Quest'articolo* va integrato con l'intervista curata da Salvatore D'Agostino La città latente di Federico Zanfi, il progetto di descrizione Salvatore Gozzo | Comiso, Claudio Sabatino | Sarno, Alessandro Lanzetta | Ardea, Andrea Pertoldeo | Marina di Strongoli e Paolo De Stefano | Marina di Mancaversa
Aldo abita stabilmente la sua casa al mare.
Anni fa mi sono separato da mia moglie, che continua a stare a Gela nella casa di famiglia, e sono venuto a stare qui, da solo: con la pensione che ho non sarei riuscito ad affittare un’altra casa in città.
Anni fa mi sono separato da mia moglie, che continua a stare a Gela nella casa di famiglia, e sono venuto a stare qui, da solo: con la pensione che ho non sarei riuscito ad affittare un’altra casa in città.
La casa l’ho costruita nel 1978, qui attorno c’erano soltanto serre. Ho chiesto la sanatoria nel 1981, ma mi è stata negata perché la casa è a circa 140 metri dalla battigia e secondo una norma regionale il limite di inedificabilità totale è a 150 metri. Tanti nella mia situazione aspettavano la sanatoria per gli immobili vicini al mare che ci aveva promesso la Regione, ma alla fine non è stata varata.
Qui alla Marina manca tutto, abbiamo a malapena l’acquedotto. Ci sarebbe tanta acqua dolce qui sotto, ma ogni casa ha un pozzo nero “a perdere” e col tempo la falda si è inquinata, a stento ci si può lavare. C’è immondizia dappertutto, la spiaggia è abbandonata, le strade sono piene di sabbia che non si riesce a camminare. Io non credo che questo posto possa avere uno sviluppo, perché la situazione si è fossilizzata, e l’amministrazione comunale se ne occupa sempre meno.
Oggi gran parte della manodopera che lavora nelle serre è immigrata: sono ucraini, albanesi, soprattutto polacchi e rumeni. Raccolgono gli ortaggi e vivono come schiavi. Chi ha le serre preferisce assumere degli extracomunitari anche se sono clandestini, perché la paga per un immigrato sta sui 25-20 euro al giorno, mentre un locale si fa pagare quasi il doppio. Tutti questi immigrati stanno diventando un problema, perché spesso non possiedono niente, vivono dentro ai magazzini in mezzo alle serre e vengono a rubare nelle case vuote. Alcuni proprietari di case qui alla Marina hanno iniziato ad affittare gli alloggi agli extracomunitari, non tanto per un rendiconto economico, quanto per il fatto che così la casa è vissuta, non è abbandonata, e quindi è meno soggetta a furti e scassi.
Il problema qui è la sorveglianza, in inverno è un luogo completamente disabitato, io sono l’unico del posto che vive qui assieme agli immigrati. La Marina ormai si riempie solo durante i 40 giorni del periodo estivo, le prime case iniziano ad aprire a giugno inoltrato e le ultime chiudono a settembre. Più che altro sono famiglie, che vengono qui per stare coi figli, ma sono sempre meno.
Per il resto c’è solo un negozio di alimentari, che vende il cibo agli immigrati, e una chiesa, che però apre solo d’estate.
Marina di Acate (Ragusa) è un insediamento seminascosto tra le serre nella Sicilia sud-orientale.
Tutta la fascia litoranea che corre da Ragusa a Pachino è interamente occupata da agricoltura serricola – protagonista negli anni Sessanta di un boom che ha in Vittoria il suo centro principale – che arriva fino alla battigia, solcata a intervalli regolari da un sistema di percorsi che collegano la strada costiera a una serie di piccoli centri nascosti tra le serre. Sono insediamenti abusivi a carattere stagionale, cresciuti negli anni Settanta in corrispondenza dei Comuni nell’entroterra.
Marina di Acate nasce sulla duna dei Macconi come versione estiva dei paesi di Acate e di Caltagirone. Case prevalentemente autocostruite si sono sostituite alle serre dando forma ad isolati che ricalcano le dimensioni del campo lungo della vite, lasciando passaggi di circa 3 metri su cui si affacciano fronti di 7-10 metri.
Molte di queste costruzioni non possono ottenere la concessione in sanatoria per la distanza dalla battigia inferiore ai 150 metri – limite di inedificabilità totale secondo la normativa regionale – e vivono in uno stato di incertezza, né sanabili né raggiunte da un’ordinanza di demolizione.
Il Piano Regolatore di Acate, in vigore dal 2001, ha recepito il nucleo costiero come zona C prevedendone il completamento e la riqualificazione, ma i Piani di Recupero non hanno ancora avuto seguito e i proventi della sanatoria non vengono reinvestiti dal Comune in opere alla Marina. L’insediamento sta progressivamente decadendo: non esiste nessun servizio pubblico, la rete fognaria è assente e quella stradale e di illuminazione sono ridottissime. La manutenzione si limita ad una pulizia annuale prima della stagione estiva, necessaria per rimuovere le dune e la vegetazione che durante l’inverno ricoprono tutti gli spazi aperti. Inoltre, l’uso intensivo di fertilizzanti nell’agricoltura sotto la plastica, assieme alle costruzioni abusive che hanno spianato in più punti il sistema dunale, sono all’origine di un processo di inquinamento della falda acquifera e di crescente desertificazione del suolo in alcuni casi irreversibile.
Sono sempre meno i proprietari che investono per mantenere le proprie case ai Macconi: molti tendono ad abbandonarle definitivamente ove queste versano in condizioni particolarmente critiche, o ad affittarle sottocosto a immigrati extracomunitari che lavorano come braccianti stagionali sotto le serre.
Note:
* Estratto dal libro di Federico Zanfi, Città latenti, Bruno Mondadori, Milano, 2008. Le fotografie sono state integrate e riviste
* Estratto dal libro di Federico Zanfi, Città latenti, Bruno Mondadori, Milano, 2008. Le fotografie sono state integrate e riviste
Mi ricorda molto quello che accade sul litorale ionico, in questo senso le parole e le immagini riportate si adattano bene a moltissimi litorali meridionali. Molto belle le fotografie.
RispondiEliminaRem,
RispondiEliminariprendo una riflessione di Paul Cézanne a margine di ciò che dici: «Con dei contadini, per esempio, a volte ho dubitato che sappiano che cosa è un paesaggio, un albero. Sì. Le sembrerà strano: ho fatto a volte - delle passeggiate, ho accompagnato un fittavolo che andava a vendere le patate al mercato. Egli non aveva mai visto la Sainte-Victoire. Sanno che cosa è stato seminato qui, là, lungo la strada, che tempo farà domani, se la Sainte-Victoire è incappucciata oppure no, lo sentono dall’odore, come gli animali, come un cane sa che cosa è questo pezzo di pane, soltanto secondo i loro bisogni, ma che gli alberi siano verdi, e che questo verde è un albero, che questa terra è rossa e che questi rossi franosi sono colline, io non credo, realmente, che la maggior parte di loro lo sentano, lo sappiano, al di là del loro inconscio utilitario». (Joachim Gasquet, Ciò che mi ha detto..., in Michel Doran, Cezanne. Documenti e interpretazioni, Roma, Donzelli, 1995, pp. 128-129)
Io ho trascorso i mesi estivi della mia adolescenza, scorazzando in lungo e in largo in una città abusiva costiera del litorale catanese.
Anni bellissimi, totalmente ignaro del luogo dove vivevo.
Parafrasando Cézanne non avevo nessuna coscienza del paesaggio ma solo dell’uso ‘con le pinne, fucile e occhiali’ del luogo.
Riporto quest’altra considerazione di Cézanne: «Il paesaggio nella cultura occidentale è in se stesso il sintomo di una perdita moderna, una forma culturale che è emersa solo all’indomani della distruzione della primigenia relazione con la natura introdotta dall’urbanizzazione, dal commercio e dalla tecnologia. In quanto nel momento in cui l’umanità appartiene ancora al naturale in maniera semplice, nessuno aveva il bisogno di dipingere un paesaggio».
A chi serve il paesaggio?
Saluti,
Salvatore D’Agostino
I luoghi mutano e non solo nella loro oggettività ma anche negli occhi di chi li osserva. Quello che per la fantasia di un ragazzino può essere lo scenario di un'avventura, per la disillusione un adulto può costituire un'ulteriore occasione per il rimpianto. Il vero dramma e che certi scenari diventino "occasioni" per i politici di turno ed alla fine... i luoghi languono. Rosario Ciotto
RispondiElimina---> Rosario Ciotto,
RispondiEliminaRiprendo una frase di Marco Paolini (ne avevo parlato qui ---> http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2010/11/0001-points-de-vue-collettivo.html):
«”Sporco” è una parola che si può usare in tanti posti del Sud, ma più che sporco è ingombro di cose buttate che nessuno rimuove più. Si potrebbe dire che è archeologico, ma l’effetto spesso è solo sporco e non aiuta».
Questi luoghi non ci aiutano.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Riporto qui dei commenti apparsi su AcateWeb (http://www.acateweb.it/public/archivio-notizie/112-notizie-aprile-2011/4854-stefano-graziani-e-marina-di-acate.html#josc13213):
RispondiEliminaCavallo: Diciamo che tutto questo degrado e nella stagione invernale, togliendo il discorso dell abusivismo macconi non e da buttare,poi abbiamo una spiaggia che ce la invidiano tutti certo d inverno e normale che il mare mosso ci restituisce i rifiuti che buttano nel fiune ,mentre fra qualche decina di anni iniziera ad essere un paese abitato perche oggi una casa nun si puo costruire e la gente sicuramente tornera ad abitare nelle case che avevano costruito per il soggiorno estivo.
Riguardo il fatto dei 140m bisogmava prendere le misure un po di sbiedo facendo inquadrare i conti a 150m.
Hpuse acataese: Apparte il fatto dell'abusivismo,non conviene abitarci,perche' a Macconi,in inverno, gli Extra-communitari vandalizzano le case per rubare qualche cosa.Ci dovrebbe essere collaborazione da parte delle forze dell'ordine.
Salvatore D’Agostino:
AcateWeb,
grazie per aver pubblicato questa ricerca sul vostro sito.
Vi consiglio di leggere il dialogo con l’autore del libro Federico Zanfi e gli altri progetti di descrizione su Comiso e Sarno (presto saranno on-line anche quelli su Ardea, Marina di Mancaversa e Marina di Strongoli) quindi, non solo Marina di Acate.
La riflessione ha un carattere più ampio e nazionale che non si limita a osservare i fenomeni ma offre una strategia progettuale per far diventare città queste ‘città latenti’.
---> Cavallo,
mi dispiace (da siciliano) il suo ragionamento relativista non fa bene alla nostra terra.
Le assicuro che Marina di Acate vista da fuori non ha più una spiaggia da invidiare.
I suoi ‘certo’ che giustificano tutto non addolciscono il senso di un accrocchio mal riuscito di case autocostruite senza: criterio, senso civico e se vuole senso estetico.
Perché ci accontentiamo di vivere in questi posti ameni?
Perché continuiamo a costruire case per ‘il soggiorno estivo’, cementificando coste bellissime?
---> House acatese,
pensa veramente che il degrado di Marina di Acate sia causato dagli extracomunitari?
Buona pasqua un saluto da Salvatore D’Agostino.
A proposito di Acate Marina, copio e incollo un testo di Federico Zanfi apparso su Doppio zero:
RispondiElimina«Queste immagini vanno intese come una frase di un racconto visivo, scritto a più mani, che comincia in mezzo ai campi delle campagne urbanizzate vicino a Latina e termina di fronte ad una fila di case costruite a pochi passi dal mare, nei paraggi di Crotone.
Sono quel che resta di una serie di esplorazioni condotte in tutto il centro-Sud, qualche anno fa, durante le quali mi sono interrogato assieme ad un piccolo gruppo di amici studiosi e fotografi sulla possibilità e sul senso di produrre un’immagine non soltanto aggiornata, ma progettualmente fertile, dei paesaggi prodotti dalla crescita urbana abusiva nel nostro paese.
Stefano Graziani è venuto con me a Marina di Acate un giorno di fine estate. Marina di Acate è un piccolo centro cresciuto abusivamente tra il mare e le serre negli anni Settanta, nascosto dietro le dune dei Macconi, tra Gela e Ragusa. Poche centinaia di case estive dove passare la stagione calda, muovendosi dal comune più cittadino che resta a pochi chilometri di distanza. Un posto come ce ne sono tanti lungo tutti i litorali del Mezzogiorno. E, come tanti di questi posti, oggi la Marina è meno frequentata di un tempo, la manutenzione delle case si fa meno di frequente e, poco visibili ma diffuse, si notano le tracce di una riabitazione stanziale da parte dei braccianti clandestini che lavorano sotto le serre, nel distretto agricolo tutto attorno.
Nel chiederci cosa valesse la pena guardare, ci ha colpito l’incompiutezza permanente, il senso di attesa di una dimensione finita che non arriverà più. La cura e gli usi che si ritraggono, la natura che fa il suo corso sulle architetture. Graziani dà sempre le spalle al mare e si muove sulla spiaggia, guarda la sabbia che copre le strade, la vegetazione che invade i giardini, i muri mangiati dalla salsedine, non c’è nessuno.
Non intendevamo svelare niente di nascosto o invisibile, né sovrapporre alle icone della “speculazione”, della “necessità” o dell’“ecomostro”, un’ennesima figura sintetica per etichettare la città abusiva. Piuttosto volevamo mostrare delle evidenze, e renderle comprensibili.
Solo un’ipotesi di diversa descrizione, un primo materiale interrogativo – oggi mancante, necessario, oggi che questa città appare solo in prima pagina come scena della tragedia, quando una slavina di fango travolge case che stanno dove non dovrebbero essere – per riavviare un dibattito che non offre al momento nessun tipo di conclusione, se non quella di porre con più evidenza la grande incertezza che questi territori avvertono riguardo al proprio futuro, e il loro urgente bisogno di progetto».
Stefano Graziani (sic Federico Zanfi), Marina di Acate / Paesi e città, Doppiozero, 29 aprile 2011
Link: http://www.doppiozero.com/dossier/disunita-italiana/marina-di-acate-paesi-e-citta#comment-261