti", rilevanti?[1]

- LM Ho l’impressione che non abbia guardato con la dovuta attenzione le prime informazioni che sono state fatte circolare; la questione “emergenza paesaggio” è sollevata come uno dei 10 problemi/temi/fenomeni rilevanti con cui l’architettura italiana deve confrontarsi oggi, e come per le altre sezioni, ho portato pochi esempi che provassero a rappresentare questo tema così delicato e irrisolto per l’Italia: un progetto in corso d’opera per il recupero dei 5 comuni intorno a Giampilieri dopo la tragedia dello scorso settembre sviluppato da Marco Navarra/NOWA insieme alla protezione civile come azione sociale partecipata, in cui il risarcimento paesaggistico diventa uno degli elementi di azione progettuale; quindi il lancio di un concorso sperimentale sul recupero ambientale e urbano del Tevere, e due ricerche fotografiche sul paesaggio violato. Non mi sembra che questo dimostri una mancanza di attenzione e soprattutto non vuole chiudere la questione del paesaggio in una inutile “riserva indiana” che lo priverebbe di una ricchezza che ha dimostrato di avere, anche in Italia, con molte ricerche che non hanno ancora avuto la possibilità di diventare realtà.
Per quanto riguarda la questione dell’architettura a volume zero anche in questo caso mi sembra che alcuni elementi le siano sfuggiti in quanto la questione, insieme al tema centrale della necessità di non consumare più territorio e risorse, è con forza posta nella sezione Italia2050 con i lavori di Metrogramma e Marc.

- Uto Pio: Ipersituazionista e umanista Pop. Fondatore del Partito Umanista POP (PUP) di Uto Pio e Discepoli s.a.s.. Attivo su facebook. 

Fuori dalle beghe polemiche della conventicola architettonica, posto che "l'amnesia" (in architettura come nel resto dell'ambito socio-culturale e artistico) più che gli ultimi 20 anni mi pare riguardi gli ultimi 50 (e ancor di più gli ultimi 150 e oltre), e posto che quello strumento che si chiama Internet consente (e costringe) ormai a ricordare "tutto", il "blocco" (o la "stasi" che dir si voglia) mi pare banalmente determinato da un coacervo di ignoranze e pigrizie collettive determinate da un sistema (di cui l'educazione è solo la punta dell'iceberg) che induce ad inseguire bassamente il soldo, gli interessi particolari, l'opportunità del momento. È più facile farsi fascinare dal lato oscuro dell'Ucronia (nella mia personale interpretazione, passato e futuro che collassano nel presente) e contemplarla passivamente, piuttosto che seguire il processo creativo classico di un tempo: studio rigoroso del passato per trarne gli spunti migliori, interpretazione dei bisogni effettivi presenti delle persone (non si vede un progetto contemporaneo di edilizia popolare decente nemmeno col binocolo, ma sarà mia ignoranza immagino), tensione verso il futuro per migliorare canoni estetici e funzionalità rispetto ai bisogni delle persone. Il tutto magari con la sincera passione dell'architetto de "La fonte meravigliosa" di Ayn Rand, per intendersi.



La mia non domanda quindi è la seguente: come mai non siamo più capaci di seguire il suddetto processo creativo che sarà anche più "difficile" da perseguire, ma è anche il più semplice e naturale da concepire?
Se uno non la smette di contemplare passato/presente/futuro che collidono e non si tuffa nel presente con la dovuta cultura e con il dovuto impegno per risolvere problemi abitativi reali (magari perseguendo la propria personale concezione del bello), come fa a creare un Vero Nuovo?
E se tutti gli addetti ai lavori non procedono così, come fanno a nascere "spontaneamente" dei movimenti estetici originali intorno a delle idee prevalenti vincenti?
Non sarebbe meglio creare scuole di giovani a cui si insegni l’Antico Metodo che consentirebbe poi di liberarsi da qualsiasi giogo ideologico (distruggere per ri-costruire) e magari di utilizzare l’opportunità economica senza farsene dominare?
Questo, modestamente, mi verrebbe da NON chiedere.

- LM ...


1 settembre 2010

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Note:


[1] Ricordo che le facoltà di architettura sono piene di esami afferenti a questa disciplina (Architettura del paesaggio) e non è vero che non si fa ricerca, formazione né ci siano progetti e ricerche di cui non valga la pena dare testimonianza.
Curiosamente a fine settembre inizierà la 6 Bienal Europea de Paisaje de Barcelona e sarà un italiano non proprio sconosciuto, Franco Zagari, il presidente della giuria internazionale. Alla ultima edizione di due anni fa poi il Politecnico di Milano, rappresentato da ALAD laboratories, area di ricerca del Dipartimento di Architettura e Pianificazione (DIAP) del Politecnico di Milano diretta dal Prof. Maurizio Vogliazzo, ha vinto il premio come migliore scuola di paesaggio, tra le moltissime in Europa e nel mondo che hanno partecipato alla Exposición internacional de escuelas de paisaje organizzata dalla Biennale in collaborazione la Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Barcelona (ETSAB).

28 agosto 2010

0040 [SPECULAZIONE] Dialogo AILATI con Luca Molinari [1]

di Salvatore D'Agostino

Inizialmente avevo pensato di fare un’intervista sulle Biennali e non sulla Biennale coordinata da Luca Molinari.
Pensiero che ho corteggiato per pochi giorni, poi ho cambiato idea e inviato questa mail:
Luca Molinari non sarò io a porle le domande ma saranno 14 italiani tra architetti, scrittori, fotografi, politici e, se riesco a trovarla, la casalinga di Voghera (in seguito sostituita da un più consono muratore).
Sarà un dialogo tra lei e alcuni italiani.
Dialogo che sarà diviso in quattro parti: seconda, terza, quarta

Antonie Manolova (Sofia): Un vuoto che rappresenta la crisi dell’architettura italiana

Simona Caleo (Roma): La migliore Italia

Stefano Mirti (Milano): Senza selezione, senza eleganza

Alessio Erioli (Bologna): Ecosistema informatico

Gianmaria Sforza (Milano): L’architettura a volume zero

Uto Pio (Facebook): L’ucronia per leggere il presente

Ettore Maria Mazzola (Roma): Tradizionale non concettuale

Alfredo Bucciante aka AlFb (Roma): Tornare normali

Giacomo Butté (Apolide asiatico): L’Italia di oggi

Mila Spicola (Palermo): Architettura democratica

Mahdy (Muratore emiliano): In cantiere 

Francesco Cingolani (Milano-Madrid-Parigi): Spazio reale virtuale

Rossella Ferorelli (Bari): Accademia

Louis Kruger (Bari): Qual è l’architettura italiana

Vorrei iniziare prendendo spunto da una riflessione, posta in un commento sul blog della rivista Abitare[1], da una donna architetto non italiana
:

- Antonie Manolova:
vive a Sofia in Bulgaria.. Architetto, interior designer, fondatrice e curatrice dell'edizione bulgara della rivista italiana Abitare, il suo intento è di offrire un punto di vista contemporaneo agli architetti bulgari. Per alcuni mesi ha collaborato come progettista e presentatrice a un programma sul design d’interni per il canale bTV.

Antonie Manolova, 05.05.2010 alle 11.43 :
«my italian is not good, but correct me if I got it wrong – you criticize Molinari for not stating that “l’Italia è in crisi fortissima, e non lo si dice.”
Imagine then, what the wise thing to do would be?
It seems to me, that to keep the Italian pavilion closed for the whole duration of the Biennale might convey the message.
Bulgaria will not be in Venice this time, and there will hardly be anyone noticing.
But if Italy does the same – a void will be created, and … the risk involved is to be willing to see what happens next?» [2]
 

- Luca Molinari Fermo restando che per il momento si è parlato solo intorno a un comunicato stampa con un elenco provvisorio di progetti che in questi mesi stanno anche in parte cambiando, non credo di aver mai negato la condizione di crisi strutturale in cui versa l'architettura italiana. I tanti articoli che ho scritto in questi anni lo testimoniano. Ma credo anche che il padiglione Italia abbia il dovere e la responsabilità culturale di rileggere criticamente chi siamo, la situazione complessa che stiamo vivendo, oltre che a rendere visibile le tante storie interessanti e di ricerca faticosa che tanti bravi architetti portano avanti nel nostro territorio. Non credo che l'assenza crei presenza (alla Nanni  Moretti, se vengo alla festa e mi nascondo sul balcone tutti mi notano perché non mi vedono...) ma credo invece che una presenza critica forte, consapevole e generosa sia invece necessaria da parte della critica. A forza di assenza, l'architettura italiana è letteralmente scomparsa dalla scena internazionale, forse perchè non ha nulla da dire, o forse perché è laterale rispetto al mainstream del dibattito generale.

- Simona Caleo: giornalista e fotografa freelance di base a Roma. Collabora con l'agenzia OtN e con il sito dell'Espresso. Ha collaborato con il World Food Programme e l'Unicef e pubblicato sui principali quotidiani e magazine italiani.

L'Italia - paese dominato da speculazioni, miserie edilizie e fame cronica di abitazioni dignitose per sempre più nutrite fasce meno abbienti - sembra vivere ormai in uno stato di costante scollamento tra i grandi progetti che toccano appena (a volte felicemente, altre meno) la vita della gente e una disertata quotidianità.
Quando si parla di visioni concettuali, di anomalie e di sperimentazione vorrei tanto che tutte queste forze di pensiero e di immaginazione si volgessero da quella parte, non per qualche notabile progetto saltuario, ma per un'azione forte e incisiva, almeno in forma progettuale e propositiva. Non potrebbe essere proprio la Biennale il luogo per fomentare una nuova stagione di concretezza creativa, offrendo spazio e voce a tutte le nuovissime leve che potrebbero avere qualcosa da dire e mostrare? Io vorrei essere sorpresa. E lei?

- LM Lo scenario che lei dipinge è vero; mai come negli ultimi vent'anni il consumo di territorio e una vera e propria "fame chimica" di cemento ha aggredito il nostro territorio da Nord a Sud. Concordo anche molto sul fatto che la realtà attuale stia producendo domande e desideri inediti che attendono risposte nuove anche dall'architettura. Nella sezione centrale della mostra intitolata "laboratorio Italia" abbiamo provato a individuare alcune famiglie tematiche e progetti di autori spesso sconosciuti che si confrontano con alcune di queste prospettive. Nelle sezioni "Costruire a 1000 euro al metro quadro" abbiamo individuato progetti costruiti di autori che si sono confrontati con i budget tipici da cooperativa e da geometri per costruire residenze con una qualità superiore nelle periferie urbane. Oppure la questione di come utilizzare i beni sequestrati alle mafie che apre prospettive interessanti e mai indagate in una Biennale di architettura, o la questione urgente dell'emergenza paesaggio che sta colpendo tutto il nostro Paese. Sulla questione delle sperimentazioni credo invece che gli autori debbano anche confrontarsi con temi più generali a cui l'architettura possa dare una delle possibili, parziali soluzioni, proprio per riportare la sua ragione d'essere a una dimensione civile e vicina ai reali bisogni delle persone.

- Stefano Mirti: architetto e designer. Fondatore di Cliostraat, responsabile della scuola di design 'NABA', partner di Id-lab, curatore (per un anno) della rubrica Mirtilli per la rivista Abitare sezione online, nel giugno del 2010 ha ideato ὄψις: l'enciclopedia di tutti i tempi, tutte le persone, tutti i paesi.

Luca, sto formulando questa domanda domenica 11 luglio 2010. Questa sera si gioca la finale della Coppa del Mondo, per cui, penso a quel mondo li'.

:-)

Concedimi una cattiveria infinita. Provo a stabilire un parellelo tra il commissario tecnico della nazionale e il curatore del padiglione Italia (so gia' che ti stai toccando, sorry).

;-)

Siamo andati in Sud Africa con una nazionale bolsa e il fatto di essere usciti malamente al primo turno non ha sorpreso nessuno. Similmente a Lippi, anche il tuo lavoro di "selezionatore" ha suscitato molti dubbi e perplessita'. Se la Biennale fosse organizzata tipo la Champion's League, io direi che il Padilgione Italia non passa il primo turno.

Hai riempito la tua squadra di titolari che non farebbero giocare neanche a Dubai (e gia' con Cannavaro abbiamo visto che non si va lontano). In un paese che invece e' ricco di qualita' (a mio avviso). Perche'?

Se il Padiglione Italia della Biennale d'Arte puo' reggere Vezzoli e Penone, non si puo' immaginare un Padiglione Italia della Biennale di Architettura che non vive di tutto e del contrario di tutto?

Che so, quando Sejima aveva fatto il Padiglione del Giappone qualche anno fa, c'era lei e basta.
Non lei che organizzava lo spazio dove poi trovavano spazio e posto 392 figurine ognuna con un ruolo miserrimo e tutto sommato banale.
Che cosa sarebbe successo se il padiglione fosse stato uno spazio significante in quanto tale, affidato a Francessco Librizzi
+ Salottobuono + Tankboys (o chiunque altro delle persone da te selezionate che una per una sono in genere ok, ma che tutte assieme si annullano e disintegrano)?

Non sarebbe stato molto piu' forte, potente, significativo?
Lo so che la tua natura e' un'altra, ma per quel tipo di lavoro li', c'e' gia' il web che funziona egregiamente. Nel 2010, ha ancora senso il padiglione con mille figurine?

Grazie per la risposta, buon "mondiale", ciaociao
Stefano Mirti

- LM caro Stefano
se avessi vinto un Mondiale prima e ripresentassi la stessa nazionale avresti ragione, ma così non è, invece quello che avviene in Italia, alla stessa stregua della nazionale, è che tutti vorrebbero fare i commissari tecnici solo perché leggono tutti i giorni la Gazzetta dello Sport!
Pensare che i progettisti che ho invitato siano "bolsi" fa pensare che la nostra architettura sia messa molto male; ci sono autori anche da te molto amati, ma soprattutto ci sono architetti che malgrado il Paese in cui vivono e lavorano, producono architettura di grande qualità e di forte resistenza culturale e che è necessario rendere visibili a dispetto delle riviste che pubblicano sempre gli stessi autori e di chi si parla solo molto addosso.
Poi i commenti fatti sula lista della spesa pubblicata i primi di maggio mi lasciano abbastanza indifferente perché della scelta di 45 autori nessuno sa cosa esporremo e cosa ne faremo; del gruppo dei 14 autori di Italia2050 si possono fare solo supposizioni visto che stiamo lavorando in tempo reale con loro in un laboratorio interessante e imperfetto.
Io non sono Sejima, sono uno storico dell'architettura d'oggi e penso di avere un altro ruolo politico e culturale. Non posso pensare di mettermi in scena; nè credo che basti chiamare dei giovani di talento per fare un padiglione pieno di poeticissimi coriandoli o di fiori di alluminio.
Lo spazio diventa "significante" se è capace di portare provocazioni utili e consapevoli, questo è il ruolo che sto cercando di dare al padiglione Italia; non una antologia inutile, non un campo giochi per esercitazioni accademiche, ma un progetto su cui confrontarsi attivamente e generosamente.
Che cosa serve oggi all'architettura italiana?

La scoperta del giovane di turno emergente?
La presentazione di una nuova generazione o stile o dogma?
La messa in mostra del lavoro più polemico e provocatorio da solo come se bastasse a presentare un Paese così complesso e contraddittorio?
L'ennesima lode del "famolo strano" che ci piace a tutti?
Non credo alcuna di queste risposte da sola... 
Io credo illusoriamente che oggi bisogna ripartire da nuovi racconti. Racconti corali, di parte, civili, portatori di contenuti culturali e politici, sembrerà retorico e un poco "vecchia maniera", ma i contenuti densi e che devono necessariamente sedimentare con calma, hanno bisogno di piattaforme anche tradizionali, piattaforme che nessun abile surfing può garantire in questo momento.
Poi si aprirà finalmente la mostra, finalmente tutti voi vedrete cosa abbiamo fatto e, finalmente, si parlerà di contenuti e di scelte.
A questo punto, la mostra, nel bene e nel male, avrà assolto il suo compito, e alla fine della partita si vedrà se il vincitore ci ha fatto emozionare, divertire, insegnato qualcosa di nuovo o se invece ha solo vinto su di un fuorigioco non segnalato.
ciao
L

(ndr risposta del 12 luglio 2010)

28 agosto 2010 (Ultima modifica 1 settembre 2010)

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Note:

[1] Redazionale, AILATI. RIFLESSIONI DAL FUTURO, Abitare Web, 4 maggio 2010. Link

[2] Traduzione: Il mio italiano non è dei migliori, correggetemi se ho capito male – Molinari viene criticato perché sottovaluta che: "l'Italia è in fortissima crisi, e non lo si dice".
Cerchiamo di immaginare, quale dovrebbe essere la cosa saggia da fare?
Mi sembra che chiudere il padiglione italiano per l'intera durata della biennale potrebbe trasmettere un messaggio.
La Bulgaria non sarà alla biennale quest'anno e dubito che ci sarà qualcuno che lo noterà. Ma se l'Italia facesse lo stesso - non si creerebbe un vuoto – con il rischio di essere obbligati a vedere cosa succederebbe dopo?