Ai Weiwei quando inizia a scrivere il suo blog, offerto dalla società di pubblicità online per la Cina e le comunità globali cinesi SINA* nel gennaio del 2006, non sapeva niente della cultura blogger, gli è bastato poco tempo però per capire che non serviva interrogarsi sul buon uso del mezzo o sulla sua struttura, ma bastava rilanciare nei post tutta la sua energia e farsi trascinare dalla dinamica della nuova modalità di comunicazione. Grazie ai commenti e al passaparola dei link condivisi, il suo dialogo in rete è diventato un punto di riferimento per artisti, architetti, urbanisti, attivisti e soprattutto i cittadini cinesi.
Superato il primo periodo con post tra l’autoreferenziale e il mondo dell’arte, Ai Weiwei iniziò a raccontare ciò che molta stampa di regime non riferiva. Una narrazione compulsiva e quotidiana di ciò che vedeva con i propri occhi fatta sia d’immagini, attraverso la pubblicazione di centinaia di migliaia di foto, sia di parole. Il blog, da subito monitorato dal potente sistema di firewall cinese, fu indicato come politicamente scomodo ma Ai Weiwei, anche se ammonito dalla polizia, investì il novanta per cento delle sue energie, come dichiarato in un’intervista, su quelle pagine web diventando una voce di dissenso contro il potere cinese affiancandosi ai tanti blog simili esistenti in Cina.1 Il ventotto maggio 2009 dopo la pubblicazione della lista di 5.826 nomi di bambini morti nel terremoto del Sichuan del dodici maggio 2009 a causa delle scuole, come li definisce ‘fatte di tofu’ cioè costruite con materiali scadenti, il suo blog fu oscurato e incarcerato per ottantuno giorni. Il terremoto fu una tragedia immensa che i media cinesi nascosero per non disturbare l’imminente festa dell’inaugurazione dei giochi olimpici dell’otto agosto 2009.2
Una delle dinamiche più interessanti del suo quotidiano blogging è il personale lento cambiamento della pratica del disegno che da gesto manuale su carta è passato al blog come disegno, per capire meglio questo processo ho pensato di estrapolare dal libro di Hans Ulrich Obrist ‘Ai Weiwei Speaks’ edito in Italia dal Saggiatore3 le sue esperienze da blogger, eccole:
[Intervista del 12 settembre 2006]
Hans Ulrich Obrist Questa è una macchina fotografica digitale.Ai Weiwei Sì.
È quella che usi per il tuo blog?
Sì, il blog è davvero un nuovo territorio inesplorato. È meraviglioso. Puoi parlare direttamente a persone che non conosci. Tu non conosci la loro storia e loro non conoscono la tua. È un po’ come scendere in strada e incontrare una donna ferma all'angolo. Le parli, ti rivolgi a lei direttamente. E poi magari si comincia a litigare, o a fare l’amore.
Qualcosa di nuovo per te, dunque. Quando hai iniziato?
È stata una grande società internet a obbligarmi ad aprirlo.4 Mi hanno detto: «Ah, sei famoso, ti diamo un blog». Non avevo un computer e non avevo mai fatto nulla del genere. «Non ti preoccupare, puoi imparare. Mandiamo qualcuno a insegnarti», mi hanno detto. All'inizio pubblicavo i miei vecchi scritti e i miei lavori, poi ho cominciato a scrivere direttamente sul blog. Ne sono rimasto completamente affascinato. Ieri ho pubblicato dodici post, credo, dopo essere rientrato.
Ieri sera?
Sì, dodici post. Si possono pubblicare cento fotografie in un solo post. Spesso mi dicono: «Quante foto di un solo giorno!». Le foto possono essere qualsiasi cosa, di qualsiasi cosa. Credo che di fatto siano informazione, un libero scambio, una soluzione esente da preoccupazioni e responsabilità che riflette molto bene la mia condizione.
Sì, dodici post. Si possono pubblicare cento fotografie in un solo post. Spesso mi dicono: «Quante foto di un solo giorno!». Le foto possono essere qualsiasi cosa, di qualsiasi cosa. Credo che di fatto siano informazione, un libero scambio, una soluzione esente da preoccupazioni e responsabilità che riflette molto bene la mia condizione.
Quante persone visitano il tuo blog?
Adesso un milione e qualche centinaio più o meno. In un giorno ci sono centomila visitatori.
Più che a qualsiasi mostra.
Sì, non è mai successo prima. Posso inaugurare una mostra in ogni momento, se voglio. E questo per me è molto importante. Quando creo opere d’arte, faccio un progetto, poi la gente visita il sito per circa mezz’ora. Se sono fortunato realizzerò una bellissima installazione per qualcuno che non conosco in un luogo che non conosco, magari in Olanda, ad Amsterdam. Con il blog invece, nel momento in cui tocco la tastiera, chiunque, che si tratti di una ragazza, di un anziano signore o di un contadino, può leggere il mio post e dire: «Guarda qui, è davvero diverso, questo tipo è pazzesco».
È istantaneo?
Sì.
Quindi con questa macchina scatti fotografie tutti i giorni, ovunque ti trovi.
Sì, in qualsiasi situazione. Immagino che la mia fascinazione derivi dal fatto che sono cresciuto in un ambiente dove non esisteva alcuna possibilità di una qualsiasi forma di libertà di espressione. Addirittura, nei momenti peggiori, si poteva arrivare a denunciare il proprio padre o la propria madre se avessero detto qualcosa di sbagliato. Era una situazione molto, molto estrema. Perfino ora, la gente continua a dirmi che dovrei proteggermi, che non dovrei dire così tanto nel mio blog. Ma io credo che ognuno debba fare le cose a modo proprio. Finora, tutto è andato bene. Nel blog parlo spesso delle condizioni di vita della popolazione e di problemi sociali. Credo di essere l’unico a farlo.
Possiamo vedere il tuo blog?
Posso farti vedere qualche post. Nei blog la vita è reale perché si tratta della vita di ognuno di noi. La vita consiste nell'utilizzare il tempo. Niente di più. Si tratta di scegliere come usarlo. Mentre uso un po’ del mio tempo, ci sono queste altre centomila persone che leggono il mio blog. Ognuno di loro utilizza una piccola quantità del proprio tempo, come faccio io. Molti mi hanno detto: «Ehi, non puoi chiudere il blog. Però stai attento, se ti arrestano noi come facciamo?». È tutto molto sentimentale: «Abbiamo bisogno di te, il tuo blog è diventato parte della nostra vita». Molto divertente.
Quindi alla gente interessa davvero.
La gente aspetta. Se non aggiorno il blog le persone aspettano tutta la notte per essere i primi a vedere i nuovi post. Utilizzano una parola particolare per indicare il primo commento: shafa.5 Il fatto di esserci significa essere un vero fan, e dimostrare di essere realmente interessati a ciò che dico. Quindi, per quanto tardi possa essere quando rientro la sera, pubblico sempre qualche parola.
Lo fai tutti i giorni?
Non so quando smetterò. Forse saranno le autorità a farmi smettere. Una volta sono venuti degli agenti e mi hanno detto: «Ehi, vogliamo denunciare il tuo blog. È materiale che scotta. Perché non togli qualche pagina?».
Lo hai fatto?
Hanno cercato di farmi arrivare a un compromesso, ma in modo molto educato. Ho replicato: «Non vedete che è un gioco? Io faccio la mia parte, voi la vostra. Potete bloccarmi se volete, per voi è molto facile. Ma io non posso autocensurarmi, mi è stato dato un blog proprio perché si voleva che mi esprimessi liberamente». Allora ci hanno pensato un po’, poi mi hanno richiamato dicendomi: «Vista la situazione politica, abbiamo il massimo rispetto per ciò che stai facendo». Credo che la Cina stia attraversando un momento molto interessante. L’autorità centrale, la sua valenza universale, è scomparsa all'improvviso sotto la spinta di internet, della politica e dell’economia globale. Il web e le sue logiche sono diventati per l’umanità alcuni tra i principali strumenti di liberazione da vecchi valori e sistemi, una cosa che fino a oggi non è mai stata possibile. Sono assolutamente convinto che la tecnologia abbia creato un nuovo mondo, poiché i nostri cervelli sono programmati, fin dall'inizio, per digerire e assorbire informazioni. È così che funzioniamo, anche se, di fatto, tutto sta cambiando senza nemmeno che ce ne accorgiamo. La teoria arriva sempre dopo. Comunque questi sono tempi straordinari.
Proprio questi?
Penso che questo sia il momento, proprio ora. È l’inizio. Di che cosa sia il momento ancora non lo sappiamo, forse succederà qualcosa di ancora più incredibile. Però, davvero, vediamo il sole sorgere all'orizzonte. È stato coperto dalle nuvole per quasi cent’anni. Abbiamo vissuto in condizioni estremamente tristi, eppure riusciamo ancora a sentire calore e i nostri corpi riescono ancora a percepire, nel profondo, un entusiasmo, anche se sappiamo che la morte ci aspetta. Dovremmo non tanto goderci il momento, quanto creare il momento.
Produrre il momento?
Sì, esattamente. Perché siamo di fatto parte di una realtà e se non ce ne rendiamo conto siamo degli irresponsabili. Noi siamo una realtà produttiva. Siamo la realtà, una parte di realtà che spinge a produrre altra realtà.
Forse il blog non rappresenta tanto la realtà, ma piuttosto la produce.
È vero. È come un mostro, cresce. Sono convinto che, una volta guardato il mio blog, la gente cominci a vedere il mondo in modo diverso senza nemmeno rendersene conto. È per questo che i comunisti, fin dall’inizio, hanno censurato praticamente tutto. Sono loro l’unica fonte di propaganda, o per lo meno sono riusciti a esserlo molto efficacemente durante gli ultimi cinquant’anni. Ma con l’apertura della Cina e lo sviluppo mondiale dell’economia non riusciranno a sopravvivere. Per sopravvivere devono, in qualche misura, concedere un certo grado di libertà, che, tuttavia, una volta concesso, sfugge al loro controllo.
[...]
Tieni un archivio?
Sì. Ti faccio vedere qualcosa. [...] Questo è un articolo sul trentesimo anniversario della morte del presidente Mao. Probabilmente scriverò qualcosa per far sapere che razza di criminale fosse. Sono fatti storici. Una nazione che non indaga in modo critico il proprio passato è una nazione senza vergogna. Dobbiamo fare qualcosa. [Apre un’altra immagine.] Questa è molto interessante, è la casa di mia madre in centro a Pechino. Ora Pechino è stata completamente rifatta. La facciata della casa di mia madre era di veri mattoni; un giorno siamo tornati a casa e abbiamo trovato tutto ridipinto. Allora ho scritto un post sul blog.
Per protestare contro questo fatto?
Sì, perché è davvero troppo. Questo è un articolo molto interessante. [Apre sul computer un articolo del suo blog.] In una sola notte, tutta Pechino è stata ridipinta. Ho scritto un lungo pezzo. Lo slogan della propaganda per le Olimpiadi dice: «Un solo mondo, un solo sogno». Nell'articolo scrivo di come abbiamo perduto le nostre radici, il nostro mondo, il nostro sogno. Proprio oggi mi hanno chiamato da una rivista dicendomi che vogliono pubblicare l’articolo perché gli è piaciuto molto. Mi hanno detto: «Possiamo togliere la parte politica?». Altrimenti sarebbe impossibile pubblicarlo. Ho risposto: «Ok, fate come volete, non mi interessa». [Mostra una foto.] Questo muro è stato costruito in mattoni. Vedi cos'hanno fatto? Ci hanno messo il cemento. È incredibile! È una proprietà privata e nemmeno si preoccupano di comunicare in anticipo i cambiamenti. Nell'arco di una sola giornata Pechino ha cambiato faccia. Hanno dipinto tutto.
Una rapidità impressionante.
Già. È pazzesco. Questa foto è incredibile. È la mia casa. Ora è diventata così. Era di veri mattoni. Hanno sostituito i mattoni originali con del cemento e poi l’hanno ridipinta. E non si tratta solo della mia casa, succederà a tutta la città. La stupidità regna sovrana e nessuno scrive niente a proposito.
Quindi scrivi ciò che gli altri non scrivono?
Ma sì. Mi chiedo, cosa c’è che non va in questo mondo? Tutti a osannare cose assurde. Ho scritto un post in cui parlavo di questo, e ho scattato foto per documentare come sia avvenuto il tutto. Quando sono andato a casa ho chiesto a mia madre: «Ma perché li hai lasciati fare?». E lei: «È successo a tutti. Cosa possiamo fare? Hanno detto che è meglio così». È come mettere un dente d’oro a un topo. Perché hanno voluto fare una cosa simile? Tutti questi muri finti, è pazzesco. La città vecchia è scomparsa in una notte. Tutte le porte sono così, tutte dipinte in questo modo, e anche le finestre. È una pazzia, è casa mia. Visto che ci hanno modificato le porte, noi le togliamo.
Le togliete?
Ho tolto un pezzo, ma un pezzo l’ho lasciato. Quindi adesso è così.
Manca qualcosa.
È diventata un’opera, la protesta. Se rimuovi del tutto la porta non rimane più nessuna traccia, nessuna memoria. È molto vicina al mio lavoro, questa sostituzione.
Un’opera d’arte?
Un’opera che tutti possono vedere e toccare. È molto divertente.
Sarebbe fantastico poterla esporre, organizzare una mostra.
Durante il periodo della mostra, la gente, da Pechino potrebbe andare a vederla e sorvegliarla quotidianamente. Il titolo potrebbe essere il nome del mio blog. Magari possiamo lavorarci insieme. Forse bisognerà tradurre qualcosa in inglese. Potremmo inserire qualche articolo in inglese sulla città, la cultura, la vita, la politica, l’ambiente, cose personali.
[Intervista del 31 dicembre 2008]
Quando ho lasciato la Svizzera tanti anni fa, alla fine dell’adolescenza, i miei genitori hanno preso l’abitudine di ritagliare alcuni articoli dal giornale del loro piccolo paesino svizzero, per darmeli alla fine dell’anno. Era sempre una pratica interessante, perché ci permetteva di constatare quali fossero le notizie che, dal mondo globale dell’arte, arrivavano fino lì. Quand’ero piccolo, e poi negli anni ottanta, si parlava molto di Joseph Beuys, della sua «scultura sociale» e di altri ambiziosi progetti, come l’Ultima cena di Andy Warhol. Negli ultimi due anni, però, le sole notizie che arrivavano erano i valori battuti nelle aste. L’unica eccezione è Ai Weiwei, non solo per il progetto presentato all’ultima edizione di Documenta, di cui si è parlato ben al di là dei confini del mondo dell’arte, ma soprattutto per il suo blog. Prima di cominciare la maratona, un signore del pubblico ti si è avvicinato e ti ha detto che era molto sorpreso che il blog non fosse ancora stato chiuso. Ho sempre visto il tuo blog come una «scultura sociale» del ventunesimo secolo; ti vorrei quindi chiedere come hai cominciato, come lo gestisci quotidianamente e come ti pare stia funzionando nel momento attuale.
Il mio blog non è molto diverso da quello di chiunque altro. Ciò che lo contraddistingue è forse la mia attenzione costante ad alcuni temi specifici, a cui io sono particolarmente interessato. Sono temi legati in prevalenza alla questione della libertà di espressione per gli artisti, e alle modalità di espressione dei diritti personali. In una società come quella cinese, qualunque discorso che tocchi i diritti e la libertà di espressione diventa politico, è inevitabile. Quindi, ovviamente, io stesso sono diventato una figura politica. Non ci vedo niente di male, ci è dato di vivere in un momento simile e dobbiamo affrontare i nostri problemi a viso aperto. La ragione precisa per cui il mio blog è sopravvissuto fino a oggi è qualcosa che non sono in grado di sapere. Credo che il pericolo provenga sempre da fonti a noi sconosciute, nel tempo e nello spazio. Dunque non posso fare nessuna ipotesi.
Ci puoi fare qualche esempio di post recenti sul tuo blog? Mi ricordo che quando sono venuto in Cina l’ultima volta avevi protestato contro il fatto che il governo avesse ridipinto la porta della casa di tua madre, eri andato là e avevi rimesso su la vecchia porta. Sono curioso di sapere cosa stia succedendo ora.
Possiamo prendere in considerazione un paio di esempi, brevemente. Quest’anno è stato, senza dubbio, il più ricco di avvenimenti per la Cina. All'inizio dell’anno abbiamo avuto le tempeste di neve, le manifestazioni di Wengan, poi la protesta dei tibetani, il terremoto del Sichuan e infine le Olimpiadi. C’è poi un’altra vicenda che, ovviamente, ho seguito con particolare interesse, quella di Yang Jia.6 Grazie all'attenzione dei blog, questo caso è diventato pubblico, facendo sì che molte persone si interessassero alla revisione critica del sistema giudiziario cinese e sollevassero dubbi sulla legittimità delle procedure. L’esito è stato infelice purtroppo, ma le attuali procedure non potevano che portare a questo risultato. Le ceneri di Yang Jia non sono state ancora rese a sua madre, ed è passato un mese dall'esecuzione. La polizia ha fatto sparire la madre in un istituto per malati di mente, sostenendo che soffriva di disturbi psichici e assegnandole un nome falso, Liu Yalin. Tutto questo è successo a Pechino, durante e dopo le Olimpiadi. È incredibile che un fatto del genere sia avvenuto in Cina. Abbiamo sempre pensato che il Partito comunista cinese fosse corretto, che in Cina non potessero accadere cose simili, ci sembrava semplicemente impossibile. Ma ormai ne ho sentite molte di storie come questa, di gente che fa appello ad autorità superiori o di dissidenti che vengono internati in manicomi. Non avrei mai osato immaginarlo.
Più recentemente, ti sei rivolto a un altro pubblico, quello che ha subito i danni dello scandalo del latte contaminato, nel 2008; mi piacerebbe molto che ci parlassi dell’oggetto che hai portato qui per il Minimarathon Shop. Mi pare che abbia un significato particolare.
I responsabili dello spazio mi hanno detto che dovevo portare qualcosa. Allora ho comprato su internet una confezione di latte in polvere Sanlu. L’ho presa su Taobao, un sito di vendita on-line, e sembra che sia un prodotto destinato agli adulti. Il proprietario lasciava intendere di averne solo dieci sacchetti, e che non poteva venderne più di quattro. Così il prezzo è schizzato: un tipo scaltro, questo venditore, sa fare affari; è molto interessante. [Il pubblico ride.] E poi stamattina sulla prima pagina del Beijing News c’era scritto che i due presunti colpevoli sono stati processati nella città di Shijiazhuang. Uno di loro è un autista. Perfino in un caso come questo, che ha colpito più di duecentomila bambini e che ha seriamente minato la credibilità dell’intera società, al governo non è stata attribuita alcuna responsabilità. La colpa ricade su un autista. C’è da morire dal ridere.
Tornando al tuo blog, nel nostro ultimo incontro, quando ti ho chiesto se fossi ottimista, mi hai risposto che l’esistenza di internet ti rendeva estremamente ottimista, che internet era la cosa migliore che potesse capitare perché, in qualche modo, creava una rottura con il vecchio sistema di valori e, al tempo stesso, ne introduceva uno nuovo. Finora il mondo dell’arte non si è servito di internet tanto quanto il mondo della musica, nel quale internet è parte integrante del processo di promozione dei dischi o della produzione di suoni in generale. Si potrebbe addirittura dire che il mondo dell’arte ha tenuto un atteggiamento più difensivo nei confronti del web. Mi chiedevo se potessi parlarci un po’, al di là del blog, di come vedi il futuro dell’arte e di internet, e dirci cosa pensi dell’ipotesi delle gallerie on-line: ti sembra una via percorribile?
Sì, scusa, finora ho parlato solo di politica. Io stesso mi trovo decisamente cinico. Ma visto che mi avevi posto quelle domande, dovevo rispondere. Ora veniamo alla domanda sul futuro dell’arte. Penso che l’arte non avrà nessun tipo di futuro se non riuscirà a adattarsi alla tecnologia e alla vita di oggi. Tutti quei quadri e quelle sculture del passato non sono che vecchissimi ricordi, che possono interessare a chi è legato al passato. Ma credo che, in questa nuova era, siano avvenuti enormi cambiamenti nell'arte, proprio grazie alle possibilità introdotte dalle tecnologie e dai nuovi mezzi di comunicazione digitali. Cambiamenti che continueranno su una scala ancora più vasta e, in futuro, in modo ancora più aggressivo. Sono convinto che, dato che questi nuovi metodi di comunicazione e produzione porteranno maggior piacere, tutte quelle scuole pallose come l’Accademia centrale di belle arti di Pechino o l’Accademia cinese d’arte di Hangzhou non avranno più motivo di esistere. I loro pessimi insegnanti intingono i pennelli in colori osceni, che utilizzano per dipingere quadri terrificanti, i quali poi ottengono quotazioni altissime nelle case d’asta. Mi sembra molto umiliante, un parametro di inciviltà degno di un’epoca tutt'altro che illuminata. Ma credo che questi tempi stiano per finire.
[Intervista del Maggio 2009]
Possiamo parlare dei tuoi disegni, del loro rapporto con le tue installazioni e le tue opere architettoniche? Ho pensato che potesse essere interessante pubblicarne una serie in questo catalogo, per darne un’idea.
L’idea di partenza è sempre seguita da un disegno, che però spesso non conservo; la maggior parte di questi disegni la butto via. Ne ho ancora alcuni, di progetti architettonici o installazioni, e anche qualche modello. Abbiamo tutti i disegni delle grandi installazioni, ma a volte utilizzo i modelli al posto dei disegni. Alcuni disegni sono stati realizzati addirittura dopo il progetto. Ovvio, qualche schizzo l’abbiamo fatto prima, ma alcuni anche dopo. Per ogni installazione facciamo moltissimi disegni al computer. Una persona sola ci impiegherebbe più di un anno a fare tutti i disegni, perché il procedimento è molto complicato. Trovo molto interessanti i disegni al computer, perché sono precisi e dettagliati. Ho fatto un libro di frammenti di tutti i miei disegni.
Quindi esiste un libro dei tuoi disegni?
Solo di un progetto: Fragments (Frammenti, 2005).7 Contiene più di cento disegni. L’installazione è composta da centosettantaquattro elementi, di ogni elemento vi sono disegni della vista frontale e delle sezioni. Chiunque, utilizzando questi disegni, potrebbe riprodurre l’oggetto alla perfezione.
Cioè, potrebbe essere usato come un manuale?
Sì, esattamente.
Ci sono due tipi di disegni, a mano e al computer. Tu continui a disegnare a mano?
Sì, perché nel disegno a mano c’è più sentimento, è una specie di classico. Non si può eliminare. Tantissimi artisti apprezzano questa qualità. Ogni volta che si crea un progetto, occorre fare diversi disegni per discuterne con l’équipe. Anche per illustrare un progetto ancora in fase di definizione sono necessari i disegni. Sono riuscito a trovarne alcuni da pubblicare. Mi pare una buona idea, perché in genere è sempre il prodotto finale che interessa di più alla gente.
Più che il procedimento sottostante?
Sì, soprattutto più dell’origine dell’idea.
Dunque il disegno è una delle attività a cui ti dedichi quotidianamente?
No, faccio il blog. Il blog8 per me è come il disegno. Leggo le email, scrivo, fotografo. Una volta disegnavo molto. Per parecchi mesi ho disegnato alla stazione dei treni. Ne ho un’infinità di quei disegni.
Di quelli fatti alla stazione?
Sì, alla stazione di Pechino, alla fine degli anni settanta, anche prima di cominciare l’università: era un modo per esercitarmi. Ho disegnato perfino allo zoo.
Li hai ancora quei tuoi primi disegni?
Sì, forse alcuni. Mia madre ne ha buttati via un po’ – ne ha riempito parecchi sacchi della spazzatura – ma forse riesco a ritrovare alcuni dei primi disegni.
È affascinante quello che hai detto del blog, l’idea che possa essere paragonato all'atto di disegnare.
Il blog è il disegno di oggi. Qualsiasi cosa io dica o scriva sul blog può essere considerata parte del mio lavoro. Fornisce la maggior quantità possibile di informazioni: mostra interamente il mio ambiente.
Non ti vedo mai senza la tua macchina fotografica, la usi di continuo per scattare le foto che quotidianamente pubblichi sul blog. [..]
Nei primi post ho dichiarato che l’obiettivo del blog era l’esperienza stessa, senza bisogno di uno scopo particolare. Ora che abbiamo questa tecnologia la si può usare direttamente, anche, fino a un certo punto, senza pensarci troppo, senza doverne necessariamente estrarre un significato. È qualcosa che solo oggi è possibile. Se fosse avvenuto prima, non avremmo visto i disegni di Leonardo da Vinci o di Degas. Avrebbero avuto tutti la macchina fotografica. Credo che il mio blog sia il più ricco di immagini in assoluto; a livello internazionale, nessun altro pubblica così tante foto ogni giorno.
Quante ne scatti?
Da cento a cinquecento al giorno.
Incredibile!
Abbiamo scattato centinaia di migliaia di foto per il blog.
Ti ricordi il tuo primo post?
Sì, era solo una frase, qualcosa del tipo: «Abbiamo bisogno di uno scopo per esprimerci, ma la nostra espressione ha già in sé il suo scopo». Un po’ come l’idea che, per imparare a stare a galla, ci si debba buttare in acqua.
Quindi era solo questa frase, senza immagini?
Il primo post non conteneva nessuna immagine. All'inizio si esita, si vaglia attentamente, si pensa.
Quella prima frase è davvero importante, una sorta di motto. Era scritta con caratteri grandi?
Sì, si fa fatica a capire come e perché si debba comunicare così con gli altri computer. Ci si domanda quale sia il modo migliore per rendere pubblica, attraverso le tecnologie cibernetiche, questa realtà virtuale. È strano, all'inizio. È come quando si getta qualcosa in un fiume: pur sparendo immediatamente alla vista, continua a esistere nell'acqua, e il volume stesso del fiume subisce delle modifiche a seconda di quanti oggetti vi vengano lanciati dentro. Mi pare che il primo giorno del mio blog sia stato il 19 novembre, ormai quasi tre anni fa. Ho già pubblicato più di duecento articoli, interviste e scritti, recensioni e commenti sull'arte, la cultura, la politica, ritagli di giornale e così via. È stato in assoluto il regalo più interessante che abbia mai ricevuto; per me, ma forse addirittura per la Cina, perché viviamo in una società che non solo non incoraggia l’espressione delle proprie idee, ma spesso la punisce, come è successo a due generazioni di scrittori. La gente ha paura a mettere qualsiasi cosa per iscritto; qualsiasi parola scritta può venire utilizzata come prova di colpevolezza. Ecco perché gli intellettuali cinesi sono così cauti ora.
29 ottobre 2012
1 In Cina ci sono cinquanta milioni di blog attivi. Un mondo sempre più variegato e complesso.
2 Ieri sulla pagina personale Youtube ha pubblicato il video di quell'inchiesta (è possibile leggere Ai Weiwei anche su Google+ e Twitter):
3 Che ringrazio per avermi concesso l’autorizzazione a pubblicare gli estratti. Traduzione di Alessandra Salvini.
4 Il portale web cinese sina.com invitò Ai Weiwei e alcune altre figure di spicco della scena culturale, tra le quali l’editore Hung Huang e il costruttore Pan Shiyi, a creare i propri blog alla fine del 2005.
5 Shafa significa «divano» in cinese. Sui blog molto famosi, come quello di Ai Weiwei, molti lettori fanno a gara per commentare per primi i nuovi post; shafa è l’esclamazione più usata, come se, in una stanza, il commentatore fosse il primo ad arrivare a sedersi sul divano.
6 Yang Jia, di Pechino, fu giustiziato nel 2008 per aver ucciso sei agenti della polizia di Shanghai; in Cina il suo processo ha scatenato un grande dibattito a livello nazionale.
7 Ai Weiwei, Fragments Beijing 2006, a cura di Ai Weiwei e Chen Weiqing, Timezone 8, Hong Kong 2007.
8 http://blog.sina.com.cn/aiweiwei sito attualmente non accessibile perché bloccato dalle autorità cinesi.
Non so quanto c'entri con quel che hai scritto, però te lo volevo segnalare, l'ho appena trovato ed esclamato: mah! http://www.nazioneindiana.com/2012/11/25/prop-video-art/#comments
RispondiEliminaRosa,
RispondiEliminaho trovato molto interessante ciò che ha scritto nel suo blog adesso oscurato dal regime. Ai Weiwei in questo video ironizza contro un governo che ballando su una vorace YEN modernità imprigiona le voci del dissenso, per contrappasso noi invece ridiamo con questouna leggera forse leggiadra differenza, non credi?
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Grazie, come sempre, della condivisione.
RispondiEliminaREM,
Eliminaquesto libricino (anche in ebook se vuoi) è da leggere poiché racconta la genesi di questo visionario che costruisce tantissimi edifici ma non è architetto, che diventa un’artista globale in Cina essendo stato uno sfigato squattrinato artista newyorkese, diventa blogger per caso e scompagina l’informazione cinese.
Da affiancare alla traduzione dei suoi post scritti in cinese (non fa l’internazionale scrivendo in inglese) edito per i tipi Johan & Levi dove puoi trovare delle interessanti considerazioni sulla città e l’architettura (su questo ci ritornerò).
Ti copio e incollo un altro passaggio dell’intervista di Hans Ulrich Obrist poiché mentre leggevo, ho pensato a te.
«Per terminare le sue interviste, - dice Hans Ulrich Obrist - James Lipton in Inside the Actors Studio faceva una serie di domande fisse. Hai già risposto a quella sulla tua musica preferita, il silenzio; allora mi puoi dire qual è il suono che più detesti?”
[Un inciso prima della lista di domande hai presente il buon Gigi Marzullo «Grazie a voi, cari amici della notte. Io vi aspetto come di consueto sempre di notte, sempre sottovoce, un modo per capire, per capirsi e forse anche per capirci, quando un giorno vista l'ora è appena finito e un nuovo giorno è appena iniziato. Un giorno per amare, per sognare, per vivere. Buonanotte». e soprattutto la geniale domanda « Si faccia una domanda e si dia una risposta» ecco questo James Lipton copia, perché inizia dopo il nostro Gigi, il format marzulliano].
L’interruzione della musica – risponde Ai Weiwei - silenziosa.
La tua parola preferita?
Libertà.
La parola che più detesti?
Forse il mio nome. [Il pubblico ride.]
Cosa ti entusiasma?
Non te lo dico. Perché non voglio condividerlo con te. [Il pubblico ride.]
Che cosa ti irrita più di tutto?
Quando non trovo un bagno e ne ho bisogno. [Il pubblico ride.]
Il momento che tutti aspettiamo?
Quello che meno desideriamo.
Quale sarebbe stato il tuo lavoro ideale?
Fare interviste. [Il pubblico ride.]
Quale sarebbe stato il lavoro peggiore?
La fine delle interviste. [Il pubblico ride.]
Se Dio esiste, cosa vorresti che ti dicesse, una volta giunto alle porte del Paradiso? È la domanda a cui Al Pacino ha risposto: «Le prove sono alle tre».
Come sei finito qui? [Il pubblico ride.]»
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Grazie per il pensiero
RispondiElimina:-)
Salvatore, vedo che hai ricominciato dalla vena più ricca: il blog come tavolo di lavoro del (non)architetto: http://www.torinoanni10.com/2012/12/ai-weiwei/
RispondiEliminaHBP,
Eliminainserisco meglio il tuo link (sigh! blogspot ancora pretende i codici HTML) Si ricomincia dall’io aggiungendo le riflessioni di rem degli AST Il regalo più interessante.
Moon Worshiper il 17 dicembre 1998 iniziava la sua prima pagina web log in questo modo: “Well, here goes. There seems to be this expectation of myself to perform, to write so beautifully on this alluring blank space, because it is my FIRST entry”.
Fu tra le prime blogger a scrivere all’interno di una piattaforma strutturata come blogspot o wordpress esattamente su opendiary (la storia di opendiary è interessante spero di raccontarla a breve).
‘L’affascinante spazio vuoto’ di Moon Worshiper quasi come se fosse un mondo altro, alieno, non terrestre sta cambiando soprattutto la nostra vita da bipede, il nostro intorno, l’essere media attivo (poiché non possiamo più dire ‘è colpa dei media’ perché ognuno di noi può diventare media), l’istruzione, la conoscenza, la socialità.
Il web log quello che non aspira all'asettico giornalismo o alla notizia del momento è un pasticciato, violento, insonne, turbolento, caotico, sporco tavolo da disegno.
Rem saltando la semplificazione dei media (poiché attratti più dal colore delle sue perfomance) ciò che ha scritto Ai Weiwei nel suo blog, soprattutto dal punto di vista architettonico e urbano, è interessante e condensa ciò che dici nel tuo monito finale: «Si cela il senso di una scrittura che può trasformarsi in una condanna a morte».
Ad esempio una madre di una delle bambine uccise sotto le macerie delle scuole di ‘Tofu’ il 20 marzo spedisce questa mail ad Ai Weiwei: «Oggi abbiamo avuto un incontro, hanno parlato del mantenimento della stabilità (ndr politica ma soprattutto d’immagine per via delle imminenti olimpiadi). Dicono che ci sono più di quindicimila bambini deceduti. Dicono che stabilizzare le nostre famiglie stabilizzerà il Beichuan. Ma io voglio soltanto che più persone sappiano della mia amata figlia […] che una volta visse felicemente in questo mondo per sette anni.»
Ai Weiwei rispose nel suo post così:«Ho qualche difficoltà a omettere il nome di questa “amata figlia”, per deferenza verso la “stabilità che l’amministrazione del Beichuan desidera fortemente. Ma solo in questo modo si può risparmiare a sua mamma di essere “stabilizzata” per prima.»
Nella Haus der Kunst di Monaco invece in questo modo nella facciata del museo vi era un’iscrizione composta da zainetti con colori vivaci che diceva: ‘visse felicemente in questo mondo per sette anni’. Scritto in cinese non in un internazionale inglese.
Nel maggio dello stesso anno, Ai Weiwei, fu arrestato e il blog oscurato.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
A latere segnalo il blog di Eleonora Brizi e la sua rubrica su china files.
RispondiEliminaChi è Eleonora Brizi?
27 anni, vivo a Pechino. Ogni mattina apro la porta verde del n°258 di Caochangdi, FAKE studio, dove lavoro per e con Ai Weiwei.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Grazie per questa condivisione Salvatore. Aevvo gia' letto queste interviste, ma e' qualcosa di cui non ci si stanca mai. Fanno bene alla mente.
EliminaGrazie inoltre per la segnalazione del mio blog e comp;imenti per il tuo.
Potente l'immagine del doversi tuffare in acqua per imparare a restare a galla. Non credi?
Cari saluti dal Fake,
Eleonora
Eleonora,
Eliminagrazie a te, non ho capito perché blogspot non reindirizza ai tuoi blog?
Li riporto per esteso:
- Blog: http://eleonorabrizi.tumblr.com/
- China files: http://www.china-files.com/archivea.php?author=Eleonora%20Brizi*
I tuffi di Ai Weiwei, contrariamente ai nostri soventi sicuri tuffi, sono senza istruttore, liberi quasi folli.
Copio incollo una frase tratta da un tuo recente post su China files poiché sintetizza ciò che da qualche tempo discutiamo su questo e altri blog ovvero l’heresphere:
« A due secondi di distanza da qualsiasi avvenimento, Weiwei si siede e twitta. Twitta per diffondere, ma diffondere cosa? Al 90 per cento, se non di più, si tratta di qualcuno che spende le sue giornate su uno sgabello perché vuole 'twittare la verita'. La lingua originale dei film documentari è il cinese. Ne esiste poi una copia per tutti sottotitolata in inglese, o per quasi tutti.
[...]
I dvd di questi filmati rappresentano quasi una missione per Weiwei. Costituiscono un mezzo veloce e soprattutto diretto, vecchio stampo, che supera qualsiasi forma di censura. Sono in realtà pensati per aprire gli occhi ai cinesi, più che agli occidentali. Weiwei li distribuisce a mano, li regala, li spedisce a tutti coloro che glieli chiedono. Non vendendoli, nessuno può dire nulla. Sono dei regali, dei regali che lui con moltissimo piacere fa a centinaia e centinaia di cinesi. Dietro ogni mossa c'è una riflessione durata un secolo e non andrò oltre. Solo una frase voglio aggiungere, che ho personalmente sentito con le mie orecchie: 'Noi siamo i media di noi stessi'.»
'Noi siamo i media di noi stessi' non abbiamo più scuse.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Boh! Misteri linkosi di blogspot.
EliminaLink articolo di Eleonora Brizi: http://www.china-files.com/it/link/22957/lai-weiwei-quotidiano-siamo-i-media-di-noi-stessi
Link heresphere: http://wilfingarchitettura.blogspot.it/2012/05/0006-media-civico-che-cose-la-quisfera.html
S
pingback: Ripercorrendo le interviste rilasciate da Ai Weiwei, Salvatore D’Agostino non fa che tornare alla radice della sua idea di weblog: la scrittura come tavolo di lavoro dell’architetto.
RispondiEliminapingback: Il blog appare come una palestra in cui sperimentare liberamente, un luogo di azione prima che di riflessione. Come una serie di schizzi tracciati velocemente su di un foglio di carta che non hanno importanza o valore artistico in sé ma che aprono infinite e impreviste strade."
RispondiEliminaIo non so se i weblog monoautore stiano morendo, come sostiene Arturo Robertazzi. Rileggendo Salvatore D’Agostino, resto affezionato all’idea del blog come vero ‘tavolo di lavoro’: un luogo in cui nascono progetti che poi crescono altrove, magari proprio in spazi web multiautore.
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