«La più nobile specie di bellezza è quella che non trascina a un tratto, che non scatena assalti tempestosi e inebrianti (una tale bellezza suscita facilmente nausea), ma che s’insinua lentamente, che quasi inavvertitamente si porta via con sé e che un giorno ci si ritrova davanti in sogno, ma che alla fine, dopo aver a lungo con modestia giaciuto nel nostro cuore, si impossessa completamente di noi e ci riempie gli occhi di lacrime e il cuore di nostalgia.» (Friedrich Wilhelm Nietzsche)*
Come Vitruvio, Francesco di Giorgio, Filarete
L'ultimo libro di Beniamino Servino non è una raccolta di disegni ma un Trattato di Architettura e, per molti versi, biblico nella sua strutturazione fisica e teorica.
Attraverso una scrittura densa e stringata (che si fa aforisma) e la potenza visiva di 402 disegni_immagine (tutti maniacalmente sostenuti dal fermo controllo della Geometria, necessità genetica del Progetto) supera la manualistica consolidata, definitiva e normalmente conclusa in sé, per aprire e dilatare lo sguardo verso le frammentate incertezze del Contemporaneo.
La necessità monumentale risiede in questa Complessità e nell'invito generoso, apparentemente provocatorio, a indagarne il senso attraverso l'Architettura facendo conoscere/ri_conoscere l'intimità della Composizione e la bellezza catartica del suo essere Forma.
Le singole pagine, fatte di fatica e disciplina, sono strati su strati: materici, policromi, tematici, linguistici, concatenati o divergenti, osmotici o ludicamente sfuggenti. Tutte insieme restituiscono un pensiero concreto che si distacca dallo stato onirico del disegno approdando, infine, alla Rivelazione.
Ma solo attraverso la piena e totale Conoscenza dei campi del Sapere, l’Architettura si rende tale, proprio come avviene qui.
Rinascimentale.