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31 maggio 2013

Pure drawing and architectural drawing | Maurizio Sacripanti | September 30, 1953

Calendar launches this week, publishing the final part of Maurizio Sacripanti’s short 1953 monograph, Pure Drawing and Architectural Drawing (Il disegno puro e il disegno dell’architettura). Proceeding through a careful historical analysis, the Roman architect considers the evolution of drawing as an architectural instrument and its relationship to architectural thought.
“Architectural drawing,” writes Sacripanti, “is a technical medium for describing a thought that is a priori ‘constructive’ and that in its execution phase will be defined concretely.”
It’s worth rereading these two analyses of modern architectural drawing (written, remember, in 1953):
Drawing as an architectural instrument in the modern sense has become a means of communication, changing its language according to the referent;
‘Architectural fantasy’ drawings constitute a part of an architect’s basic grammar, alongside survey/record drawings and working drawings.


17 maggio 2013

30 settembre 1953 | Maurizio Sacripanti | Il disegno puro e il disegno dell’architettura

di Salvatore D'Agostino


Calendario inizia pubblicando il finale del breve saggio Il disegno puro e il disegno dell’architettura, scritto da Maurizio Sacripanti nel 1953. In questo pamphlet, attraverso un’attenta analisi storica, l’architetto romano mise per la prima volta in relazione l’evolversi della «perizia disegnativa» con il pensiero dell’architettura.

«Il disegno nell'architettura – scrive Maurizio Sacripanti – è un mezzo tecnico attraverso il quale descrivere un pensiero che già a priori è “costruttivo” e che nella sua fase realizzativa si definirà concretamente.»

Da rileggere due analisi sul disegno moderno (ricordo scritto nel 1953):

  • la «perizia disegnativa» del moderno diventa strumento di comunicazione, cambia linguaggio secondo il referente;
  • i disegni di «fantasia architettonica» fanno parte della grammatica di base per un architetto come il disegno dal vero-rilievo e di progetto.








estratto dal libro di Maurizio Sacripanti, Il disegno puro e il disegno dell’architettura, Fratelli Palombi editore, Roma, 1953, pp. 90-92.

II disegno nell'architettura, valido quale mezzo di scrittura trasformò la concretezza originalmente utilitaria della casa, mero ricovero per riparare e contenere, attraverso l'esigenza poetica in espressione architettonica. Perché dunque apparisse nella storia il disegno nell'architettura, fu necessaria il manifestarsi di una iniziativa di trasformare il concetto di casa-riparo, dal piano di una realtà obiettiva quale, la funzione utilitaria ad un concetto soggettivo quale interpretazione poetica.

II soggetto «architettonico» non è sufficiente a far sì che lo stesso aggettivo definisca ogni rappresentazione grafica di quello. Occorse il costituirsi di una forma mentis, che si manifestò nella coscienza del soggetto trattato, poi nella comprensione di ciò che nel soggetto era necessaria rappresentare o mettere in evidenza, nella necessità d'invenzione di un metodo di rappresentazione ed infine nella tecnica di esecuzione per conferire al disegno il carattere architettonico e distinguerlo dal disegno pittorico a soggetto architettonico o dal disegno scenografico. Il disegno architettonico si apparenta con il disegno in genere, ma si distingue nettamente dai disegni tecnici o più propriamente industriali, perché il disegno nell'architettura parte sempre da una emotività, mentre il disegno industriale è sempre ed esclusivo prodotto di puro ragionamento.

Nel disegno architettonico, prescindendo dalle considerazioni artistiche, l'evoluzione della sua funzionalità espressiva si è proposta di mettere il soggetto nel più stretto rapporto con la costruzione usando opportuni metodi di rappresentazione e tecniche grafiche. La mentalità architettonica rivolgendosi contemporaneamente all'arte e alla tecnica, assunse nelle sue forme espressive affinità tanto con il linguaggio artistico che con quello tecnico. La evoluzione della conoscenza e dell'uso della tecnica nella storia dell’architettura ha definito necessaria l'elaborazione di grafici riflettenti sempre maggior precisione, chiarezza, esattezza geometrica e sensibilità costruttiva.

Nell'elaborazione di un progetto architettonico della età moderna l'architetto appare usando vari linguaggi, secondo che si rivolga, con un disegno di massima, a se stesso o al committente, o con disegni tecnici ad altri tecnici; e così il linguaggio grafico del disegno nell'architettura varierà secondo a chi è diretto; però l'unità dello spirito, risultante dell'intelligenza e cultura singola dell'architetto determinerà caratteri comuni.

Questi si possono classificare in disegni espressivi e disegni tecnici; a secondo che in essi l'architetto reagisca da artista o agisca da tecnico. Si capisce che i disegni di un architetto saranno sempre qualcosa di differente dal disegno di un puro pittore, perché questo guarda la realtà in modo emotivo, e reagendo sensibilmente dinanzi ad essa la rimuta in arte, mentre l’architetto muovendosi da un'idea sensibile ma soggettiva costruisce una realtà esterna e perciò, anche nei suoi disegni più espressivi, dovendo concretizzare attraverso varie materie un'idea, conserverà sempre qualcosa di tecnico corrispondente al proprio ordine mentale di costruttore.

Infatti sia l’architetto antico che l'architetto moderno usarono sempre espressioni tecniche e grafiche per precisare in progetto le parti esterne ed interne delle loro opere, secondo un concetto sempre totale che li porta di continuo all'introspezione tecnica e funzionale, non arrestandoli nel disegno dell'architettura considerazioni parziali o puramente emotive.

Così gli elaborati grafici di un progetto architettonico, inteso con tecnica e rappresentazione moderna, sono molteplici e si distinguono in studi dal vero e rilievo della zona, disegni di progetto, fantasie architettoniche.

17 maggio 2013

Intersezione ---> Calendario

3 dicembre 2009

0005 [SQUOLA] Zevi e Scarpa, disegnare, disegnare, disegnare

Durante uno scambio di commenti con Michele Sacco su Facebook a proposito della nota 0034 [SPECULAZIONE] L'architettura globale secondo Marc Augé, mi ha raccontato un aneddoto che pubblico fedelmente.
Chiarisco, ciò che mi ha colpito non è la retorica del ‘si stava meglio prima’ o dei ‘vecchi maestri’ ma l’idea che per essere dei buoni architetti occorre una sapiente conoscenza che si sviluppa nel tempo.
Questa conoscenza è mediata dal disegno attento e meticoloso.
L’architetto deve saper rappresentare su carta la propria idea utilizzando qualsiasi supporto a sua disposizione.
Possedere la tecnica del disegno (dallo schizzo a quello tecnico che derivi dal tecnigrafo o dal CAD non importa) significa conoscere la sintassi per immaginare un buon progetto.
Una sintassi che ancora oggi va stimolata attraverso l’analisi visiva (processo di ridisegno) delle architetture.


di Michele Sacco

L'inverno scorso a cena davanti ad una pizza di ritorno dal cantiere del rifugio ad Arabba, l'architetto Nerino Meneghello mi raccontò quest’aneddoto tratto dalla sua esperienza universitaria, mi commossi profondamente, anche perché avevo appena finito di preparare la visita con il gruppo OhA! (ndr qui il manifesto dell'associazione) ad alcune opere di Scarpa e Palladio!
Devi sapere che Nerino, essendo figlio di un sottoufficiale dei carabinieri, ha trascorso la sua infanzia e adolescenza in Sicilia tra Petralia Soprana, Isnello, Cefalù e Palermo, tornando in Veneto solo per frequentare il liceo classico a Conegliano nel 1949 e nel 1954 s’iscrisse all'università di Architettura di Venezia.
Il primo anno ebbe come professore di storia dell'architettura Bruno Zevi. L'università in quegli anni era molto concreta e pratica (chi si laureava allora si sapeva calcolare le strutture, risolvere qualsiasi problema tecnico, durante l'anno c'erano molte prove ex tempore che allenavano a risolvere i problemi in tempi brevi) e nel corso di storia Zevi faceva rilevare e restituire graficamente un'opera di architettura concordata con gli studenti.
Nerino e il suo amico di Udine, Vittorio Zanfagnini, scelsero un'opera di Vasari, ma venendo entrambi dal liceo classico non conoscevano nulla di disegno tecnico e geometrico.
Durante la prima revisione gli studenti appesero i loro disegni e Zevi passando davanti alle tavole di Nerino e Vittorio, si soffermò per pochi secondi, informatosi da che scuola superiore provenissero e gli consigliò vivamente di cambiare facoltà... Nerino non si arrese e seguì per l'aula Zevi per avere spiegazioni, mentre Vittorio si sedette sotto le tavole inchiodate al muro, sconsolato e avvilito, tenendo i gomiti sulle ginocchia.
In quel momento entrò nell'aula Carlo Scarpa, aveva un piede ingessato e camminava aiutandosi con un bastone, vide le tavole di Nerino e Vittorio ed esclamò qualcosa tipo «di chi sono questi obbrobri?», nel sussulto sollevò il bastone per indicare il disegno, ma involontariamente lo stracciò... a quel punto Scarpa probabilmente dispiaciuto di aver distrutto il disegno dei ragazzi, si sedette con loro e li invitò per la mattina successiva nella sua casa studio di Venezia per dare a loro lezioni personali di disegno.

La mattina dopo alle 12 i due giovani si presentano a casa di Scarpa, apre loro la porta Tobia che così risponde ai due ragazzi: «me pare ancuo no g'ha voia de fare un casso, xe ancora ntel let a gratarse i coionj» (perché Scarpa era un tipo artistico, diciamo!).
Nel pomeriggio invece Scarpa li accolse e consigliò loro, per il corso di Zevi, di lasciar perdere l'edificio di Vasari (troppo complicato e lontano) e di rilevare invece Villa Lippomano di Longhena a Conegliano.
Così iniziano a seguire i suoi insegnamenti e lo incontrano regolarmente nella sua casa studio.
Nerino si ricorda ancora della bravura di Scarpa, che durante uno di questi incontri corresse loro il disegno delle volute di una colonna della villa, tornando in sito verificavano che Scarpa aveva ridisegnato il capitello perfettamente senza vederlo!!!

All'esame di storia con Zevi poi presero 30 e Lode e qualche giorno dopo, mentre passeggiavano per le calle di Venezia, spuntò Scarpa da un ponte e da lontano li riconobbe e sorridendo urlò «NON VE LO MERITATE!!!!!»

3 dicembre 2009

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N.B.: SQUOLA è un errore voluto ed è semplicemente il nome della rubrica