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31 maggio 2010

Architettura nei mass media, un’immagine distorta

di Salvatore D'Agostino

Wilfing Architettura
sarà tra i relatori del convegno dal titolo “Architettura nei mass media, un’immagine distorta’ nell’ambito della Festa dell’Architettura di Roma Index Urbis.


martedì 15 giugno 2010

presso la Casa dell’Architettura
Piazza Manfredo Fanti, 47 Roma

Programma:

ore 16.00 Jazz session

ore 16.30 presentazioni
  • risultati del sondaggio sul tema dell’architettura e del ruolo dell’architetto a cura del movimento Amate l’architettura;
  • percezione e analisi dell’immagine dell’architettura contemporanea nei mass media;
  • la comunicazione dell’architettura e la realtà di una periferia romana in collaborazione con il gruppo fotografico Zone d’Ombra.
ore 18.00 performance teatrale

ore 18.30 tavola rotonda


Moderatore:
Luca Gibello (Giornale dell’Architettura);


Relatori: Diana Alessandrini (giornalista Gr1 RAI), Francesco Erbani (giornalista Repubblica), Gianni Maritati (giornalista tg1 RAI), Giuseppe Pullara (giornalista), Alessandro Anselmi (architetto), Salvatore D’Agostino (blogger architetto), Mara Memo (sociologa Univ. Sapienza) Marco Angius (direttore d’orchestra) Laura Milan (Giornale dell’Architettura)


ore 20.00 dibattito


Qui per saperne di più.



31 maggio 2010


COMMENTA

Intersezioni --->SPARSI


Come usare WA ----------------------------------------Cos'è WA


24 maggio 2010

0039 [SPECULAZIONE] Un colloquio con Walter Siti

di Salvatore D'Agostino

Walter Siti va semplicemente letto la sua scrittura stride con i titoli e gli occhielli ammiccanti.

Salvatore D'Agostino In un ‘intervista a Peppe Fiore afferma: «In questi vent’anni la cultura umanistica è completamente crollata e noi che insegnavamo alle facoltà di lettere non ce ne siamo occupati. E penso che questa sia stata la colpa più grave della nostra generazione. Io credo che fare gli storici dei sentimenti, cioè capire che cosa ne è stato dei sentimenti in questi anni televisivi, mediatici, sia un lavoro fondamentale. Che ne è stato dell’amore? Capirlo diventa un lavoro politico. Ed è un lavoro che si può fare soltanto con il romanzo»
.[1]
Aggiungerei ’in questi anni televisivi, mediatici’ e d’interazioni virtuali.
Che cosa intende per “capirlo diventa un lavoro politico che si può fare soltanto con il romanzo"?

Walter Siti Ho l’impressione che tra le mutazioni (anche fisiche) a cui la specie umana sta andando incontro, nell’era del progressivo accelerarsi del consumo e delle tecnologie, una delle mutazioni più interessanti sia proprio quella dei sentimenti. L’odio, l’orgoglio, la tenerezza, la malinconia, e ovviamente l’amore, devono tutti lottare contro una perdita della pazienza. Il tempo per nutrire (come si diceva) i sentimenti non c’è più: è eroso progressivamente dalla velocità dei collegamenti e delle comunicazioni. È talmente facile procurarsi dei surrogati, che esteriormente sono perfino più brillanti dei sentimenti veri e soprattutto sono più maneggevoli! Ci illudiamo, se crediamo che questi surrogati appartengano soltanto al mondo dei reality e alla second life della Rete; partendo da lì, invadono quasi per intero il campo della vivibilità, appaiono più moderni e infinitamente più liberi. Si possono gestire (orribile vocabolo) e scambiare come prodotti già confezionati – non hanno quel brutto vizio, che avevano i sentimenti antichi, di inquinare i rapporti con sussulti imprevedibili e imbarazzanti per l’oliato macinare della macchina sociale. Il tempo dell’intimità è finito, la collettività grida sempre più forte e vuole riservati a sé tutti gli eccessi; ormai viviamo tutti in un enorme condominio dove si chiede ragione delle reazioni psichiche che non siano immediatamente etichettabili. Per ogni pulsione c’è un placebo già pronto, prima che la pulsione possa diventare sentimento.
La politica-politica su queste questioni non morde, perché è preda della collettività. Il romanzo, storicamente, è stato il luogo dove gli individui problematici opponevano i loro sentimenti al conformismo del collettivo; anche ora può essere il luogo dove, problematicamente, gli individui mutanti espongono i loro sentimenti surrogati, mutilati o dilatati artificialmente; il luogo dove li fanno collidere con l’urlio sempre più totalitario, ricavandone ancora una strisciata di senso.

Ho immaginato l’enorme condomino da lei descritto come la Dogville di Lars Von Trier - dove i muri delle case della città di ‘Dogville’ non esistono, ma sono schematicamente disegnati in bianco su una superficie nera - con una variante: i vetri degli schermi che usiamo quotidianamente ‘TV, Computer, telefonino’ non producono immagini ma ologrammi con cui ci relazioniamo non solo emotivamente ma anche fisicamente.
A proposito della pervasività dell’immagine nell’era della tecnologia, Marshall Mc Luhan nel suo saggio ‘Gli strumenti del comunicare’[2] riprende un articolo «”Vouge” del 15 marzo 1953: “Oggi una donna, senza uscire dal proprio paese, può avere nel proprio armadio il meglio di cinque o più nazioni: cose belle e in armonia come il sogno di un uomo di stato» - e afferma – «Le dive del cinema e degli attori più popolari sono da essa consegnati al domino pubblico. Diventano sogni che col denaro si possono acquistare. Possono essere comprati, abbracciati e toccati più facilmente che le prostitute. Per questa sua componente di prostituzione tutto ciò che è prodotto in serie incute spesso un certo disagio. Le balcon di Jean Genêt è una commedia sul tema della società come bordello circondato dalla violenza e dall’orrore. L’avido desiderio di prostituirsi dell’umanità resiste al caos della rivoluzione. Il bordello rimane solido e immutabile in mezzo ai cambiamenti più radicali. È stata insomma la fotografia a suggerire a Genêt l’immagine del mondo dell’era fotografica come di un bordello senza muri».
A più di cinquant’anni, che differenza c’è tra il ‘mondo come bordello senza muri’ ipotizzato da Genêt-Luhan e il suo 'enorme condomino'?

Il luogo che ho inventato non è un “enorme condominio”, è una casa popolare con sette appartamenti; tanto per dire che la mia campionatura è scarsa e tendenziosa. Tutto quello che in borgata è speranza di futuro, voglia di costruire, pazienza, non ha cittadinanza nel mio libro. La mutazione in corso ce la faremmo troppo facile se la immaginassimo come una deriva coerente verso l’irrealtà; sarebbe troppo comodo esecrarla moralisticamente e sentirsene immuni. Genêt, e anche Pasolini, immaginavano il consumismo come un universo concentrazionario perché la compulsione al possesso infinito portava inevitabilmente a un labirinto di specchi che moltiplicava l’ossessione. Il rapporto padrone/schiavo finiva per essere riassuntivo della società, intesa come un Moloch compatto, tanto più oppressivo quanto più falsamente tollerante. Il bordello diventava la metafora-principe perché il desiderio sessuale era visto come il più primitivo dei desideri, trasgressivo e omologatore al tempo stesso.
Paradossalmente, la loro disperazione era ottimista: si sapeva subito da che parte stare. Era una disperazione di lusso, tipica di un’epoca affluente. Ora, che i rischi di una deformazione della democrazia sono molto più concreti, temo che ognuno di noi debba fare i conti col proprio bordello personale: una specie di bordello portatile dove l’ossessione del possesso lotta e si dibatte contro una sensazione di asfissia. Nel castello di Salò l’amore era severamente proibito; adesso amore e ossessione si scambiano le maschere, non si sa più quale desiderio sia il fondamento e quale la sublimazione. Nel mio piccolo condominio, ogni appartamento ha un modo diverso di perdersi e di riempirsi di gente nuova; l’ossessione erotica del professore, che ne è un po’ la coscienza critica, si arena alle soglie di un amore postumo e viene condannata da un inconoscibile ragazzo rumeno. L’irrealtà e la virtualità sono terribilmente reali ed effettive.


Nel 'Il contagio', oltre al professore, troviamo una coscienza critica al femminile 'Lucia', un'insegnate universitaria amante di Mauro un imprenditore edile senza scrupoli, nato nelle borgate.
«Il fenomeno etologico della simbiosi, Macbeth con la sua lady, la sindrome del bambino scambiato in culla: Lucia mette in campo l'intero esercito delle proprie nozioni, socio e psicologiche, ma Mauro continua a sembrarle un enigma. Per risarcirsi in qualche misura della triste consapevolezza che la cultura non basta, cerca di culturalizzare il loro legame, accusa Mauro di non avere interessi; «uno con il tuo intuito e la tua velocità, è un peccato restare chiuso nel recinto dei soldi... se tu leggessi di più, se ti abituassi a vedere la realtà nella sua interezza... anche non materiale, simbolica... forse perfino i tuoi orizzonti economici si allargherebbero... io ammiro molto che ti sei costruito da solo, ma tutti noi siamo responsabili di qualcosa di più ampio». «Tanto c'è internet» risponde lui per stuzzicarla. Ma sotto sotto è ferito, gli piacerebbe assorbire il virus dell'istruzione; se ne accorge le poche volte che escono, che lei è padrona della storia e della geografia - le chiese, i palazzi, per lei vogliono dire qualcosa, è come se in città passeggiasse tra amici. Perfino "non mollare" e "tiremm innanz", che lui li dice sempre. Lucia gli ha garantito che il primo viene da un giornale socialista e non da Gigi D'Alessio e Simona Ventura, il secondo era un patriota che rinunciava a salutare i suoi figli per non tradire la causa».[3]
Più di cinquant'anni fa il giornalista Antonio Cederna pubblicava un libro dal titolo 'Vandali in casa'[4] dove denunciava l'attitudine alla bieca speculazione - noncuranti della storia sia del passato sia del presente - dei protagonisti dell'edilizia italiana.
I Mauro sono solo rozzi borgatari? Possiamo ancora chiamarli vandali?


WS
Beh no, i Vandali hanno vinto qualche battaglia e hanno fondato il loro regno, come gli Stati barbarici in Europa tra il IV e il V secolo dopo Cristo. Anche la loro cultura si è consolidata e (come accade nei regni barbarici) si è contaminata con la cultura dei dominatori precedenti. Berlusconi ama i libri antichi e le cose belle, si fa consigliare da critici d’arte per i suoi acquisti; solo che davvero non capisce perché gli aquilani si ostinino a voler tornare tra vicoli stretti e in case buie, quando lui gliene ha costruito delle nuove dotate di ogni comfort. Direi che quello che manca ai nuovi barbari regnanti è la stratificazione, la percezione dell’abitare come sedimentarsi di sublimazioni. Al massimo (e a stento) possono capire la memoria: ma non colgono la malinconia, la solidarietà, l’appartenenza, l’inconscio collettivo.
Sono tutte cose, queste, che stanno generalmente sparendo dall’orizzonte: molti studenti dell’Aquila ci vanno volentieri nei borghi-satellite, perché già prima del terremoto s’erano abituati a passare nei centri commerciali gran parte del loro week-end. Molte periferie sembrano costruite dopo un terremoto che non c’è stato, e non sono uniformemente brutte: contengono angoli decisamente belli, scorci spaesanti e sorprendenti, biblioteche di vetro che sei al Quarticciolo e sembra d’essere a Stoccolma. La loro invivibilità è a macchia di leopardo, come la rozzezza dei nuovi barbari regnanti. Al tempo di Cederna, una borghesia colta ancora piuttosto sicura di sé poteva espellere dal proprio immaginario l’inquinamento culturale, proprio come espelleva (almeno idealmente) i palazzinari dai suoi salotti. Ora ho l’impressione che quella borghesia sia una specie in via d’estinzione e che molti abbiano dato le loro figlie in spose ai nuovi barbari. Dove le figlie sono proprio le idee, le antiche certezze. I nipotini assomigliano un po’ al nonno che ascolta Schubert e un po’ al nonno che si diverte con La pupa e il secchione; non sapranno più che cosa gli viene dall’uno e che cosa dall’altro.

Lei è stato professore di Letteratura italiana contemporanea all’Università dell’Aquila.
È ritornato all'Aquila dopo il terremoto?


No, non sono più tornato all'Aquila dopo il terremoto, non ne ho più avuto l’occasione.


La precedente risposta mi riporta a un passo significativo del ‘Il contagio’: «L’appassionata analisi di Pasolini, vecchia di oltre trentanni  andrebbe rovesciata: non sono le borgate che si stanno imborghesendo, ma è la borghesia che si sta (se così si può dire) “imborgatando”. Al di là dell’esperienza biografica di pochi individui sbrancati, o dell’arroganza esibizionistica di qualche ricco che gioca al sottoproletario (“se hai dei soldi, una bella macchina e un po’ di cocaina, puoi scopare chiunque” è un motto del carcere ammirato e condiviso da Fabrizio Corona) – al di là dei casi singoli, vige un’effettiva solidarietà strutturale: nel continuum indifferenziato di chi il mondo non sa più vederlo intero, è l’ideologia di quelli che una volta si chiamavano gli esclusi (i lumpen, i sub-culturali) a risultare egemone)».[5]
Francesco Merlo nel suo recente libro ‘FAQ Italia’ - da giornalista - rivede il pensiero pasoliniano:

«Tutto l’attuale Strapaese è, magari incosapevolamente (sic), innanzitutto pasoliniano perché Pasolini, innamorato del sottoproletariato e del mondo contadino che aveva in testa e che gli pareva il tempio della premodernità antifascista, sognava nelle lucciole il ritorno a una società superata ma migliore. Oggi è lucciola pasoliniana anche il cattolicesimo che si fa tomismo, è lucciola il latino nella messa, è lucciola l’idea che la realtà dissolta possa avere ragione del mondo moderno. Ed è lucciola non solo l’Italia che si oppone ai treni veloci, ai posti, ai termovalorizzatori, alle autostrade ma anche quella che disprezza gli architetti e non vuole i grattacieli, che infatti non piacciono né al costruttore arcitaliano Berlusconi né al padano premoderno Celentano cresciuto in via Gluck, spazio metafisico maledettamente simile alla cascina Magnano di Umberto Bossi elevata a cattedra e a università della ruralità leghista».[6]
Le confesso, c’è qualcosa che non mi convince.
Mi spiego, forse quella borghesia cerderniana non aveva le capacità ‘intellettuali’ per rinnovare il paese, lasciando - non incolpevolmente - ai non borghesi ‘fisiologicamente incolti’ l’incombenza di farlo? Eppure la letteratura - con Italo Calvino attraverso il Caisotti della 'Speculazione Edilizia' e Carlo Emilio Gadda con il suo Pastrufazio ‘Della cognizione del dolore’ - aveva saputo raccontare questo delicato passaggio.


Lo shock che ha colpito gli intellettuali è stato conseguente a una troppo rapida sparizione del passato; soprattutto per quelli che venivano dalla borghesia colta, cioè da un ceto che aveva radicato il proprio privilegio nella capacità di possedere la Storia. Tra gli Anni Ottanta e i Novanta, noi tutti che insegnavamo all'università abbiamo dovuto registrare che nella mente dei giovani lo spazio e il tempo si stavano contraendo fino a diventare poco più che dei flatus vocis. Così brutalmente deprivati di un loro possedimento, gli intellettuali hanno finito per idealizzare il passato, conferendogli una tinta poetica e identificandolo con una bellezza sobria e intimista, tutto sommato stereotipa.
Forse non hanno avuto la forza di guardare in faccia la mutazione e di azzardarsi verso una nuova bellezza dai tratti sconosciuti. I nuovi meticciati li hanno chiamati barbarie, perché così era più consolante. La cultura è diventata sempre di più un bene-rifugio o al massimo un valore di scambio, non un valore d’uso da spendere nella vita bassa e caotica in cui si afferma il mutamento. I quartieri (anche mentali) abitati dagli intellettuali assomigliano sempre di più a isole felici e imbalsamate, dove non c’è una foglia fuori posto e anche gli uccellini cantano a tempo di musica. Avendo fatto di se stessi un paradiso turistico, solo l’emergenza e la sommossa li possono svegliare.

Nell'ottobre del 2008 si reca negli Emirati Arabi per un racconto di viaggio da pubblicare nella collana ‘24/7 Strager’ della Rizzoli. Alla fine del viaggio confessa: «Quasi quasi faccio il tifo per loro. Una cosa è certa: se volevo disintossicarmi, non è stata una buona idea venire qui. Questo Paese è intagliato nella stessa materia delle mie ossessioni, ha puntato sugli stessi numeri».[7]
Quali?

Beh, sono i numeri della quantità che sfida la qualità, del pretendere amore in cambio di denaro. Gli Emirati hanno attirato folle di imprenditori entusiasti e (sedicenti) adoranti solo perché tutto lì veniva strapagato, i controlli bancari erano minimi eccetera. Dubai è un luogo dove si vende l’immagine molto più che la realtà, e dove il lusso è chiamato a surrogare la felicità. Un luogo dove l’ossessione del possesso maschera oceani di disamore, di autoritarismo e di competizione frustrata. Il parallelo con la mia povera vita privata lo faccia lei.

Mentre preparavo quest’intervista mi diceva: «lunedì 19 consegnerò a Mondadori il mio prossimo romanzo».[8]
Com’è andata?

Ho effettivamente consegnato il libro, che uscirà in ottobre. Si intitola Autopsia dell’ossessione e parla giustappunto delle cose di cui alla risposta precedente.

24 maggio 2010


Intersezioni --->SPECULAZIONE
__________________________________________
Note:
[1] Peppe Fiore, Intervista a Walter Siti, Minima & moralia (blog), 29 luglio 2009. Link
[2]
Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il saggiatore, Milano, 1997, pp. 201-202
[3] Walter Siti, Il contagio, Mondadori, Milano, 2008, p. 234
[4] Antonio Cederna, Vandali in casa, Laterza, Bari, 1956
[5]
Walter Siti, Il contagio, Mondadori, Milano, 2008, p. 313
[6]
Francesco Merlo, FAQ Italia, Bompiani, Milano, 2009, p. 49
[7]
Walter Siti, Il canto del diavolo, Rizzoli, Milano, 2009, p. 200
[8]
mail del 12 aprile 2010

L'immagine è stata tratta dal libro di Walter Siti, Il contagio, Mondadori, Milano, 2008


13 maggio 2010

0029 [MONDOBLOG] Reti e relazioni digitali

di Salvatore D'Agostino

«Per alcuni, qualsiasi affermazione sul "crollo dei confini tra individui" è una profezia che delinea una società utopica di armonia e felicità, ma la mia ricerca non va in questa direzione. Sono d'accordo con quando diceva Lewis Mumford nel 1939, e cioè che gli esseri umani "tendono a socializzare meglio a distanza, invece che nelle sfere immediate, limitate e locali; a volte raggiungono un rapporto ottimale quando, come nel caso del baratto tra selvaggi, nessun gruppo è visibile all'altro".» (Joshua Meyrowitz)1
Andrea Graziano non è soltanto un blogger ma un catalizzatore della cultura digitale in Italia e non solo. In questo colloquio parleremo di reti e relazioni non semplicemente digitati. DigitAG& è il suo blog.

Salvatore D'Agostino Nel tuo blog ti presenti in questo modo:
«Il mio intento, come dice il nome del blog, è di "taggare" o meglio linkare ciò che vedo intorno a me nel campo della ricerca architettonica digitale senza voler classificare o dare indicazioni di merito. Voglio solo fornire spunti a chi non conosce l'argomento e stimoli per una ricerca personale a chi è già interessato. Questo blog vuole essere un contenitore di notizie "democraticamente random".»
Che cos’è e qual è l’architettura digitale?

Andrea Graziano Il termine architettura digitale è sicuramente tutt'ora un termine vago, ma tre anni fa quando ho iniziato l'avventura del blog era un termine che per me sintetizzava bene un mio preciso interesse, ovvero come l'utilizzo del computer e dei software potesse aiutare il designer e l'architetto nella fase progettuale e soprattutto in quella di ideazione. Non parlo di redazione degli elaborati progettuali, di computer aided design, ma di fornire nuovi strumenti per elaborare e gestire in maniera integrata molte delle complessità a cui dovremo sempre più far fronte durante la fase progettuale.
Era il periodo in cui si vedevano (o meglio, io vedevo per la prima volta) su alcuni blog o siti di rinomate università straniere tipo SCI-ARC, AA school, Columbia i primi script pubblicati inerenti ricerche su nuove morfologie, approcci di tassellazione superficiale, tentativi di introdurre relazioni matematico-formali, sperimentazioni di software di derivazione ludico-cinematografica per apportare all'interno del progetto nuovi parametri e variabili quali tempo, forze, campi di attrazione, agenti e diagrammi. Ci tengo a precisare che il mio più che un blog inerente l'architettura digitale si occupa di ricerca architettonica tramite strumenti e tecniche digitali e cerca di monitorare ciò che d'interessante (a mio sindacabile giudizio) ho l'occasione di vedere e leggere sul web. Il mondo di oggi sta rapidamente cambiando e alcune delle parole chiave di questo cambiamento tipo complessità, network, connessioni sono proprie degli strumenti digitali che utilizziamo quotidianamente, ma come questi strumenti e tecniche possano entrare nel processo architettonico - e permettere un'evoluzione sia degli strumenti che della progettazione e soprattutto della comprensione che possiamo avere di modelli maggiormente complessi - è la curiosità che muove oggi il mio blog.

«Magris — Credo che non esista una contrapposizione fra i barbari e gli altri (noi?). Anche chi combatte molti aspetti «barbarici» non è pateticamente out, ma contribuisce alla trasformazione della realtà. Come nel Kim di Kipling, in cui tutti spingono la Ruota e ne sono schiacciati. Senza pathos della Fine né di un miracoloso e fatale Inizio. La civiltà absburgica, così esperta di invasioni barbariche, non le demonizzava né le enfatizzava; si limitava a dire: «È capitato che...» Baricco — «È capitato che...», bellissimo. Quando ho pensato di scrivere I barbari avevo proprio uno stato d'animo di quel tipo… Sta capitando che… Non avevo in mente di raccontare un'apocalisse e nemmeno di annunciare qualche salvezza… volevo solo dire che stava succedendo qualcosa di geniale, e mi sembrava assurdo non prenderne atto.»2
Il tuo blog sembra dire: Sta capitando che...?

Sta capitando che ..... è in atto una "mutazione" profonda e radicale. Viviamo un tempo di transizione in cui i modelli con cui eravamo soliti leggere e descrivere il mondo non valgono più. La crisi, anche economica, che stiamo attraversando ne è un sintomo evidente ed è aggravata dal fatto che continuiamo a voler spiegare gli avvenimenti ed i fenomeni con regole e paradigmi non più attuali mentre la realtà si evolve autonomamente e crea, con i suoi contingenti presupposti, nuovi fenomeni e nuovi modi di interazione e di sviluppo. Il Web ne è la dimostrazione per eccellenza. La possibilità di poter essere connessi nello stesso momento con chiunque sta dando vita innanzitutto ad un incremento esponenziale delle quantità di informazioni disponibili (magari meno accurate, ma sicuramente incredibilmente numerose) e allo stesso tempo ad una sorta di intelligenza collettiva in cui ognuno di noi assume idealmente il ruolo di neurone all'interno di questa nuova forma di intelligenza in via di evoluzione. La "mutazione" principale che sta caratterizzando anche la ricerca architettonica è individuabile nella sempre maggiore attenzione dedicata ai processi di relazione e connessione fra le parti piuttosto che al "tutto" o le "parti" stesse. Per quanto riguarda il mio blog ed i suoi intenti uso le stesse parole di Baricco: "Vorrei spiare la mutazione, non per spiegarne l'origine (questo è fuori portata), ma per riuscire anche lontanamente a disegnarla". Ecco, il mio blog vuole "disegnare" o meglio monitorare (visto che sono dinamici) i cambiamenti in atto riportando "frame" del lavoro, degli strumenti e degli avvenimenti che avvengono e reputo significativi di nuovi modi i procedere e pensare.

Una delle poche rubriche importati della rivista Wired edizione italiana è quella curata dal linguista Marco Biffi dal titolo ‘Parole alla crusca’. Nel sesto numero, agosto 2009, parla della parola ‘Infopovero’:
«è colui che non ha sufficiente competenza informatica e non domina le nuove tecnologie. […] Per questo la fusione del prefissoide info- con l’aggettivo povero risulta efficace: chi è infopovero rischia di restare emarginato, senza lavoro, di essere povero e basta».3
Un sinonimo di infopovero è ‘tardivo digitale’, per capire il suo significato parliamo del suo opposto:
«Li vedete dappertutto. La ragazzina con l’iPod seduta di fronte a voi in metropolitana che scrive freneticamente messaggi sul cellulare. Il genietto del computer che fa praticantato estivo nel vostro ufficio e a cui chiedete disperatamente aiuto quando vi si pianta l’e-mail. Il bambino di otto anni che potrebbe battervi a qualsiasi videogioco sul mercato – e oltretutto scrive al computer molto più veloce di voi. Persino la figlia neonata di vostra nipote, che non avete mai incontrato perché abitano a Londra, ma a cui siete comunque affezionati per via della caterva di foto che vi arriva ogni settimana. Tutti questi personaggi sono “nativi digitali”.»4
In un’intervista televisiva Italo Calvino afferma:
«[ndr intervistatore] Il rapporto tra padri e figli come potrà cambiare, cambierà? [ndr Italo Calvino] Bisogna vedere che padri saranno. Io credo che continuerà questa crisi di discontinuità tra le generazioni.  I padri sono sempre più insicuri su quello che devono insegnare o insegnano delle cose che praticamente non servono.»5
C’è in corso un problema di comunicazione tra architetti tardivi digitali e architetti nativi digitali?

Innazitutto penso che le categorie in generale, fra cui "tardivi digitali" o "nativi digitali", vadano bene per esemplificare tendenze ma nella realtà delle cose non spieghino mai la specificità delle situazioni o dei casi. Sicuramente le nuove generazioni hanno una predisposizione all'uso di determinati strumenti indotta dalla digitalizzazione pervasiva del contesto in cui vivono. Ma ci tengo invece a precisare il fatto che i "digital tools" vanno intesi appunto come "strumenti", maggiormente attuali, efficaci e potenti ... ma comunque strumenti. Se guardiamo le cose in quest'ottica allora le cose tornano ad essere leggibili in un ottica ciclica. Invece mi piacerebbe porre l'attenzione sul termine "nativi digitali". Siamo "nativi digitali" (ammesso che lo siamo) perché usiamo tool digitali o perché dominiamo e comprendiamo i linguaggi digitali ... questa differenza, come puoi ben comprendere, spalanca un abisso.

L'uso delle tecnologie non dà assolutamente per scontato che se ne comprendano i linguaggi, le strutture, le potenzialità e le strategie applicative. Oggigiorno si può fare un uso anche massivo di strumenti digitali e software senza necessariamente possedere competenze informatiche o comprenderne le innumerevoli potenzialità. Penso invece che sia in questo abissale divario che bisogna indagare. Penso che il tutto vada maggiormente ricondotto, piuttosto che ad un info-povertà, al ruolo che noi abbiamo rispetto a tali strumenti. Facciamo un uso "passivo" di questi strumenti, ovvero li usiamo senza pensarne le possibili implicazioni e dinamiche che possono indurre o ne facciamo un uso "attivo" in cui la comprensione dei linguaggi, delle molteplici connessioni, delle incredibili potenzialità ci fa intravederne nuovi possibili utilizzi nei vari campi del sapere e del fare?

La vera distinzione in atto che vedo nel campo della ricerca architettonica è appunto riconducibile al fatto che stanno nascendo nuove generazioni di info-architetti dove il coniugarsi di una profonda conoscenza delle nuove teorie emergenti, di competenze informatiche e rinnovate conoscenze matematiche sta originando nuovi modi di pensare l'architettura in tutte le sue fasi, dall'ideazione alla cantierizzazione. Alcuni anni fa taluni architetti motivati dalla necessità di piegare i mezzi informatici alle proprie specifiche esigenze progettuali o di ricerca hanno saputo spingersi con curiosità oltre le "colonne d'Ercole" delle interfacce dei propri software per scoprirne, tramite la conoscenza dei loro linguaggi, che era possibile dettarne nuovi e sorprendenti utilizzi. Oggi dopo alcuni anni di sperimentazione anche sul campo oramai abbiamo un bagaglio teorico, coadiuvato da apporti teorici derivanti da altri campi del sapere, che ci permette di individuare nuove strategie applicative. L'utilizzo dello scripting nel campo dell'architettura o del più innovativo visual scripting direi che è una pratica "quasi" consolidata in molti degli studi di architettura maggiormente in voga o comunque giovani e dinamici. Per quanto concerne la frattura quindi esistente fra le generazioni di architetti direi che è quindi un problema di subire o dominare gli strumenti che utilizziamo .... ma tutto ciò visto in quest'ottica mi sembra una problematica sempre esistita.
«Le giovani generazioni di architetti dovrebbero smettere di giocare con i computer a fare cose sempre più strampalate, sempre più strane, tutti sanno fare forme nuove, questa storia delle forme nuove, non se ne può più! Non è difficile trovare delle forme nuove è difficile trovare forme nuove che abbiano un senso strutturale, estetico, sociale. Il vero terreno fertile d’ispirazione del secolo che si apre è la fragilità della terra. È il fatto che il linguaggio del costruire dovrebbe essere un linguaggio di architettura che dialoga con l’ambiente, che vive, che respira in cui cuore batte il ritmo della terra.» (Renzo Piano)6
Mi puoi spiegare questa tua frase: «è quindi un problema di subire o dominare gli strumenti che utilizziamo.»

Beh, sarebbe interessante vedere Renzo Piano in una jury di una final review all'AA, alla SCI-ARC o altri corsi dove la biomorfica (non biomimesi) è uno dei criteri d'indagine maggiormente utilizzati e proficui .... sarebbe veramente interessante.

Sul fatto che "le forme nuove" debbano essere la possibile risposta a criteri e processi progettuali che prendano in seria considerazione le tematiche realizzative e strutturali in maniera integrata con altre prerogative sono assolutamente d'accordo, forse lo sono meno sul fatto che non se possa più. Proprio nella proliferazione delle soluzioni e nella molteplicità delle sperimentazioni si basa la ricerca e si ha la chiave di volta dei processi generativi ed il vantaggio dei processi parametrici.

Sinceramente io auspico una sempre maggiore produzione di forme nuove .... anzi di "processi nuovi" che si finalizzano e concretizzano in forme.
Riguardo alla frase "Architettura che dialoga con l'ambiente" mi sembra un bello spot pubblicitario ma io continuo a vedere sia nell'architettura diffusa come in molta di quella recensita e prodotta dalle archistar un architettura imposta, tuttalpiù "un'architettura che monologa con l'ambiente". Il dialogo presuppone scambio reciproco ... di informazioni, di conoscenze e di valutazioni. La cultura del sostenibile (e la tardiva "moda" tutta italiana) sicuramente stanno producendo una giusta e maggiore attenzione alla qualità dell'architettura, dell'ambiente e dei materiali ma il tutto mi sembra ancora improntato e centrato su un'architettura protagonista e l'ambiente considerato un elemento esterno da tenere in maggior considerazione, più che un elemento in cui siamo profondamente integrati che da noi dipende e da cui noi dipendiamo.
Capire che tutte le cose (e quindi anche le architetture) non vivono di vita a se stante ma appartengono ad un sistema dove sono fra loro profondamente e perennemente connesse, integrate ed in dialogo, ma soprattutto che molto più rilevanti sono le relazioni, i flussi, gli scambi che nascono, si innescano e sono prodotti dall'interazione fra le cose stesse è alla base del concetto di ecologia.

Penso che uno dei grossi cambiamenti in atto nella ricerca architettonica sia appunto il focalizzarsi maggiormente a livello progettuale sulle relazioni, sulle connessioni e sui flussi fra l'organismo architettonico e l'ambiente circostante, sia esso naturale, artificiale, virtuale o informatico.
Io credo che gli strumenti digitali in questo momento ci forniscano la possibilità di analizzare singolarmente numerosi aspetti della progettazione e soprattutto di prevederne dettagliatamente o simularne i comportamenti e le risposte sul campo, la vera sfida in atto è quella di integrare in un unico processo di analisi e definizione della soluzione progettuale un sempre maggior numero di aspetti rendendo maggiormente gestibili, controllabili, valutabili e producibili le inevitabili complessità che ne derivano dall'analisi combinata.

Sono anche molto curioso riguardo le contaminazioni in atto. Si stanno portando all'interno del processo di design molte competenze proprie di altre discipline che maggiormente si sono evolute negli ultimi anni circa la maggiore comprensione delle cose e che non possono che portare innovazione e nuovi ambiti di sperimentazione nella ricerca architettonica. Nuove generazioni di architetti e sopratutto di studenti stanno contaminando con nuovi stimoli e conoscenze le architetture pensate per vederne le possibili implicazioni e migliorie applicabili nel campo architettonico, questi sono a mio giudizio i veri terreni di sperimentazione attuali e futuri. Elettronica, informatica, matematica, biologia, biochimica, scienze dei materiali e delle produzioni stanno diventando sempre più temi integrati nei corsi di architettura e bacini di conoscenze da cui trarre risorse utili per sviluppare modelli e processi progettuali evoluti. Ma come si può ben comprendere l'uso di strumenti digitali è ormai indispensabile sia per la crescente complessità di tali modelli che per la necessità di far dialogare strumenti e dati attualmente disomogenei perché specifici e compartimentati. E cosi le conoscenze e competenze informatiche divengono fondamentali per costruire un lessico, un linguaggio ed un modo e strumento di comunicare che è e sarà sempre più alla base del processo progettuale. Come ben comprendiamo la quantità di dati implementabile nella progettazione sta aumentando vertiginosamente e quindi il saperli reperire, monitorare, manipolare, diagrammare ed importare per renderli utilizzabili in strumenti progettuali innovativi diventa strategico.
Teniamo anche presente che sempre più l'intera progettazione insiste su base digitale, fino a qualche anno fa si passava dalla carta all'elaborazione cad alla carta al cantiere. Oggigiorno il progetto inizia con dati digitali elaborati, processati e manipolati fino a processi produttivi anche loro digitali e customizzabili.

Tutto ciò può essere perseguito o con strumenti preconfezionati ad hoc su cui molte software house oggigiorno stanno spingendo ed investendo molto o, qualora le conoscenze informatiche siano nelle competenze creare invece strumenti sempre più efficaci perché mirati e specifici alle situazioni ed ai problemi da risolvere. Evidentemente questo ultimo caso consente alla figura del progettista la libertà ogni volta di indagare nuove tematiche con strumenti "adatti" e di costruire processi progettuali maggiormente rispondenti alle complessità specifiche che ogni progetto inevitabilmente richiede.
Qui sta la vera differenza, essere costretti all'uso di tools standard ed affrontare i problemi che la tool permette di affrontare o avere la libertà ogni volta di produrre, coniugare e fornire strumenti che ci aiutano nello specifico delle situazioni per offrirci una maggiore libertà di esplorare i vasti territori della progettazione digitale.

Mi puoi raccontare in cosa si sono trasformati - nella vita reale - i tuoi dialoghi in rete?

Direi che nell'ultimo anno molto del mio tempo l'ho speso, anzi dedicato, a trasformare le connessioni digitali in connessioni reali, amicizie, collaborazioni.

AAST ne è stato l'esempio emblematico. Un evento nato essenzialmente sul web, dalla network di amicizie creatasi sulla rete, dai dialoghi, dai sogni, dalla voglia di incontrarsi e trasmettere conoscenza ed interessi. Ancora oggi mi sorprendo di come l'iniziativa di singoli abbia potuto produrre un evento che nel suo piccolo, anzi piccolissimo, per molte persone è stato importante e fondamentale. Fondamentale perché ha espanso ulteriormente la rete di contatti e persone interessate agli argomenti ma soprattutto perché ha permesso a molti ragazzi di avere un primo approccio, tramite i workshop, sia con l'uso di strumenti e tecniche digitali per la progettazione ma ancor più con il vasto apporto teorico che necessariamente ne è parte integrante. Credo appunto che il valore dell'evento sia stato quello di trasformare curiosità e interesse in passione, di aver fatto varcare a molti ragazzi la soglia fra il guardare sul web il lavoro di altri ed il fare, iniziando a muovere in autonomia i primi passi, per quanto timidi ed incerti.

Co-de-iT è un altra "realizzazione" nel senso di concretizzazione reale di connessioni digitali. Nasce dalla voglia di vedere se anche in Italia è possibile ripetere alcune esperienze che abbiamo visto nascere all'estero, ovvero la formazione di gruppi o meglio team di computational design (LaN o ModeLAB per citarne alcuni) che si occupano sia di consulenza per la progettazione ma anche di educazione all'uso di strumenti digitali tramite workshop dedicati sia agli studenti che ai professionisti. Forse Co-de-iT nasce come istanziazione di un esigenza manifestatasi sul Web e sicuramente della rete ne assume alcune caratteristiche peculiari. Infatti non è un ente fisico, non ha sedi o strutture, ma è la possibilità a seconda delle opportunità o richieste di radunare competenze e collaborare in modalità diverse. Molte delle opportunità presentatesi sono il frutto stesso del fatto che i membri sono profondamente integrati nella comunità web e fanno del web il loro principale terreno di gioco confrontandosi e dialogando con la crescente network esistente.

Comunque posso asserire che attualmente la mia vita reale (quella di architetto) sia quasi totalmente frutto e figlia delle connessioni digitali e attualmente sto spingendo ancor più affinché le innumerevoli possibilità, potenzialità e opportunità createsi dalle connessioni web si concretizzino in eventi reali.

A che serve un blog per un architetto?

Penso che nel momento in cui si dia ad un blog uno scopo diverso da quello di diario e raccolta di pensieri ed interessi personali si pretenda troppo. Poi ovviamente un blog può diventare molto di più ma questo non può essere congetturato a priori. Non è garantito che un blog diventi luogo di incontro e di scambio di opinioni. È la rete che lo rende e lo renderà qualcosa di diverso. È un po' come progettare una piazza. Possiamo fare il massimo per rendere il nostro progetto adatto a divenire luogo vivo, attivo e catalizzatore di relazioni sociali ... ma saranno le persone, con le loro individualità, le loro molteplici quotidianità e capacità di relazionarsi a decretarne il successo e quindi la trasformazione da progetto a vera Agorà.

A cosa possa poi servire un blog per un architetto ... questo è un argomento a cui non saprei risponderti in maniera seria. Quando ho iniziato, il mio non era il blog di un architetto, ma il diario di un interesse personale ed extra-lavorativo di un architetto. Poi solo nel tempo ho scoperto che l'interesse e le conoscenze che maturavo potevano entrare a far parte del mio modo di praticare, anche se devo ammettere che probabilmente più che aver cambiato il modo di praticare il mestiere hanno cambiato profondamente il mio modo di comprendere e di pensare le cose e quindi di conseguenza tutto il resto. Il blog è comunque stato lo spunto per iniziare a condividere idee e partecipare in maniera sempre più consapevole al dialogo che sulla rete è quanto mai vivo e partecipato. Questo anche tramite i social network dedicati e quelli più diffusi come facebook e twitter che sicuramente rappresentano due "strumenti" di incredibile efficacia quando sono utilizzati in maniera focalizzata. Sicuramente il blog continua ad essere una risorsa ma credo che i social network con la loro naturale predisposizione a creare connessioni e dialogo (cosa che il blog non ha così integrata) siano attualmente strumenti molto interessanti per chi ha voglia di informarsi, confrontarsi e approfondire le proprie curiosità.

Per capire il tuo work in progress vorrei allegare il pdf dei tre anni di pubblicazioni blog. Che ne pensi?

Sono d'accordo ..... anche perché credo che il miglior modo per spiegare un blog è quello di lasciarlo leggere a chi è sufficientemente curioso!


13 maggio 2010

Intersezioni ---> MONDOBLOG


Come usare WA ---------------------------------------------------Cos'è WA

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Note:
1 Joshua Meyrowitz, Oltre il senso del luogo, Baskerville, Bologna, 1995, p. 525
2 conversazione tra Claudio Magris e Alessandro Baricco 'La civiltà dei barbari' Corriere della Sera, 07 ottobre 2008. Qui
3 Marco Biffi, Infopovero, rubrica 'Parole alla crusca', Wired Italia, agosto 2009, n. 6, p.34. (Rubrica non più attiva)
4 John Palfrey e Urs Gasser, Nati con la rete, BUR, Milano, 2009, p. 15
5 Rai teche, Millepagine on demand, Calvino e le età dell'uomo, andato in onda il: 30/09/2008. È possibile vedere il video qui
6 Tratto dal video della conferenza di presentazione del libro ‘Being Renzo Piano’ tenutasi a Milano nella sede del Corriere della sera il 5 novembre 2009, min.9:30-10:20.

10 maggio 2010

0028 [MONDOBLOG] Cosa sono le reti?

di Salvatore D'Agostino
«Il riduzionismo è la forza che ha guidato gran parte della ricerca scientifica del XX secolo. Per comprendere la natura, affermano i suoi sostenitori, occorre innanzitutto decifrarne le componenti. [...] Per decenni, quindi, siamo stati abituati a vedere il mondo attraverso i suoi costituenti. Ci hanno insegnato a studiare gli atomi e le superstringhe per afferrare l’universo; le molecole per capire la vita; i geni dell’individuo per comprendere la complessità dei comportamenti umani; i profeti per individuare le origini di manie e religioni. Fra breve avremo esaurito tutto quello che c’è da sapere sui singoli pezzi. Eppure non ci siamo granché avvicinati alla comprensione della natura del suo insieme. La realtà è che […] inseguendo il riduzionismo ci siamo imbattuti nel muro della complessità. […] Nei sistemi complessi le componenti possono combaciare in così tanti modi diversi che ci vorrebbero miliardi di anni per provarli tutti. Eppure la natura assembla i suoi pezzi […] sfruttando le leggi onnicomprensive dell'autorganizzazione, le cui radici continuano a essere per noi un profondo mistero. […] Ci accorgiamo ormai di vivere in un mondo piccolo, in cui ogni cosa è collegata alle altre. […] Siamo arrivati a capire l’importanza delle reti.» (Albert Laszlo Barabasi)1
Una complessità che si fonda su un approccio olistico, antiriduzionistico. La rete è una nuvola di link, un tutto costituito da precari punti di orientamento.

Come tener traccia dei link della nuvola?

Casabella blog - direi finalmente - il 7 maggio 2010 ha segnalato ‘Archiblog’ ovvero l’unico aggregatore di articoli pubblicati dai blog di architettura in tutto il mondo. È stato creato da Alessandro Ranellucci nel 2005, giocando con il calendario possiamo ripercorre gli argomenti discussi in questi anni dai blogger.
Un tutto che si riduce ma che non può evitare la complessità. Una delle caratteristiche ricorrenti dei blog è di prendere appunti dei link che si reputano interessanti. Una personale rete di link che spesso si trasformano in contatti.

Per capire meglio quest’aspetto ho dialogato con Andrea Graziano curatore del blog digitag&, più che un blog un archivio di link intorno l'architettura parametrica.

Cosa sono le reti?


«Sono soltanto lo scheletro della complessità, i meccanismi su cui si articolano i processi che fanno pulsare il mondo». (Albert Laszlo Barabasi)2

La rete dei blog mondiale Rhinoscripting experiences curata da Pablo C Herrera


10 maggio 2010 (ultima modifica 17 settembre 2012)

Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note:
1 Albert Laszlo Barabasi, Link. La scienza delle reti, Einaudi, Torino, 2004, pp. 7-8
2 Albert Laszlo Barabasi, op. cit., p. 236