5 settembre 2011

0020 [A-B USO] Lebbeus Woods | San Sperato

di Lebbeus Woods 
WILD BUILDINGS | EDIFICI ABUSIVI*


(Foto sopra) Una veduta degli 'edifici abusivi', sulle colline che sovrastano la città meridionale di Reggio Calabria, Italia, nel 1999. Questa frazione illegale è stata battezzata San Sperato dai suoi nuovi coloni, ricordando così il nome del santo patrono del desiderio e della speranza. 

Lungo le coste che sovrastano il Mediterraneo, un tipo di costruzione ha proliferato negli ultimi trent'anni: vengono di solito definiti come "edifici abusivi". Che cosa ci sia di abusivo a proposito di questi edifici non è il progetto architettonico, assolutamente convenzionale, quanto piuttosto la mancanza di qualsiasi status giuridico e legale nei confronti dei comuni in cui sono abusivamente costruiti.

Edificati di solito in quartieri non pianificati, amorfi, essi sono come 'squatter', abusivi, al pari delle baraccopoli del resto del mondo, con alcune evidenti eccezioni che li rendono del tutto atipici.
La prima e più evidente differenza con le favelas è la tecnica di costruzione: nel nostro caso, il materiale è prevalentemente il cemento armato tamponato con murature in mattoni, una tipologia molto solida e duratura. La seconda differenza è che i proprietari di questi edifici non sono poveri, ma abbastanza ricchi da potersi permettere di commissionare tale tipologia. La maggioranza di questi committenti è formata da contadini o ex contadini, o comunque gente di campagna, relativamente arricchiti dall'alta redditività dei loro prodotti e raccolti, spesso irrobustita da generosi contributi pubblici. 

Le analogie con le baraccopoli, però, ci sono e sono ascrivibili ai motivi di fondo dell'inurbazione: quando nuove famiglie migrano verso la città, lo fanno per gli stessi esatti motivi degli abitanti delle baraccopoli di tutto il resto del mondo, cioè essenzialmente per migliorare le loro prospettive economiche. In questo caso, però, i nuovi cittadini non sono alla ricerca di una fabbrica, di una paga bassa o di lavori di servizio, poiché hanno nelle loro tasche abbastanza soldi per aprire imprese artigiane veramente redditizie, tramandabili ai familiari anche per svariate generazioni. 

Un altro punto di confronto è che si costruiscono abusivamente edifici civili, piccoli quartieri satellite, su terreni con destinazione teoricamente agricola. Una volta iniziati i lavori, gli ispettori urbanistici e i funzionari comunali o di altri enti li fanno interrompere, infliggendo loro sanzioni pecuniarie. Una volta pagate queste ammende, il cantiere riparte. 

Altra somiglianza con le baraccopoli è il fatto che queste comunità abusive non possiedono i servizi essenziali e le forniture dalla città, quali l'elettricità, l'acqua e i servizi igienico-sanitari. Per ottenerli, i proprietari-residenti devono trovare sistemi fai da te per produrli o, più comunemente, prelevarli in modo illegale dalle reti in transito nelle vicinanze. Seguono ancora una volta multe e sanzioni che sono pagate, ma il prelievo abusivo poi ricomincia. 

La famiglia è la parola chiave di queste comunità 'abusive'. Gli edifici sono costruiti un piano alla volta. Il capostipite della famiglia costruisce il primo piano della casa, soprelevando i pilastri di cemento, gettati fin dall'inizio con tondini maggiorati, tutto pronto insomma per edificare il solaio successivo. Questo sarà aggiunto dal figlio o figlia della famiglia, al momento in cui lui-lei si sposa e fonda la prossima generazione. La struttura della casa è quindi progettata e realizzata (nella maggior parte dei casi con metodi ad hoc) per essere sopraelevata ad uso delle generazioni future. 

Questo è il tipo caratteristico di città, o almeno d’insediamento, che cresce dall'interno, secondo regole informali e spontanee, ma con una buona e durevole tecnica. Per concludere, potremmo dire che questo tipo di architettura e urbanistica sono un esempio di crescita adattata ad uno stile di vita programmata per essere governata dall'incertezza.

(Foto sopra) Una casa famiglia unifamiliare in San Sperato, ospitante tre generazioni di una stessa famiglia. È interessante notare le lievi differenze stilistiche dell'espressione architettonica che ogni generazione ha apportato durante le varie sopraelevazioni.

5 settembre 2011 
Intersezioni --->A-B USO
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Note:
* Ringrazio Lebbeus Woods per la pubblicazione in italiano del suo post WILD BUILDINGS* e Davide Dal Muto per la traduzione.

28 commenti:

  1. Complimenti per l'articolo e il reportage.

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  2. Queste sono le villette che hanno rovinato e che continuano a rovinare il nostro bel territorio. Condivido pienamente con il tuo taglio.

    Un solo appunto al bell'articolo:

    "...Il capostipite della famiglia costruisce il primo piano della casa, soprelevando i pilastri di cemento, gettati fin dall'inizio con tondini maggiorati, tutto pronto insomma per edificare il solaio successivo..."

    tondini maggiorati? ma stiamo scherzando?

    A presto!

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  3. Massimiliano,
    ovvio sia l’articolo che le foto sono di Lebbeus Woods.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  4. Nov-Ego,
    ripeto ovvio sia l’articolo che le foto sono di Lebbeus Woods questa è una traduzione di un suo post.

    Lebbeus ha visitato San Sperato nel 1999. Ti consiglio di visitare attraverso google map San Sperato dodici anni dopo qui.

    Condivido la tua chiosa sui tondini di ferro maggiorati e aggiungo che questo paese non è abitato solo da ‘campagnoli’ ma da quel mix sociale che forma molti paesi del sud impiegati del terziario, muratori, picccoli imprenditori edili, piccoli artigiani ‘fai da te’ tipo meccanici, falegnami, idraulici.

    Tutti abitano queste ‘case senza tetto’ -come le ha definite Vincent Filosa - ma non case ‘amene’, abitano un paese ‘vivo’ forse 'per la maggioranza' anche bello.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

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  5. Conosco bene questi posti e la descrizione di Woods è la più lucida che abbia mai letto, pertinente con il modo d'essere non solo dell'architettura di questi paesi ma anche della gente che li vive, del loro modo di pensare e programmare il futuro. Troppe volte separiamo l'architettura dai suoi fruitori.

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    1. Lorena,
      mi trovi d’accordo. Troppe volte l’architettura si veste da salvatrice di qualcosa e troppe volte i fruitori dimenticano di essere abitanti.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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  6. francesca valensisie3 novembre 2013 alle ore 11:35

    CHI ha mantenuto negli anni questo SCHIFO è più responsabile di chi l'ha costruito ABUSIVAMENTE. Questa è la Calabria! con buona pace della promozione turistica su quattro borghi e due statue greche messe al palazzo della regione.

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    1. Francesca Valensisie,
      capisco la tua amara riflessione e apprezzo il tuo commento non anonimo.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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  7. Condivido quasi tutta l'analisi, eccetto la conclusione. Coloro che elevano tali scempi non sono affatto insicuri; essi costruiscono con e per la certezza che da lì non li smuoverà niente e nessuno all'infinito. Si tratta di una veria e propria occupazione territoriale, meglio dire una "marcazione del territorio", proprio come fanno gli animali che intendono apporre il proprio sigillo di esclusività sul luogo un cui si insediano. Ora, se invece di comminare inutili e, spesso, ridicole multe a costoro, si andasse subito con i caterpillar ad abbattere simili sfregi all'ambiente, alla bellezza e alla dignità degli altri che ci vivono, penso che la loro proliferazione diminuirebbe drasticamente. Il fatto è che in Italia, specie al sud Italia, prima di inimicarsi un possibile elettore (per non parlare di altre categorie di "persone") ci si pensa mille volte, ed è così che il nostro è diventato il territorio più sfregiato d'Italia se non d'Europa (insieme alla Campania), pur avendo alcuni tra i siti più belli ed importanti d'Italia, d'Europa e - sì, proprio così - del mondo.

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    1. Anonimo,
      Lebbeus Woods non parla di ‘insicurezza’ ma di ‘governo incerto’ ovvero senza regole. Le case sono concepite per evadere le leggi.
      Capisco il tuo sfogo che non apprezzo perché anonimo infine la ‘Calabria’ è senza dubbio affascinante però d’invito a uscire un po’ fuori prima di esagerare con gli aggettivi.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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    2. Salvatore (a proposito, mi chiamo Nelly Creazzo, non sono riuscita a registrarmi, troppo complicato per me!),
      in questo articolo, si parla di (cito) "stile di vita programmata per essere governata dall'incertezza"; e proprio perché tali costruzioni sono concepite per evadere le leggi che vedo la sicurezza (anzi, la sicumera) di chi lo fa, nella certezza dell'impunità.
      Inoltre, qualche viaggio per il mondo l'ho fatto e confermo che la Calabria ha ALCUNI TRA I SITI paesaggistico-ambientali e storico-archeologici più belli del mondo (non ho detto che sia la regione più bella o importante del mondo). Che ancora resistono (per quanto tempo?!) allo scempio e al degrado.
      Saluti,
      Nelly Creazzo

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    3. Nelly,
      certo Lebbeus dice la stessa cosa ‘case’ programmate con la sicurezza di evadere le leggi. Programmate non improvvisate, nella certezza arrogante che nessuno gli dirà niente.
      Serve cambiare l’identità che ha generato questo modo di abitare. Perché ‘la sicumera’ è parte fondante dell’identità (spesso declinata solo in positivo) di questo luogo.
      Ribadisco ci sono luoghi affascinati in Calabria, personalmente ne ho visitati parecchi.
      Però la Calabria non è l’unico mondo possibile, non credi?

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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    4. Infatti non ho affatto detto che la Calabria sia l'unico mondo possibile. Ho vissuto per molti, molti anni fuori dalla Calabria (in una delle città più belle al mondo e la più ricca di patrimonio artistico-architettonico), sono spesso fuori e qualche viaggio in giro per il mondo l'ho fatto (e spero di continuare a farne!). Non so se tu abbia fatto altrettanto.
      Comunque mi sembra che, nella sostanza, siamo più o meno d'accordo, non credo sia utile polemizzare sulle singole parole.
      Saluti,
      Nelly










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    5. Nelly,
      nessuna polemica.

      Buona Calabria,
      Salvatore D’Agostino

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  8. Ecco qua l'architettura spontanea, non mediata dagli architetti o professionisti della progettazione, che ancora qualche romantico alla La Cecla enfatizza ed evoca. Dico a monte che la mancanza di regole certe e comprensibili e spesso ampi vuoti di programmazione portano spesso abitanti esasperati a scegliere la via dell'abusivismo. Ma costruire e vivere nell'abusività è davvero un'esperienza tremenda: lasciando perdere la dotazione di fognature (tutto il centro di Catania ne è privo, e buona parte di altre città siciliane come Acireale non hanno un depuratore...), basta dare un'occhiata a questi infissi di legno messi alla meno peggio e ai pilastri lasciati alle intemperie per avere un tuffo al cuore.

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    1. Emanuele Papa,
      1) La Cecla non credo sia romantico né nostalgico ti consiglio di ascoltare quest’intervista radiofonica;
      2) A San Sperato esistono le regole ‘civiche’ ma si rispettano i ‘comportamenti sociali’ condivisi. In pratica delle norme parallele;
      3) San Sperato non è una ‘bindoville’ o un ‘slum’ o un quartiere storico ‘popolare’ di alcune città (non piccoli paesi) del sud ma un quartiere di ‘nuova espansione’ (tra virgolette) di Reggio Calabria che costruisce le proprie case (magari all’interno ben arredate) in questo modo.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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    2. C’è assonanza tra la rappresentazione del bisogno e il luogo della sua rappresentazione. Tra il testo e la scena. Tra lingua e linguaggio.
      Chiudo gli occhi, sento parlare, riconosco un idioma, una inflessione, un accento. Posso figurarmi [dalla lingua] il linguaggio della sua [della lingua] rappresentazione. Posso figurarmi la forma delle case, la forma della città.
      ...
      E’ una città che parla la lingua di chi la abita, di chi l’ha costruita. Una lingua non semplificata ma povera, che racconta non il degrado ma l’arroganza di chi non ha storie da raccontare.
      Lingua parlata e linguaggio architettonico sono perfettamente sovrapponibili [qualche volta].
      Se la percorri [questa specie di città] a occhi chiusi e fai attenzione ai rumori sgraziati delle voci, puoi ricostruire -tenendo gli occhi chiusi- le sagome delle case. E’ la lingua dell’analfabetismo di ritorno che restituisce forme ingoiate senza essere masticate e cacate così, solo sporche di merda. E’ la città del futuro. E’ la città di tutti contro tutti. Dell’uomo troppo distratto [troppo poco ancora uomo] per la rivoluzione.

      BS MONUMENTAL NEED Letteraventidue

      There is an assonance between the representation of need and the place of the representation. Between the script [of a play] and the stage. Between the spoken language and the architectural language.
      I close my eyes, I hear people talking, I hear a language, an inflection, an intonation. I can figure out the houses of the people speaking that language. I can envision the city built with those houses.
      It is a city that speaks the language of the people who live in it [the people who built it]. Not a simplified language but a poor language. A language that doesn’t tell a story of decay but a story with the arrogance of those who have no stories to tell.
      The spoken language and the architectural language are perfectly superimposed [sometimes].
      If you walk [eyes closed] through this city and pay attention to the ugly noise of the voices you can guess [eyes closed] the shape of the houses. It is the language of relapse into illiteracy that returns swallowed and unchewed forms that are simply shat out like that, stained with shit.
      It is the city of the future. It is the all-against-all-city. The men-too-absent-minded-for-the-revolution-city.

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    3. l' impressione è che non si voglia riconoscere una città fatta di molte città presi dalla sindrome di berna (svizzera) casette tutte igienicamente perfette e pulite con praticello verde vivo...

      autocostruzione senza autore nobile?

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    4. Beniamino,
      catturo una parte della tua riflessione, forse da te mediato dal libro del tuo conterraneo Antonio Pascale ‘La città distratta’: “Dell’uomo troppo distratto [troppo poco ancora uomo] per la rivoluzione.”
      L’identità, quella usa e getta dei seriosi teorici del tempo che fu, è un sostantivo senza senso.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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    5. Sandro,
      capisco ciò che dici però eviterei l’estetizzazione da parte degli architetti dell’autocostruzione.
      Per capirci, eviterei l’uso estetico dei materiali poveri o le finte autocostruzioni firmate da architetti ‘che vogliono salvare o redimere l’abitante povero’.
      L’immagine che hai linkato si riferisce al lavoro di Teddy Cruz al confine tra Messico e USA?

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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  9. alejandro aravena
    ... questo approccio non molto dissimile da un autocostruzione controllata, mi pare metta insieme cose diverse e apparentemente distanti come ad esempio il fornire il kit progettuale minimo , una sorta di imbastito , di hardware ( un pò come nelle case torri medievali pisane dove parti solide e immutabili costituivano il substrato strutturale di altri materiali di minor vita (legno , stoffe ecc...) e del tutto autonomi nella forma e nel "linguaggio" , costruire considerando il tempo un elemento della costruzione (aggiungo un piano quando ne avrò bisogno e sò che ne avrò bisogno) , analizzare le situazioni economiche ed in relazione a necessità proprie unite ad ambizioni di affermazione sociale ,comporre il proprio salotto o cucinotto, insomma qualcosa tra ikea e mio padre che costruiva splendide conigliere con il legname di recupero dei pallets... ESTETICA ... non rifiuto la critica e ne comprendo il senso di finto povero, ma credo che anche questi come le case in forato per ritto di miralless abbiano una loro estetica "morale"

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    1. Sandro Saccuti,
      bisogna distinguere tra un’evoluzione dei canoni ‘vernacolari tra virgolette’ e l’elaborazione analogica. Il ritto di Miralless già si distanzia dal ‘codice anche questa parola tra virgolette’ vernacolare.
      Nel progetto di ‘alejandro aravena’ che indicavi c’è un po’ di melensa retorica, esagerando, sembra dire: “vi faccio vedere io come si può architettura con i materiali che utilizzate malamente voi poveracci”, ripeto esagerando.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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    2. ... Viene da chiedersi perché uno con abbastanza soldi costruisce così ? È solo per dimostrare la potenza della soletta in cemento armato che realizza terrazzi per affacciarsi sul nulla o solo per guardare da sopra chi bussa alla sua porta. certo aravena ci da lezione forse con bontá ... credo anche che gli abitanti delle case di aravena non sono "ricchi" come questi e certo lo stesso aravena è capace di progettare per loro come per vitra ... Trovo una continuità tra il come si è sempre costruito (senza piani , senza architetti, senza programmi) e tutto questo solo che adesso esiste il cemento armato e due persone possono costruire da sole un edificio grande come tempo fa due persone costruivano faticosamente in pietra o tufo o scavando una piccola e invisibile casa che poi contornata da palme o olivi componeva il pittoresco musicato di frinire di cicale...

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    3. Sandro,
      l’architettura quella con l’A maiuscola usa un linguaggio globale però, in questo caso, è un errore leggere tutto partendo dal quel linguaggio. Questi luoghi hanno una storia e un’architettura diversa, un fattore che comporta un’analisi e un linguaggio diverso.
      Altrimenti scadiamo nel relativismo mainstream del ‘tutto il mondo è paese’ e viceversa che divora tutto con lo stesso linguaggio piatto e senza spessore.
      Lebbeus in questo scritto ci invita ad abbandonare ‘i quattro concetti basici del buon critico da salotto’ per osservare, senza pregiudizi critici, qualcosa di diverso. Lebbeus, in sostanza, non archivia San Sperato in concetti ‘didattici’ (vernacolare, storico, identità e via dicendo) e ci porta fuori dai santi pregiudizi dell’architetto di base.
      Osservare per bene un luogo ci porta a divagare più che a incasellare, non credi?

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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  10. dura di più questa, ed è pure più dignitosa, delle casette in legno intonacate e spacciate dai trentini come bio eco sostenibili... ritengo che abbia più storia la cosiddetta edilizia spontanea o vernacolare rispetto a quei manufatti comunemente chiamati: architetture

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    1. Gold Finger,
      più che storia direi hanno un altro senso dell’abitare. Spesso dignitoso come le casette di legno che citi.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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  11. ...non sapevo esistesse una "scrittura parallela" come quella che leggo qui... comunque mi trovo spesso a disagio quando devo giudicare i progetti dei miei colleghi (architetti) che presentano dei progetti totalmente privi di linguaggio, di utilità, di raziocinio, o che vogliono "farla fuori dal vaso" dimenticandosi ciò che forse non hanno mai imparato a scuola e nemmeno nella vita. Ti consumi a scuola nel ripetere e far esercitare i ragazzi in alcune prassi basilari e non appena devono guadagnarsi da mangiare ti presentano delle mostruosità. Difatti sono sempre molto combattuto quando vedo le architetture spontanee perché perlomeno rispondono a esigenze che in qualche modo trovano delle giustificazioni, spesso risolte secondo un linguaggio naif, ma sempre linguaggio.
    Quello che mi va stretto ,invece, è il linguaggio del mercato, delle casette di legno abete all'Aquila, o nella pianura padana, dove l'umidità le distruggerà in breve tempo. Insomma quando i miei colleghi credono, o fingono di credere, nella bontà della soluzione sostenibile allora non ci sto più, mi ritiro a vita privata. Le ideologie se ne sono andate ormai da tempo e le costruzioni in legno mi ricordano periodi storici assai bui (cfr. Architettura senza, Franco Angeli). Quindi forse il dibattito sarebbe da impostare su terreni rifondativi della disciplina, chiarendo fin da subito che il progetto non è altro che obbedienza a regole, non fare dell'eccezione una regola.
    Sarà forse l'eredità del sistema economico-politico-sociale pseudodemocratico che non può produrre poesia?
    Anche la nostra, della categoria, passione per un ordine (il minimale ne è l'esempio più devastante) che in natura non può esistere, dell'eredità troppo pesante del MM che ci ha confuso le idee che va combattuto?
    Gli argomenti sarebbero troppi e richiederebbero molto spazio. Per ora stiamo alla finestra in attesa di vedere cosa ne esce dal Delirius New York alla Biennale di architettura...

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    1. Ciò che non capisco è la tua certezza nel dire: “che il progetto non è altro che obbedienza a regole, non fare dell'eccezione una regola.”

      Messe in successione le parole ‘obbedienza’, ‘regola’ e ‘non eccezione’ mi fanno paura.

      Inoltre che cosa intendi ‘con l’eredità pesante del Movimento moderno’ quale? Chi? Dove? Perché?

      Su ‘Delirious New York’ ti ricordo che è un libro di osservazione, non sulle dinamiche del ‘piano’ totalmente disattese della città di New York’, ma sui movimenti urbani di chi costruiva la città ovvero gli abitanti di New York come fa in questo caso Lebbeus Woods che osserva ‘senza filtri critici/storici’ come costruiscono gli abitanti di San Sperato.

      Saluti,
      Salvatore D’Agostino

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