introduzione e prima parte
«È oramai passato più di un anno dall’inizio di “mirtilli”, tempo che rispetto agli orologi (e calendari) del web è infinitamente lungo e infinito.Pubblicato su Abitare -versione on-line - il 18 giugno 2010 alle ore 9.53. Titolo KissKiss. Contemporaneamente, quel giorno, ero alle prese con i soliti noiosissimi problemi di blogspot, per la pubblicazione della prima parte del colloquio con lo stesso Stefano Mirti. In seguito pubblicato alle 11.50. Come dice Fabrizio Gallanti - nei commenti del post di addio - questo colloquio su Wilfing Architettura è un bilancio retroattivo sul parablog ‘Mirtilli’. Forse, non era nelle mie intenzioni, capisco che la peculiarità più viva del blog sia il suo non essere: redazionale, programmato, infinito.
Tutte le cose belle hanno in genere un inizio e una fine, sennò poi diventano quelle robe alla Enzo Mari che si trascinano per mesi (per anni) e diventano in genere noioserrime (detto diverso: un bel gioco dura poco e questo è già durato tantissimo).
;-)
Da cui, ho pensato che così come il tutto nasce per caso (una chiacchierata a cena), il tutto deve anche finire nello stesso modo: senza particolare motivo, senza particolare ragione». (Stefano Mirti)
Per questo motivo un blog è una scialuppa di salvataggio in navigazione precaria. Dopo l’approdo auguro a Stefano Mirti un buon tutto.
;-) faccina ‘mirtiana’ di congedo.
Istruzioni per l’uso | Blog |
Il 14 dicembre 2008 il sito Web della rivista Abitare si è trasformato in blog, una mutazione indolore poiché già sperimentato da qualche tempo dai quotidiani e da molti magazine.
Inizia con una tua lettera indirizzata a Stefano Boeri: «Perché su “Abitare” non promuovete un dibattito vero sulle nuove modalità di rapporto tra soggetti pubblici e soggetti privati? il ruolo dei progettisti nel mondo che cambia, l’esercizio di incastro tra gli interessi privati e gli interessi pubblici. Questo è il tema vero, è il tema reale che interseca qualsiasi operazione di trasformazione effettiva nel nostro paese. Questo tema richiede una quantità infinita di intelligenza e capacità: la ridefinizione del ruolo del progettista in un mondo in cui tutto è cambiato, in cui qualsiasi modello precedente è stato messo in crisi e si sta faticosamente cercando di ridefinirne di nuovi. Sennò, tutto quanto si riduce al gossip tipo Amanda o Garlasco (vedi i resoconti su Casamonti) e non so quanto questo sia utile e/o interessante. Che dici?»1
Il 23 marzo 2009, sempre sul sito di Abitare, iniziano le pubblicazioni dei suoi post nella rubrica/blog ‘Mirtilli’.2 - [Sulla blogghizzazione delle riviste storiche italiane e sulla sua rubrica blog ne ho parlato qui] -
A che cosa serve un blog per un architetto?
In tutta sincerità, non lo so. Ho questo fondato sospetto che di sua natura non serva a nulla (in tutta sincerità a me non serve a nulla ed è il motivo sostanziale per cui mi piace farlo e per cui lo faccio).
In verità io ho una certa qual esperienza del tutto. Tra il 1998 e il 2001 ho vissuto in Giappone, in un'epoca in cui i blog non c'erano ancora.
Allora, al terzo giorno di Tokyo mi ero stufato di dover mandare venti mail uguali a venti amici e parenti in cui raccontavo di cosa facevo e come era 'sto Giappone.
Avevo dunque inventato il "tokyodiary", ovvero un diario quotidiano che mandavo alla mia mailing list.Dopo poco, il tutto mi era sfuggito di mano da cui si era progressivamente definita una mailing list di centinaia e centinaia di persone che non conoscevo (l'amico dell'amico dell'amico).
Alla fine dei miei tre anni in Giappone, ho capito che di tutte le mille cose fatte (che sono state diverse), la cosa più bella in assoluto era per l'appunto il tokyodiary.
Tokyodiary che non ha mai avuto applicazione pratica. Che non ho mai voluto trasformare in libro, che aveva un senso nel momento in cui lo facevo e non un secondo dopo.
Il 14 dicembre 2008 il sito Web della rivista Abitare si è trasformato in blog, una mutazione indolore poiché già sperimentato da qualche tempo dai quotidiani e da molti magazine.
Inizia con una tua lettera indirizzata a Stefano Boeri: «Perché su “Abitare” non promuovete un dibattito vero sulle nuove modalità di rapporto tra soggetti pubblici e soggetti privati? il ruolo dei progettisti nel mondo che cambia, l’esercizio di incastro tra gli interessi privati e gli interessi pubblici. Questo è il tema vero, è il tema reale che interseca qualsiasi operazione di trasformazione effettiva nel nostro paese. Questo tema richiede una quantità infinita di intelligenza e capacità: la ridefinizione del ruolo del progettista in un mondo in cui tutto è cambiato, in cui qualsiasi modello precedente è stato messo in crisi e si sta faticosamente cercando di ridefinirne di nuovi. Sennò, tutto quanto si riduce al gossip tipo Amanda o Garlasco (vedi i resoconti su Casamonti) e non so quanto questo sia utile e/o interessante. Che dici?»1
Il 23 marzo 2009, sempre sul sito di Abitare, iniziano le pubblicazioni dei suoi post nella rubrica/blog ‘Mirtilli’.2 - [Sulla blogghizzazione delle riviste storiche italiane e sulla sua rubrica blog ne ho parlato qui] -
A che cosa serve un blog per un architetto?
In tutta sincerità, non lo so. Ho questo fondato sospetto che di sua natura non serva a nulla (in tutta sincerità a me non serve a nulla ed è il motivo sostanziale per cui mi piace farlo e per cui lo faccio).
In verità io ho una certa qual esperienza del tutto. Tra il 1998 e il 2001 ho vissuto in Giappone, in un'epoca in cui i blog non c'erano ancora.
Allora, al terzo giorno di Tokyo mi ero stufato di dover mandare venti mail uguali a venti amici e parenti in cui raccontavo di cosa facevo e come era 'sto Giappone.
Avevo dunque inventato il "tokyodiary", ovvero un diario quotidiano che mandavo alla mia mailing list.Dopo poco, il tutto mi era sfuggito di mano da cui si era progressivamente definita una mailing list di centinaia e centinaia di persone che non conoscevo (l'amico dell'amico dell'amico).
Alla fine dei miei tre anni in Giappone, ho capito che di tutte le mille cose fatte (che sono state diverse), la cosa più bella in assoluto era per l'appunto il tokyodiary.
Tokyodiary che non ha mai avuto applicazione pratica. Che non ho mai voluto trasformare in libro, che aveva un senso nel momento in cui lo facevo e non un secondo dopo.
screenshot n. 0 del 'Tokyodiary' 31 ottobre 1998
Da cui, credo che un blog abbia la stessa funzione del tradizionale diario.
A grandi linee non serve a niente. Che è però quel tipo di servire a niente che ritroviamo nella musica, nel flirtare con la cameriera al bar, nel guardare un vecchio film di Bunuel.
Quel "servire a niente" che è poi l'essenza delle nostre vite ed è il motivo ultimo per cui siamo su questa terra.
Il blog è come il taccuino con gli schizzi e gli appunti (che non mi capita mai di ritornare a guardare), come i ritagli che conservo preziosamente e che finiscono in scatole che non verranno mai aperte.
Tutte cose che si fanno perché c'è un desiderio profondo, una necessità impellente, attività che chiedono di essere fatte, che esigono da me di essere fatte, ma che non hanno alcuna utilità pratica.
Scrivere "mirtilli" non ha per me alcun significato e/o applicazione pratica. Lo faccio perché mi piace, perché mi diverte, perché so che si sono altre persone a cui piace.
Fine della storia.
Appena un blog acquisisce un doppio fine, tendenzialmente è la fine.
Questo detto, se le mi consente, appena un'attività professionale, un lavoro, una vita...
...acquisisce un doppio fine, tendenzialmente lì è la fine.
Batofobia | Piazza italiana |
Piazza del Duomo a Milano, piazza della Signoria, piazza del Campo, piazza San Pietro, piazza del Plebiscito a Napoli, piazza Duomo a Siracusa sono dei vuoti urbani relazionali e commerciali.
«La domenica, le piazze italiane sono vuote. Quasi deserti gli stadi, le chiese, i cinema, i tradizionali luoghi della vita sociale. Sono tutti all'outlet.»3Le nostre piazze ‘relazionali e commerciali’ (perdoni la ripetizione) sono state affidate agli strateghi del marketing, lasciando la gestione di alcune aree sensibili agli addetti dello 'stile sovraintendenza' così definiti da Federico Zeri.
Perché abbiamo ceduto i temi architettonici e sociali della città agli operatori del marketing 'politico/commerciale'?
Perché sono più svelti, più abili, più scaltri, più intelligenti ed efficaci.
Marco Polo va in Cina per fare soldi non per conoscere nuovi mondi o per conoscere se stesso.
Il milione non è un diario di viaggio, è un baedeker commerciale.
Da questo punto di vista, nulla di nuovo sotto il sole.
Poi, ogni civiltà esprime gli spazi e le strutture urbane che è in grado di generare.
Se una civiltà aa che ogni persona passa mediamente otto ore davanti alla televisione, sarebbe molto strano il fenomeno opposto (che poi la gente si dedica alla costruzioni di piazze sofisticate e complesse).
:-)
Flaiano in merito disse il celebre: "coraggio, il meglio è passato"...
;-)
Batofobia | Architettura vuota |
«La maggior confusione nella “critica” d’architettura è di fatto dovuta alle riviste legate alla professione: gli architetti dovrebbero fare architettura e gli storici storia. Immagina che cosa accadrebbe se io costruissi una casa?
[…]
Se un architetto ha bisogno di leggere per capire dove si trova, è senza alcun dubbio un cattivo architetto!Francamente non vedo l’importanza di spingere la teoria nella pratica; al contrario; per me è il conflitto delle cose che è importante, che è produttivo. Non lo vedo come una profezia, ma ciò che quindici anni fa ho scritto in Progetto e utopia è diventato oggi un'analisi abbastanza normale: le utopie non esistono più. L’architettura dell’impegno, che cercò di coinvolgerci politicamente e socialmente, è finita, e ciò che si può ancora fare è architettura vuota. Oggi un architetto è costretto a essere o un grande o una nullità. Questo per me non è veramente il “fallimento dell’architettura”: dobbiamo invece guardare a ciò che un architetto poteva fare quando certe cose non erano possibili, e a ciò che poteva fare quando lo erano. Ecco perché insisto sugli ultimi lavori di Le Corbusier, quando non aveva più messaggi da imporre all’umanità. E come da tempo cerco di chiarire quando parlo di contesto storico, nessuno può determinare il futuro.» (Manfredo Tafuri)4
Credo che il mondo in cui l'architetto fa le case e lo storico scrive le storie, sia un mondo finito.
Se l'architetto iniziasse a raccontare delle storie, sarebbe una cosa ottima.Se poi lo storico o il critico iniziasse a costruire case, queste non potrebbero venire peggio di quelle costruite dagli architetti.
:-)
«Se un architetto ha bisogno di leggere per capire dove si trova, è senza alcun dubbio un cattivo architetto!» (Manfredo Tafuri)Ma no... Inizierei con un suggerimento.
Se al termine architetto sostituiamo il termine "progettista", facciamo già dei passi avanti.
«Se un progettista ha bisogno di leggere per capire dove si trova [...]» (Manfredo Tafuri)Che cosa legge?
storie?
romanzi?
saggi critici?
Se un progettista legge per capire dove si trova, mi sembra sia un'attività più che lecita e sensata.
Perché non dovrebbe farlo?
«Francamente non vedo l’importanza di spingere la teoria nella pratica; al contrario; per me è il conflitto delle cose che è importante, che è produttivo. Non lo vedo come una profezia, ma ciò che quindici anni fa ho scritto in Progetto e utopia è diventato oggi un’analisi abbastanza normale: le utopie non esistono più» (Manfredo Tafuri)Parzialmente vero (le utopie che non esistono più).
Le utopie si sono mescolate alle distopie, ai multiversi...
Si che esistono, semplicemente sono cambiate...
«L’architettura dell’impegno, che cercò di coinvolgerci politicamente e socialmente, è finita, e ciò che si può ancora fare è architettura vuota». (Manfredo Tafuri)Più o meno concordo.
Ciò detto, l'idea di fare architettura vuota non mi sembra orrenda o disdicevole.
«Oggi un architetto è costretto a essere o un grande o una nullità». (Manfredo Tafuri)Ma va... Sono stupidaggini.
Ognuno nasce in un suo periodo, in una sua epoca. Questa epoca funziona così.
Perché essere così pessimisti?
«Questo per me non è veramente il “fallimento dell’architettura”: dobbiamo invece guardare a ciò che un architetto poteva fare quando certe cose non erano possibili, e a ciò che poteva fare quando lo erano». (Manfredo Tafuri)Non mi sembra, non sono d'accordo. Guardiamo piuttosto a come funziona l'oggi (se necessario leggendo), e regoliamoci di conseguenza.
«Ecco perché insisto sugli ultimi lavori di Le Corbusier, quando non aveva più messaggi da imporre all’umanità». (Manfredo Tafuri)Mah... Mi sembrano grossolane generalizzazioni. L'ospedale di Venezia, il Cabanon, le case Jaoul e Shodan. Tutto Chandigarh...
Quelli sono messaggi per l'umanità pazzeschi, esattamente uguali al primo Le Corbusier.
La torre d'ombra che tanto appassionò il giovane Francesco Venezia...
Gli ultimi vent'anni di Le Corbusier a me sembrano molto più importanti dei primi venti, soprattutto perché aveva una quantità di messaggi infiniti per l'umanità.
Il Le Corbusier del Modulor non era un messaggio per l'umanità?
Mah...
«E come da tempo cerco di chiarire quando parlo di contesto storico, nessuno può determinare il futuro». (Manfredo Tafuri)Tranne mia mamma che di mestiere fa l'astrologa...
http://www.graziamirti.com/
;-)
Batofobia | Web|
La prima piattaforma intuitiva per la gestione di un blog fu creata da Bruce Ableson il 20 ottobre 1998 con il nome di Open Diary,5 dove Xochiquetzal creò il suo Blog Moon Worshiper. Il 17 dicembre 1998 nel suo primo post Emergence of a Nonconformist si trova una delle più interessanti definizioni delle scritture in rete:
«to write so beautifully on this alluring blank space».A grandi linee si. Ed è affascinante proprio perché vuoto...
Il Web è un 'affascinante spazio vuoto'?
:-)
Ecco l’ultima domanda:*
A proposito di alcune sue considerazioni sui testi di architettura:
«Se riduciamo il ventesimo secolo dell’architettura a tre testi, questi sono (parere opinabile): “Verso un’architettura” di Le Corbusier, “Learning from Las Vegas” di Venturi/Scott-Brown/Izenour, “L’architettura della città” di Aldo Rossi. A cui si può aggiungere forse “Delirious New York” di Koolhaas.6Leggendo il libro ‘Le parole dell’architettura’ a cura di Marco Biraghi e Giovanni Damiani7 e camminando per le nostre città dai bordi verso l’interno, non riesco a rintracciare nessun nesso tra le parole e la matericità di ciò che vedo.
Capisco il ruolo del critico - che deve selezionare tra gli architetti più autorevoli della seconda metà del XXI secolo le parole più interessanti - ma ciò che non comprendo è il motivo del rimosso (non solo da parte di questi curatori) di alcune ‘Parole dell’architettura’.
Anche in questo libro tutti i testi indicati hanno in comune la sindrome ‘da manifesto’ ovvero l’idea degli architetti di scrivere teorie – pontificare – sull’architettura.
Per chiarire meglio il concetto, ecco un elenco di quattro testi rimossi in quest’ultimo mezzo secolo, in ordine cronologico:
Gio' Ponti, "Amate l’architettura", Vitali e Ghianda, Genova, 1957. Per la prima volta, l’architettura viene raccontata attraverso un testo diffranto. Offendo aforismi da riformulare: «non per dettare legge, se mai per eccitare alla contraddizione: perché un libro è un colloquio, non un soliloquio. Solo nella follia parliamo da soli».8Su Gio' Ponti io ammetto di avere un pregiudizio.
Non ho mai capito le sue architetture e ancora meno i suoi testi. Credo che sia ovviamente un mio limite, ma non so proprio cosa farci.
Ho iniziato "Amate l'architettura" venti volte e per venti volte l'ho abbandonato ucciso dalla noia totale e assoluta.
Sorrysorrysorry.
I due o meglio tre numeri della rivista (per semplificare) "Pianeta Fresco" edito tra il dicembre 1967 e l’equinozio invernale del 1968.
Dove le idee avevano il gusto di un gioco fatto bene. Ad esempio: i ‘Gazebo’s’ degli Archizoom con l’ironica agenzia export- import tra l’Italia e il Medio Oriente che anticipa - non di poco - i temi dell’architettura odierna. Estrapolo una frase dalle pagine iniziali:
«La sentenza
Il pozzo. Si cambi pure la città, Ma non si può cambiare il pozzo. Non cala e non cresce. Se si è quasi raggiunta l’acqua del pozzo, Ma non si è ancora ben giù con la corda, Oppure se si infrange la bocca, questo reca sciagura.
Nell'antica Cina le capitali venivano travolta trasferite, in parte per ragioni di sito più favorevole, in parte per mutamento di dinastia. Lo stile architettonico mutò nel corso dei secoli, ma la forma del pozzo è un’immagine dell’organizzazione sociale dell’umanità riguardante le più primitive necessità della vita, che indipendenti da qualsiasi formazione politica. Le formazioni politiche, le nazioni mutano, ma la vita dell’uomo con le sue richieste rimane la stessa. In ciò non si può cambiar nulla. Le stirpi vengono e vanno, ed esse tutte fruiscono della vita nella sua inesauribile copia.»9Ma Sottsass era in un'altra "league". Se lei parla dei testi importanti per l'architettura io dico appunto Le Corbusier, Venturi, Rossi, Koolhaas.
Sottsass è tre spanne sopra, è un altro universo.
Sottsass parla della vita, delle cose importanti. Mica lo mettiamo assieme ai carpentieri...
:-)
Bruno Munari, "Codice ovvio", Einaudi, Torino, 1971.
Leggere Munari significa entrare in una ‘Camera delle meraviglie’, dove serve solo comprendere il significato di ‘ovvio’:
«Il più grande ostacolo alla comprensione di un’opera d’arte è quello di voler capire.»10Amo molto Bruno Munari, trovo insopportabili i munariani.
Munari era uno bravo, faceva cose belle, lì detto stop.
Aveva tre concetti interessanti e belli su cui ha scritto duecento libri tutti uguali. Letto uno, letti tutti.
Munari mi piace e lo amo, però potrei citare altre ottocento persone che mi piacciono e fanno cose che mi piacciono.
:-)
Maurizio Sacripanti, Città di frontiera, Bulzoni, Roma, 1973.
Ovvero il credito formativo di Rem Koolhaas. Fulvio Irace in un recente articolo su Domus11 associa il suo progetto ‘Total teatro di Cagliari’ al Transformer di Prada di Koolhaas.
Ecco, Sacripanti è uno che proprio mi intriga e mi affascina.
Di cui però non so tantissimo. Tipo Musmeci. Che vedi i lavori e non riesci a capire come sia che non siano celeberrimi e studiatissimi.
Per esempio, quel testo che lei cita, non solo non l'ho letto, ma non sapevo neppure che esistesse.
Io credo che le opere tautologiche Koolhaas=Sacripanti siano:
Wyly Theatre, At&T Performing Arts Center, Dallas = Progetto Total teatro di Cagliari
Transformer di Prada, Seoul = Progetto per l’Expo 70 di Osaka
Conosco quei lavori di Sacripanti, mi sembrano assoluti, Koolhaas è un'idrovora che sa tutto e succhia tutto. Si, possibile...
Senza trascurare il grosso debito teorico. Prelevo dal libro ‘Città di frontiera’ altre parole rimosse:
«E la città, zavorrata dal greve storico, sorpresa dal futuro, artificiosamente si spezza, ammutolisce, si scopre androgina e sterile all’innesto di ogni nuovo, si esaurisce, si “sdoppia”: un sopra e un sotto. Sopra, parallelismi urbanistici dove le strade perduto il racconto non comunicano più; sotto, i canali per persone e cose; sopra, l’anonimo; sotto, l’utile. Così dalla comunicazione magica dello spazio scavato per il pozzo si è passati, senza magia, alla città scavata per i servizi.»12Credo che Koolhaas abbia un credito formativo nei confronti di tutta quella generazione, non di Sacripanti nello specifico.
Premettendo che le parole più interessanti dell’architettura italiana sono scritte nel "Nuovo nuovissimo manuale dell'architetto" edito dal Tribunale ordinario di Firenze, a cura del Giudice delle Indagini preliminari Rosario Lupo e che il libro più letto dai 400mila tecnici del settore edile è la legislazione italiana con, in allegato, la Gazzetta Ufficiale.
Ecco in altri quattro punti ciò che stiamo rimuovendo in questo momento.
La cultura hacker.
Nell'idea di Richard Stallam di abbandonare l'uso da default dei software e di comprenderne i codici. Per uscire fuori dai default CAD e ricodificarli, come la mano dell’architetto fa con la matita.
La cultura hacker è tipo Bruno Munari. A un certo punto diventa di moda, tutti ne parlano, tutti la citano, poi a un certo punto finisce e il mondo va avanti come prima.
La semantica.
Ovvero la grammatica del nostro presente fisico, nonché del futuro dell'informatica. Al momento conosco un libro per capire - che le parole, come sostiene Umberto Galimberti, mutano di significato secondo come sono abitate in un dato momento dagli uomini - ed è la prima parte di ‘Lezioni di enigmistica’ di Stefano Bartezzaghi.13
Per possedere il senso della composizione.
Se lei ama il tema, le suggerirei piuttosto "Una diversa tradizione" di Corrado Levi. Anche Christopher Alexander aveva scritto testi importanti e definitivi sul tema (quando Galimberti e Bartezzaghi andavano ancora all'asilo infantile).
La lista.
Per maturare il non senso delle teorie di architettura tassonomiche e per avere il piacere della vertigine della lista secondo i suggerimenti di Umberto Eco.14
A me le liste piacciono moltissimo, da cui sull'importanza della lista mi trova d'accordo e simpatetico.
La legislazione italiana.
Per sapere come cambiarla.
Su questo non saprei cosa dire.
Quali sono ‘le parole dell’architettura’ della seconda metà del secolo passato e i temi significativi dell'architettura italiana di oggi?
Mi sembra una domanda troppo difficile. O meglio, una domanda che non mi appassiona e sulla quale non saprei dire grandi cose.
Specificatamente sui "temi significativi dell'architettura italiana di oggi" ho qualche difficoltà.
Non penso noi si sia in un'epoca da "temi significativi".
L'architettura così come la conosciamo sta annaspando e collassando.
L'italianità è una categoria che conosco ma che non mi appassiona.
L'oggi in quanto oggi ha da essere vissuto e non classificato.
Grazie mille per la chiacchierata, buona giornata.
Grazie a lei.
24 giugno 2010 (ultima modifica 19 settembre 2012)
Intersezioni ---> MONDOBLOG
Come usare WA --------------------- ------------------------------Cos'è WA
__________________________________________
Note:1 Stefano Mirti, La professione in Italia, Abitare on-line, 14 dicembre 2008. Link
2 Stefano Mirti, A Milano, Nuovo giro al Design Museum della Triennale, Mirtilli, 23 marzo 2009. Link
3 Aldo Cazzullo, Outlet Italia, Mondadori, Milano, 2007, p. 3
4 Richard Ingersoll, There is no criticism, only history, Design Book Review, Spring, 1986. Anche in Casabella n. 619/620, gennaio/febbraio 1995, p. 98.
5 Per la storia dei blog: Salvatore D'Agostino, 0026 [MONDOBLOG] La storia del blog e una storia blog Elmanco, Wilfing Architettura, 2 febbraio 2010. Link
6 Stefano Mirti, Playscape, Abitare: blog 'Mirtilli', 5 aprile 2010. Link
7 a cura di Marco Braghi e Giovanni Damiani, Le parole dell’architettura, Einaudi, Torino, 2009.
8 Giò Ponti, Amate l’architettura, Vitali e Ghianda, Genova, 1957.
9 I due numeri di 'Pianeta fresco' sono leggibili in rete qui.
10 Bruno Munari, Codice ovvio, Einaudi, Torino, 1971.
11 Fulvio Irace, I flussi carsici della storia, Domus, maggio 2010, n. 936, pp. 62-71.
12 Maurizio Sacripanti, Città di frontiera, Bulzoni, Roma, 1973.
13 Stefano Bartezzaghi, Lezioni di enigmistica, Einaudi, Torino, 2001.
14 Umberto Eco, Vertigine della lista, Bompiani, Milano, 2009.
* La domanda è stata sezionata in più parti.