Facebook Header

Visualizzazione post con etichetta Alessandro Mendini. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Alessandro Mendini. Mostra tutti i post

22 marzo 2013

Non-Skools Whoami and Tam Tam


According to The New York Times, 2012 was the year of the MOOC (massive open online course), the free and open online university. Compared to earlier incarnations of e-learning, MOOCs have elevated their range of educational offerings by recruiting some of best professors at traditional universities and improving the online format by incorporating applications similar to social media that allow direct contact between teachers and students.


The history of distance learning, as The Technology Reviews's Nicholas Carr observes, goes back nearly a hundred years. It began in 1920, made possible by the efficiency of the new postal system. Today, Carr notes, major promotional efforts and significant investments in MOOCs such as Udacity, Cousera, and edX are forcing university administrators to rethink the form and meaning of teaching itself. “For better or worse, the Net’s disruptive forces have arrived at the gates of academia.”


11 febbraio 2013

0010 [SQUOLA] Whoami e Tam Tam due non scuole

La parola scuola è spesso un inciampo, il suo suono trae in inganno.
Non di rado viene scritta sbagliata.
Squola è un errore ed è il nome di questa rubrica.
di Salvatore D’Agostino

Secondo The New York Times, il 2012 è stato l’anno dei MOOC, le università libere e gratuite online. I MOOC (Massive Open Online Course), rispetto alle scuole e-learning, hanno potenziato l’offerta formativa assumendo tra i propri docenti i migliori professori delle università classiche e migliorato la struttura online con applicazioni simili ai social media che permettono un contatto diretto tra insegnanti e studenti. La storia delle offerte formative a distanza, come ricorda Nicholas Carr, ha quasi cento anni, inizia nel 1920 grazie all'efficienza del nuovo sistema postale. Oggi, osserva Carr, i grandi investimenti e le campagne pubblicitarie dei MOOC, come Udacity, Cousera o edX, impongono agli amministratori universitari di rivedere le forme e il significato del proprio insegnamento: «Nel bene e nel male, le forze dirompenti della Rete sono arrivate ​​alle porte del mondo accademico.»
  
dal sito edX
Nello stesso periodo in Italia si sono aperte due nuove scuole, Whoami e Tam Tam, con dinamiche opposte alle vicende statunitensi. Scuole un po’ anomale poiché non strutturate, non obbligatorie, libere dalle istituzioni, senza fissa dimora, sperimentali, che utilizzano la tecnologia ma anche tante altre cose, con una forte autonomia di pensiero e che hanno pensato d’infischiarsene delle università sia fisiche che on-line?

31 maggio 2012

0049 [SPECULAZIONE] Progettare senza limiti

di Fulvio Irace*  

All’archivio di Stato una rassegna sull’«architettura radicale» che negli anni Sessanta voleva rompere con la tradizione e incarnare la contestazione antiborghese. 




   Non ha tutti i torti chi ritiene che l’unico contributo italiano alle avanguardie del ‘900 sia stato il Futurismo. Per tutto il XX secolo la stessa parola – “avanguardia” – non è mai stata molto popolare da noi, soprattutto se riferita all’architettura, un’arte in cui ogni apertura al nuovo – dalla Metafisica alla Tendenza – ha più o meno conciso con un ritorno al passato. Al punto che, anche quando l’impulso a ricostruire il mondo si fece sentire l’urgenza di una febbre giovanile in un momento storico che ha radicalmente cambiato il paese, la cultura ufficiale ha reagito voltando le spalle e raggelandone ogni velleità in silenzio. 

   La scena naturalmente è quella degli anni 60, quando Londra era “swinging” e a Berkley, in California, Marcuse era il guru della rivolta studentesca. Sui muri di Parigi si invocava l’”immaginazione al potere” e a Firenze – destatasi per incanto dal dorato tramonto post brunelleschiano – due stimati “maestri” (Leonardo Savioli e Leonardo Ricci) aprivano inaspettatamente i loro corsi di progettazione ai nuovi temi proposti dagli studenti: dall’urbanistica integrata all’urbanistica del divertimento. 

   A Roma, di fronte al quartiere Coppedè, era da poco sorto il Piper: il tempio-icona della “beat generation” dove Patty Pravo e i Rokes si esibivano in una sala decorata da Warhol, Schifano e Manzoni. A londra, Cedric Price aveva lanciato il suo progetto più rivoluzionario: il Fun Palace, padre nobile del Beaubourg di Piano e Rogers, e rappresentazione di quell’impulso ludico alla creazione che Marcuse aveva posto alla base della sua critica alla società totalitaria in Eros e Civiltà. Per gli studenti fiorentini progettare il “Piper” significava dunque sperimentare lo spazio del coinvolgimento, scatenare le forze di quella guerriglia esistenziale con cui si credeva di rompere l’arido guscio dell’architettura professionale e tecnologica ed entrare in contatto con le forze più eversive della contestazione antiborghese. Andrea Branzi proponeva il Luna Park a Prato, Natalini il Palazzo dell’Arte a Firenze, Gianni Pettena incursioni artistiche sul Ponte Vecchio e sfide impossibili ad Arnolfo di Cambio. Si incontravano così nelle strade compagni inattesi come Ugo La Pietra che a Milano sperimentava i “gradi di libertà”, Riccardo Dalisi che nei bassifondi di Napoli anticipava l’architettura della partecipazione o Derossi/Strumm che a Torino affidava al “Fotoromanzo” le utopie delle lotte operaie, prima che queste di lì a poco degenerassero nelle regressioni armate degli anni di piombo. 

   Nasceva insomma l’”architettura radicale” (il termine fu coniato a posteriori da Germano Celant un po’ sulla scia dell’arte povera”) che il leader di Superstudio Natalini – definì un misto di: ironia, provocazione, paradosso, terrorismo, misticismo, umanesimo, patetico, di volta in volta adoperate secondo la nota strategica avanguardistica della “mossa del cavallo”!. Poi vennero Mendini – che giunto alla direzione di Casabella la trasformò nell’house organ del “radicalismo” internazionale - e l’argentino Emilio Ambasz che nel 1972 li trabordò tutti nelle sale del Moma di New York in una mostra memorabile intitolata «Italy: the domestic landscape». 

   Il paradosso però fu che l’agiografia concise con l’atto di morte: una celebrazione suntuosa che rilanciò l’Italia nel circuito internazionale, ma si lasciò dietro solo un grandioso cimitero cartaceo che ancor oggi affascina per la visionarietà di certe intuizioni (come il Monumento continuo, ad esempio, o la Non-stop City) che sono il testamento più vitale di un’inquietudine che la società italiana non seppe cogliere.

   «Velleità eversive» le definì Tafuri, esempi di «ironia che non sa ridere». La seriosità accademica e la censura politica (quella di sinistra naturalmente che era ben lungi dal dismettere la sua ossessione del “centralismo democratico”) ne fecero strage, lanciando l’anatema di una “dannatio memoriae” che di fatto condannava l’Italia a un autarchismo scambiato per culto del “genius loci”. Oggi, per il breve spazio di un mese, le ipotesi della «Radical City» tornano al centro di una mostra che è il fiore all’occhiello della seconda edizione di «Architettura in città»: un’occasione di riflettere su un progetto di modernizzazione incompiuto, per analizzare non solo le cause della disfatta, ma anche – e soprattutto – le ragioni di un grande successo internazionale. 

   Radical City, a cura di Emanuele Piccardo, Torino, Archivio di Stato. Dal 30 maggio al 30 giugno.  Catalogo Archphoto 2.0

31 maggio 2012
Intersezioni ---> SPECULAZIONE
__________________________________________
Note:
* Pubblicazione autorizzata dall'autore


13 luglio 2010

0404 (finExTRA) 13 luglio 2010----> WWW o WWC [45] Domus + Abitare e la sindrome da mainstream

di Salvatore D'Agostino



Giuseppe Pontiggia tra il febbraio 1997 e il giugno 2003 (mese della sua morte) ha curato una rubrica dal titolo ‘Album’ sul ‘Domenicale’ del Sole 24 ore. Occupava l’intera terza pagina per una volta al mese.
Era una raccolta di pensieri quasi giornalieri ‘diffranti’. Spezzoni di critica letteraria, attualità, aforismi, conversazioni private o amenità quotidiane.
Non era uno Zibaldone, né un diario, ma un semplice album di ‘appunti’.

Oggi verrebbe etichettato come blog, ma non lo era, poiché quell’album calendario veniva pubblicato in una struttura totalmente differente.

Le narrazioni Web non possono essere confuse con quelle cartacee.
Come non possono essere confuse le foto 'corollario' della notizia con le foto narrative.

Nella nuova transitoria - ‘Utopia’ – Domus di Alessandro Mendini. Il direttore continua il diario-carta/blog-versione online, aperto da Flavio Albanese il 3 aprile 2009 (ne avevo parlato qui).

Prima nota del 20 gennaio.
«3 febbraio
Utopia: il modello mitico verso il quale tendere. Importante che sia irraggiungibile». Link
Mendini aggiunge la rubrica ‘email’: una mail di Emilio Ambasz spedita alla rivista.

Nel frattempo Abitare, nel suo spasmodico inclusivismo, ha invitato Geoff Manaugh (autore del blog bldgblog) a tenere un corso di scrittura e creazione blog da pubblicare nella rivista.

Fabrizio Gallanti, Il blogger nell’archivio, Abitare online, 30 giugno 2010. Link

Mi chiedo: siamo proprio sicuri che, i lettori delle riviste di architettura amino ritrovare la trasposizione dei contenuti del supporto cartaceo
sul Web, senza nessuna rimpaginazione grafica?

13 luglio 2010


__________________________________________

Come usare WA ---------------------------------------------------Cos'è WA

26 ottobre 2006

La sfida dell’architetto

Leggendo la lettera di Luca/Guido Incerti sulla presS/Tletter n. 29 - 2006, mi è venuto in mente il paradosso indicato da Adolf Loos, sul rapporto antinomico dell’architetto e il committente. Loos in Parole nel vuoto nel racconto, A proposito di un povero ricco, ammonisce l’architetto sul suo essere conclusivo e onnipotente. Questo sembra chiaro a Carmelo Baglivo che nella “casa” vede proprio il luogo del limite dell’architetto. La “casa” è lo spazio dell’alterità quasi inconciliabile con la ricerca spesso autocelebrativa degli architetti. Carmelo Baglivo non sembra temere l’orlo di questo precipizio, individua i problemi del nostro strapaese: «Il popolo italiano pensa di essere un popolo di architetti. Non c’è una cultura architettonica diffusa. Committenza ignorante». Dimostrando con il suo gruppo IANPLUS che non è momento delle chiacchiere ‘accademiche’.
Nella presS/Tletter n.10-2006, avevo posto una domanda “Qual è la sfida intellettuale per l’architetto?
Quel quesito era rivolto soprattutto agli assessori all’urbanistica di qualsiasi comune italiano, al presidente del Consiglio Nazionale Geometri (Piero Panunzi), al presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri (Sergio Polese), al presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (Raffaele Sirica), ai Rettori delle Università di Ingegneria-Architettura. Mi interessava conoscere l’indirizzo politico e legislativo.
Mi hanno risposto gli architetti:
Carlo Ratti: «L'architettura in Italia oggi è morta. Ma la sfida, da noi come altrove, è chiarissima!»;
Alessandro Mendini: «La sfida è continuare a cambiare rimanendo se stessi.»;
Giuseppe Merendino: «Ricostruire! Perché l’architettura in Italia è un Ground Zero.».
Caro Luca/Guido Incerti il problema dell’architettura in Italia sono proprie quest’“e-mail un po' così” indirizzate a chi lavora con tenacia su questo devastato patrimonio edilizio. Il problema è nell’ignoranza diffusa e innocente (escludendo le poche eccezioni) di chi ha il potere decisionale/culturale e preferisce l’omologazione folk-storica alla globalizzazione attenta alla tradizione ma innovativa.
IN CERTI momenti la sfida deve essere indirizzata verso i potenti inamovibili.
La sfida dell’architetto non è tra architetti.



Pubblicato sulla presS/Tletter n.30-2006

Guido Incerti: sull’orgoglio dell’architetto

Con questa mia volevo rispondere a Salvatore D'Agostino.

Sono già stupito che qualcuno abbia ritenuto la mia lettera degna di esser letta. Ne sono contento. Vede Signor D'Agostino, innanzitutto non invio delle e-mail un pò così contro gli architetti. Io son anche Architetto, un giovane architetto che si scontra quotidianamente con quel potere che spesso molti architetti dicon di combattere, perchè sembra sia nell'ideale utopico della figura dell'architetto combatterlo, ma che alla fine, e dalla notte dei tempi è così, assecondiamo e cerchiamo per entrarvi nelle grazie. Per riuscire a costruire qualcosa. Chi realmente lo combatte il potere è completamente escluso da ogni circolo che conti e men che meno costruisce. Il potere deve e chi lo ha, e qui sono d'accordo,deve essere "educato" all'architettura... e più che all'architettura a ciò che l'architettura può creare successivamente al suo esser stata edificata. Son un giovane architetto, ma vedo sempre più spesso giovani architetti predicare bene, e poi razzolare alquanto male su questo campo, cercando molto spesso contatti e agganci che poco han a che fare con il piacere di fare l'architettura. Sono anche un giovane architetto stanco degli architetti che si riempiono la bocca di parole di altri architetti e che cosi facendo aumentano in maniera esponenziale la spaccatura tra gli architetti e coloro che qualche volta a loro si rivolgono. La committenza appunto. Vede le parole sono spesso buone tra noi ma alla committenza non illuminata non interessano. Per quello mi farei volentieri costruire una casa da un architetto, perchè dialogando con lui potrei sicuramente imparare qualcosa di nuovo e vedere la passione con cui si dedicherebbe alla mia casa. Non per fare un monumento al suo ego, problema di molti dei famosi giovani e meno giovani che, ripeto, predicano bene e razzolano assai male, ma per aiutarlo a "fare" un luogo dove forse potrei vivere meglio, e magari come diceva Leonardo Ricci aiutarlo a non farsi così schifo la sera quandi disteso sul letto guarderà le stelle fuori dalla finestra. Vede Signor D'Agostino, io credo invece che IN CERTI momenti le sfide inizino prima tra noi architetti, non vergognandoci di ammettere di voler fare la nostra casa, e sopratutto non facendo finta, per motivi intellettuali, di non voler essere quello che siamo. Solo così, molti di noi non crederanno più di essere conclusivi e onnipotenti (Loos era un bell'ossimoro da questo punto di vista), accetteranno le vere sfide del mestiere e si potrà cominciare un cammino che porti l'Italia fuori dal limbo in cui si trova.

Cordiali saluti. Guido Incerti

Come usare WA ---------------------------------------------------Cos'è WA

__________________________________________

Pubblicato sulla presS/Tletter n.31-2006