10 luglio 2009

0004 [OLTRE IL SENSO DEL LUOGO] E-Cloud di Alessio Erioli

Salvatore D’Agostino:
  • Qual è l’architetto noto che apprezzi e perché?
  • Qual è l’architetto non noto che apprezzi e perché?

Qui l’articolo introduttivo


E-Cloud di Alessio Erioli

Cerco di dare una risposta alle tue domande: la prima e più istintiva che mi viene in mente è, ad entrambe, la natura. Non intesa come essenza o divinità o pervasa di qualunque afflato teologico, ma come sistema adattativo complesso in cui la morfologia è l'esito emergente di processi di interazione dinamica e continua di forze che creano relazioni tra ambiente (inteso in senso lato, quindi sia dal punto di vista fisico che culturale, economico, etc.), performance, spazio, struttura, sistema materiale, etc.

Ma sarebbe una risposta che non soddisfa pienamente le tue domande (ed anche eccessivamente sintetizzata), perciò provo ad essere più specifico.

Da qualche tempo ho adottato il network non-lineare come struttura organizzativa di pensiero (si può dire che è un modo di pensare le cose), soprattutto in virtù di questa scelta non mi riesce di dare un'unica preferenza, quanto piuttosto una tendenza espressa da una schiera (crescente) di agenti (singoli e studi); il processo progettuale contemporaneo conta così tanti attori che individuare il fautore in una unica persona mi riesce quasi impossibile.

Mi interessano molto i lavori di architetti e studi che affrontano natura e sistemi complessi attraverso il digitale, dalle speculazioni teoriche alle tecniche di digital fabrication, studi la cui stessa struttura è un network i cui nodi toccano teoria, didattica, ricerca, professione.

Un elenco (sommario e incompleto, di sicuro qualcuno mi sfugge), in rigoroso ordine sparso:
Anche stabilire il grado di notorietà dei nomi (salvo alcune palesi "archistar") che ho elencato mi riesce difficile (cosa, quest'ultima, che lascio a te se non ti spiace, è parecchio che leggo poco o per nulla le riviste mainstream, non per snobismo - le ritengo veicoli culturali importanti - ma per mancanza di tempo, che al momento dedico molto a saggi teorici e applicazioni didattiche, di ricerca e progettuali).

Intersezioni --->OLTRE IL SENSO DEL LUOGO

Come usare WA
---------------------------------------------------Cos'è WA

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Leggi:

22 commenti:

  1. ---> Alessio Erioli,
    nel 1995 Greg Lynn teorizzò la ‘blog architecture’, ovvero, un'architettura mediata attraverso l’utilizzo degli algoritmi CAD. La caratteristica essenziale dei CAD è l’implementazione sia degli sviluppatori dei software, sia dell’utente/architetto.
    Il concetto del ‘Blog’ in Italia ricorda il programma TV di rai tre, dove giornalmente vengono montate le immagini trasmette nelle varie TV. Spesso gli spezzoni sembrano raccontare il peggio, anche se quel peggio è semplicemente la televisione italiana.

    Per Ghezzi/Giusti Blog significava enfatizzare la storia raccontata per frammenti o, ricollegandomi con il tuo pensiero, ad un «network non-lineare», dove si perde il senso tassonomico, per entrare in una storia Blob raccontata attraverso visioni molteplici.

    A mio avviso la definizione di ‘Blob architecture’ si presta a errate interpretazioni come lo è stato il decostruttivismo con la ‘diagram architecture’.
    Ti chiedo: perché la critica italiana non parla di ‘digital architecture’?

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  2. La mia tesi sarà su questo (tra altre questioni). :)

    Il punto di vista di Erioli è assolutamente affine al mio. Ringrazio infinitamente te e lui per le strade nuove che questo post mi apre.
    A presto!

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  3. @Salvatore:
    Caro Salvatore, vorrei rispondere anch'io al quesito che poni.
    In primo luogo vorrei dare una risposta "iconica" e per far questo vorrei mettere a confronto qualche libro di architettura appena uscito. A gennaio è uscito "Digital architecture now: a global survey of emerging talent" in cui Spiller cerca di presentare le nuove proposte dell'architettura digitale. Il libro ha delle belle illustrazioni, ma come succede spesso per i movimenti "in fieri" non riesce a tradurre in maniera adeguata lo spirito che anima queste concezioni. In Italia invece la proposta più appassionante degli ultimi mesi è forse la retrospettiva su Kengo Kuma curata da Casamonti (ma probabilmente la riuscita è legata più all'architetto che all'autore...); per il resto si assiste alla noiosissima rutine della carta patinata.
    Penso che il giusto "fermento" esista anche in Italia, ma non potrà mai sfondare sui canali "ufficiali", perchè semplicemente la crtitica ufficiale ha creato un settore specifico di indagine che rimane un ambiente stagno agli influssi esterni.
    Vorrei quindi ricordare che purtroppo siamo un paese di "vecchi" (vecchi, non anziani: l'anziano è una persona saggia che sa guidare le giovani generazioni; un vecchio è una persona scorbutica che pensa solo al proprio tornaconto, fregandosene di quelli che verranno dopo di lui). Già è difficile fare accettare le nuove tecnologie in ambito di presentazione dei progetti (magari per paura o rigetto, semplicemente per ignoranza), figuriamoci farle entrare in un serio dibattito.
    Solo alcuni riescono a farlo e, quando ce la fanno, sono giustamente lodati (vedi il prof. Saggio appunto).

    @Rossella:
    Qual'è il tuo punto di vista?

    A presto

    Matteo

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  4. Riporto i commenti di facebook: Prima parte

    ---> Carlo Beltracchi, Alessio Erioli e Andrea Graziano piace questo elemento.

    ---> Andrea Graziano
    Spettacolo! Mi fa quasi impressione cominciare a leggere queste cose in Italia ...... ma forse sto sognando!

    ---> Salvatore D'Agostino
    Alessio,
    Grazie a te per la risposta.
    sul blog ho aggiunto un commneto.
    Se ti va, puoi rispondere.

    ---> Salvatore D'Agostino
    Andrea,
    c'è ancora molto da fare.
    Come dare un carattere italiano (non nel senso della retorica dell'identità) a quest'architettura.

    ---> Luca Diffuse
    dilata questo punto

    ---> Salvatore D'Agostino
    Luca,
    senza dubbio. Occorre dilatare e non delimitare.
    Nessun confine.
    Io mi riferisco alla mancanza d’informazione o meglio di grammatica architettonica digitale negli studi di architettura italiana che possiamo definire: ‘architetti default’.
    Spiegherò meglio questo concetto in autunno dopo questa pausa estiva.

    ---> Alessio Erioli
    Salvatore,
    giusto un post al volo per dirti che risponderò al tuo commento appena possibile (sono terribilmente di corsa in questi giorni!). A presto!


    ---> Salvatore D'Agostino
    Alessio,
    va bene.
    A presto e grazie.

    ---> Luca Diffuse
    brevemente comunque. l'elenco offerto dall'intervistato propone sostanzialmente personaggi interessati alla elaborazione e comunicazione di un proprio "metodo". metodi dagli esiti grafici e formali assai diversi ma che se interpretati come metodi progettuali ( e questo dovrebbero essere) sono accomunati da un unico fattore: il disinteresse totale per la qualità e l'atmosfera degli spazi ipotizzati o realizzati in relazione ad un parametro davvero banale - per loro - quello di essere abitati dalle persone.

    ---> Salvatore D'Agostino
    Luca,
    come fai, a essere così sicuro della scarsa sensibilità spaziale/abitativa?
    È vero che molti affiancano lavori sperimentali ad architetture concrete.
    Come è vero che ci sono personalità con linguaggi architettonici diversi Zaha Hadid-UN Studio-Greg Lynn-Kas Oosterhuis.
    Ciò che è evidente è che in Italia c’è una strana paura a fare proprie le potenzialità latenti tecnologiche per fare architettura.
    Mi spiego facendo due esempi l’idea dell’architettura parametrica teorizzata da Luigi Moretti fin dagli anni 50’ (voce lasciata isolata) l’innovazione delle potenzialità offerte dal cemento armato e i suoi possibili sviluppi Sergio Musmeci (basti pensare al ponte sul Basento).
    Io non penso che bisogna imitare gli architetti della lista ma che occorre dare un contribuito diverso all’architettura digitale.
    Poiché osservare dall'esterno non ci aiuta a capire o a vedere le possibili potenzialità.

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  5. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  6. Commenti per Alessio Erioli:
    - se ho ben capito, non citi la natura tanto per il risultato che produce ma per il modo e la tecnica con cui ci arriva (adattamento, ecc). Per rispondere poi nello specifico alla domanda elenchi allora una serie di nomi di architetti che, secondo te, lavorano attraverso questo approccio (o cercano di sperimentarlo, studiarlo). Rimane il fatto però dell’imitazione nella forma che si intende perseguire rispetto alla natura e al naturale. Qui io mi trovo veramente un po’ in difficoltà, nel senso che ho sempre immaginato l’attività dell’architetto come a quel compito che si oppone alla forma della natura, quel lavoro che non riesce a mantenere la natura così com’è e deve modificarla, perché l’ambiente in cui vive l’uomo non è quello. Non vedo altro spazio per l’architetto se non in questo. Perché dobbiamo imparare un processo, un modo di fare, che però imiti anche i risultati?
    - una considerazione invece sulla terminologia. Che cos’è un network non lineare? Oppure una schiera di agenti? O ancora la struttura di uno studio a network i cui nodi sono…? Mi sembra che questo linguaggio enfatizzi un modo di fare molto articolato, nuovo e sperimentale, che non è in effetti molto diverso da quella che è sempre stata l’attività progettuale e di ricerca di architetti o studi di rilievo. Allora perché bisogna usare questi termini che credo tendano solo ad offuscare la chiarezza di quello che vuoi dire?
    Alberto

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  7. Commenti per SD:

    - mi riferisco al tuo primo commento di questo articolo, nello specifico alla tua domanda sul perché in Italia non si parli di ‘digital architecture’. Provo a continuare il discorso. Un primo motivo è che si tratta di un’etichetta che vuole raggruppare una categoria, eterogenea e frammentata, nella pratica inesistente come identità. Immagino che rientrino in questo nome tutte le ricerche sul file to factory, sulla ricerca di forma e sull’ottimizzazione, sulla parametrizzazione, ecc. Come vedi si possono mettere insieme cose tra loro molto distanti. Già all’interno di una sola categoria il fatto è che l’interesse non può essere solamente rilegato nell’architettura ma sicuramente anche la produzione industriale e le ingegnerie legate al mondo delle costruzioni sono coinvolte. Forse ampliando le nostre letture e i nostri interessi a questo genere di discipline ci accorgeremmo che di queste cose se ne parla molto, perlomeno a livello puramente tecnico.

    Quello di cui invece non si parla in Italia, ma direi neanche all’estero, è dell’apporto di una serie di strumenti informatici alla pratica architettonica. Se l’utilizzo dei computer aggiunge alla professione una serie di possibilità che, ad esempio riferendosi allo scripting, permettono di crearsi autonomamente nei nuovi strumenti di lavoro, come cambia il nostro modo di pensare durante il progetto? Ogni pratica artistica è sostanzialmente fatta dai suoi strumenti e dalle sue tecniche. Quindi qualcosa che cambia c’è, qualcosa su cui riflettere. Ovviamente questo parte dal presupposto che lo studio di certe questioni anche molto tecniche sia in realtà una questione culturale, legata al rapporto pensiero-progetto.

    Provo quindi a dare una mia opinione rispetto al tema appena focalizzato, un po’ più specifico della ‘digital architecture’. Considerato che l’attività progettuale concettuale, l’idea ordinatrice di un progetto, nasce grazie all’utilizzo del nostro inconscio (ovviamente sfruttando la nostra esperienza e quindi considerandoci formati in merito) diventa difficile vedere un radicale cambiamento nel progettare. Non dico nel cominciare a progettare perché nelle prime fasi in cui l’idea viene fuori e anche solo un schizzo è stato prodotto, ecco che in questo materiale già è contenuto un quantitativo d’informazione notevole per poter dirigere l’intero processo successivo. Piuttosto vedo parecchie modifiche nelle fasi progettuali successive e nella gestione del processo. Vedo ancora un potenziale del digitale nella messa a fuoco dei problemi. Gli strumenti informatici, anche utilizzati in fasi avanzate del progetto, permettono di considerare e mettere in evidenza una serie di problemi che in altri casi vengono ignorati. E’ il modo di lavorare con questi strumenti che porta a questo. Ecco quindi un ritorno anche per la fase concettuale.

    Sia chiaro che queste sono considerazioni scritte di getto, che non pretendono alcuna esaustività nelle risposte ma vogliono solo incanalare il dibattito su un terreno meno scivoloso e più definito.

    Saluti,

    Alberto

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  8. Mi permetto di intervenire cercando di chiarire il perchè (a mio sindacabilissimo giudizio) l'intervento di Erioli è cosi importante. Ciò che accomuna essenzialmente la lista fornita è sostanzialmente una prospettiva: il cercare di adeguare la risposta progettuale alla complessità che ci circonda. Sicuramente molto del lavoro svolto da questi architetti è inerente la ricerca. Ricerca che, come giusto che sia, indaga in svariate e molteplici direzioni, e, come è altrettanto giusto che sia, lo fa fornendo risposte che molte volte vanno oltre con i presupposti iniziali e le aspettative, ma che comunque forniscono modelli, metodologie e strumenti comunque utili, anche solo per le ricerche future. Tentativi di risposte complesse e sistemiche credo che sia il vero elemento comune alla lista elencata.

    Comunque la cosa che mi lascia maggiormente perplesso è come sia passata in secondo piano la prima e fondamentale risposta di Alessio ..... ovvero la Natura! Sono il primo a sostenere che ormai moltissima dell'architettura realizzata non risponde in maniera efficace all'utente finale e sottolineo anche che la stessa architettura ormai sia completamete in dis-equilibrio con l'ambiente circostante sia ecologico che sociale ed economico. Appunto per questo è sempre più lecito, soprattutto alla luce di termini come emergenza, network, complessità, termini trasversali alle recenti (e non) teorie che dominano i campi del sapere, il guardare con interesse ai fenomeni di adattamento presenti nella natura e cercare di approfondire come modelli di imitazione della natura (credo ad oggi ancora allo stato primordiale) possano costituire beneficio non all'architettura finale quanto all'approccio progettuale al tentativo di risposta intelligente a specifici problemi che deve essere l'architettura.
    Andrea Graziano

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  9. Vorrei intromettermi in questo dibattito precisando che la bella definizione di Erioli: "sistema adattativo complesso in cui la morfologia è l'esito emergente di processi di interazione dinamica e continua di forze che creano relazioni tra ambiente" presuppone quantomeno uno studio approfondito di una "modellistica" artificiale (artificiale intesa come pensata e costruita dall'uomo) che possa assomigliare quanto più possibile a quella che si ritrova nei processi biologici.
    E' un campo di studi molto interessante a mio parere ma, almeno negli autori citati, si riscontra solo una blanda indagine sugli strumenti con cui perseguire questo fine.
    Mi sarei aspettato ad esempio un'applicazione più puntuale riguardante la fuzzy logic, la teoria del caos (od almeno una estensione della teoria di Cantor così come è stata applicata ai fenomeni di turbolenza), l'utilizzo dei frattali o delle geometrie non euclidee, ecc..
    Invece sembra assistere quasi unicamente ad esperimenti empirici fini a se stessi, senza un dialogo serio con il grande patrimonio fisico/matematico di cui disponiamo al giorno d'oggi.
    Il pensiero di Erioli ricorda quello di Peter Denning (autore fra l'altro del principio del privilegio minimo in informatica) espresso nel 1989 a riguardo delle ricerche modellistiche sull'AIDS: secondo Denning la barriera che impedisce una ricerca efficiente non è data dalla tecnologia, ma dalla mancanza di un network di conoscenze; Denning crede che il solo fatto di condividere l'informazione sia sufficiente a produrre una crescita della qualità dell'analisi.
    Ora, questo può essere un utile termine di confronto, ma appare abbastanza parossistico pensare che le difficoltà incontrate nella formulazione di soluzioni possano essere risolte affidando il meccanismo di ricerca ad una sorta di meccanismo spontaneo: non credo che affidandosi al caso o comunque a qualche meccanismo stocastico che elabori le informazioni inserite a caso si riesca a produrre una risposta seria ai quesiti che l'architettura contemporanea oggi pone.
    Se di modelli si tratta mi auspicherei che questi siano ben più che riduzioni "amatoriali" di ciò che la natura ci offre.

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  10. Riporto i commenti di facebook: Seconda parte (corretto – il commento annullato conteneva un errore)

    ---> Luca Diffuse
    1
    Sono certo della scarsa sensibilità perchè conosco il loro lavoro. Conosco le loro realizzazioni. Li ho ascoltati. Li leggevo. Ne ho conosciuto fini e strategie. Li ho incontrati e li incontro. Ho visto i più noti predicare in un senso e razzolare poi in un altro vista l'insostenibilità di quanto predicato. Insostenibilità progettuale e lessicale. Che quanto pare contagia gli ammiratori che abbandonano la struttura chiara soggetto-predicato-complemento per ciarlare confusamente di cose che non padroneggiano. Parlando poi con i numeri 10,12,13,19 della lista della spesa qui sopra, chiunque si renderà in breve conto di avere a che fare con dei sempliciotti. Chi dice che il ridicolo impiego di qualsiasi tecnica digitale legata alla progettazione sia un problema italiano non ha forse bene in mente cosa accade altrove. Qualcuno di voi è mai entrato a fare due chiacchere con gli ingegneri ed architetti di Gehry Technologies? Di Front? Di Rex? Avete presente i workflows standard di SOM? Mai lavorato negli USA? In nord Europa? Estremo Oriente? Giappone? Mi fate presenti le differenze per favore? Io non le ho notate. Se non e sempre in termini qualitativi, tra cose fatte bene con sensibilità, poesia ed intelligenza e cose fatte a nacchera.
    2
    Va tutto bene se queste ricerche allenano qualche giovane progettista ad un uso sobrio e consapevole dei nuovi strumenti. La consapevolezza profonda degli strumenti è una buona base di partenza in qualsiasi professione.
    Ma il centro non è il metodo. Il centro sono le persone. Quelli per cui noi lavoriamo, quelli di cui dovremmo essere a servizio. Le persone comuni nella loro vita quotidiana.
    Salvatore non hai bisogno di spiegarti facendo esempi che secondo me non padroneggi ancora del tutto. Proprio Moretti parlerebbe nel senso che ti suggerisco. Lui che non va associato con velocità e banalità all'aggettivo parametrico -che del resto non ha mai considerato centrale nel suo lavoro - e poi chiuso lì. Occorre conoscere il suo lavoro, i suoi scritti, soprattutto le esigenze da cui partivano quel tipo di ricerche. Il suo rapporto e le sue conversazioni decisive al riguardo con De Finetti (ancora la figlia Fulvia potrebbe ricordarle ai curiosi). Certo che occorre dare un contributo diverso all'architettura digitale, certo che potrebbe essere una declinazione italiana o meglio mediterranea, ma un suo eventuale senso sarà sterile se aderirà allo strumento ed al metodo e fertile solo se sarà vicino alle persone.

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  11. Riporto i commenti di facebook: Terza parte (corretto – il commento annullato conteneva un errore)


    ---> Luca Diffuse

    3
    Di tutta questa recente passione masturbatoria per Rhinoscript che ha così successo almeno qui tra Columbia e Brooklyn, resterà più o meno la stessa forbice esistente tra la ricerca di un Lynn e le sue realizzazioni. Sono brufoli. E' solo adolescenza. Non resta nulla. Al meglio - come già detto - è addestramento all'uso consapevole di uno strumento.
    Di tutte le tecnologie offerte dal digitale negli ultimi anni proprio Moretti ne avrebbe usata una ed una soltanto. Così concreta, luminosa, poetica e essenziale alle persone. Prova ad indovinare quale. La possibilità di un digitale mediterraneo è in questa risposta.
    E ancora una cosa. Esigi dai tuoi corrispondenti che parlino italiano. Pretendi chiarezza. Adidas quando ti vuole vendere una SL 62 si rivolge a te in perfetto italiano e ti propone una tua versione dimagrita, felice, veloce. L'architettura no. Perde coerenza grammaticale e sintattica iniziando a bofonchiare per poi lamentarsi che le persone non possono capire. Bella prova di marketing, complimenti. Mi volete dire che la gente non sa come vorrebbe vivere? Lavoriamo per le persone, non siamo niente non dovremmo essere nulla se non la parte migliore di noi stessi al servizio di stanze, edifici, città. Gente.


    Andrea Graziano: DigitAG& ---> http://andreagraziano.blogspot.com
    Carlo Beltracchi: Beyond The Light Bulb ---> http://btlb.blogspot.com
    Luca Diffuse ---> http://www.alsoavailable.net/
    Alessio Erioli: E-Cloud ---> http://ale2x72.blogspot.com

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  12. ---> Errata Corrige.
    Leggo solo adesso di aver parlato di un’improbabile ‘blog architecture’ e di un programma televisivo ‘blog’. Ovviamente occorre sostituire la parola blog con BLOB.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  13. Ringrazio tutti per i commenti, sto preparando una integrazione al mio intervento cercando anche di dare risposte alle istanze che sono emerse; lo posterò a breve (si sta rivelando più lungo di quanto pensassi). Scusate il ritardo fin da ora.

    Saluti,

    Alessio

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  14. Mi scuso per il prolungamento del mio silenzio, speravo di farcela prima delle vacanze estive e invece devo rimandare ancora di un paio di settimane.

    Grazie in anticipo per la comprensione e buone vacanze a tutti.

    .A.

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  15. ---> Rossella,
    perché non utilizzi il tuo blog come base di appunti per la tua tesi? Attraverso i commneti puoi ricevere stimoli interessanti.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    RispondiElimina
  16. ---> Matteo,
    mi piace la tua provocazione tra le pubblicazioni estere e quelle italiane questo evidenzia un ritardo.
    Questo ritardo è possibile leggerlo attraverso i blog che si occupano d’indagare le nuove strategie CAD/Architettura.
    Qualcuno edulcora la tua frase ‘siamo un paese di vecchi’ con il termine gerontocrazia. Concordo con te siamo un paese di vecchi che ignorano i processi contemporanei.
    Occorre un dibattito serio credo che questo possa partire (come sta avvenendo) da piattaforme informali come blog/forum e via dicendo con tutti i suoi limiti ma anche le sue latenti innovative potenzialità.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  17. ---> Alberto,
    nella tua nota Commenti per Alessio Erioli:
    condivido sarebbe un errore la mimesi naturalistica. La ricerca deve svilupparsi attraverso paradigmi più consoni all’architettura.

    nella tua nota Commenti per SD:
    Le tue considerazioni scritte di getto offrono spunti interessanti. È vero che vi è un’ampia letteratura scientifica e manualistica spicciola delle funzioni tecniche dei CAD e non esiste uno studio (o meglio delle equipe di ricerca) che affrontino il «rapporto pensiero-progetto », tutto sembra affidato al caso.
    In tal senso i blog (che sappiano coniugare rigore scientifico e sperimentazione) possono offrire tanto.
    Il tuo spostare il centro del progetto alla fase concettuale c’induce a prendere atto di non partire dalla modellazione tipo game/architettonici per riempirli in una seconda fase delle funzioni.
    Umberto Eco nel suo vecchissimo libro ‘Apocalittici e integrati’affermava: «Come scriverei oggi questo libro? Lo dicevo nella prefazione del 1964, fare la teoria delle comunicazioni di massa è come fare la teoria di giovedì prossimo.»
    Siamo ancora in una fase, dove occorre sperimentare le potenzialità dei software per stabilizzare il nostro nuovo linguaggio. Senza la conoscenza anche quella più ludica dei software non possiamo orientare la nostra speculazione concettuale.
    Siamo in una fase antinomica dove l’estremismo game/architettonico e la conoscenza scientifica dei Cad sembrano strade ambedue percorribili.
    Sono convinto che la migliore ricerca possa nascere da una creazione di una rete di Blog/forum che Wikipedianamente correggono i propri errori per creare una base solida di partenza ma non dobbiamo dimenticarci che questa è la teoria di giovedì prossimo.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  18. ---> Andrea Graziano,
    Se ho capito bene la tecnologia CAD e dei materiali, se utilizzati con equilibrio ci possono proiettare verso un’architettura che riesce a integrarsi in modo armonioso con la natura.
    Come Alberto nutro molti dubbi sull’architettura mimesi naturalistica.
    Condivido invece che l’edilizia/architettura recente sia totalmente disinteressata all’utente finale ma solo al business immediato.
    Ereditiamo un patrimonio edilizio giovane ma morto. Occorre cominciare a riflettere su cosa fare di tutto questo cemento.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  19. ---> Matteo,
    con credo che si auspichi un’evoluzione amatoriale dei temi architettonici ma è indubbio come sostiene Pierre Lévy che siamo in presenza di un’intelligenza diffusa che attraverso le nuove tecnologie riesce a trasmettere conoscenza.
    Ogni piccolo progresso messo in rete, aiuta milioni di utenti, che valutano la portata innovativa.
    Non credo che possa emergere la mediocrità. Lévy chiama quest’approccio ‘intelligenza collettiva’ forse è quella che Erioli chiama ‘network non-lineare’.
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    RispondiElimina
  20. ---> Luca,
    Inizio da Luigi Moretti mi riferivo alla sua idea di uno studio scientifico tra l’approccio matematico e l’architettura vedi l’istituzione dell’IRMOU ovvero l’architettura parametrica.
    Siamo nel 1957 in era analogica, immagina se questa sua proposta avrebbe avuto un seguito, adesso avremmo dei CAD creati dagli architetti e non da programmatori tout court.
    Come evidenziato da Alberto l’architettura è stata investita dall’esterno (CAD progettati da non architetti) e non da movimenti interni.
    Per questo motivo ci troviamo di fronte al farwest della forma digitale/architettonica.
    Prendo atto delle tue conoscenze e dei tuoi dubbi, ma io mi preoccupo di capire più che di condannare.
    Che sia chiaro i giovani architetti dopo la laurea (paragonabile a un liceo che impartisce istruzioni di base) devono iniziare la propria formazione spesso senza l’aiuto di scuole scientificamente testate, aiutandosi con continui surfaggi in rete o attraverso i manuali CAD.
    Condivido la tua chiosa finale: «Lavoriamo per le persone, non siamo niente non dovremmo essere nulla se non la parte migliore di noi stessi al servizio di stanze, edifici, città. Gente.» ma sei così sicuro che gli architetti digitali (per maggiore chiarezza non è da intendere come una classe di architetti indipendenti) siano così disinteressati all’abitare e alla gente?
    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  21. Vorrei specificare meglio quello che ho detto.

    1) Riguardo al network
    Le mie perplessità sul "network" sono date dal fatto che la condivisione di idee non necessariamente porta ad una crescita di qualche tipo.
    Facciamo l'esempio della tv: la televisione ha innalzato il livello medio di cultura per i ceti con cultura bassa o assente, mentre l'ha abbassata per i ceti già "medi", livellando il tutto ad una mediocrità diffusa; solo pochi contenuti sono al di sopra della media e altrettanto pochi spettatori hanno giovato di questi contenuti.
    Ovviamente il network di cui si parla è un network interattivo e quindi più dipendente dai soggetti coinvolti e si auspica che questi soggetti possano portare dei contributi favorevoli all'avanzamento della conoscenza.
    Però ovviamente la condivisione delle idee non può "fare" le idee.
    Inoltre il fatto che vengano coinvolti più soggetti in un sistema complesso di relazioni rischia di portare alle varie "catastrofi" che sistemi di tale tipo portano con sè: più un sistema è complesso e più è soggetto a crisi dovute alle parti più piccole. Anche un solo soggetto "negativo" in un sistema strutturato e complesso può portare al fallimento di tutto il sistema (a meno che questo non sia sturtturato in modo da avere collegamenti ridondanti e riuscire quindi a bypassare l'elemento di disturbo).

    2) Applicazioni avanzate
    Già questo excursus sui sistemi mi introduce al commento seguente: da quello che posso vedere, molti si riempiono la bocca di formule simil-matematiche o analisi fisiche di qualche genere, ma queste sono molto "all'acqua di rose". Il moduloir di Le Corbusier è più un giochino da settimana enigmistica che matematica applicata; Eisenman applica unicamente rotazioni e traslazioni spaziali.
    Poche volte ho visto veramente le moderne conoscenze fische e matematiche astratte applicate in architettura o urbanistica.
    Ad esempio, un interessante esperimento fatto dalla facoltà di Bologna dal prof. Giorgini (che poi ho conosciuto unicamente perchè amico di famiglia, non certo per pubblicità) prevede di applicare lo studio del moto Browniano alla scelta dei percorsi effettuati dalle persone che popolano la città.
    Altrettanto interessante lo studio delle forme "aerodinamiche" applicate all'architettura (anche se in molti casi sembra tutto frutto più di fortuna che di reale impegno matematico).

    RispondiElimina
  22. ---> Matteo,
    riprendo i tuoi appunti.

    NETWORK
    Leggendo il tuo primo punto mi sono venute in mente queste considerazioni di Umberto Eco:«Wikipedia: Grazie davvero per la possibilità accordataci. La comunità era da tempo molto interessata a intervistarla, anche perché lei, fra i più importanti esponenti del mondo culturale italiano, è stato tra i pochi a mettersi di fronte ad un'esperienza come Wikipedia senza pregiudizi, sperimentandola, criticandola, comunque utilizzandola. Ha scritto vari articoli a riguardo, l'ultimo se non erro nel 2009. Potrebbe provare a rispiegarci la sua opinione in merito?
    Umberto Eco: Sono un utente compulsivo di Wikipedia, anche per ragioni artrosiche: quanto più mi fa male alla schiena, quanto più mi costa alzarmi ed andare a cercare la Treccani, e quindi, se posso trovare la data di nascita di qualcuno su Wikipedia, faccio prima.
    Sono un utente dell'automobile, non riuscirei a vivere senza, ma questo non mi impedisce di dire quali sono tutti i difetti e tutti i guai dell'automobile.
    Io ho fatto una volta una distinzione fra le cose che fan bene ai poveri e le cose che fan bene ai ricchi, dove poveri e ricchi non ha una immediata connotazione in termini di danaro, ma in termini, diciamo, di evoluzione culturale... Diciamo, un laureato è un ricco, un analfabeta è un povero. Ci può essere ovviamente un costruttore edile che è un povero e un impiegatuccio che è un ricco.
    Allora, la televisione fa bene ai poveri e fa male ai ricchi: ai poveri ha insegnato a parlare italiano, fa bene alle vecchiette che son sole in casa. E fa male ai ricchi perché gli impedisce di andare fuori a vedere altre cose più belle al cinema, gli restringe le idee.
    Il computer in generale, e Internet, fa bene ai ricchi e fa male ai poveri. Cioè, a me Wikipedia fa bene, perché trovo le informazioni che mi sono necessarie, ma siccome non mi fido, perché si sa benissimo che, come cresce Wikipedia, crescono anche gli errori. Io ho trovato su di me delle follie inesistenti, e se qualcuno non me le segnalava, avrebbero continuato a restare lì.
    I ricchi sono coltivati, sanno confrontare le notizie. Io vado a vedere la Wikipedia in italiano, non sono sicuro che la notizia sia giusta, poi vado a controllare quella in inglese, poi un'altra fonte, e se tutte e tre mi dicono che quel signore è morto nel 371 d.C. comincio a crederci.
    Il povero invece becca la prima notizia che gli arriva, e buonasera. Quindi c'è per Wikipedia, come per tutto Internet, il problema del filtraggio della notizia. Siccome conserva tutto, sia le notizie false che le notizie vere, mentre i ricchi hanno delle tecniche di filtraggio almeno per i settori che sanno controllare. Se io devo fare una ricerca su Platone, individuo immediatamente i siti scritti da un pazzo, ma se devo fare una ricerca sulle cellule staminali non è sicuro che possa individuare il sito sbagliato.
    Quindi c'è questo enorme problema del filtraggio. Il filtraggio collettivo non serve, perché può anche ubbidire a delle fluttuazioni. Io mi sono accorto che, in un certo periodo di vittoria berlusconiana, sono andati a cercare informazioni sui libri di destra su di me e le hanno messe: siccome la correttezza mi impedisce di andare io a modificare direttamente, le ho lasciate. Ma evidentemente era una voce fatta dai vincitori di quel momento.
    Il controllo collettivo dunque serve sino ad un certo punto: è pensabile che se uno dà una falsa lunghezza dell'equatore prima o poi qualcun altro venga e la corregga, ma su questioni più sottili e difficili è più complicato.
    E il controllo interno redazionale mi pare che sia minimo, cioè non può controllare i milioni di notizie che entrano. Tutt'al più, può controllare proprio se un pazzo ha scritto che Napoleone è un cavallo da corsa, ma più di tanto non si può fare».

    APPLICAZIONI AVANZATE
    Auspico sempre un’interazione ‘attiva’, non solo ‘formale’, tra matematica e architettura.
    Osservando Cecil Balmond rivedo ahimé le ricerche di Sergio Musmeci.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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