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28 dicembre 2008

0024 [SPECULAZIONE] Le Corbusier e la ricostruzione dello stretto calabro-siculo. 1908-2008.

In poco meno di un minuto alle 5:21 del 28 dicembre 1908 un terremoto e maremoto distrusse le città dello stretto calabro-siculo provocando presumibilmente centomila morti.
«I progetti Dom-ino nascono dalla conoscenza delle distruzioni operate dalla guerra nelle Fiandre, ma potrebbero andare ugualmente bene per la ricostruzione di Messina dopo il micidiale terremoto e maremoto. Il nome “Dom-ino” deriva dal gioco omonimo, alla cui tesserina rettangolare assomiglia la singola struttura prefabbricata a sei pilastri e due piani (corrispondete ad un alloggio), la quale si può giustapporre in modo assolutamente libero, ma preferenzialmente ortogonale (proprio come le tessere del gioco), alle altre cellule: in modo da formare filari, doppi filari, quinte, slarghi, piazze». 1


Pare che «un deputato [NdR: siciliano] si fosse interessato alla produzione industriale del sistema»2 brevettato da Charles-Edouard Jeanneret in arte Le Corbusier nel 1914.
L’osservazione sulle nuove implicazioni di una struttura in cemento portò Le Corbusier a ridurre nella sua essenza l’edificio. Nel 1926 riflettendo sullo schema/scheletro costruttivo teorizzò i cinque punti di una nuova architettura ovvero come costruire case in cemento armato:
  1. contrappone all'involucro in muratura l’idea di fondazioni puntuali a plinto che possono elevare la struttura dal terreno. L’architettura finalmente non occupa in modo estensivo la terra. I pilotis permettono di attraversare il manufatto;
  2. il tetto a falde ideale protezione della casa è sostituito da un giardino. La natura violata alla base può essere riproposta sulla sommità della costruzione;
  3. la distribuzione interna dettata dalle murature portanti e di controventamento appare libera sostituita dalla griglia puntuale e verticale dei pilastri portanti;
  4. le finestre regolate dalla statica adesso possono girare intorno l'edificio l’importante arretrare il filo dei pilastri;
  5. le bucature della facciata irreggimentate dalle logiche statiche possono, come per le finestre essere poste, dove necessitano anche ad angolo o a tutta altezza.
La contraddizione dell'edificare contemporaneo consiste nel costruire manufatti con strutture in cemento armato utilizzando tautologicamente la grammatica degli edifici in muratura.
Attraversando lo stretto a cento anni dall’evento il paesaggio tra Reggio Calabria e Messina o viceversa per paradosso ci appare puntellato senza soluzione di continuità dalle case Dom-ino nella sua riduzione più popolare quasi a definirsi come un’icona simbolo dell’architettura contemporanea. Case Dom-ino spesso autocostruite e anonime, l’idea dell’architettura sembra non abitare da queste parti.
Sandro Onofri in uno dei suoi viaggi da fermo descrive così l’ingresso a Reggio Calabria: «È tutto così sospeso. Come se all'improvviso gli invisibili abitanti di questi quartieri fossero stati costretti a fuggire per un'epidemia, o una calamità. È strano, è come se i reggini si fossero soltanto preoccupati di cogliere l'occasione dell'assenteismo del governo cittadino per appropriarsi dei pezzi di terra su cui costruire, imbarcandosi in un'impresa che forse non potevano sostenere economicamente»3
Oggi l’area dello stretto appare “tutta così sospesa” come uno scheletro in cemento armato prossimo alla costruzione.
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Note:
1 Francesco Tentori, Vita e opere di Le Corbusier, Laterza, Bari, 1986, p. 39.
2 Stanislaus von Moss, Le Corbusier l’architecte et son mythe, Horizons de France, 1971.
3 Sandro Onofri, Le magnifiche sorti- Racconti di viaggio (e da fermo), Baldini&Castoldi, Milano, 1997.

N.B: La prima immagine è stata tratta dal libro: a cura di Willy Boesiger, Le Corbusier, Zanichelli, Bologna, 1991, p. 10. La seconda immagine è di Salvatore D'Agostino.

23 dicembre 2008

0001 [BLOG READER] 2008

La rubrica BLOG READER raccoglie i miei consigli di lettura di post scritti da blogger e non solo.
La scelta si orienta sui testi più innovativi e aperti, evitando gli articoli autoreferenziali, del “si stava meglio prima”, dell'io ho la verità, del copia e incolla e dei furbetti:

A quale NURBS appartieni? | Alberto Pugnale su PROG ---> 13 giugno 2007 [Unica eccezione]
SKINNED? | PROPORZIONALI? | SPINE? | SWEPT? | S (u,v)?

Campus Rom | Lorenzo Romito di Stalker/ON su CITYROM ---> 12 aprile 2008
Pone un quesito: «Come uscire dal binomio campi di concentramento, baraccopoli–discarica che sembra ormai essere le uniche forme abitative ancora tollerate dalla nostra società per i Rom?»

Contro euclide | Emmanuele Pilia su PEJA TransArchitecture research ---> 25 luglio 2008
L'architettura emancipata dai parametri euclidei.

Vetri rotti in città | na3_Blog --->29 agosto 2008
Un argomento latente che passa dalla teoria dei vetri rotti alla politica della tolleranza zero.

Malaparte di Libera? Una considerazione sul caso. | Danzare sull'architettura ---> 30 agosto 2008
L'architetto della villa Malaparte è Curzio Malaparte su un’idea originaria di Adalberto Libera.

Urbanità 2 | Gianni Biondillo su Nazione Indiana ---> 15 settembre 2008
I nord e i sud del vivere civile.

Religione | Tiziano Scarpa su Il primo Amore ---> 31 ottobre 2008
Hagia Sophia un contenitore di religioni.

CODE MONKEY | Davide Del Giudice su MADEinCALIFORNIA ---> 8 ottobre 2008
Dal disegno alla scrittura dei codici. La nuova generazione del CAD i MONKEYS.

Asincronie spaziali | Luoghi sensibili ---> 4 novembre 2008
Raccolto il suggerimento di Mario Gerosa sulle possibilità di uno spazio fuori sincrono.

Dome al synergia ranch i dati e un commento | Antonino Saggio su Conferenze e talks of architettura by Antonino Saggio ---> 11 novembre 2008
1970 come progettare e calcolare, con le schede perforate, una cupola geodetica.

Per cominciare | Franco Arminio su Scuola di paesologia ---> 26 novembre 2008
Il primo post di Franco Arminio (il paesologo) sul nuovo blog aperto sul Corriere del Mezzogiorno.

Blog e letteratura | Gherardo Bortolotti su Nazione Indiana ---> 4 dicembre 2008
Una riflessione sui blog e la letteratura. L'abbattimento del ruolo pubblico/privato della scrittura.

ULTIMO GIORNO A DUBAI: voglia di uova allo zabaione | Giordana Querceto su Professione Architetto---> 20 dicembre 2008
Giordana lascia Dubai: «una realtà fatta di cartone dorato».


Intersezioni ---> BLOG READER

18 dicembre 2008

...a proposito di cemento, cemento Cinque Terre e cemento meneghino...


...cemento,
Gilles Clément risponde ad una domanda posta da Alessandro Rocca1 su un'idea di Carlo Petrini di una banca dati online delle sementi tradizionali:«È una buona idea. È lui che bisogna mettere alla presidenza d'Italia


Ed è proprio Carlo Petrini insieme a Edmondo Berselli e Filippo Ceccarelli che sul Diario di Repubblica del 9 dicembre 2008 (pp. 40-41) ci invitano a riflettere sulla colata di cemento che sta divorando l'Italia.


I loro moniti e i loro dubbi:
  • Carlo Petrini [Costruire è sinonimo di distruzione]: «Non si costruisce più per tramandare ai posteri qualcosa. Il cemento ha una deperibilità maggiore rispetto ad altri materiali, è il simbolo di una civiltà che inserisce i geni di una fine programmata in quasi tutto quello che produce: che sia un palazzone di periferia, l'imballo di un prodotto da supermercato o un seme Ogm che dà un raccolto sterile da cui non si possono trarre altri semi. L'Italia è piena di edifici fatiscenti costruiti negli anni ' 60 e ' 70, certi addirittura negli anni ' 80, alcuni già disabitati, impraticabili, che penzolano scrostati e pericolosi, terribili. Tutti noi li vediamo, ovunque. Abbiamo continuamente sotto gli occhi la dimostrazione di com'è assurdo continuare a edificare qualcosa che nel giro di qualche decennio non servirà più: quegli obbrobri dovrebbero servirci adesso come il senno di poi.» La civiltà dell'abuso, Carlo Petrini;
  • Edmondo Berselli [Cemento punto d'incontro tra politica e affari]:
    «Infine è tutto da vedere, e meriterebbe approfondimenti da parte degli economisti, se la "città infinita", che si espande senza limiti oltre le periferie, è un soggetto economico in equilibrio o è fonte di costi che graveranno in modo insostenibile nel lungo periodo, per i servizi che implicano, i trasporti, le opere di urbanizzazione. Cioè se quella che Cervellati ha chiamato ironicamente "Villettopoli" è occasione di profitto o alla lunga un aggravio di spesa: insomma se l'economia del cemento, all'ultima riga del bilancio, non rappresenti una perdita per tutta la comunità.» Cemento quel mondo solido tra affari e politica, Edmondo Berselli;
  • Filippo Ceccarelli [Berlusconi, da apprendista muratore a direttore di cantiere Italia]:«Ed ecco che dodici anni dopo, tra i capi d'accusa che Pier Paolo Pasolini imputava al partito democristiano, c'era appunto «la distruzione paesaggistica e urbanistica dell'Italia». Ma non dovette servire a molto, quel processo mai celebrato, se dopo appena un quinquennio Franco Evangelisti, e cioè l'aiutante di campo di Andreotti, condensò il suo rapporto con il principe dei palazzinari romani, Gaetano Caltagirone, nel celebre interrogativo che quest'ultimo candidamente gli rivolgeva: «A Fra' che te serve?». A veder bene erano i primi bagliori di un tramonto. Il cemento del potere cominciava a cercarsi scenari più ampi. Non solo case, ma nuove città. Così nasce in ambito craxiano il progetto di "Mito", new town da insediare tra Milano e Torino; e lo stesso Bettino vagheggia "Mediterranea", di qua e di là del Ponte sullo stretto. Fino a quando non arriva Berlusconi, il demiurgo di EdilNord che addirittura se la prese a male quando nella P2 gli assegnarono il ruolo di apprendista muratore. Ma come, apprendista al fondatore di Milano 2 e 3? Adesso che è tornato a Palazzo Chigi il Cavaliere ha ricacciato fuori il progetto "Cantiere Italia" e, ribattezzatolo "Cento Città", di nuovo prevede la costruzione di centri satelliti per anziani e giovani coppie. I sopralluoghi aerei sono attesi a marzo.» Il sistema del mattone, Filippo Ceccarelli
...cemento Cinque Terre,
Pietro Caisotti è l'imprenditore ignorante, avido e scaltro dell'entroterra ligure protagonista del romanzo di Italo Calvino 'La speculazione ediliizia', la sua caratteristica essenziale è l'essere senza scrupoli.
Calvino scrisse il romanzo nel 1957 nella sua fase neorealistica, intuiva le profonde contraddizioni del periodo di ricostruzione convulso e scellerato, dopo la prima necessaria riedificazione dell'Italia post bomb
ardamento.
Il sistema 'senza scrupoli' cominciava la sua inarrestabile cavalcata che ci porterà al boom edilizio degli anni sessanta e alla seguente e costante cementificazione dell'Italia.


Il conduttore televisivo Fabio Fazio in un'intervista rilasciata a Marco Preve sul Venerdì di repubblica, n. 1076, 31 ottobre 2008, riflettendo sul monito di Carlo Petrini (Carlo Petrini, Italia, record del cemento invasi tre milioni di ettari, Repubblica, 5 ottobre 2008) e le recenti iniziative immobiliari sulle Cinque Terre osserva:
«[...] Marco Preve: Nel frattempo si moltiplicano i progetti di grattacieli lungo la costa.
Fabio Fazio: Carlo Petrini giustamente dice che la mentalità in voga è quella del "se non si costruisce non si fa, non c'è progresso economico". Carlin [NdR si riferisce amichevolmente a Carlo Petrini] è un intellettuale, inserito dal quotidiano The Guardian nella lista dei cinquanta uomini in grado di cambiare il mondo. In qualunque altro paese sarebbe molto ascoltato, sicuramente più che da noi. Dice una cosa definitiva, perché fa intuire che è vecchissima l'idea di progresso che abbiamo - era già discutibile nel dopoguerra - per cui il "fare" deve coincidere con l'avanzata del cemento. Uno dovrebbe costruire cose che servono a tutti, non cose che servono solo alla speculazione di pochi.
[...]
Marco Preve: Ma non si rischia l'immobilismo?
Fabio Fazio: Ma no. "Fare" può anche significare distruggere l'orrore. Pensate che meraviglia se ogni tanto i Comuni comprassero aree e buttassero giù invece di costruire, regalando spazi di cielo. So che le amministrazioni hanno mille problemi da risolvere, conti da far quadrare, asili da mandare avanti. Ma qui o si inverte la rotta, come ci invita a fare Petrini, oppure il valore più importante, la qualità della vita, andrà a farsi benedire».

Condivido l'idea del vuoto e il latente "non fare", ma spiegarlo ai milioni di "Pietri Caisotti" sarà un'impresa ardua.

...cemento meneghino...
Alessandro Cavallaro mi ha inviato una mail con oggetto: GENTAGLIA

Ciao Salvo,
mi è pervenuto tramite un mio cugino che vive e lavora a Milano.
buona lettura
Mail spedita il 16 dicembre 2008 10.44

Riporto l'inizio e la fine:
«L'"aringa rossa", antica astuzia venatoria, sta per fare della Milano da bere dell'epoca craxian-ligrestiana la Milano da mangiare della nuova era ligrestian-morattiana, trasformando l'Expo del 2015, dedicato all'alimentazione, in una colossale operazione immobiliare. I distinti cacciatori britannici usavano le "red harrings" per distrarre i cani da caccia degli avversari, gettando in luoghi strategici della riserva aringhe affumicate. I cacciatori milanesi di cubature immobiliari, che si definiscono "developers", stanno spargendo su 8 milioni di metri quadri di aree dismesse dall'industria manifatturiera che non c'è più, una selva di grattacieli firmati da architetti di fama mondiale, i cosiddetti "archistar".
Quei grattacieli, secondo l'immagine di Renzo Piano, sono per l'appunto le "aringhe rosse" che servono a distrarre l'attenzione da quel che germoglia intorno: quartieri selvaggi, simili a quelli che hanno assediato la Roma dei palazzinari. O "caricature di città" nella città, come dice l'architetto Mario Botta.
[...]
Pazienza. A Milano, comunque vada, nel terzo lustro del nuovo secolo potremo lasciare l'auto nel parcheggio di cinque piani scavato sotto la Basilica di Sant'Ambrogio, nel parco medievale più importante della civiltà lombarda. Un insulto cui la borghesia intellettuale di Milano non vuole rassegnarsi. E tra le aringhe rosse avremo la città dei developers, "una città che si prostituisce al miglior offerente". Parola dell'architetto inglese David Chipperfield ».

Leggendo l'articolo e i nomi citati dei personaggi politici e imprenditoriali, non possiamo non evidenziare il profondo disagio verso l'intelligenza, sostantivo ormai bandito dal gruppo di potere che gestisce la nostra società civile.


Grazie Ale ma è stata una pessima lettura.

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1 a cura di Alessandro Rocca, 'Gilles Clément. Nove giardini planetari', 22 Publishing, 2007.

9 dicembre 2008

0004 [FUGA DI CERVELLI] Colloquio Italia ---> Olanda con Maria Elena Fauci

di Salvatore D'Agostino
Fuga di cervelli è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista'.
E-migrare e non conformarsi, l'identità come valore, tra design, casa e affetti.

Salvatore D'Agostino 
Maria Elena Fauci di anni..., abitante a... migrante a... qual è il tuo mestiere?

Maria Elena Fauci Sono di Sciacca ma vivo a Mijdrecht in Olanda. Sono architetto.


Nella presS/Tletter n.29-2008, rispondi all'editoriale di Luigi Prestinenza Puglisi 'Lavorare all'estero' (presS/Tletter n. 28-2008) ridimensionando il nuovo fenomeno del lavoro specializzato fuori dall'Italia. In una mia precedente intervista con Marco Calvani* questa nuova figura è stata definita 'Archimigrante'. Perché sono richiesti 'all'estero' gli architetti italiani?

Io non credo che gli architetti italiani siano molto richiesti all'estero. Per quel che ho avuto modo di appurare, in base naturalmente alla mia esperienza personale, non c'è molta differenza se sei italiano o giapponese. Non c'è una preferenza particolare per la nostra italianità.

Semmai è importante quanto vali tu come professionista in base al curriculum che hai costruito con la tua esperienza, i tuoi interessi e i tuoi studi. Le nostre scuole sono considerate positivamente ma non sono altamente specialistiche.

Gli architetti italiani hanno un bagaglio culturale diversificato, ma non specifico.

La specializzazione che conta fa parte del tuo bagaglio culturale, e le nostre scuole hanno ancora un'impostazione troppo generica, se facciamo un paragone con quelle straniere.

Ad esempio, in Olanda sono considerata un interieurarchitect (ndr architetto d'interni).
Io ritengo invece di essere solamente architetto.
Posso dirti invece che i giovani professionisti italiani sono fortemente incuriositi dal fenomeno straniero. La qualità dell'architettura contemporanea in Olanda, Germania, Inghilterra è di altissimo livello, come sai, sino al più impercettibile dei dettagli nelle rifiniture.
C'è una grande libertà di espressione, resa possibile attraverso un'intensa cooperazione con le industrie che ti permettono di realizzare davvero tutto quello che progetti.
Questo è davvero stimolante per tutti noi.

In base alla tua esperienza l'archimigrante per essere selezionato da uno studio di architettura deve avere alcune caratteristiche: 
  • l'età; 
  • pluriconoscenza linguistica; 
  • esperienza lavorativa passata qualificata; 
  • conoscenza regolamenti edilizi locali; 
  • deve capire il sistema e rispettarlo;
  • deve avere una personalità empatica. 
Cosa intendi per età? Queste esperienze/conoscenze fanno parte del patrimonio formativo dello studente medio italiano? 

No. La formazione di uno studente medio italiano è molto teorica. Più vasta, senza dubbio ma meno pratica rispetto alla formazione media di uno studente olandese o belga ecc.
Per cui la specializzazione, seppure cominciata durante gli studi universitari, si completa se nel mercato, hai la possibilità di approfondirla con incarichi compatibili con il tuo corso di studi.
Come sappiamo, questo non sempre accade in Italia.
Semmai, durante la tua esperienza professionale, acquisisci altre conoscenze e ti specializzi in altri campi a seconda della tipologia degli incarichi ricevuti.
Qui invece è più facile percorrere la strada che si è prescelta durante il corso degli studi universitari.
L'età è un fattore importante, perché in base ad essa (puoi chiamarla anche esperienza) viene computato lo stipendio. Naturalmente più giovane sei, meno sei pagato.
Ovviamente viene preferito mediamente un architetto con un massimo di esperienza lavorativa di 5 anni, perché quest'ultimo non rappresenta un costo eccessivo per l'azienda (a qualsiasi scala). Si pensa che non abbia ancora maturato quell'autonomia e sicurezza che si acquisisce con il tempo e con tutti i meccanismi che entrano in gioco lavorando.
Naturalmente devi essere flessibile e socievole, lavorare in maniera indipendente ma anche in un team diversificato e sapere utilizzare molti programmi di grafica e visualizzazione. E anche se l'abilita' nell'utilizzo di softwares teoricamente non è indispensabile, secondo me viene tenuta in massima considerazione, perché molto spesso qui cominci come disegnatore... 

L'Olanda sembra essere la patria ideale dell'architetto: Hendrik Petrus Berlage (1866-1934), Gerrit Rietveld (1888-1964), Jacobus Johannes Pieter Oud (1890-1963), Rem Koolhaas (1944) OMA/AMO, Wiel Arets (1955), Francine Houben (1955) Mecanoo, Ben Van Berkel (1957) UN Studio,Winy Maas (1959) MVRDV, Lars Spuybroek (1959) NOX, Adriaan Geuze (1960) WEST 8, ne cito solo alcuni per brevità, i quali hanno una notevole influenza internazionale, sia teorica che architettonica, una caratteristica endemica, un caso, una strategia o altro?

Bella domanda.
No non è un caso. È lo stesso identico quesito che mi sono posta anch'io e sul quale ho chiesto spiegazione a tanti designers olandesi intervistati (Aldo Bakker, Maarten Baas, Kiki van Eijk, Richard Hutten, Claudy Jongstra, Edward van Vliet) che già a soli 26 anni sono famosi in territorio internazionale e presenti all'interno delle più prestigiose gallerie d'arte contemporanea del mondo.
Per cui se consideri gli architetti che hai citato (ce ne sono talmente tanti altri...) e li sommi ai designers (anche loro numerosissimi) il risultato che ottieni è davvero sorprendente.
Le università sono di buon livello, e cosa non da poco, il governo finanzia i progetti di laurea delle accademie di design.
Poi, devi anche considerare che l'Olanda è un piccolo stato, e puoi raggiungere la notorietà in tempi brevi. Economicamente è in espansione e ci sono tantissime imprese che si spingono al di là dei confini prettamente territoriali.
Gli olandesi sono prevalentemente uomini d'affari, grandi risparmiatori (sino al più piccolo dei centesimi) e amano investire e sperimentarsi in nuove cose.
Inoltre, gli studi che hai citato sono delle vere e proprie aziende, con una media di 50 professionisti suddivisi gerarchicamente.
Credo che il loro successo sia una caratteristica endemica, potenziata in ottime scuole, ma anche tanta strategia e tenacia in un terreno sicuramente fertile per la crescita e l'evoluzione.

Quale esperienza italiana università/lavoro/incontri ti è servita in Olanda?

Purtroppo nessuna fino ad adesso. Vivo in Olanda da due anni e ancora non ho trovato un lavoro. Ma in ogni caso, da 6 mesi circa ho smesso di cercarlo.
Durante il mio ultimo colloquio, i due architetti che mi stavano intervistando, decisero improvvisamente di non proseguire la conversazione ulteriormente. Avevano capito che i miei clienti in Italia erano stati prevalentemente dei privati o medie imprese di costruzione, mentre loro lavoravano esclusivamente con project developers e quindi non andavo bene... A quel punto, gli ho spruzzato un po' del mio veleno, lasciandoli imbambolati nella loro sala riunioni.
Non ho concluso nulla, ma togliendomi quel doloroso sassolino, ho potuto camminare con quella fierezza di un tempo, almeno per quel pomeriggio.
Ma scrivo moltissimo, leggo, dipingo, progetto la mia nuova casa e sto provando a partecipare ad un concorso di idee, nella speranza di crearmi addosso un "Personaggio" che diverso dal contesto, possa aprirmi quella porta e farmi vivere questo mondo, non soltanto da spettatrice.

Che cosa intendi per «crearmi addosso un 'Personaggio' diverso dal contesto»?

Vorrei, se ci riesco, accentuare quello che di diverso ho, rispetto agli olandesi, per provenienza, cultura, educazione, interessi e maniera di operare. Vorrei suscitare interesse o quanto meno incuriosire, proprio per queste differenze (per le quali forse, non sono stata mai selezionata dopo i miei colloqui), una nicchia di mercato.
Non avrebbe senso per me, uniformarmi a quello che qui già esiste e che è di ottima qualità. Perché per facilità di comunicazione, naturalmente, sarei preferita ad un architetto olandese. Cercherei di fruttare il mio essere italiana, quanto più posso, attraverso un'immagine che dovrebbe venire fuori dal mio website (in costruzione) e che potrebbe farmi uscire finalmente dal rifugio.
Credo sia difficile: l'Olanda non è il posto in cui sono cresciuta e non so davvero ancora come muovermi, ma chissà.

Sciacca presenta due paradigmi che trasposti descrivono la Sicilia: la 'roba' e l'abbandono.
Il primo è condensato nella leggenda/storia dell'isola Ferdinandea, emersa e inabissatasi nel 1831 e contesa tra francesi, inglesi e borboni. Poiché possedere l'isola era strategicamente importante.
Il secondo è il teatro progettato dall'architetto Giuseppe Samonà nel 1975, secondo le previsioni del piano razionalista Sciacca doveva munirsi di una grande sala data la sua imminente crescita demografica. La costruzione mai ultimata, sembra un'astronave di cemento posteggiata tra la città e il promontorio. Adesso è un pezzo pregiato dell'incompiuto siciliano del collettivo 'Alterazione video'.
Qual è il tuo paradigma?

Nei miei momenti di sconforto, credo che gli esempi che hai citato e che descrivono la mia Sicilia, potrebbero calzare anche su di me.
Per quanto nel mio piccolo universo, io senta di avere delle potenzialità, che potrebbero essere utilizzate anche da questa realtà, penso anche di essere come una delle opere incompiute siciliane, perché di fatto, la mia carriera proprio all'apice si è interrotta.
E non è continuata qui, come di fatto avevo immaginato.
Ma non ho nessun rimpianto, per avere scelto la via romantica.
Le difficoltà che sto incontrando e le esperienze anomale che ho vissuto nel tentativo di introdurmi nel mondo del lavoro, non hanno ancora infranto i miei sogni.
Ho per fortuna sempre degli obiettivi da raggiungere, ogni giorno.
E nei momenti positivi preferisco pensare che anch'io avrò un giorno la mia occasione, come tutti.
Non sono sicura di avere paradigmi, ma ho conosciuto Giuseppe Samonà da bambina.
È venuto a casa mia.

Ti va di raccontare quest'incontro?

È venuto con mio padre a casa nostra, e la sua inseparabile assistente, di cui adesso non ricordo il nome. "Ti presento un grande architetto!" mi disse mio padre e io ero contenta perché ero stata la prima in casa, ad essergli stata presentata...

In bocca al lupo.


Crepi il lupo!

9 dicembre 2008

Intersezioni ---> Fuga di cervelli
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5 dicembre 2008

...a proposito di diagrammi, incrocio e fotografia...


...diagrammi,
Salottobuono,
ho sistemato l'intervista secondo il tuo/vostro suggerimento.
Interessante il libro Data Flow
a presto,
Salvatore D'Agostino
Mail spedita il 20 ottobre 2008 10.19

Grazie sì, il libro è molto bello e pieno di lavori interessanti. E' anche molto ben fatto, l'hanno curato e disegnato gli svizzeri Onlab (www.onlab.ch – gli stessi che hanno realizzato la grafica del padiglione tedesco alla Biennale di quest'anno e che hanno fatto il lifting all'attuale Domus...).
Salottobuono

Che cos'è un Data Flow Diagram?

Una semplificazione grafica dei flussi d'informazione, teorizzata nel 1978 da Tom De Marco e descritta nel suo libro Structured Analysis and Systems Specification, Paperback, 1979.


...incrocio,
ho chiesto ai miei amici Ugo Sgambetterra e Carina Peinado Sarubbi, di tradurmi una vignetta di Daniel Paz un fumettista argentino.
Grazie Ugo e Carina.

Clicca sull'immagine per ingrandire.


MALBA: http://www.malba.org.ar/web/


...fotografia,
Martino Di Silvestro un architetto/
fotografo che lavora in Svizzera mi ha spedito una mail:
Oggetto: Mormorio-Alemanno Delogu...
Perchè non pubblichi questo?

http://www.fotoinfo.net/news/detail.php?ID=447
http://liste.racine.ra.it/pipermail/s-fotografie/2008-July/001213.html
http://liste.racine.ra.it/pipermail/s-fotografie/2008-July/001214.html
nel tuo blog?

Ciao
Martino
Mail spedita il 17 ottobre 2008 16.08


Di Diego Mormorio ricordo con piacere un suo libro sulla fotografia "Un'altra lontananza", Sellerio, 1997.
Interessante il capitolo Vedute & Paesaggio (Città, giardini, periferie, lontananze) dove si può leggere un'acuta definizione di paesaggio:


Questo vicenda romana chiarisce il male profondo della nostra Italia, mi chiedo, può la politica gestire le eccellenze?
In una lettera aperta di Diego Mormorio pubblicata su libero il 13 luglio 2008 "7 anni di fotografia. Festival internazionale di Roma". Un bilancio deludente." Leggiamo:

«Ma il sindaco Veltroni – che (per la cronaca) è stato studente all’Istituto Cine-Tv – intendeva evidentemente realizzare intorno alla fotografia non tanto un progetto orientato all’approfondimento o alla crescita dello spirito critico, quanto uno dei tanti appuntamenti romani di consumo, utili alla crescita del consenso elettorale. Pensò, dunque, che non fossero necessari né uno né molti esperti, ma che bastasse la buona volontà di un fotografo, ignoto a molti, ma suo amico. Così Marco Delogu, per dirla ricordando i tanti cardinali che ha fotografato, venne creato “direttore artistico"».

Riporto un articolo apparso sul sito Associazione Italiana Giornalisti Dell'Immagine", 09 ottobre 2009:

«Dal 2009 stop al Festival Internazionale della FotoGrafia di Roma. Lo ha dichiarato all’Ansa l’assessore alla cultura Umberto Croppi, lanciando contemporaneamente la costituenda Festa Futurista e le altre iniziative culturali del comune.
Ufficialmente la causa è finanziaria: l’assessore ha detto di aver trovato una “situazione disastrosa”, anche se la passione revisionista della giunta Alemanno, dai festival del cinema "autarchici" alla celebrazione dei caduti papalini proprio durante la commemorazione della Breccia di Porta Pia il 20 settembre scorso, e l’evidente intenzione di cancellare qualsiasi ricordo delle precedenti amministrazioni di centrosinistra, fanno pensare a forti motivazioni di natura politico-ideologica. Il direttore della rassegna Marco Delogu ha dichiarato in un’intervista a Repubblica che l’edizione del 2009 si terrà ugualmente, anche senza l’appoggio comunale, per rispettare gli impegni presi a livello internazionale.
Sembra giusto ricordare che il Festival e la gestione di Delogu hanno ricevuto in passato diverse critiche, per la mancanza di un Comitato Scientifico, la discutibilità di alcune scelte, l’assenza di un serio percorso critico e storiografico, riassunte in un recente intervento di Diego Mormorio su S-Fotografie e in una seguente precisazione

Diego Mormorio nella sua successiva precisazione riporta un aneddoto:

«Ho sentito circolare una battuta: Se in Italia si fulmina una lampadina, prima fanno un convegno politico sulla lampadina, poi la sostituiscono.»

Tralasciando la vicenda Mormorio/Delogu, Alemanno/Veltroni, revival futuristico/fotografia internazionale, provinciali/provinciali, perché in Italia la retorica della politica di sinistra--->comunisti/destra--->fascisti crede che gli italiani siano gente da addomesticare con eventi culturali propagandistici e provinciali?
Perché la politica deve gestire la cultura?
L'Italia è bloccata da un manipolo cospicuo di politici che gestiscono i propri interessi a discapito della gente intelligente ormai relegata fuori orario o nel retrobottega.
La politica sembra considerare stupidi i propri elettori, spendendo soldi statali per operazioni di basso marketing elettorale.
Personalmente credo che bisogna non aver più buonsenso e disobbedire, perché la politica di destra/sinistra non rispetta le regole primarie del buon vivere, agire con intelligenza.

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2 dicembre 2008

0019 [MONDOBLOG] PROG Engineering Architecture il blog di Alberto Pugnale

di Salvatore D'Agostino

Incursione sul work in progress di un architetto di URBS e NURBS: Il blog di Alberto Pugnale.

Salvatore D’Agostino Elia Zenghelis chiamato a riflettere sullo studente di architettura in un'intervista di Daria Ricchi e Manfredo di Robilant risponde
«Penso che, in realtà, molti studenti scelgano di fare architettura perché non sono abbastanza intelligenti per materie più scientifiche o più umanistiche.»1
Riprendendo questo paradosso, un architetto può disconoscere la logica matematica/scientifica?

Alberto Pugnale La domanda e la sua premessa accomunano temi diversi che preferirei non mescolare. L'intervista a Elia Zenghelis infatti è sì incentrata sulla formazione dell'architetto, ma addirittura prova a riflettere sui motivi che potrebbero spingere gli studenti a studiare architettura. E ovviamente li considera come possibili cause di una cattiva formazione. La tua domanda invece è volta sia alla formazione universitaria, quindi alla questione della didattica, ma immagino anche al bagaglio culturale che deve possedere un architetto che esercita poi la professione. Con riferimento alla scelta da parte degli studenti di iscriversi ad architettura non mi sento in grado di esprimere una posizione molto forte. Nonostante questo non sono però così convinto di quanto afferma Elia Zenghelis. Personalmente ho abbastanza fresco il ricordo di quando decisi di iscrivermi ad Architettura e posso affermare che fu una scelta casuale e non molto ragionata. Diciamo che la consideravo una naturale prosecuzione dell’istituto tecnico per geometri che frequentai in precedenza. Solo successivamente scoprì che per me era una passione. Però molti altri ex compagni avevano le storie più svariate a riguardo e considerare la Facoltà di Architettura come l’immondizia dove buttare gli studenti non adatti alle altre Facoltà più toste mi sembra veramente generalizzante e pessimistico, oltre che inutile come base per un ragionamento sul tema. E non credo di esagerare. Anche fosse sensato immaginare che i nostri studenti possano essere lo scarto del loro totale distribuito in più prestigiosi atenei prettamente scientifici o umanistici non ritengo sia così facile collocarsi comunque nella posizione di mezzo. Dico questo per introdurre la seconda parte della mia risposta. Infatti quella che chiami la logica matematica/scientifica è sostanzialmente parte integrante del sapere dell’architetto e, più o meno dosata a seconda dell’individuo con gli altri saperi, va a completare una formazione di base indispensabile. Se ci riferiamo all’università come luogo di formazione di architetti professionisti sono sicuro che il mercato richiede persone nelle quali le basi solide si trovano nelle conoscenze tecniche. È quello che permette di vendersi e crescere professionalmente. Ed è solo grazie a quello se vi è poi possibilità di far vedere nel mondo professionale anche altre doti personali. Con riferimento invece al mondo della ricerca, allora credo valga la pena sorpassare i saperi disciplinari e ragionare alla Popper, sulla base di problemi. Sempre dando per scontato che si tratti di problemi ben formulati, sebbene la cosa possa non essere così semplice, è l’unico modo di affrontare le questioni del mondo delle costruzioni superando le barriere disciplinari. In questo caso all'architetto è richiesto di studiare praticamente tutto. Già solo per citare l’argomento computer, premesso nella domanda, bisognerebbe spaziare dagli studi sugli strumenti e sulle tecnologie di Ong e di McLuhan, passando per le ricerche sull'Intelligenza artificiale e sulla psicologia cognitiva, ad esempio leggendo Minsky e Dennett, finendo poi con tante altre cose legate proprio all’uso specifico che interessa a noi architetti farne di questi strumenti. Mi viene quindi difficile pensare che questioni legate all'architettura, anche più prettamente filosofiche, riescano a trovare argomenti solidi senza poggiare su basi e studi scientifici. Queste questioni sono state ampiamente dibattute soprattutto con riferimento al tema della scuola d’architettura e della didattica in architettura negli atenei come il mio di Torino, i Politecnici (ad esempio Gabetti nei suoi scritti, alcuni dei quali raccolti in “Atti e rassegna tecnica della Società Ingegneri e Architetti di Torino”, Dicembre 2001). Ma anche a Genova con l’ing. Benvenuto, che poco prima della sua scomparsa intervenne in un convegno, sbobinato in PORTOGHESI P., SCARANO R. (a cura di), Il progetto di architettura. Idee, scuole, tendenze all'alba del nuovo millennio, Newton & Compton editori, Roma, 1999. Però non vorrei divagare troppo.

Per concludere, vorrei porre l’attenzione su alcune domande, che riformulo a partire dagli stimoli che mi offri: “È possibile che i problemi architettonici possano essere esclusivamente trattati attraverso un approccio progettuale, quindi sulla base di un talento personale e dell’esperienza accumulata? (Quindi eliminando la conoscenza disciplinare, scientifica o umanistica che sia, tanto le doti personali vengono fuori comunque prima o poi.) O riteniamo interessante indagare anche dei problemi, magari più limitati e semplici rispetto a un intero progetto, ma nei quali è possibile formulare correttamente il problema da studiare, il risultato che intendiamo ottenere è valutare gli strumenti che riteniamo adatti alla sua risoluzione (studiarli, capirli, adattarli, interiorizzarli)? Vogliamo veramente sfruttare un bagaglio culturale di altre discipline scientifiche per capire meglio come funziona la nostra mente (il processo progettuale)? Oppure il problema che più ci preme è la semplice demarcazione tra scienza e metafisica (perché certe cose sono talmente complesse e ‘scivolose’ da trattare che è meglio lasciar perdere in partenza)?”. 
Immagino di aver divagato. Se non ho risposto a pieno, spero almeno di aver sfruttato la domanda per provocare a dovere!


In un carteggio tra Luigi Moretti e Giulio Roisecco per la pubblicazione di un articolo sull'architettura parametrica (cioè il tentativo di coniugare la ricerca matematica e architettura) sulla rivista Moebius, Moretti scrive: 
«Tu sai che è dal 1939-40 che spingo la ricerca su queste relazioni e le possibilità della loro massima estensione per arrivare ad una architettura che viva nell'affascinate respiro del mondo attuale permeato di faustiano spirito scientifico, architettura cioè autenticamente moderna di fatto (quindi nuova e rivoluzionaria) e non soltanto di nome per appartenenza storica a tempi moderni. [...] L'ignoranza persistente, scusami, nella quasi totalità dell'area accademica delle nostre Facoltà di Architettura (e non solo in Italia) di ogni problema che esuli dal formalismo che impera e dalle dichiarazioni sociali prive di ogni contenuto concreto e l'impreparazione, non certo per la colpa, dei docenti e studenti delle nostre Facoltà delle materie matematiche, mi fecero desistere e chiudere le nostre ricerche nell'area di chi poteva parlare un linguaggio consimile.»
Qual è lo stato attuale nei confronti di queste tematiche nell'Università di oggi?


Rispondo riferendomi principalmente alla situazione del Politecnico di Torino. Non vorrei includere l’intera università italiana nella posizione che esprimo, maturata principalmente all'interno dell’ambiente che frequento. Partendo dal fatto che le Facoltà di Architettura offrono una didattica fornita da docenti afferenti a diversi dipartimenti (più una percentuale di esterni che si spera sia bassa) bisogna ricordare che la ricerca si svolge poi all'interno dei singoli dipartimenti, che sono per lo più indipendenti.  È quindi inevitabile che quanto accade nella didattica sia separato da quanto invece avviene nei dipartimenti e nel mondo della ricerca. E questo credo sia il più grande limite per la crescita e lo sviluppo di studi innovativi su temi che superano l’interesse dei singoli saperi disciplinari. Intendo il più grande limite burocratico. Poi c’è anche un altro impedimento culturale, dovuto al fatto che non tutti i docenti e i ricercatori ritengono opportuno far rientrare all'interno della Facoltà di Architettura certe ricerche. Per superare le difficoltà organizzative si può pensare di trasformare il modo di lavorare e fare didattica dei docenti in modo che vi sia maggior corrispondenza tra didattica e ricerca. Più nello specifico, sarebbe importante che docenti afferenti alle diverse discipline, ma che poi si ritrovano in aula a fare didattica sul progetto, possano appartenere per temi alla stessa struttura di ricerca anche finito il ruolo prettamente didattico. Si tratta quindi di far evolvere i Dipartimenti universitari in Scuole (di ricerca). Nel caso specifico di Torino, ritengo che le potenzialità affinché questo cambiamento possa raccogliere buoni risultati ci siano. Mario Alberto Chiorino spiega bene quanto ho appena affermato nel piccolo saggio: “Filosofia strutturale: Jürg Conzett e l’eredità di Torino” in Conzett J., Architettura nelle opere d’ingegneria, Allemandi, 2007. Il riferimento è al rapporto tra forma e struttura, dato che si tratta di un legame difficile da scindere, più volte affrontato con ottimi esiti (di pensiero e di opere) all'interno del nostro Politecnico. Chiorino esprime chiaramente la sua posizione, punzecchiando velatamente nel suo testo i sostenitori di orizzonti culturali opposti, largamente presenti nella scena della facoltà torinese (la unifico nonostante ve ne siano due).

Per concludere, la mia speranza è che l’università segua la rotta del maggior connubio tra ricerca e didattica, e del superamento della suddivisione in Dipartimenti, anche culturale. Però mi aspetto inoltre che sia proprio la Scuola di Dottorato la prima a formare dottori di ricerca che svolgono il proprio studio e lavoro con questo approccio. Oltre al rapporto tra forma e struttura si possono citare velocemente alcuni campi di ricerca che richiedono espressamente un team di lavoro ‘multi-etnico’: il rapporto edificio-impianti e la sostenibilità energetica, le infrastrutture, che legano l’ingegneria civile con gli studi sul paesaggio. Per fare solo un paio di esempi.


Una delle pagine più interessanti del tuo blog è la bibliografia ragionata, aiuta la tua ricerca ma invita anche l'utente ad un approfondimento, indirizzando il neofita e il curioso. Scorrendola s'intuisce il carattere del tuo studio sull'interazione tra architettura e ingegneria attraverso l'uso delle nuove tecnologie. A che cosa serve o è servito questo appunto telematico?

La pagina dedicata alla bibliografia è in sostanza un elenco di libri e articoli appuntati come memoria delle letture personali, volte alla stesura della tesi di dottorato.
Nel blog non aggiorno questa pagina da gennaio 2008. Nel mio archivio però conservo diverse versioni di questo elenco, salvate progressivamente ad ogni cambiamento che vi apporto. Si tratta di aggiunte ed eliminazioni di libri, ma anche di inserimenti di commenti personali.  È proprio un percorso di letture che sto portando avanti al fine di ottenere poi una vera bibliografia del mio lavoro, che vorrei fosse però limitata a quanto è effettivamente servito nella tesi. Ad esempio, nello specifico della ricerca operativa sono partito dal “Manuale sulle reti neurali” di Floreano nel quale è ben spiegato come costruire un semplice algoritmo genetico. Ho iniziato anche con la tesi di laurea di un mio ex compagno di studi T. Mendez, che si è occupato proprio di ottimizzare una forma libera sulla base di una performance prestabilita. Anche questa è indicata in bibliografia. Poi si passa agli articoli pubblicati sulle riviste di ingegneria o ai libri più tecnici, come il Koza per gli algoritmi genetici (è dedicato alla programmazione genetica ma ha un’introduzione agli AG eccellente ed è il più recente), l’articolo di Elbeltagi E., Hegazy T., Grierson D., Comparison among five evolutionary-based optimization algorithms dal quale sono nati gli stimoli per degli avanzamenti dello stato attuale delle nostre ricerche (ad esempio la tesi di laurea di Paolo Basso di Genova, veramente un lavoro di ricerca eccellente volto a ricondurre gli elementi costitutivi di una copertura a forma libera grid-shell ad un abaco di elementi predefiniti e limitati nel numero), o il Fonseca C. M., Fleming P. J., Multiobjective Optimization and Multiple Constraint Handling with Evolutionary Algorithms-Part I: A Unified Formulation, utile spunto per delle ottimizzazioni multi-obiettivo, mai ancora provate però per ora.
I libri di epistemologia mi stanno aiutando più che altro a costruire un quadro concettuale all’interno del quale collocare il lavoro di ricerca al fine della stesura della tesi. Mentre le pubblicazioni didattiche mi servono ad aggiornarmi su cosa succede all’interno di altre facoltà e dipartimenti.
I libri classici fa invece sempre bene rileggerli nel momento in cui interessa un particolare tema. Credo che nella rilettura si focalizzino meglio alcune parti magari ignorate in passato per scarsità d’interesse. Solo per questo motivo sono in elenco, e ce n’è parecchi. Rimangono però utilissimi i convegni e la lettura dei relativi atti. Niente di meglio di un po’ di contatti personali e continue scadenze affinché il proprio lavoro possa procedere spedito, avere continuamente visibilità ed essere confrontato con gli altri. Prometto che aggiornerò più di frequente questa pagina. Nel frattempo, ai curiosi (anche se sanno trovarsi da soli gli stimoli) consiglio di leggersi “Il turista matematico” di Peterson oppure “Il matematico impertinente” di Odifreddi. Questi sì che sono libri divulgativi ma chiari e dettagliati al punto da non essere banali. Proprio adatti per iniziare a capire quante cose interessanti si possono studiare e indagare.


Sta cambiando il linguaggio dell'architettura attraverso l'utilizzo dello strumento matematico/informatico in questa era, che possiamo definire, della sofisticazione tecnologica?

Non condivido il fatto di classificare l’architettura separando l’era attuale dal passato. E non condivido neanche doversi porre un problema che non esiste, e cioè quello di trovarle un nome.
Dal punto di vista storico è spesso utile riferirsi a epoche passate chiamandole coi vari nomi che si studiano sui libri. Però attualmente questo modo di fare storia trova un po’ di difficoltà col presente. Difatti si fanno molte biografie, piuttosto che storie dell’architettura. Approcciando però il problema non guardando alle diversità (che generano classificazioni) ma occupandosi delle ‘continuità’ col passato (come fa ad esempio Pigafetta, pur non studiando il presente) allora si può trattare questa domanda eliminando alla radice alcuni falsi problemi. Rispondo quindi come fece Moneo a Pierre-Alain Croset in un’intervista fatta in occasione di un suo intervento a Torino per il ciclo di conferenze in memoria di Roberto Gabetti, a una domanda simile ma riferita all'insegnamento dell’architettura, ora pubblicata nel librettino della Allemandi: “Costruire nel costruito” a cura di Michele Bonino:
«A mio modo di vedere queste tecniche hanno senz’altro avuto, e continuano ad avere, un effetto molto importante sulle nuove architetture. Ma il cambiamento è molto più sostanziale. I nuovi canali di comunicazione hanno dato adito a un nuovo modo di intendere la conoscenza. […] Ma nella vostra domanda c’era implicitamente qualcosa di inquietante, a cui mi è difficile rispondere. L’architettura continuerà ad essere un’arte in cui gli occhi, la visione, contano sopra ogni cosa? […]»
Io credo si possa riflettere su questo tema facendo un’analogia con la musica. I diversi strumenti musicali sono portatori in maniera differente di tecnologia. In alcuni casi, come negli archi, al musicista è richiesta maggior sensibilità ed è data quindi una più grande opportunità di definire e regolare il suono. In strumenti come l’organo, portatori di grande tecnologia, il suonatore perde quanto appena descritto con riferimento agli archi. Sono modi diversi di occuparsi della stessa cosa. In base agli strumenti che si usano ci si accolla vantaggi e svantaggi, modi di pensare e ragionare.



Sasaki è attualmente uno dei pochi progettisti di strutture che hanno l’interesse e la sensibilità adatta per capire quanto il suo lavoro influenzi sostanzialmente l’architettura. Comprende quanto il suo contributo sia principalmente di concezione del progetto più che di risoluzione tecnica. Detto questo, che era già stato compreso nel dopoguerra da una serie di progettisti di strutture (Nervi, Morandi, Musmeci, Candela, Torroja, Otto, ecc.), Sasaki non si ferma ai risultati raggiunti negli ultimi decenni e prova ad indagare il tema della ricerca di forma e della morfogenesi attraverso la computazione. Prova cioè ad utilizzare il computer per raggiungere degli obiettivi che sembrano sfruttare a pieno il suo potenziale, molto di più che sostituendoli ai tecnigrafi e alle macchine da scrivere.
A lui va l’onore di aver sperimentato per la prima volta in architettura un’ottimizzazione topologica per la ricerca di forma, una versione estesa dell'ESO method già consolidato da anni invece nel mondo dell’ingegneria nella sua versione tradizionale. Si è occupato anche di ricerca di forma attraverso un metodo iterativo basato sul gradiente, l’analisi di sensitività. Però in generale i risultati architettonici non mi affascinano particolarmente, nonostante ne comprenda il valore sperimentale. Preferisco personalmente alcuni grattacieli che i SOM stanno costruendo di recente, nei quali l’utilizzo di tecniche di ottimizzazione non si ferma alla lettura dei risultati del computer, assumendoli come forma finale, ma dove queste diventano appunto solo uno dei tanti strumenti di conoscenza. Però la forma finale si discosta in parte dai risultati della morfogenesi computazionale


Il post a cui fa riferimento è stato intitolato così proprio per valorizzare il contenuto del librettino che intendevo presentare. Infatti nel testo di Ciammaichella oltre a spiegare come i software NURBS-based permettono di generare delle superfici libere si occupa di trovare delle analogie tra le regole generative delle superfici parametriche e il modo di concepire spazi avvolti da queste forme libere da parte degli architetti, quelli più noti. Dato che il libro mira anche a classificare i diversi architetti in categorie, proprio perché questi utilizzano sempre lo stesso modo di concepire architetture libere (e quindi NURBS relative per rappresentarle), io preferirei rispondere alla domanda solamente in relazione ad un tipo di problema architettonico che mi viene sottoposto in contemporanea. Come faccio altrimenti a prendere decisioni progettuali, sulla generazione di una forma, senza un programma davanti? Così a vuoto appartengo a tutte, nel senso che sono tutte possibilità da valutare. Ripensando però anche a diversi progetti che mi sono trovato davanti a nessuna. Non vorrei, come spesso accade, che il primo problema di un programma progettuale fosse aggiunto proprio dall’architetto insistendo sul voler a tutti costi costruire forme libere senza senso.

A che cosa serve un blog per un architetto?

Il blog permette di avere visibilità, costringe a mettere in ordine le idee e impegna periodicamente l’autore a metterci mano.  È un modo rapido ed efficace per poter scambiare idee tra amici e colleghi più o meno lontani e con orari e impegni anche molto diversi dai nostri. A questo vorrei che servisse il mio di blog. Mi permetto però di affermare con molta disinvoltura che non si tratta di specifiche necessità da architetto. Sono i motivi per i quali parecchi autori di blog ne aprono uno e scrivono. In tutto questo c’è un problema però. La semplicità di questo strumento e la sua diffusione pone i naviganti nella situazione di trovarsi troppa informazione davanti agli occhi. E quindi il principale problema, e inversione di rotta rispetto al passato, diventa leggere per selezionare piuttosto che indagare per trovare.

2 dicembre 2008

Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note:
1 Intervista pubblicata sul Giornale dell'Architettura, maggio 2008.
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