Nuovamente problemi per il ponte veneziano di Santiago Calatrava, salta l'inaugurazione prevista per il 18 settembre.
Ancora una volta un'attenzione ingiustificata verso un'opera di architettura firmata da un architetto straniero.
Basta guardarsi intorno per non notare lo sfacelo che circonda anche una città vetrina come Venezia con i continui aggiustamenti falsamente storici e senza una minima speculazione architettonica, firmati dagli architetti da bar che temono le contaminazioni e le idee innovative.
Da qualche giorno alla Bocconi di Milano, si è concluso l'incontro annuale degli economisti europei, dove è emerso che un'economia senza un pensiero dominante, con meno barriere e, soprattutto, contaminata dalle idee delle diverse discipline è la nuova frontiera.
In controtendenza a quest'analisi, l'architettura italiana sembra regrederire, affrontando le nuove sfide con la cintura di castità, temendo di perdere la verginità del bel paese che da decenni, ahimè, non c'è più. Escludendo l'enclave turistiche-economiche dei centri storici da dove l'architettura è stata bandita, non troviamo eccellenze di architettura contemporanea, ma solo casi sporadici.
Io credo che in Italia ci siano dei bravi architetti impregnati dello spirito anarchico/architettonico di Giancarlo De Carlo, degli interventi non filologici di Carlo Scarpa, dell'architettura sostantiva di Pier Luigi Nervi, Sergio Musmeci, Riccardo Morandi o della genialità creativa e concettuale di Ettore Sottsass, fratelli Castiglioni, Bruno Munari, Marco Zanuso (per sintesi indico i più interessanti) che rimangono ai margini perché la cultura architettonica dominate non ha respiro internazionale ma provinciale di tipo: vetero leghista, a conduzione familiare cattolico/fascista o egualitarista acritico di sinistra.
Per questo motivo, trovo squallido scandagliare gli errori sui progetti degl'archistar stranieri e tollerare gli scempi degl'archipop-opolari italiani.
A mio avviso non è un problema di barriere architettoniche, ma di architettoniche BARriere culturali.
Invito di lettura: articolo a firma di Anna Detheridge apparso sul domenicale n° 240, del Sole 24 Ore, 31 agosto 2008, p. 28 dove condivido i punti di vista di Massimo Cacciari e Santiago Calatrava (estratto):
È stata realizzata a Venezia un'opera di architettura contemporanea di grande bellezza a firma di Santiago Calatrava, architetto e ingegnere spagnolo celebre per le sue costruzioni monumentali, finalmente portata a termine laddove quelle di altri protagonisti dell'architettura moderna quali Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Louis Kahn e Alvaro Siza son rimaste per vari motivi allo stadio progettuale. [...]
Le motivazioni latenti dietro le polemiche le boutades ingenerose dei critici, i tempi lunghi delle approvazioni, appaiano nelle migliori delle ipotesi una sorta di auto protezione che la città (in questo caso Venezia, ma rimane per tante città italiane) oppone, una sorta di resistenza inconscia al cambiamento Eppure, come ha affermato Calatrava: «in una città d'arte enormemente sollecitata da milioni di persone si fanno continuamente delle opere. Come ha dichiarato anche Cacciari, la città è in continua trasformazione, cambia comunque veste, sotto la spinta di una pressione enorme, e del tessuto originario non rimane quasi nulla».
Le cose si capiscono meglio dai dettagli e Calatrava si dimostra uomo del suo tempo nella scelta, per esempio, dell'arco ribassato rispetto a quello di tutti gli altri ponti di Venezia. «Il raggio di curvatura larga rappresenta l'epoca contemporanea, realizzabile da quando sono disponibili certi materiali. Molta innovazione e integrazione di elementi passa anche dal colore e dai materiali. Se si guarda il lavoro il lavoro nel centro storico di architetti quali Albini o Scarpa che hanno con cura enorme trasgredito il vocabolario moderno, realizzando lavori di una grande preziosità quale è, per esempio, il Querini Stampalia. Se si osserva un'opera di Bellini su un cavalletto disegnato da Scarpa con i mezzi che avevano, lavorando con artigiani quali Morselletto e altri, quegli oggetti fanno parte di un insieme metafisico. Mi commuove sempre il profondo amore che trascende i linguaggi. Venezia come tante altre città, ha subito violenze quali quelle imposte da Napoleone che cala sulla città come una bestia, ordinando la chiusura del terzo lato di Piazza San Marco copiando la loggia sansoviniana, intervenendo brutalmente dentro la sacralità del luogo, a anche questo è stato assorbito dalla trama della città che ha una grande capacità di integrare tutto, e oggi non lo nota più nessuno».
0004 [SPECULAZIONE] La paura per l'architettura. Un mio vecchio post sull'argomento del 4 febbraio 2008
Un interessante post 'no-ponte' di Roberto Scano
N.B.: Roberto Scano mi ha inviato un commento che rettifica la mia indicazione al suo post, il suo punto di vista non è No-Ponte, ma Un ponte per tutti. Per sintesi avevo tagliato l'articolo di Anna Detheridge, ma adesso per chiarezza riporto una dichiarazione di Santiago Calatrava che avalla le tesi di Roberto Scano contenuta nell'articolo già menzionato:
[...] «Posizione che all'epoca ho trovato giustificabile [...] in quanto a Venezia le barriere architettoniche sono ovunque. In seguito all'infittirsi dei pareri, proposi di cambiare radicalmente il progetto, ma questo avrebbe obbligato i committenti a ricominciare daccapo l'iter delle approvazioni durato diversi anni». Articolo integrale
Ancora una volta un'attenzione ingiustificata verso un'opera di architettura firmata da un architetto straniero.
Basta guardarsi intorno per non notare lo sfacelo che circonda anche una città vetrina come Venezia con i continui aggiustamenti falsamente storici e senza una minima speculazione architettonica, firmati dagli architetti da bar che temono le contaminazioni e le idee innovative.
Da qualche giorno alla Bocconi di Milano, si è concluso l'incontro annuale degli economisti europei, dove è emerso che un'economia senza un pensiero dominante, con meno barriere e, soprattutto, contaminata dalle idee delle diverse discipline è la nuova frontiera.
In controtendenza a quest'analisi, l'architettura italiana sembra regrederire, affrontando le nuove sfide con la cintura di castità, temendo di perdere la verginità del bel paese che da decenni, ahimè, non c'è più. Escludendo l'enclave turistiche-economiche dei centri storici da dove l'architettura è stata bandita, non troviamo eccellenze di architettura contemporanea, ma solo casi sporadici.
Io credo che in Italia ci siano dei bravi architetti impregnati dello spirito anarchico/architettonico di Giancarlo De Carlo, degli interventi non filologici di Carlo Scarpa, dell'architettura sostantiva di Pier Luigi Nervi, Sergio Musmeci, Riccardo Morandi o della genialità creativa e concettuale di Ettore Sottsass, fratelli Castiglioni, Bruno Munari, Marco Zanuso (per sintesi indico i più interessanti) che rimangono ai margini perché la cultura architettonica dominate non ha respiro internazionale ma provinciale di tipo: vetero leghista, a conduzione familiare cattolico/fascista o egualitarista acritico di sinistra.
Per questo motivo, trovo squallido scandagliare gli errori sui progetti degl'archistar stranieri e tollerare gli scempi degl'archipop-opolari italiani.
A mio avviso non è un problema di barriere architettoniche, ma di architettoniche BARriere culturali.
Invito di lettura: articolo a firma di Anna Detheridge apparso sul domenicale n° 240, del Sole 24 Ore, 31 agosto 2008, p. 28 dove condivido i punti di vista di Massimo Cacciari e Santiago Calatrava (estratto):
È stata realizzata a Venezia un'opera di architettura contemporanea di grande bellezza a firma di Santiago Calatrava, architetto e ingegnere spagnolo celebre per le sue costruzioni monumentali, finalmente portata a termine laddove quelle di altri protagonisti dell'architettura moderna quali Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Louis Kahn e Alvaro Siza son rimaste per vari motivi allo stadio progettuale. [...]
Le motivazioni latenti dietro le polemiche le boutades ingenerose dei critici, i tempi lunghi delle approvazioni, appaiano nelle migliori delle ipotesi una sorta di auto protezione che la città (in questo caso Venezia, ma rimane per tante città italiane) oppone, una sorta di resistenza inconscia al cambiamento Eppure, come ha affermato Calatrava: «in una città d'arte enormemente sollecitata da milioni di persone si fanno continuamente delle opere. Come ha dichiarato anche Cacciari, la città è in continua trasformazione, cambia comunque veste, sotto la spinta di una pressione enorme, e del tessuto originario non rimane quasi nulla».
Le cose si capiscono meglio dai dettagli e Calatrava si dimostra uomo del suo tempo nella scelta, per esempio, dell'arco ribassato rispetto a quello di tutti gli altri ponti di Venezia. «Il raggio di curvatura larga rappresenta l'epoca contemporanea, realizzabile da quando sono disponibili certi materiali. Molta innovazione e integrazione di elementi passa anche dal colore e dai materiali. Se si guarda il lavoro il lavoro nel centro storico di architetti quali Albini o Scarpa che hanno con cura enorme trasgredito il vocabolario moderno, realizzando lavori di una grande preziosità quale è, per esempio, il Querini Stampalia. Se si osserva un'opera di Bellini su un cavalletto disegnato da Scarpa con i mezzi che avevano, lavorando con artigiani quali Morselletto e altri, quegli oggetti fanno parte di un insieme metafisico. Mi commuove sempre il profondo amore che trascende i linguaggi. Venezia come tante altre città, ha subito violenze quali quelle imposte da Napoleone che cala sulla città come una bestia, ordinando la chiusura del terzo lato di Piazza San Marco copiando la loggia sansoviniana, intervenendo brutalmente dentro la sacralità del luogo, a anche questo è stato assorbito dalla trama della città che ha una grande capacità di integrare tutto, e oggi non lo nota più nessuno».
0004 [SPECULAZIONE] La paura per l'architettura. Un mio vecchio post sull'argomento del 4 febbraio 2008
Un interessante post 'no-ponte' di Roberto Scano
N.B.: Roberto Scano mi ha inviato un commento che rettifica la mia indicazione al suo post, il suo punto di vista non è No-Ponte, ma Un ponte per tutti. Per sintesi avevo tagliato l'articolo di Anna Detheridge, ma adesso per chiarezza riporto una dichiarazione di Santiago Calatrava che avalla le tesi di Roberto Scano contenuta nell'articolo già menzionato:
[...] «Posizione che all'epoca ho trovato giustificabile [...] in quanto a Venezia le barriere architettoniche sono ovunque. In seguito all'infittirsi dei pareri, proposi di cambiare radicalmente il progetto, ma questo avrebbe obbligato i committenti a ricominciare daccapo l'iter delle approvazioni durato diversi anni». Articolo integrale