Nell‘ottobre del 2008 ho mandato una mail a Fabrizio Mirabella con la richiesta di un colloquio da pubblicare sul mio blog, poiché mi aveva incuriosito il suo racconto da architetto in Africa. Dopo un giorno, ho ricevuto la risposta da parte della madre che mi comunicava che Fabrizio era morto il due agosto del 2006 a causa di un malessere fatale e che bastava cercare in un qualsiasi motore di ricerca Fabrizio Mirabella per avere notizie legate al suo nome. Raggelato dalla scoperta della morte che rendeva inopportuna e imbarazzante la mia richiesta, non ho mai risposto alla madre. Il blog di Fabrizio, nella sua semplice forma di diario in rete, merita di essere letto perché ha la stessa dignità letteraria e di testimonianza che si ritrova nei diari dell‘Archivio di Pieve Santo Stefano. Per fortuna, il suo diario è ancora leggibile sul sito di Professione Architetto.1 Il primo post risale all‘aprile 2004*, l‘ultimo al primo agosto del 2006, sette giorni prima di morire*.
In questo diario c‘è tutta l‘umanità e l‘emotività di questo giovane architetto, perché se la scrittura emotiva non può essere accettata nella letteratura, nei diari personali è il canone di riferimento: tutto, o quasi, è emotivo. Fabrizio racconta con grande gioia tutto ciò che gli avviene e, da pacifista, sposa la causa palestinese. Il diario si divide in due parti: la preparazione e l‘esperienza in Africa come Cooperatore Internazionale, dal sedici giugno al quindici settembre del 2004; il ritorno a casa nella sua Eboli, come architetto dell‘ufficio tecnico. Nel suo ultimo post racconta con grande entusiasmo l'ultimazione del piano particolareggiato a cui aveva partecipato, ora in procinto di approvazione. Il diario dell‘Africa è colore e generosità; il diario eboliano è speranza e lotta contro l‘indifferenza della sua gente.
Entrando in punta di piedi nell‘intimità del dolore della madre, non possiamo non citare il post che, a due anni esatti dalla morte del figlio, scrive la madre utilizzando il blog del figlio, nel tentativo estremo, e umano, di parlare con il figlio non più vivo usando la piazza telematica:
«È la prima volta che dalla tua scomparsa scrivo sulla tua piazza telematica. Sapevi che al mattino il primo pensiero era quello di leggerti, ora non più, leggo e rileggo ancora tutti i tuoi pensieri di un tempo. Sapevo quanto era grande il tuo cuore, perché una mamma sa! Anche se questa volta la realtà ha di gran lunga superato l‘immaginazione. […] Fa un ultimo gesto d‘amore, dai a me, al tuo adorato papà e a Giampiero la certezza della speranza di rivederti nella luce di quel Dio che hai tanto amato! La tua mamma.*»
Per raccontare chi era Fabrizio Mirabella, riporto l‘autoritratto che lui scrive rivolgendosi ai potenziali lettori del suo diario in rete:
«Ciao a tutti inizio oggi questa nuova pagina. Prima di tutto mi presento Mi chiamo Fabrizio e sono di Eboli un paese non tanto piccolo a sud di Salerno. Sono architetto da meno di un anno e per strani motivi adesso mi trovo a Venezia a frequentare un master per ―Esperto in pianificazione urbana e territoriale nei paesi in via di sviluppo‖ il master è diviso in 3 moduli, sono vicino al termine del 2°, il terzo dovrebbe svolgersi in Africa. Dovrei occuparmi di un progetto di Upgrading in un quartiere di una grande città…ma ci sarà il tempo per raccontarvi questo presente.
Parliamo un po‘ di altro… ho attraversato tanti luoghi ed esperienza, molto volontariato in associazioni giovanili ed esperienze nel sociale…che non sempre si conciliavano con i miei studi di architettura a Napoli. Si Napoli! Una città che già al solo nome nasconde fascino e problemi, il Sole, il Mare e… la Camorra!
Sono stati anni straordinari. Nei vicoli dei quartieri spagnoli a volte c‘erano armonie stupende altre volte ombre oscure…e a volte non ci si poteva porre tante domande su ciò che accadeva (e accade ancora oggi!) eppure una città che ha inciso molto sul mio presente. Pane amore e fantasia….erano queste tre parole che mi ripetevo ogni giorno. Così sono passati gli anni dell‘università…delle mille avventure… fin quando un giorno non mi sono ritrovato per casi della vita nei quartieri poveri di Ramallah!
Potremo dire… c‘era una volta un palazzo bianco e 25 ragazzi che in silenzio si incamminavano per… cambiare il mondo! Eravamo 25 ragazzi che formavamo una delegazione di pace e il palazzo bianco era il bunker di Arafat: La MOQATA! E noi eravamo lì, con ―Il presidente‖. Dopo poche ore lo scenario cambiava e ci ritrovavamo a Gerusalemme nel ministero degli esteri israeliano… forse con un po‘ troppa ingenuità cercavamo di capire… di domandare… di avere risposte…volevamo cambiare chissà che cosa… forse riuscimmo a cambiare solo noi stessi, ma anche questo può essere un miracolo.
C‘era una volta… e c‘è ancora! Sono passati da allora 2 anni…dai carri armati israeliani al check poit di Kalandya… tanti viaggi, tanti volti… il prossimo è… mio fratello africano.*»
In un altro post, c‘è un‘interessante riflessione sul blog e l‘architettura che è il tema principale di questa intersezione di Wilfing Architettura:
«Ma cosa sia poi questa professione chi lo sa! Negli ultimi anni ho avuto modo di spaziare, di volare, di vedere le cose del mondo da angolazioni diverse. Mi piace ricordare i percorsi del mio infinito viaggio, le tante città attraversate, vissute. Ho visto tante ―costruzioni vere ed effimere. Ho visto cose che non a tutti hanno la fortuna di vedere, ho incontrato gente, persone, volti, altri architetti… tanti esperienze diverse, tanti modi diversi di guardare le cose. Poi un giorno dopo aver visto tante città del ―primo mondo mi sono ritrovato davanti ad un palazzo bianco con un carro armato dietro le mie spalle. Quel piccolo palazzo era un simbolo di un popolo. Un carro armato lo ha tirato giù. Uomini che costruiscono e uomini che distruggono. Mi ricordo di un quartiere distrutto dalle bombe… anni dopo in un altro mondo, in un altro viaggio mi sono ritrovato in un quartiere clandestino africano. Un formicaio umano, un cantiere in continua evoluzione, spontaneamente. Allora mi chiedo quale è il compito di un architetto.
Nel napoletano nelle ultime settimane tanti incidenti in cantieri edili e mi chiedo quale architettura per gli uomini. Dietro un carro armato chi muove i comandi… nei quartieri informali come si costruisce? Latta, cartone, bidoni e pietra…per le nuove bidonville del terzo millennio e poi… giovane muore in un cantiere! quale è il valore di una vita?*»
Ritornato a Eboli, Fabrizio Mirabella, neo impiegato all‘ufficio tecnico del comune, si trova a dover rispondere alla Guardia di Finanzia che indaga su vecchie vicende di abusivismo, così scrive:
«quando tutto sembra incanalarsi per il verso giusto ecco che non posso concentrarmi su ciò che faccio. sono due giorni che ho la guardia di finanza in ufficio. e i colleghi preposti fanno a scaricabarile. e così adesso tocca a me.
beh…almeno esco dall‘ordinario.
brutta storia di abusivismo degli anni 90 e condoni di massa.*»
Questo web log, nella sua forma più intima e diaristica, è una testimonianza che si colloca su quel registro delicato situato tra l'architettura iconica, spesso gestita dai poteri economici e politici, e il tentativo di utilizzare l'architettura come un atto di gestione umana delle complessità presenti in territori duri e controversi come la Palestina o il sud dell’Italia. Ovvero come diceva Fabrizio Mirabella:
«Pane, amore e fantasia... erano queste tre parole che mi ripetevo ogni giorno per... cambiare il mondo!*»
15 luglio 2024
Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note:
La mamma Clara D'Amato mi aggiorna: "Fabrizio ancora oggi è ricordato nella sua Eboli attraverso un Concorso a lui dedicato e che si svolge ogni anno nell'IC G.Romano nel cui Istituto gli è stata dedicata la Biblioteca che porta il suo nome....inoltre attraverso l'ONLUS che porta il suo nome ed in collaborazione con i Cappuccini collaboriamo alla costruzione di un Hospice in via di realizzazione nell'Isola di Fogo (Capoverde)"
RispondiEliminache attualità il viaggio di grande dignità umana di questo ragazzo, fatto quasi vent'anni fa, e sembra come se il tempo si fosse congelato. Marta.
RispondiEliminaMarta hai ragione, questo post è stato pensato e scritto tanti anni fa e, per via della sospensione del blog, era rimasto in sospeso. Riprenderlo in questi giorni mi ha destabilizzato perché in questo periodo si ripercorrono gli stessi drammi, sia nel Medio Oriente sia nella cattiva gestione del territorio, da nord a sud della nostra nazione. Sarebbe necessaria una rivoluzione fatta da migliaia di ragazzi come Fabrizio Mirabella, usando delle semplici parole: «Pane, amore e fantasia... erano queste tre parole che mi ripetevo ogni giorno per... cambiare il mondo!».
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