«Intervistatore: Il rapporto tra padri e figli come potrà cambiare, cambierà?
Italo Calvino: Bisogna vedere che padri saranno. Io credo che continuerà questa crisi di discontinuità tra le generazioni. I padri sono sempre più insicuri su quello che devono insegnare o insegnano delle cose che praticamente non servono.» (Italo Calvino, 1975)1
Cercando nella nuova agenzia di ranking mondiale delle università bisogna scorrere fino alla 226° posizione per trovare la prima scuola italiana2 nonché, forse per ironia, la più antica del mondo: l’Università degli Studi di Bologna. Anche se i parametri dell’agenzia sono forse un po’ anglosassoni, prospettano per l’Italia una geografia dell’insegnamento debole nei confronti delle università del mondo. Parametri che in un immediato futuro saranno stravolti o integrati dalle nuove sfide introdotte dalle università online, poiché, come nota Troy Conrad Therrien della Columbia University3, autorevoli professori delle scuole 'storiche' si stanno licenziando per andare ad insegnare nelle nuove università online: Udacity, Cousera o edX.
Evitando la classica geremiade sullo stato dell’università italiana, Mario Lupano -IUAV - nell’op-ed di dicembre su Domus4 suggerisce che «Il progetto complessivo della didattica e della ricerca dovrebbe aprirsi alla multiformità e alle diverse caratterizzazioni di docenti e studenti» e per puntare a una nuova qualità didattica serve un «reclutamento temporaneo di professionisti e docenti provenienti da realtà internazionali nel quadro strategico di un progetto culturale aperto e dialogante» e Francesco Dell’Oro - responsabile del servizio orientamento scolastico del Comune di Milano - sulla Lettura del corsera5 invita a un cambiamento radicale dell'insegnamento sostituendo le ore frontali cioè le lezioni di tipo preconfezionato con una didattica incentrata sul problem solving per una conoscenza non più passiva ma attiva dello studente. «Forse, con una maggiore onestà intellettuale, - afferma Dell’Oro - dovremmo riconoscere che l’attuale organizzazione scolastica è più funzionale a un sistema di cattedre che alla possibilità di accompagnare, sostenere e far crescere, in un percorso formativo, le ragazze e i ragazzi delle nuove generazioni.»
Prospettive interessanti che s’incastonano nel consueto dibattito6 del come fare. Sul campo delle azioni concrete, segnalo la svolta didattica di Luca Molinari che ha deciso, utilizzando il suo corso di Storia dell’Architettura Contemporanea della Facoltà di Architettura “L. Vanvitelli” ad Aversa7, di attivare un «laboratorio new media in cui insegnare agli studenti a utilizzare i social media e la Rete come luogo di ricerca, scrittura e produzione di contenuti critici legati alla [...] materia di studio».
Come afferma lo stesso Molinari, un corso che ha la consapevolezza di non inventare niente di nuovo poiché già da qualche tempo sono metodologie adottate nelle facoltà estere e anche in Italia, ma in totale autonomia, da alcuni intraprendenti docenti.8
Vorrei integrare gli spunti del post di Luca Molinari e Anna Barbara con qualche nota che non pretendono di essere esaustive, né le migliori possibili e che valgono come appunti.
ALFABETIZZAZIONE DIGITALE
Come afferma lo stesso Molinari, un corso che ha la consapevolezza di non inventare niente di nuovo poiché già da qualche tempo sono metodologie adottate nelle facoltà estere e anche in Italia, ma in totale autonomia, da alcuni intraprendenti docenti.8
Vorrei integrare gli spunti del post di Luca Molinari e Anna Barbara con qualche nota che non pretendono di essere esaustive, né le migliori possibili e che valgono come appunti.
ALFABETIZZAZIONE DIGITALE
Circa
dieci fa la più antica università degli USA Harvard chiamò Dave Winer,
uno dei principali pionieri blogger, a tenere dei corsi universitari per
aiutare gli studenti e i docenti a costruire i blog personali per
agevolare la didattica.9 L’alfabetizzazione digitale o il digital literacy, per molti analisti tra i quali il linguista Tullio De Mauro10,
va affrontata educando sia i giovani sia gli adulti poiché è un
problema trasversale. Il digitale ci offre nuove possibilità ma ci
condanna a reimparare senza sosta, a qualsiasi età, nuovi usi e nuovi
linguaggi e a memorizzarli.
LE FONTI DELLA GIUNGLANET (riprendendo il termine del post)
LE FONTI DELLA GIUNGLANET (riprendendo il termine del post)
Come distinguere una fonte autorevole da una fanfaluca, un rabberciato clone o una bufala?
A
mio avviso restano ancora validi i suggerimenti di Umberto Eco scritti
nel suo viaggio alla ricerca delle fonti in ‘Come si fa una tesi di
laurea’ un libro del 1977, quindi precedente all’era del web, dove
mancano gli aggiornamenti su come cercare le fonti reperibili online.
Ecco un’integrazione involontaria dello stesso autore:
«Quanto ci si deve fidare di Wikipedia, allora?Dico subito che io mi fido perché la uso con la tecnica dello studioso di professione: consulto su un certo argomento Wikipedia e poi vado a confrontare con altre due o tre siti: se la notizia ricorre tre volte ci sono buone probabilità che sia vera (ma bisogna fare attenzione che i siti che consulto non siano parassiti di Wikipedia, e ne ripetano l'errore). Un altro modo è vedere la voce di Wikipedia sia in italiano sia in un'altra lingua (se avete difficoltà con l'urdu, ci sarà sempre certamente il corrispettivo inglese): sovente le due voci coincidono (una è la traduzione dell'altra) ma talora differiscono, e può essere interessante rilevare una contraddizione, che potrebbe indurvi (contro ogni vostra religione del virtuale) ad alzarvi e andare a consultare una enciclopedia cartacea.»11 (Umberto Eco)
WIKIPEDIA
Questo appunto, come da prassi MONDOBLOG, introduce il prossimo colloquio con Massimiliano Ciammaichella e il blog delle summer school dello IUAV W.A.VE.
14 gennaio 2013
La prima regola per compilare una voce su Wikipedia è:
«Evita i pregiudizi. Le voci devono essere scritte partendo da un punto di vista neutrale, che rappresenti le diverse opinioni su un argomento in maniera equa e comprensiva.»
Una
regola che dovrebbe essere adottata anche in ambito didattico. Allora
perché non partire dalla revisione o integrazione delle voci di
Wikipedia?12 Perché non usare Wikipedia come fonte primaria di orientamento?
Wikipedia,
come osserva Umberto Eco, è diventato il punto di partenza per avviare
una ricerca per poi perdersi in una biblioteca.
ATLANTE DELL’ARCHITETTURA
ATLANTE DELL’ARCHITETTURA
Uno spunto interessante lo troviamo in una pagina dello IUAV, un portale dalla grafica un po’ austera ma efficace per metodo: Atlante IUAV.
Perché
non implementare questi atlanti di comune accordo con le biblioteche
delle università in modo da conservare la memoria di queste schede
didattiche anche su carta? E iniziare, in questo modo, un nuovo percorso
di archiviazione per le biblioteche?
Perché non trasformare l’archivio delle biblioteche in musei del sapere, magari partendo con la costruzione di musei virtuali come il The big internet museum?
Musei di oggetti, modelli, libri, disegni, riviste.
MEMORIA WEB
MEMORIA WEB
Chi sta conservando le pubblicazioni degne di nota che ogni giorno sono pubblicate nel web?
Poiché spesso le pubblicazioni web spariscono per svariati motivi:
- i server non sono più attivi;
- l’autore ripulisce la sua vita web;
- non sono bene indicizzati dai motori di ricerca.
Bisogna smontare due falsi miti del web:
- un link non è eterno;
- la rete non è una biblioteca perché non ha nessun sistema scientifico di archiviazione (insomma non è l’OPAC).
La
labilità della memoria web dovrebbe far riflettere uno storico del
presente per immaginare un nuovo approccio di archiviazione dei
contenuti digitali.
USARE I PIEDI
USARE I PIEDI
Altro
errore internettiano è quello di dire che ‘nella rete si trova tutto’,
non è vero, anzi al contrario per chi studia il territorio, la città e
l’architettura tutto si trova fuori dalla rete.
La critica di architettura e design Cathelijne Nuijsink, in questa intervista di Fabrizia Vecchione13, ci offre un ottimo spunto per una possibile didattica incentrata sulla conoscenza attiva e significativa dell’architettura. Non più un approccio che parte dalle teorie del critico o gruppi di critici ma di relazione attenta sul rapporto dell’uomo e il suo paesaggio. Una sfida che mette i piedi allo studioso di oggi anche se munito di applicativi web.«Ci sono tantissimi libri fotografici che mostrano queste "esotiche" casette giapponesi, - sostiene Cathelijne Nuijsink - ma nessuno spiega il contesto, l'intenzione degli architetti e la vita dei committenti dentro la casa. In questo libro racconto la storia di quel che passa per la testa di chi progetta, tentando di rilevare ciò che connette gli architetti di una stessa generazione, e ciò che invece rende il loro approccio unico. Questa duplice struttura chiarisce che in Giappone l'architettura non è solo creazione di edifici moderni bianchi e sterilizzati, ma che si tratta soprattutto di una disciplina progettuale che si trasmetta direttamente da maestro ad allievo.»
Questo appunto, come da prassi MONDOBLOG, introduce il prossimo colloquio con Massimiliano Ciammaichella e il blog delle summer school dello IUAV W.A.VE.
14 gennaio 2013
Intersezioni ---> MONDOBLOG
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Note:
1 Rai Teche filmati tratti dalla serie televisiva "Gli scrittori raccontano", a cura di Patrizio Barbaro.*
2
Le università italiane sono precedute da: USA, Inghilterra, Svizzera,
Canada, Giappone, Svezia, Australia, Singapore, Germania, Cina, Corea
del Sud, Hong Kong, Francia, Belgio Olanda, Finlandia, Sud Africa,
Irlanda, Danimarca, Austria, Taiwan, Israele, Brasile, Spagna, Turchia e
Nuova Zelanda. Facendo una ricerca sulle università solo europee la prima università italiana si trova al 122° posto.
3 Troy Conrad Therrien, La facoltà del futuro, Domus, n. 964, dicembre 2012, pp.88-89.
4 Mario Lupano, Architetti made in Italy, Domus, n. 964, dicembre 2012, p. V.* A proposito dello IUAV trovo questa lettera
di dimissioni del Preside di Facoltà Giancarlo Carnevale poco
didattica, paternale, zeppa di riferimenti personali, con aneddoti fuori luogo, dietrologie e polemiche di corridoio. Triste.
5
Francesco Dell’Oro, Meno lezioni frontali più Problem Solving: Il
futuro della scuola, La Lettura, Corriere della Sera, Domenica, 6
gennaio 2013, p. 4.*
6
Vi suggerisco di leggere un approfondimento di Rossella Feronelli,
Italia: un'indagine sull'accademia, Domus, n. 964, dicembre 2012.*
7
Luca Molinari e Anna Barbara, Un laboratorio di new media per
l’alfabetizzazione digitale (che parte dal Sud), Che futuro!, 20 ottobre
2012.*
8 L’involontario protoblog di Francesco Tentori, Vinicio Bonometto, Antonino Saggio (precursore dell’uso dei blog, podcast e videolab), 4 crediti di Franco Lancio, archilink (adesso non più attivo) di Giovanni Maria Campus, un’e-zine qb per lo IUAV di Roberto Masiero e Claudio Panerari.
10 Tullio De Mauro, Meno scuola per tutti, Internazionale, n. 762, 19-09-2008, pp.20-23
12 Per esperienza diretta durante il corso di Vinicio Bonometto, eventualmente evitate di scrivere la voce prima nel blog e poi su Wikipedia.
Trovo il post ricco di stimoli positivi. Ingegnandomi su come metterli in pratica in privato e fuori dall'Università, mi limito a dire che perché nelle aule universitarie italiane possa affermarsi l'uso "[de]i social media e [del]la Rete come luogo di ricerca, scrittura e produzione di contenuti critici" è necessario spazzare via il retroguardismo becero di un corpo docente che continua in massima parte a considerarsi unico depositario di un sapere da nascondere e, di conseguenza, li teme come il demonio: se non cadranno nelle fauci del populismo - grillino, anarchico, ciellino o casapoundiano che sia - dobbiamo sperare che gli studenti si battano per conquistare il diritto di valutare e scegliere i propri docenti. Altrimenti, in quelle classifiche scenderemo ancora.
RispondiEliminaHBP,
Eliminami trovi d’accordo ogni studente dovrebbe scegliere il proprio insegnante.
Ribadendo che i parametri sono troppo anglosassoni l’università italiana andrebbe riformata con l’intenzione di far parte di un contesto globale e non locale dell’insegnamento. Evitando però la deriva dell’internazionalismo e cercando una strada didattica italiana per il prossimo futuro penso a nuovi Maria Montessori o Loris Malaguzzi.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Via Rossella Ferorelli,
RispondiEliminauna nota a margine sulle università:
"La cultura architettonica olandese sta cambiando rapidamente, e non necessariamente in meglio. Dopo essere stato, dalla sua fondazione nel 1988, una delle componenti fondamentali dell'evoluzione e della promozione della cultura architettonica olandese il Nederlands Architetctuurinstituut (NAi) di Rotterdam è stato chiuso. Al suo posto è stato aperto il 1° gennaio scorso un nuovo istituto dedicato alla "creatività industriale".
Dietro la maschera dell'efficienza economica e di fumose idee di possibili sinergie il governo olandese ha unilateralmente deciso che le istituzioni culturali finanziate con fondi e sovvenzioni statali dovevano essere sottoposte a una ristrutturazione organizzativa".
Leggi qui
In Italia abbiamo il problema opposto una quantità enorme di università locali che andrebbero chiusi senza la storia del NAi.
In Francia qualche anno fa facevo così.
Saluti,
SD