«La più nobile specie di bellezza è quella che non trascina a un tratto, che non scatena assalti tempestosi e inebrianti (una tale bellezza suscita facilmente nausea), ma che s’insinua lentamente, che quasi inavvertitamente si porta via con sé e che un giorno ci si ritrova davanti in sogno, ma che alla fine, dopo aver a lungo con modestia giaciuto nel nostro cuore, si impossessa completamente di noi e ci riempie gli occhi di lacrime e il cuore di nostalgia.» (Friedrich Wilhelm Nietzsche)*
Come Vitruvio, Francesco di Giorgio, Filarete
L'ultimo libro di Beniamino Servino non è una raccolta di disegni ma un Trattato di Architettura e, per molti versi, biblico nella sua strutturazione fisica e teorica.
Attraverso una scrittura densa e stringata (che si fa aforisma) e la potenza visiva di 402 disegni_immagine (tutti maniacalmente sostenuti dal fermo controllo della Geometria, necessità genetica del Progetto) supera la manualistica consolidata, definitiva e normalmente conclusa in sé, per aprire e dilatare lo sguardo verso le frammentate incertezze del Contemporaneo.
La necessità monumentale risiede in questa Complessità e nell'invito generoso, apparentemente provocatorio, a indagarne il senso attraverso l'Architettura facendo conoscere/ri_conoscere l'intimità della Composizione e la bellezza catartica del suo essere Forma.
Le singole pagine, fatte di fatica e disciplina, sono strati su strati: materici, policromi, tematici, linguistici, concatenati o divergenti, osmotici o ludicamente sfuggenti. Tutte insieme restituiscono un pensiero concreto che si distacca dallo stato onirico del disegno approdando, infine, alla Rivelazione.
Ma solo attraverso la piena e totale Conoscenza dei campi del Sapere, l’Architettura si rende tale, proprio come avviene qui.
Rinascimentale.
Arte e scrittura, teatro e gioco, sociale e poesia, cinema e tecnica, comico e tragedia, musica e danza, sono solo alcune delle Muse (della Grecia e di questo tempo) che lasciano dischiudere la loro verginità nel candore della copertina.
La leggerezza del Monumento
Il Monumento è qui, sulla mia scrivania, dal 23 ottobre 2012 quando Beniamino me ne ha fatto dono, tra i primi, in un pomeriggio di comune emozione e chirurgica attenzione al manufatto: dettaglio del filo, verifica della morbidezza tattile, deciso spaginare, strizzare dell’occhio sull'opacità della superficie, resa perfetta del colore, incommensurabilità dei pixels per i ponderosi files di stampa, allineamento o controllatissimi slittamenti e, infine, lo scorrere morbido delle dita sul titolo, suggerito in un momentaneo stato di cecità per lasciarne penetrare nel corpo il tridimensionale senso intrinseco. Come toccare un’impalpabile Architettura, quella che si sarebbe svelata oltre il bianco luminoso della copertina.
E dentro Ordine e Materia, ciò che solo il disegnare può restituire. Disegno che qui è sostanza delle cose.
Dei mille e alterati significati che vengono conferiti al monumento preferisco quello che rimanda all'opera della Memoria. Servino va oltre. Supera il Ricordo e il suo monumentare diventa reinterpretazione del Contemporaneo. Aggressivo e greve, didattico e avvolgente, esplicativo e dirompente.
Resta, in tutto il fluire tra le pagine, netto e leggerissimo.
Un libro con l’Anima
Con i libri mi confronto al pari delle persone. Vanno resi vivi. Un libro di Segni, poi, lo è forse ancora di più, laddove l’anima è diretta restituzione del graffio.
Ci guardiamo tutti i giorni, io al computer mentre lui (sì, lui), sulla scrivania al mio fianco, si fa originale e re_umanizzata Architettura, interpretata da Servino attraverso il progetto continuo.
Mi spruzza il colore da una torre o si distende rigidamente come una stecca frankfurtiana, mi racconta dei sacrifici di un tempio azteco o rimodella sapientemente le strutture di basamenti corbusiani, si dipana nel graticcio fittissimo dell’angolo di una quadra o si aggrappa lungo i tornanti in calcestruzzo di un colle conico, svirgola nel cielo della stanza con una pennata o sfoglia impudicamente se stesso al vento (quando tento di chiuderlo) al pari di una dispettosa strip-teaseuse, declama invettive all'ipocrisia di questo tempo in_sostenibile o lascia spuntare dalla raffinata brossura cucita a mano un aguzzo peduncolo, e poi uno, e un altro ancora, nonostante io li recida tutti, all'istante.
Gorgone impertinente.
Ormai sono continue sfide, un sornione rintuzzare che si manifesta però, inaspettatamente e quotidianamente, sempre con pagine diverse.
Sono 439 + XXII, e allora la lotta può durare ancora un anno.
Di questo scambio adoro il manifestarsi di una casualità che supera quel rigore fortemente presente nel libro (Beniamino è intellettuale di Esattezza calviniana) e del quale io, invece, faccio spesso a meno.
Nell'intreccio tra foglio, sguardo e gesto, il renderlo dis_ordine diventa mia unica e divertita arma di difesa.
Il Gioco e il suo compimento
Il disegno della libera mano è l’infanzia che manifesta se stessa al mondo: istinto da maturare per renderlo Ragione in fieri, scomposizione/ricomposizione in graduale conquista della Dimensione, aggregazione di forme ancestrali, mélange di colori, linee scabre e tratto morbido che sembrano rimandare al sogno.
Il disegno d’Architettura è, di contro, scientifico per definizione e linguaggio della perfezione, commensurabile per rendere l’idea tangibile materia.
Qui Servino si muove, liberamente, tra questa tecnica restrittiva e quella libertà innocente dell’anima.
Dei due stadi, opposti e contrari, ne fa sposalizio anticipando quello che verrà. È Profetico ben prima del fare e non rende più necessario il Costruire per la determinazione al mondo dell’Architettura rigeneratrice.
Ho cercato di individuare, leggendo e guardando, l’origine di tale capacità dell’Immaginare catartico. E l’ho ritrovata nascosta nel saggio ricorso al Gioco, e al suo controllo, al suo dominare. Al riscatto nei confronti dell’inutile seriosità dilagante.
Servino misuratore, come Piero
La Flagellazione di Piero della Francesca è la summa della Pittura, lì dove il flagello misura lo Spazio della città.
Così Servino, con il suo San Sebastiano centrale all'incompiuto costruttivo, nella reinterpretazione di uno scatto di Mario Ferrara al quale sottrae l’angoscia del vuoto, umanizzandone l’inquietudine.
È detta, appunto, Nuovo Umanesimo, sintesi dell’attenzione teorica e progettuale all'Abbandono all'indifferenza materica dell’Approssimazione, madre delle nostre terre di margine.
Matematicamente aureo, proprio come Piero, va al di là e ne fa linea, prospettiva, strumenti generatori della Composizione. Di pittorico resta solo il primo guardare. Subito dopo l’incanto, è il tracciato regolatore, in apparenza accennato, a dominare prepotentemente la scena rivelandone l’essenza attraverso la Geometria.
E ora, finalmente, anche di quel margine si può dire. Anche su quell'indifferenza può innestarsi la speranza.
Ambedue, lui e Piero, ci dicono però che è essa raggiungibile solo attraverso il dolore, denunciato dal Martirio e corrispondente alla dura fatica del pensiero disegnato.
Quelle case che lasciano trasudare trascuratezza, crudezza della terracotta, nudità della struttura, possono conquistare nuova e inaspettata bellezza, dopo il Sacrificio.
È un generoso guizzo ispiratore per chi può e sa donare dignità a ciò che sta per implodere.
Riscatto della Miseria attraverso l’Architettura. E ritorna il De Divina Proportione.
Il culto sapiente dello Strato
È sacerdotale lo stratificare di Servino. Ogni disegno e ogni parola si sovrappongono ad altro segno di_segnato ed altra parola ri_scritta.
Anche nell’assolutezza della forma primaria, come per un cilindro o un parallelepipedo, esalta e ricompone le infinite parti volumetriche in essa contenute o affiancate, in una ricerca senza fine. È archeologo della Forma che lentamente scava, strato su strato, nel sublime affanno dell’Origine. È pianista instancabile che suona per ore alla disperata conquista della nota primaria, introvabile. E geme come Glenn Gould nelle affannose Variazioni di Bach, rilascia grida soffocate come Keith Jarrett nel Köln Concert.
È il tormento dell’Arte, luogo senza limiti.
Ancora più esasperata è questa Esperienza applicata alla Superficie, da lui stesso definita Sirena del pensiero architettonico. Irretito dal Piano.
Qui si fa evidente la saggia scelleratezza dell’infilare, aggiustare, montare, sottrarre, implementare, scarnificare, bucare, o riempire attraverso i mille parametri materici e compositivi dell’Architettura. Sempre sostenuto dal Rigore.
È l’analoga disinvoltura dei frati muratori delle cattedrali medioevali: prendere una colonna greca o romana, sottrarla al suo luogo e farne nuova e necessaria centralità strutturale. Il Dio sommo "abbisuogna" dell’Ecclesia per l’Orazione e l’Adorazione necessaria all'espiazione del Peccato. E tutto si fa ammissibile per la Lode al divino.
È la stessa spudoratezza degli uomini del Rinascimento: sommare a un bruno muro medioevale il biancore lapideo di una scena urbana e miscelare agli occhi una bellezza inaspettata. La città_teatro come palcoscenico di una vita avvertita, finalmente, in continua evoluzione.
La Storia ha reso sempre giustizia a questa dolce follia dello Strato così come, di contro, ha raramente lodato il gesto del volgare rimuovere.
In questi anni che perseguono il riqualificare chirurgicamente spazi e paesaggio o la reinterpretazione di quanto è, Servino si mostra uomo rispettoso a piene mani del nostro Tempo.
La necessaria Coscienza sociale del fare Architettura
Altro è, ancora, la Coscienza, pur se dirompente, del fare Architettura.
In alcune immagini di spiazzante potenza si provoca la certezza e l’ipocrisia.
Esplodono dogmi consolidati e l’immaginario collettivo giunge alla deflagrazione.
Tra le tante, è la composizione dell’Occupazione Proletaria dei Monumenti il vero manifesto di tale etica tensione.
Le finestre della Reggia vanvitelliana vengono serrate nell'abecedario della Materia ritrovata, riciclata, povera e provvisoria, mentre un fumo denso sale lungo la facciata. Una riscossa proletaria che rifugge dall'ideologia per rivendicare, invece, una giustizia sociale assoluta.
Una durezza immane, quella stessa che merita questo tempo di palpabile superficialità. Servino lo fa alla sua maniera e con lo strumento di sempre, la mano armata di china e colore.
Disvelamento
La Rete è un bombardamento d’immagini. Ad un occhio languido e ingenuo tutto sembra uguale, forme e colori si appiattiscono in una disarmante omogeneità.
Servino costruisce proprio su questa apparenza.
Lascia disvelare nuova occasione di progetto dai segni della Terra e del Cielo, delle città sconfinate e del pullulare angosciante e ripetitivo di case tutte uguali del deserto arabo o del paesaggio nordamericano.
Spezza quell'assenza di ritmo e sovrappone o affianca parti di nuova vita urbana. È un esercizio utile dove il distacco della distanza gli permette la disinvoltura della Visione. Le forme dei campi o il reticolo delle strade diventano suggestione urbana che supera lo svirgolante Piano Obus di Algeri o la perfetta ortogonalità di Ippodamo da Mileto. Con uno scarto in più, uno slittamento, un innalzamento o una depressione, per addivenire, testardamente, a una città “differente”.
Del dolce antidoto
Come nella migliore letteratura questo libro è un viaggio senza mèta e non pretende risoluzione. Il ritmo incessante che ha sostenuto la quotidiana iniezione di disegni nella Rete (saggiando umori e impressioni con la stessa gioiosa bizzarria delle Foto da un finestrino di Ettore Sottsass) si manifesta nobile atto di generosità. E Monumental Need è la loro sistematica raccolta, racchiusa in un pensiero teorico complesso.
È dei veri uomini di cultura il donare la propria fatica al mondo, senza timore di sottrazione. Di contro il suo costante lancio di guizzi creativi ha generato una diffusa e sana emulazione verso la necessità del disegno, da anni abbandonato al solo istinto. Magistrale educazione.
Dolce antidoto alla Bruttezza.
Finale
Monumental Need è fatto di Anticipazione, Superamento, Profezia e Visione.
All'interno, caro lettore, trovi "Disegni per l'Eternità"
Ma noi, fiduciosi, restiamo in attesa del loro compimento terreno.
Post Scriptum
Ringrazio pubblicamente l’autore.
Mi ha dato l’occasione di ripensare all’/l’Architettura e scriverne pur se con poche e sparse parole che rendono minima giustizia alla complessità e ai rimandi molteplici del volume.
Ma questo stesso verbo conserva in nuce la ferma volontà del continuare a descrivere. Questo libro e quelli che verranno.
18 febbraio 2013
Intersezioni ---> SPECULAZIONE
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Note:
* Friedrich Wilhelm Nietzsche, in “Umano, troppo umano” (paragrafo 149, “Il lento dardo della bellezza”)
Tutti i disegni sono di Beniamino Servino, ad esclusione di: Flagellazione di Cristo_Piero della Francesca (tempera su tavola cm 58,4 x 81,5 - data incerta: forse tra il 1444 e il 1470) Galleria Nazionale delle Marche, Urbino.
È più forte di me: ogni volta che leggo Architettura, Arte, Progetto (ma anche Esattezza, Profetico, Superficie, etc...) scritti con la maiuscola mi viene il nervoso...
RispondiEliminaa me l'orchite...
Eliminaun sacco di disegni...
RispondiEliminaaforismi? siam lontani da kraus o Wilde non si condensa il sapere ma si soliloquia nel deserto
RispondiEliminaallora aveva ragione saramago, tutto con la minuscola!
RispondiEliminaIn tutta sincerità, non ho letto il libro di Servino, ma ho letto tre volte questo testo. La prima volta quando fu pubblicato, ma era il giorno della prova orale dell'esame di abilitazione e avevo la testa altrove. A mentre fredda l'ho riletto due giorni dopo e ancora una volta oggi. In ogni caso, non sono riuscito a capire di cosa parla Cutillo. Sarà un mio limite, ma proprio non ci riesco.
RispondiEliminaNon è un problema, caro Spirito Libero. Non è necessario.
EliminaDavide Tommaso, Marco, Diego, Anonimo, Davide, Spirito libero,
RispondiEliminanon avevo mai ricevuto in un post tutti questi commenti ‘non mi piace’.
A parte le puntualizzazioni sulla scrittura noto che gli appunti visivi di Servino destano sentimenti negativi spesso di pancia.
Dal mio punto di vista Servino – per fortuna da ‘non accademico’ - c’invita a smettere di osservare l’architettura attraverso le sovrastrutture ideologiche della tendenza – anche accademica - globale.
Al di là dell’estetica dei suoi disegni, Servino ci porta a riflettere sul nostro doppio provincialismo (indicato da Kundera qui per approfondire) quello dei grandi che ‘guardano solo se stessi’ e quello dei piccoli che ‘guardano solo se stessi’.
Servino, a mio parere, c’invita a fare un viaggio nella provincia globale.
Come corallaio inserisco una considerazione di Antonio Pascale (scrittore casertano e amico dello stesso Servino):
« Le strategie di seduzione, quelle da bar, non mi venivano bene. Mi scoprivo simile a mio nonno, un ragazzo a chilometro zero.
Metà anni 80. Rinunciare?
Tomare a Caserta?
Appellarmi alla (presunta) bellezza delle radici?
Ma no, al contrario, buttarsi con sfacciataggine e incoscienza. Vent'anni e la fortuna di scoprire la globalizzazione sul nascere, e che felicità scavalcare con un oplà le montagne. Dai, mi dicevo, abbassa il finestrino e lascia che il vento scompigli i capelli. Che bello viaggiare.
Un gesto artistico e inquieto: percepire il mondo in modo diverso. Curiosità e abbandono. Un attimo e s'era negli anni 90. Sotto le aurore boreali abbiamo raggiunto momenti di grazia. Tanto che al ritorno dicevamo: avete idea di come si vive bene in altri Paesi?
Quante cose dobbiamo imparare da loro. Sapete: sui municipi francesi c'è scritto liberté, egalité, fratemité. Da noi ancora le scritte del duce. Viaggiamo, contaminiamo, innoviamo, conosciamo quello che altri, meglio di noi, hanno fatto.
Nel 2012 tre miliardi di persone hanno preso l'aereo. In questi anni, probabilmente abbiamo visto luoghi che mio nonno mai si era sognato di vedere, qualcosa di simile alle navi di combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E tuttavia le file davanti alle sedi di partito sono diminuite, sì, ma solo di poco. Cosa non ha funzionato nel viaggio? Troppa provincia? .È questo il problema? La nostra dannazione? Cultura ristretta, immaginario scarno e desideri usurati? Cioè? L'Italia ha viaggiato senza imparare?
Me lo continuo ancora a chiedere e costantemente ogni volta che viaggio.»
Qui per scaricare il pdf.
Servino è un invito al viaggio.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
@aRCHIfETISH
RispondiEliminaCome Vitruvio. O come Piero della Francesca..
che Raffaele Cutillo ha spiegato e analizzato meglio di me su WILFING ARCHITETTURA qualche tempo fa
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