Salvatore D'Agostino: Una domanda che ho sempre voluto fare ad un fotografo: qual è stata la sua prima macchina fotografica?
Carlos Freire: La mia prima macchina fotografica era una Yashica, una giapponese, era stata comprata da mio padre ed io l’ho usata per tanti anni. Per un periodo non ho fatto fotografie, perché ero giornalista. A ventitré anni ho comprato una Pentax e ho cominciato a fare fotografie; in seguito ho usato una Leica, Canon; e attualmente una Nikon.
SD: Com’è avvenuto il passaggio da giornalista a fotografo?
CF: Il passaggio è stato semplice, io sono venuto in Europa per quattro mesi e per vivere ho fatto una scelta, il giornalista che ho continuato a fare per due anni. Dopo sono passato alla fotografia, perché la fotografia era più vicina, alla mia sensibilità. Scrivere in un’altra lingua è molto complicato, fotografare da un paese all’altro non tanto. Si aggiunga che la mia formazione era da autodidatta, la formazione di una persona che andava per musei per vedere la pittura. Inoltre, a Rio De Janeiro, avevo poi un cineclub dove ho visto tutti i film di Bergamn, Rossellini, Pasolini, Visconti, Antonioni e questo mi ha molto impressionato.
SD: I suoi primi reportage?
CF: Il primo, Stati Uniti 1973 a Miami in Florida, è stato fotografare una convention repubblicana all’interno di un impianto sportivo di Richard Nixon. In seguito ho seguito tutta la contestazione, tutto quello che era contro Nixon Quella è stata la mia prima volontà di scrivere qualcosa con la luce, con la forma e con l’evento, in quel caso con l’evento.
SD: Vedendo la sua mostra, ho percepito l’aurea di alcuni fotografi come Robert Capa, Henri-Cartier Bresson che hanno avuto un rapporto sociale con la fotografia, lei si ci ritrova come compagno di viaggio?
CF: Non sono in questa compagnia perché sono bravissimi e grandissimi fotografi, no. Io penso che il mio progetto, la mia traiettoria è singolare perché ho fatto i conti con le persone che ho conosciuto che non sono celebrità, ma gente con talento e valori riconosciuti. Ho avuto la possibilità di fare questi ritratti di gente e di luoghi.
SD: La fotografia che mi ha colpito è il ritratto di Samuel Beckett, credo che racconti il carattere della sua opera. Lo ha mai incontrato?
CF: I tre incontri avuti con Beckett erano sempre quasi silenziosi, lui parlava pochissimo, ma gli piaceva il fatto che ero brasiliano e che potevo raccontare qualcosa del Brasile. Per me la sua era una presenza più intellettuale. Lui era come un santo. Fuori da ogni movimento letterario e dai saloni letterali. Era sempre concentrato nel suo lavoro e la sua visione del mondo.
SD: Che cosa rappresenta per lei la fotografia?
CF: Per me la fotografia è la volontà d’incontrare l’altro, di vedere dove vive, il suo paese, la sua cultura. Come quando sono andato ad Aleppo in Siria per fare un libro con il poeta Adonis e ho visto questa civilizzazione della Mesopotania che è straordinaria. Lo stesso quando sono andato in Egitto, in Alessandria, in Giappone a Genova, in Sicilia, a Napoli, è sempre un preteso per vedere e vivere con questa gente che ha lo stesso Dio.
SD: Negli ultimi due anni sta facendo un lavoro in Sicilia. Che cosa le sta raccontando quest’isola?
CF: Io non racconto niente, io vedo e scatto la fotografia, il resto spetta a voi che vedete che guardate le mie fotografie. Nella mostra ci sono dieci fotografie ambientate in Sicilia: la processione dei misteri di Trapani; un paesaggio di Trapani; la festa di San Paolo a Palazzolo Acreide; una giovane madre di quattordici anni a Palermo che mi ha colpito perché era una bambina già con una figlia; un tramonto a Segesta; un paesaggio di Morgantina con due anziani; Lucca Sicula; Cefalù; le catacombe dei Cappuccini a Palermo. Queste sono visioni, ma non racconti. La Sicilia è un paese ricchissimo di cultura, di tradizione, di modernità, e il popolo siciliano è un popolo che è stato invaso e conquistato da spagnoli, arabi, francesi, greci, romani, tutti sono stati qui, e da queste unioni di culture diverse, da queste stratificazioni è nato un popolo che oggi ha una cultura mediterranea ricchissima. Io non posso venire qui e dire: vado a fare un libro sulla Sicilia. Non si può. Il mio intento è dare una visione poetica di questo paese.
SD: Il suo approccio non è…
CF: E’ irrazionale. Non si può essere razionali, accademici, nel mio libro con Vincenzo Consolo non c’è e non si trova un riassunto della storia siciliana.
SD: Ci racconta l’incontro con Vincenzo Consolo?
CF: E’ avvenuto a Parigi da un amico che si chiama Fortunato Tramuta proprietario della più importante libreria italiana a Parigi, che si chiama Tour de Babel. Lui mi ha fatto incontrare il suo amico Vincenzo Consolo, perché sapeva che io volevo fare un libro sulla Sicilia e così è nato il progetto, questo tre anni fa.
SD: Lei ama incontrare la gente che secondo lei hanno uno spessore, un ‘valore’: Marguerite Yourcenar, Roland Barthes, Francis Bacon, Orson Welles e tant’altri. Lei vive a Parigi, ma dove sono avvenuti questi incontri?
CF: Francis Bacon a Londra, Marguerite Yourcenar a Londra, ma sono andato anche a trovarla negli Stati Uniti e vista a Parigi, Bill Brandt a Londra, André Kertèsz a New York a casa sua, Tina Modotti a casa sua. Io sono andato da tutte le parti. Parigi è il mio centro di partenza, il chilometro zero. Da lì parto verso la Siria, l’Egitto, il Giappone per ritornare sempre nel mio chilometro zero.
SD: Essendo brasiliano lei ha vissuto l’evento della costruzione e inaugurazione della capitale ‘Brasilia’?
CF: Sono nato a Rio De Janeiro, ma non ho vissuto in Brasile. Sono andato via quarant’anni fa. Quando ‘Brasilia’ è nata io ero giovanissimo, ho visto l’inaugurazione in televisione. Una meraviglia.
SD: In seguito lei ha incontrato Lucio Costa e Oscar Niemeyer?
CF: Io sono andato a vedere Brasilia troppo tardi, nel 1996, era già una città di 36 anni. Io la trovo molto bella, piena di verde, alberi, un lago, tanti piccoli laghetti e una vegetazione magnifica che creano un microclima perfetto per la salute. La gente che vive lì non vuole vivere da nessun’altra parte. Quelli che sono nati in ‘Brasilia’ vivono benissimo lì. Quando ho incontrato Oscar Niemeyer gli ho chiesto se le trasformazioni recenti in alcune opere come il Ministero degli Affari Stranieri potevano aver danneggiato la sua opera, lui mi ha risposto di no perché gli hanno chiesto l’autorizzazione prima, e poi sotto i suoi consigli, hanno fatto i cambiamenti.
Con Lucio Costa ho parlato moltissimo della sua relazione con Le Corbusier, perché lui era molto amico di Le Corbusier, è stato lui che ha trasportato il corpo di Le Corbusier, quando è morto, da Toulon verso Parigi.
SD: Vi è un contrasto evidente tra Brasilia e le città brasiliane?
CF: Non credo. L’architettura di San Paolo è più bella di quella di New York è un condensato di tutta l’architettura brasiliana e del lavoro dei più grandi architetti del mondo. Esiste un problema politico nelle città. Una città che non può dare lavoro è un problema politico che condiziona la bellezza dell’architettura, ma al centro di San Paolo, l’architettura è straordinaria. Quella di Rio De Janeiro è un po’ più caotica, perché da città balneare è stata trasformata in città di affari. Ad esempio Curitibia, capitale dello stato del Paranà, è bellissima, hanno posto l’ecologia al servizio dell’uomo. La bellezza dell’architettura brasiliana è indubbia, quello che è grave è la povertà e la differenza sociale che noti quando vai a vedere una favelas vicino a un bellissimo palazzo. Sono tutti vicini. Ma questo non è un affare d’architetti. Ho parlato con Renzo Piano a Genova, che voleva eliminare l’orrore della sopraelevata che taglia tutto il centro storico con una strada sotterranea, ma non è la volontà di un architetto che può cambiare le cose, perché quello che l’ha fatto è un politico.
SD: C’è ancora la possibilità di avere un’idea politica che possa aiutare sistemi più degradati e marginali come potrebbero essere alcune aree della Sicilia, alcune zone di Rio de Janeiro o di altre metropoli/megalopoli?
CF: Non è la mia competenza, sinceramente, come essere umano posso vedere le ingiustizie, ma il mio campo di azione è la fotografia, non ho formazione economica o politica. Io sono nato a Rio, ho vissuto negli ambienti culturali, non economici o politici, non posso rispondere.
SD: Lei ha incontrato negl’anni settanta, il giovane Renzo Piano a Parigi autore con Richard Rogers del Centre Pompidou in un’area densa e degradata. Il museo era stato molto contestato come la torre Eiffel nel 1889. Adesso per Parigi è un luogo simbolo. Ci può parlare dell’incontro?
CF: Oggi è un posto molto importante vengono a visitarlo da tutto il mondo. Renzo Piano l’ho conosciuto nel 1978, aveva lavorato dal 1975 al 1977 alla costruzione del suo progetto con Richard Rogers. Aveva un piccolo studio a Parigi di 45 mq da dove lentamente è diventato uno dei più bravi architetti di ‘Architettura umana’ al mondo. Il Centre Pompidou all’inizio nessuno lo comprendeva, pensavano che fosse una stravaganza, non volevano costruirlo, oggi è totalmente integrato alla città . Questa è una visone che appartiene ai grandi talenti, vedono le cose e la loro necessità prima degli altri. Oggi il Centre De Pompidou ha trent’anni e si vede che è un posto importante, non si può andare a Parigi e non vedere il Centre Pompidou.
SD: Tra le tante città che ha visto, quali sono quelle che le hanno raccontato qualcosa?
CF: Sono molte le città che mi hanno colpito: Kyoto, in Giappone, è una città silenziosa, almeno nella zona storica, dove si possono ascoltare gli uccelli,il rumore della pioggia e dove le case sono di legno antico; Aleppo, in Siria, dove c’è un suk di undici chilometri di labirinti coperti dove vendono di tutto e questo nessuno lo sa ed è lì, c’è anche una cittadella che è una roccaforte costruita nel dodicesimo secolo dai Normanni e per me è una città magica; Rio de Janeiro, la mia città, ha una bellezza geofisica dove trovi la montagna, il mare, il cielo, la selva, una fauna lussureggiante, ciò che vedi dal monte Pan di Zucchero o dal Cristo Redentore è una meraviglia; mi ha colpito Palermo, Napoli, Lucca Sicula, un piccolo borgo siciliano, Leonforte, mi piace la struttura civica, dove trovo un conforto fisico,inteso come relazione con l’architettura e il paesaggio che incontro, e un conforto mentale, perché se sei stressato da una città non puoi viverla bene. Io mi sento bene a Rio, ma non a Bangkok. Altre città sono: Roma; Arezzo, piccola, ma bella; Genova, con un centro diverso dalle altre città italiane, non ci sono piazze, è più compatta, posta di fronte al mare, poggiata sulla montagna in prossimità delle ‘Cinque Terre’; Napoli, dove sono stato in compagnia di Cesare De Seta, un grande architetto che ha scritto un testo per un piccolo libro che abbiamo fatto insieme ‘Napoli, il reame della gente’, parlando con lui ho potuto conoscere zone di Napoli che altrimenti non avrei conosciuto; il Monte Athos, in Grecia, ha un’architettura unica, ci sono monasteri costruiti nel 700-1000 a.C., con una tecnologia che tuttora ci meraviglia.
“La vita è l’arte dell’incontro”. La frase del poeta brasiliano Vinicius de Moraes potrebbe essere il sottotitolo della mostra del connazionale Freire. Per la prima volta in Italia... ...continua a leggere la mia recensione su Exibart
Pubblicato nella rubrica 'conversazioni' della presS/Tletter