di Salvatore D’Agostino
Nel 1954 usciva nelle sale cinematografiche ‘Viaggio in Italia’ di Roberto Rossellini. Nel film una coppia inglese, Alex e Katherine Joyce, durante un viaggio in auto in Italia è costretta a ritrovare il dialogo, ormai rovinato dalla reciproca indifferenza. L’abitacolo diventa il loro forzato confessionale, mentre il paesaggio italiano scorre non osservato attraverso i finestrini. Rimasti intrappolati, a causa di una festa religiosa in un paese campano, sono costretti a scendere dall'auto e strattonati dagli eventi aprono gli occhi sulla realtà, se pur umanamente diversa dalla loro cultura, che li circonda. Un miracolo della vista apre gli occhi chiusi dall'indifferenza.
Nel 1984 Luigi Ghirri invitava venti fotografi ad attraversare l’Italia «dove non c’è niente da vedere», come scriverà Gianni Celati, per osservare l’Italia che non veniva rappresentata dalle immagini del bel paesaggio da cartolina o dalle foto spendibili e sensazionalistiche dei paparazzi, come lì definì Federico Fellini. Ghirri intitolerà la mostra e il libro ‘Viaggio in Italia’ aprendo gli occhi verso un paesaggio dove i cultori dell’estetica e del bel paese non sarebbero mai andati.
Nel 2014 Steve Bisson ai ‘viaggi in Italia’ precedenti ha aggiunto un punto interrogativo. Ha invitato un gruppo di fotografi, artisti e amici a fermarsi per tracciare un pensiero a mano libera sulla fotografia e sul paesaggio senza utilizzare apparecchi fotografici. Facendosi inviare per posta gli appunti per un’installazione dal titolo ‘Viaggio in Italia?’ del 2014. Un invito ad aprire gli occhi sul paesaggio ‘presente’ senza mediazioni visive.
Nel 1954 usciva nelle sale cinematografiche ‘Viaggio in Italia’ di Roberto Rossellini. Nel film una coppia inglese, Alex e Katherine Joyce, durante un viaggio in auto in Italia è costretta a ritrovare il dialogo, ormai rovinato dalla reciproca indifferenza. L’abitacolo diventa il loro forzato confessionale, mentre il paesaggio italiano scorre non osservato attraverso i finestrini. Rimasti intrappolati, a causa di una festa religiosa in un paese campano, sono costretti a scendere dall'auto e strattonati dagli eventi aprono gli occhi sulla realtà, se pur umanamente diversa dalla loro cultura, che li circonda. Un miracolo della vista apre gli occhi chiusi dall'indifferenza.
Nel 1984 Luigi Ghirri invitava venti fotografi ad attraversare l’Italia «dove non c’è niente da vedere», come scriverà Gianni Celati, per osservare l’Italia che non veniva rappresentata dalle immagini del bel paesaggio da cartolina o dalle foto spendibili e sensazionalistiche dei paparazzi, come lì definì Federico Fellini. Ghirri intitolerà la mostra e il libro ‘Viaggio in Italia’ aprendo gli occhi verso un paesaggio dove i cultori dell’estetica e del bel paese non sarebbero mai andati.
Nel 2014 Steve Bisson ai ‘viaggi in Italia’ precedenti ha aggiunto un punto interrogativo. Ha invitato un gruppo di fotografi, artisti e amici a fermarsi per tracciare un pensiero a mano libera sulla fotografia e sul paesaggio senza utilizzare apparecchi fotografici. Facendosi inviare per posta gli appunti per un’installazione dal titolo ‘Viaggio in Italia?’ del 2014. Un invito ad aprire gli occhi sul paesaggio ‘presente’ senza mediazioni visive.
In questi giorni, fino al 10 novembre 2013, è possibile vedere un’anteprima dell’installazione presso la Galleria Browning di Asolo. Di seguito, ho estratto dall'anteprima qualche ‘pensiero a mano libera’:
La traccia del progetto curatoriale di Steve Bisson
Nel 1984, 30 anni dopo il celebre film di Roberto Rossellini con Ingrid Bergman e George Sanders ‘Viaggio in Italia’, il fotografo Luigi Ghirri, con lo stesso titolo, inaugura il progetto che segna la storia della fotografia e della ricerca sul paesaggio italiano. All'indagine partecipa un folto gruppo di fotografi da Gabriele Basilico a Olivo Barbieri, da Guido Guidi a Vincenzo Castella per citarne solo alcuni. Questi autori hanno segnato un momento di discontinuità fondamentale nel modo in cui il fotografo si rapporta al territorio, influenzando nei decenni successivi intere generazioni, non solo di fotografi.
A distanza di altri 30 anni, vale la pena interrogarci su dove questo viaggio ci ha portato, ma ancora di più su dove stiamo andando?
Quale è il futuro?
Friedrich Nietzsche oltre un secolo fa ci ha avvertito, prospettando il nichilismo, che Dio è morto, nel senso che Dio non fa più mondo, e quindi collassa l’ottimismo alla base della cultura occidentale perché il futuro non è più una promessa, è imprevedibile e forse addirittura una minaccia. E allora si vive in un eterno presente perché lo sguardo al futuro è angosciante e il rischio esistenziale è di rotolare verso un infinito nulla. Non c’è nulla in realtà di più attuale se penso all'Italia in cui vivo e ai più giovani di me. Se è vero che oggi viviamo una cultura nichilista che non ha più nulla a che vedere con il futuro, la cosa importante, come Heidegger ha suggerito, non è di metterla alla porta ma di guardarla bene in faccia. Nessuna rassegnazione ma volontà di prenderne atto. Ed è questa l’attitudine che ereditiamo da Ghirri e da altri fotografi consapevoli. La critica consiste nella problematizzazione dell’ovvio, che in termini di “paesaggio”, significa mettere in crisi, non accontentarsi di ciò che si vede.
Per questa ragione occorre prendere coscienza della situazione in cui viviamo, e della novità principale che l’uomo non è più il soggetto della storia ma è stato deposto dalla tecnica, forma più alta di razionalità, superiore anche all'economia che ancora soffre di una passione, quella del denaro. L’età della tecnica è stata anticipata intuitivamente da Hegel che ha scritto che quando un fenomeno aumenta quantitativamente provoca una variazione qualitativa del paesaggio. Con Marx possiamo dire che la tecnica da mezzo è divenuta fine. Oggi non si capisce più quello che è bello o sacro, bensì ciò che è utile. I processi decisionali, la democrazia, si è spostata dalla politica all'economia, e da questa alla tecnica.
Per tutto ciò non resta credo che interrogarci se siamo tutti incompetenti rispetto al futuro, e alla complessità di informazioni che la digestione tecnologica comporta. Il rischio in un tale scenario è davvero quello di decidere solo sulla base di fattori retorici? Come uomo e come curatore sento la necessità di una pausa interiore, ma anche di un confronto esteriore. Perciò ho studiato per il 2014 una installazione che porterà ancora lo stesso titolo ma con un punto di domanda ‘Viaggio in Italia?’, un po’ per allacciarsi al passato e un po’ per rivolgersi al futuro. Adottando nuovamente un metodo condiviso, ho invitato un gruppo stimato di fotografi, artisti e amici italiani a portare un proprio pensiero sulla fotografia e il paesaggio.
Cosciente che il modo di porre una domanda spesso determina la risposta, ho chiesto loro di mettere da parte la macchina fotografica e di tracciare questo pensiero a mano libera, stando fermi in qualche modo. Un gesto più antiquato rispetto al click di una macchina, ma forse meno iscritto in uno sguardo scientifico. Provocatoriamente ho chiesto poi a ciascuno di inviarmi una cartolina postale senza troppo pensare, estraendola da quell'immaginario confuso che è il paesaggio italiano.
6 novembre 2013
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