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29 novembre 2008

0023 [SPECULAZIONE] L'Italia vista dalla giornalista inglese Lisa Hilton

Lisa Hilton*, corrispondete inglese dall'Italia, dopo tre anni trascorsi nel nostro paese ritorna in patria senza rimpianti. Nel suo articolo di commiato un ritratto dell'Italia di oggi.

Buon Viaggio.



Raccontate a qualcuno che vi siete trasferiti dall'Italia a Londra e sarete oggetto di compassione. "Oh, poverina", dirà, "e non ti dispiace?". Poi comincerà a raccontare di quella graziosa trattoria a Lucca, dei dipinti di Piero della Francesca o dell'uso ripetuto della parola "bella". Tutte le persone con cui parlo mi raccontano della loro Italia, un paese mitico e incantevole dove le logge sono baciate dal sole e le giovani contadine stendono la pasta sui gradini di casa nei borghi medievali.

Non vorrei deluderli, ma dopo tre anni a Milano mi sento in dovere di informarli che la dolce vita ormai è credibile quasi quanto i capelli finti di Silvio Berlusconi. Ogni volta che vedo l'ennesima rivista patinata descrivere un altro meraviglioso angolo del Belpaese, sono colta dall'irresistibile impulso di ficcarglielo dove il sole della Toscana non batte.

Non rimpiango il mio esilio italiano. Ma tornata a Londra mi rallegro per l'abbondante offerta dei supermercati Waitrose e sono felice di poter andare in banca all'ora di pranzo o di poter comprare un francobollo all'ufficio postale. L'Italia è nel migliore dei casi un ologramma da conservare per le vacanze estive. Da quelle parti la vita fa schifo, anche senza stare a Napoli. L'anno scorso, per esempio, abbiamo ricevuto le cartoline di Natale a marzo. Le mie lamentele si sono scontrate invariabilmente con un'alzata di spalle e un rassegnato "è così". La stessa cosa vale per la politica (corrotta al punto che nessuno riesce più a capirla), i servizi pubblici o i disgustosi episodi di razzismo. La televisione italiana è inguardabile: giochi a premi con fanciulle in perizoma, che prima o poi finiscono al governo, e personaggi che urlano contro Alessandra Mussolini.

La stampa è così cieca, pomposa e stupida da essere illeggibile. Oltre ai commenti sull'impossibilità di combattere la corruzione, i giornali contengono solo articoli datati e mal tradotti tratti dalla stampa anglofona.
E il cibo? Il risotto mi piace, certo, ma l'unica spezia in vendita nell'alimentari sotto casa era una polverina che chiamavano curry. Per quanto riguarda la cucina etnica, l'Italia è rimasta al 1953. E comunque gli italiani mangiano all'aperto solo due volte l'anno perché hanno paura del maltempo. In quel paese sanissimo, la malattia più diffusa è l'ipocondria. Per iscrivermi in palestra ho dovuto presentare due certificati medici (equivalenti a una settimana di fila).

La cosa più penosa è che gli stessi italiani ignorano le meraviglie del loro paese. Nella nazione che ha inventato quasi ogni dettaglio della civiltà, dal sonetto alla Nutella, Jack lo Sverniciatore imperversa staccando dai muri gli stucchi barocchi per riportare alla luce i banali mattoni a cui i turisti sono abituati. E la Scala è ferma perché i suoi musicisti vengono pagati in panini.
Perché sforzarsi di apprezzare il patrimonio culturale più ricco del pianeta quando ci si può limitare a essere bavosi parassiti che si accontentano delle americanate disprezzate perfino dagli ottusi inglesi?

Mescolando pensierosa il suo caffè a un tavolino di Cova, il locale settecentesco un tempo frequentato da Giuseppe Verdi, una mia amica italiana mi ha confessato che non vedeva l'ora di provare Starbucks. Se volete farvi un'idea dell'Italia autentica, leggete Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, che racconta una cultura meridionale, brutale e primitiva, tuttora esistente, come dimostra Roberto Saviano in Gomorra.

O magari provate con Outlet Italia di Aldo Cazzullo, che rivela come la piazza, un tempo luogo d'incontro della nascente democrazia, si sia svuotata perché gli italiani, obesi e ossessionati dal telefonino, passano le domeniche chiusi in capannoni industriali a comprare abiti Abercrombie & Fitch scontati. Al nord si respira lo smog peggiore d'Europa, mentre il sud è letteralmente tossico. E nessuno se ne preoccupa. È così.

29 novembre 2008
Intersezioni ---> SPECULAZIONE

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* Lisa Hilton, I don’t miss Italy. The dolce vita is a myth, Spectator, 5 novembre 2008. Traduzione apparsa sul settimanale 'Internazionale' n. 772, 28 novembre 2008, p. 25 con il titolo: Il miraggio della dolce vita.

26 novembre 2008

Antonio Quistelli una matita sottile

Wilfing Architettura ospita un ricordo dedicato all'architetto Antonio Quistelli (Napoli 26 febbraio 1929 - Roma 8 novembre 2008)
Dal Devoto-Oli: Ricordo derivato di cor cordis 'cuore' in quanto dagli antichi era ritenuto sede della memoria.
Ed è proprio nello spirito di WA essere una sede di memorie.


Mail di Isidoro Pennisi del 22 novembre 2008 12.46
«
Ho riletto quella che può definirsi una "orazione funebre", che ho esposto durante il funerale di Antonio [...] Certo, è retorica. ma secondo me tocca diverse questioni di attualità che possono essere importanti e frutto di discussione. La retorica, in fondo, è strumento di comunicazione antico e nobile quando non diventa demagogia a buon mercato. Il documento, nel suo complesso, è inedito, e mi farebbe piacere che diventasse ancora più pubblico, esattamente in questa versione.»

Da Isidoro Pennisi ad Antonio Quistelli - Roma, 10 Novembre 2008, Chiesa di S. Maria del Sacro Cuore.

Le parole che io oggi ho il dovere di trasmettervi non sono di nessuna utilità per Antonio Quistelli e la sua anima. Le parole che si declamano di fronte ad un feretro sono parole che utilizzano la più grave delle occasioni di una esistenza per parlare ai vivi: a quelli che restano e ancora debbono misurarsi con la vita. E’ così da sempre. Chi lascia il tempo, lascia sempre qualche cosa in sospeso; qualche cosa che deve compiersi attraverso lo sforzo e le giornate di chi continua a vivere. Chi muore ha solo questa possibilità per rimanere tra i vivi: che qualcuno continui, che il mondo vada avanti, che il tempo continui a scorrere. Antonio Quistelli, da oggi, è il passato. Ognuno di noi, nel suo segreto e intimo spazio dedicato agli affetti, può fare i conti con lui e con i legami intercorsi. Certo è, che la vera sofferenza, il dolore indescrivibile a parole, oggi non mi appartengono. Non si può millantare una cosa che non si ha il diritto di sentire. Dolore e sofferenza, in questo momento appartengono ai suoi due figli, alla sorella, ai nipoti, e in generale a tutte le persone che con lui hanno avuto relazioni radicalmente affettive e ricche di tempo: giorni, mesi, anni. Antonio Quistelli ha avuto l’onore e l’onere di una vita pubblica che supera, non tanto in qualità ma in intensità e tempo consumato, quella privata. E’ un fatto. Un po’ per naturale ambizione umana, ma soprattutto per educazione, ha obbedito al tempo storico e alle occasioni, e non si è tirato indietro, diventando conseguentemente un protagonista del suo tempo. Il fatto che lui abbia concluso il suo compito in questi giorni, richiamato probabilmente ad altri incarichi, è una constatazione che si presta a delle considerazioni che non possono essere sottaciute.

Volubilis, Marocco (16 Aprile 1987)*

I suoi occhi hanno visto, come ultime fotografie
da portare via con sé, un Paese e una comunità in profonda difficoltà. In difficoltà materiale, certo, ma soprattutto in difficoltà ideale. Un Paese che non sembra avere più le forze per reagire non tanto di fronte ad estemporanei e accidentali provvedimenti legislativi, ma di fronte all’incapacità di darsi un obiettivo posto al di la dell’orizzonte visibile.
Antonio Quistelli, al contrario, per sua fortuna e per via della diversa natura umana e intellettuale che hanno contraddistinto la generazione cui appartiene, ha operato in gioventù e nella sua maturazione, all’interno di uno sforzo di riedificazione civile ed etica di un Paese che usciva da una delle sue più spregiudicate avventure della sua pur giovane storia di popolo. Antonio Quistelli ha fatto parte di una classe dirigente e di una borghesia che oltre a godere di una posizione ha ripagato il proprio Paese con uno sforzo e un servizio che, guardando le cose dal nostro presente, sembra straordinario e del tutto anomalo. In lui è presente una precisa e rara qualità pubblica, che riscatta gli eventuali, umani, punti di flesso privati. La qualità di chi accetta di servire il suo tempo per quello che esso è, e non per ciò che si vorrebbe, egoisticamente, che fosse. Per questo profondo convincimento, per ubbidire al richiamo del suo tempo, ha rinunciato a dedicarsi completamente alla professione dei suoi sogni, alla scuola che idealmente desiderava, ad inseguire le figure di un Pantheon personale che conformano, spesso, un mondo ideale, per compromettersi e mettersi al servizio della comunità storica effettiva: per come questa è, e per come si incarna nella storia del tempo che ci tocca in sorte di vivere. Servire la propria comunità, lo Stato, vuol dire questo, e vuole dire, soprattutto, riuscire a tenere sullo stesso parallelo le ambizioni personali con quelle di una comunità, sciogliendo la propria biografia dentro quella collettiva.

Isola di File, Egitto (9 settembre 1987)*

Preside di una Facoltà di Architettura1, Direttore di Dipartimento2, Presidente del Consiglio d’Amministrazione, oltre che Rettore di un Ateneo posto nel cuore del Mezzogiorno del nostro Paese, ha ricoperto tutti questi ruoli attingendo al suo sapere d’architetto e alle sue indubbie capacità di progettista. Sapere e capacità di chi sa bene come e perché comporre in un solo disegno, in maniera innaturale e non prevista, elementi eterogenei e apparentemente non riconducibili a fattore comune. Ha ricoperto tutti questi ruoli credendo in una precisa, classica, mediterranea interpretazione della Democrazia, dove il concetto di parità tra gli individui, emancipa e rende più maturo e realista il sogno illuminista e infantile dell’uguaglianza tra gli esseri umani. Ha ricoperto tutti questi ruoli avendo fiducia nel tempo e nella potenza del progetto. E’ il progetto, infatti, a fare si che intere generazioni, una dopo l’altra, una sopra l’altra, abbiano la possibilità di raggiungere obiettivi alti, nuove frontiere, altrimenti improponibili se pensati all’interno del misero arco biologico che la vita ci concede. Antonio Quistelli sa bene che obiettivi alti e nuove frontiere non si raggiungono senza la consapevolezza dei debiti contratti con le persone incontrate negli incroci ventosi della vita. Le “cattive compagnie”, da ragazzo, i suoi maestri, da giovane, i suoi colleghi nell’avventura di una vita sullo Stretto di Messina, da uomo. Flora Borrelli, soprattutto; sua compagna di vita e d’aspirazioni, che, come lui e insieme a lui, ha creduto che la formazione e il trasferimento organico del sapere, sia già, e senza nulla aggiungere, il senso di una vita ben spesa. Cosa lascia in sospeso Antonio Quistelli? Tante cose, troppe in rapporto a ciò che sino a qualche anno orsono si poteva minimamente immaginare o pensare.
Lascia il proprio Paese, a cui ha dato e da cui ha ricevuto tanto, tra le mani di una classe dirigente, che qualunque sia la sua collocazione politica ed ideale è sempre del tutto inadeguata. Una classe dirigente che lui stesso ha contribuito a formare e selezionare.
Rospi risvegliati dal bacio fatato di una storia e riformati in Principi: questa era la sua spiegazione. Forse, in maniera più veritiera, persone destinate invece a seguire la sorte dei cavalli lipizziani che nascono bianchi e muoiono neri. Lascia il mestiere cui ha dedicato intelletto e talento in uno stato completamente anacronistico, lui che ha scritto, rivolgendosi a chi pensava di iscriversi ad una Facoltà di Architettura, queste esatte parole: ".... A chi volesse fare l'architetto bisognerebbe chiedere e dire: ebbene, sapete disegnare? Può essere importante: il "disegno" sarà una lingua che dovete conoscere. Pensate di saper attingere all'immaginario e insieme praticare la concretezza? E' importante. Siete in grado di dare a voi stessi l'autonomia della vostra soggettività e servirvene per interpretare la collettività? Le vostre mani sanno "fare" le cose? Riuscite a vedere gli uomini dietro i segni del mondo materiale, e credere che valga la pena di porre voi stessi e le vostre capacità al loro servizio? Forse, se è così, potete pensare di avventurarvi in un mondo che potrà conquistarvi, ma non sempre compensarvi..."

St. Denis, Francia (25 settembre 1992) *

Le opere che ha realizzato o solo pensato non si genuflettono di fronte alle caratteristiche superficiali di un'epoca, o ad una delle tante avanguardie. Non azzerano il loro compito appiattendosi sulle sole istanze figurative. Le sue opere hanno provato, al contrario, in maniera strategica, a dare un senso alle trasformazioni che si è chiamati a produrre nello scenario dell'artificiale e hanno mirato a dare soluzioni che sono sempre di tutt'altro genere da quelle che si risolvono nell’inserire una nuova ed originale figura nel mondo. E' la ricerca di bellezza reale, quella, come ricorda Cacciari, che si traduce 'kallon' e non beautiful, a far crescere l'opera e a farla transitare dall'idea al reale. Bellezza che è cocciuta ricerca d'armonia tra le cose che l'uomo è chiamato a produrre e inserire nel mondo: un disegno. Questo tipo di ricerca, quando ha valenze del genere, destituisce di fondamento il destino del singolo atto, altamente caratterizzato, che antepone il suo modo d'essere alla trama in cui s'inserisce, o la propria visione del mondo al mondo per com'é, effettivamente. Lascia la scuola di architettura e la struttura universitaria che ha contribuito a realizzare, e nei confronti delle quali ha forse dedicato più sforzi di quanto sia giusto chiedere ad un essere umano, in una situazione che la vede coinvolta, senza capacità di distinzione, all’interno della crisi evidente del sistema universitario del nostro Paese. La Berkley del Meridione3, secondo una definizione dell'epoca, nel tempo è diventata Ateneo, ed è, oggi certamente qualcosa di diverso e certamente di meno, in rapporto alle aspirazioni che nutrirono quei momenti fondativi. Quest'Istituzione però esiste, e questa è la cosa più rilevante. Esiste, all'interno di un panorama che è tutt'ora difficile, in una situazione in cui essa però rimane una delle poche realtà che continuano ad avere il compito di portare avanti la realizzazione di quelle condizioni proprie al riscatto e la modernizzazione effettiva di questa realtà. Coinvolto in questo progetto politico e culturale, a sua volta Antonio Quistelli ha coinvolto interi brani di una generazione di uomini e donne, in cui ha creduto: ed ha fatto bene. In qualsiasi caso. Costruire, infatti, è opera grave e difficile, e sarà il tempo, come sempre, a trarre le conclusioni di questa storia, a giudicare l’operato d’ognuno. E’ chiaro, però, che queste persone, compreso me stesso, che godono del privilegio di operare in questa struttura universitaria, soprattutto in questo momento storico debbono decidere se prestare il petto o le spalle al proprio tempo; debbono decidere se continuare a coltivare una biografia personale o se è il momento di trasferire tempo ed energie verso la riabilitazione di una biografia collettiva; debbono decidere, in sostanza, se provare ad essere proporzionati allo sforzo che occorre per portare a compimento tutto quello che Antonio Quistelli ed altri hanno lasciato in sospeso, oppure continuare a ritagliarsi uno spazio vitale, anche di rilievo, esclusivamente utilizzando questa struttura. Perché una cosa posso dire con certezza. Io a lui ho sempre detto che l’occasionale incontro che mi ha permesso di conoscerlo e di condividere qualche anno di vita, è nulla rispetto alla vera fortuna che ho avuto nel godere, insieme a tantissimi altri, del suo lavoro e del suo impegno, della sua intelligenza e della sua dedizione, offerte a tutti, indistintamente e indirettamente. La scuola che io ho frequentato in un momento della mia vita, il suo clima, le sue condizioni, la particolare forma di coinvolgimento educativo, sono per me più importanti del rapporto personale con lui. Anche se non l’avessi conosciuto, come a tantissimi altri è capitato, il suo contributo alla mia formazione e alla mia vita sarebbe stato identico, o quasi. Il conoscerlo, in sostanza, è stato ininfluente rispetto alla capacità di onorare la vera qualità che io credo vada riconosciuta alle persone come lui: farsi carico dei destini collettivi vuol dire rinunciare, con dolore, a farsi carico anche di quelli privati e personali. Chi non capisce o non vuole accettare questa dura e tragica legge della nostra vita in cui non è mai possibile servire due padroni esigenti, non può apprezzare in maniera compiuta una figura come quella di Antonio Quistelli. Alcune importanti vittorie, quindi, personali e pubbliche, ma moltissime sconfitte. Questo è il destino di chi preferisce avere ragione invece che utilizzare le circostanze per come vengono, piegandole a proprio favore. Questo è il destino di chi preferisce abituarsi a perdere molte volte invece di accontentarsi e rassegnarsi in partenza a vincere poco.
E’ soprattutto questo il significato degli ultimi anni della sua vita.
Come sempre, arriva allora il momento dei saluti. Il momento in cui è necessario tagliare l’ultimo filo che ancora adesso, qua dentro, ci tiene legati alla sua figura, al suo volto, alla sua voce, colta e partenopea. Per chi crede che da qui inizia un avventura nuova come per chi crede che qui si chiuda ogni avventura, io non ho parole probanti da declamare, che possano darci sollievo o certezze. Il fatto che ritengo evidente è che la cosa che chiamiamo morte fa parte di questo fiume che è vita che ad un certo momento si ingrotta e sparisce alla vista. Tanto poco viviamo e chissà quanto tempo aspettiamo per nascere e poterlo fare: per questo, forse, il poco tempo a nostra disposizione ha così tanto valore. Che ti sia lieve la terra, Prof. Antonio Quistelli, e buona fortuna.
Isidoro Pennisi

Come usare WA fsdafrdasfsdafdsafdasfdsafdsafdsafdsafdsafdsafdsfghsfCos'è WA

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1Di Reggio Calabria, dal 1976 al 1989.
2Dipartimento di Scienze Ambientali e Territoriali dell'Università di Reggio Calabria, dal 1989 al 1995.
3
In riferimento all'Università di Architettura "Mediterranea" di Reggio Calabria. A tal proposito una riflessione andrebbe fatta, in merito allo stato odierno delle Università di Architettura in Italia, Antonio Quistelli è stato uno degli ideatori della prima facoltà di esportazione da Roma a Reggio Calabria ma non credo il precursore delle facoltà diffuse/dequalificate a cui stiamo assistendo. A mio avviso, una riflessione che andrebbe vagliata da persone intelligenti e libere e non dalle gerarchie universitarie o da esponenti politici. [N. d. R. ]
Una prima risposta:
Mail di Isidoro Pennisi del 25 novembre 2008 16.49
«Inoltre, la storia della scuola di Reggio, se proprio vuoi sapere come sono andate le cose, è una storia calabrese. La facoltà nacque prima che arrivassero Quaroni e Quistelli, e fu una misura di
compensazione politica e sociale (insieme alla Liquichimica di Saline, le Officine Omeca) della scelta di Catanzaro capoluogo. Quaroni, poi, fu nominato presidente del comitato tecnico, e di li inizia un'altra storia».

*Le immagini sono state tratte da: Antonio Quistelli, La matita sottile (Taccuini di viaggio), Gangemi, Roma, 1994

22 novembre 2008

0003 [FUGA DI CERVELLI] L'Italia vista dagli e-migranti

di Salvatore D'Agostino

Fuga di cervelli è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista'.
«La normalità è uno stato d'emergenza. Mi metto nei panni di un qualunque cittadino che così la vive, sempre frastornato dalla politica e dai media e dunque sempre in bilico tra una verità e una contro verità sullo stato generale delle cose, mentre penosamente tira avanti [...] a volte una sorda rabbia lo prende e lo trasforma, per fortuna solo virtualmente, in un aggressivo moralista. A questo punto, lo so, si direbbe che un tipo come quello che ho descritto è un qualunquista. Può darsi e forse lo è diventato per forza maggiore, perché troppe circostanze lo hanno ridotto così o forse perché qualunquista sta diventando la politica, il discorso pubblico e quello televisivo. Ma si potrebbe anche dire che lui è uno che ragiona con una logica elementare, col mite pratico pragmatico common sense, caduto in disuso nel nostro Paese dove «i migliori non hanno convinzioni assolute e i peggiori traboccano di intense passioni» [...] Qualunquista? Io mi domando come fa il mio uomo a sopravvivere quando per lui la normalità è questo stato di emergenza. È un qualunquista o un eroe di sopportazione?»1 (Raffaele La Capria)
Non credo in questo polverone mediatico sulla scuola né penso che questa classe dirigente di destra/sinistra scampata a tutte le nefandezze giudiziarie possa risolvere un problema così delicato. Lo stato di emergenza, come indica Raffaele La Capria, è lo stato ideale per la proliferazione dei furbetti amati dall'italiano basso/medio/alto, quelli descritti dai film della commedia italiana più impegnata, purtroppo quel riso che doveva essere acro per molti è diventato crasso quasi ad identificarsi con l'immagine dell'italiano narrata.

Vorrei credere nelle 'minoranze attive' come descritto nel rapporto del CENSIS "XLI Rapporto sulla situazione sociale del paese" del 7 Dicembre 2007:

«Pertanto in una società così inconcludente appare difficile attendersi l’emergere di una qualsivoglia capacità o ripresa di sviluppo di massa, di “sviluppo di popolo” come si diceva una volta; e le offerte innovative possono venire solo dalle nuove minoranze attive, ovvero: 

  • la minoranza che fa ricerca scientifica e innovazione tecnica è orientata all'avventura dell’uomo e alla sua potenzialità biologica;
  • la minoranza che, nella scia della minoranza industriale oggi rampante, fa avventura personale e sviluppo delle relazioni internazionali (si pensi ai giovani che studiano o lavorano all'estero, ai professionisti orientati ad esplorare nuovi mercati, agli operatori turistici di ogni tipo, ecc.);
  • la minoranza che ha compiuto un’opzione comunitaria, cioè ha scelto di vivere in realtà locali ad alta qualità della vita;
  • la minoranza che si ostina a credere in una esperienza religio­sa insieme attenta alla persona e alla complessità dello sviluppo ai vari livelli;
  • e le tante minoranze che hanno scelto l’appartenenza a strutture collettive (gruppi, movimenti, associazioni, sindacati, ecc.) come forma di nuova coesione sociale e di ricerca di senso della vita. 

Si tratta senz'altro di una sfida faticosa, che le citate diverse minoranze dovranno verosimilmente gestire da sole. Ma sfida desiderabile, per continuare a crescere forse anche con un po’ di divertimento; sfida realistica, perché non si tratta di inventare nulla di nuovo ma di mettersi nel solco di modernità che pervade tutti i Paesi avanzati.»

Ma ho dei dubbi e mi chiedo: è possibile che le 'minoranze attive' possano vincere contro un sistema culturale del 'potere logora chi non ce l'ha' così forte e radicato? (Frase che pare celare una filosofia di vita e non un semplice aforisma.)

Il giornale La Repubblica ha aperto una pagina dove raccoglie le storie dei ricercatori all'estero, a mio parere un problema marginale su cui ragionare, perché è una minoranza rispetto a chi soffre e lavora nella quotidianità dell'edilizia/architettura. Ho raccolto le storie degli architetti e ve le propongo. Le loro voci, a volte interrotte dai limiti di spazio redazionale, sono importanti e raccontano in libertà alcuni aspetti dell'Italia, loro non temono più di subire il classico ammonimento di chi per forza maggiore si è dovuto asservire: "funziona così che ci vuoi fare!".

Eccole:

25. Fortunato Velletri

Dopo la laurea ho partecipato al concorso per ricercatore nella mia universita'. C'erano 3 posti disponibili ed ero molto felice di essere arrivato terzo. Purtroppo solamente i primi due posti erano finanziati da una borsa di studio ed il terzo... era senza paga :)! Non posso proprio capire come si possa pretendere che un ricercatore lavori all'universita' senza avere un entrata economica. Per motivi pratici ho rinunciato e ho cercato un impiego remunerato. Adesso mi trovo a Londra e lavoro per uno studio di Architettura e vengo regolarmente pagato... Vorrei tanto ritornare... 

145. Roberto Pasini 

Mio figlio Roberto si è laureato in architettura a Firenze con 110 e lode nel 1997. La sua tesi di laurea ha vinto il premio Christian Andersen alla Accademia Nazionale di San Luca (Roma) quale miglior tesi di laurea fra gli ingegneri e gli architetti di quell'anno. Il suo curriculum di studi è risultato meritevole della borsa di Fullbright, di qualche altra New York e a Bonn, e quindi è stato scelto per un biennio di Master dalla Washington University di Seattle, dalla Columbia di New York, dal MIT e dalla prestigiosa Harvard University Cambridge MA USA. Ovviamente, ha scelto Harvard, e si è ritrovato unico italiano fra i 40 giovani di tutto il mondo selezionati. Lì, forse qualche altro merito l'avrà pure avuto, se alla fine è stato scelto fra tutti per rimanere ad Harvard come docente. Ha chiesto, e, ottenuto, addirittura una condizione speciale, cioè di insegnare una settimana al mese, con biglietto aereo e Hotel pagati completamente. Uno stress da fuso orario non da poco, e per questo ha dovuo scegliere il rientro in Italia definitivamente. Un rientro "nella norma", visto che non ha avuto offerte da chicchessia, se non come "specchietto" per la politica. Prodi in persona (oltre che qualche Parisi in più), ha ritenuto dover tenere il suo contatto telefonico per i sei mesi prima delle elezioni, con una gratificante enfatizzazione di una intelligente giovane cultura.. utile all'Italia. Ovviamente, superate le elezioni, quel filo è stato del tutto reciso. 

184. Emanuela Riolo 
oggi c'e un bel cielo grigio qui a londra, stamttina c'era un pallido sole...speravo di vedere per un po di azzurro oggi...mi mancano i colori delle giornate. Ma si deve pur rinunciare a qualcosa, sono un architetto e costruisco, disegno, progetto, specifico, coloro questo grigio...sono siciliana e sto in posto senza sole e senza mare. Ma progetto. Rispetto e vengo rispettata. E mi chiedo, ma l'anno prossimo appena si chiude il cantiere che faccio, torno a casa o vado a dubai? specifico meglio la domanda, torno a casa a fare il "giovane "architetto under 40 senza altro sponsor che me stessa e il mio bagaglio di esperienze o vado a dubai a fare l'architetto per progettare un altro edificio e stare almeno in un posto al sole? 

285. Andrea Silvestrini
Scrivo qui, anche se la mia esperienza non è precisamente di "ricerca" all'estero. Quattro anni fa, dopo un anno e mezzo di lavoro in Italia, Ferrara precisamente, grazie a fondi della Comunità Europea erogati attraverso borse di studio promosse dall'azienda per il diritto allo studente dell'Università di Ferrara, mi sono mosso ad Amsterdam. Dopo 5 mesi di stage, ho continuato la mia vita e lavoro qui. Nel caso specifico dell'architettura, l'Italia è a mio parere profondamente radicata su principi legati alla preservazione del "vecchio" estremamente ristretti e per questo dà poco spazio al nuovo. Ma più in generale ho riscontrato una tendenza dei "nonni"(e con questo non intendo criticare l'età...ma solo cercare di raggruppare con una parola quella cerchia di architetti over 45 che hanno in mano gran parte dei progetti) a giudicare incapaci e non preparati noi giovani appena usciti dalle università, pensando che si debba essere tirocinanti per anni prima di poter dire la nostra. Questo piccolo-grande particolare pregiudica negativamente lo sviluppo di una giovane leva che inizialmente ha tanta volontà e felicità nel buttarsi nel mondo del lavoro. Ed è inoltre il sintomo di quella mentalità che vede anche la ricerca come attività e presenza non importante nel nostro paese. Ma credo che sia proprio da quella, e appunto dalla presenza di una classe nuova e volenterosa, che la nostra società potrebbe trarre quel respiro ottimista e frizzante che le manca. 

669. Emanuele Terracini
Non c'è molto da dire. Prima di andarmene ho lavorato per due mesi e mezzo, senza contratto, in uno studio di architettura ben avviato. Dopo aver lavorato otto ore al giorno per 5 giorni alla settimana, alla fine dei due mesi e mezzo mi è stato presentato un "rimborso spese" del valore di 250 euro. Con un breve calcolo risulta che sono stato pagato 1,6 euro all'ora. Dopo questa illuminante esperienza ho deciso di scappare in Spagna, e con un poco di fortuna, sono entrato in una grossa impresa con un posto di responsabilità. Guadagno 1280 euro lordi al mese (non molto, ma per iniziare va più che bene) con carte in regola, pensione, assicurazione sulla vita e rimborsi spese. Grazie sistema-Italia. Senza di te non avrei mai trovato un posto così.

720. Lisa Zucchini
Per motivi non legati alla situazione dell'universita' italiana, che avevo abbandonato gia' nel 2000, nel 2004 mi sono trasferita negli USA. A 31 anni sono tornata all'universita', partendo quasi da zero (l'universita' locale mi ha accettato solo 5 esami tenuti a Padova), ed in 4 anni esatti, nel maggio 2009, mi laureero' in architettura. Se fossi rimasta in Italia non so se ce l'avrei fatta nel doppio degli anni che mi ci sono voluti negli States. Inoltre lavoro gia' in uno studio di architettura della mia citta' nel quale sto facendo un'esperienza molto produttiva.L'universita' mi e' stata pagata (per i primi due anni) dallo stato del Texas che continua a contribuire per il 50% della mia educazione. Mi sono resa conto che il metodo di insegnamento italiano non porta assolutamente alla creazione di una persona professionalmente produttiva. Con questo intendo che, focalizzandosi solamente sull'aspetto teoretico, l'universita' italiana promuove il neolaureato ad una condizione di ignorante per quanto riguarda gli aspetti pratici della professione da lui scelta. Inoltre, quanti sono quei professori che bocciano numeri di studenti sproporzionati con il solo biettivo di dimostrare che la loro materia e' difficilissima o solamente per avere le classi sempre piene. Questi professori non capiscono che demoralizzare gli studenti e' assolutamente controproducente alla loro professione? Quanti neolaureati in architettura in italia sono senza lavoro perche' gli studi richiedono esper

752. A L O S R
Mi sono laureato in architettura al Politecnico di Milano nel 2000. Vista la situazione in Italia (che perdura da tantissimi anni) ho deciso di andarmene a Parigi pochi mesi dopo. Sono scappato dalla miseria proposta dagli studi di architettura italiani, senza contratto, obbligo di aprire una partita iva, "vieni a lavorare da me che impari", etc. etc. Poveri architetti di qualche anno più vecchi, nemmeno loro guadagnano molto, tirano un po' a campare,... tra "favori" e pagamenti posticipati. Qui in Francia i diritti dei lavoratori sono sacrosanti, ci sono contratti anche per brevi collaborazioni,.... se sei disoccupato hai un contributo statale allineato (circa il 70%) al tuo stipendio precedente. Ci sono corsi per essere reintegrati, consulenti per chi vuole cambiare carriera, ecc. OK, ora c'é un po' più di crisi,.... pero' già da qualche anno guadagno praticamente il triplo di un architetto italianocon i miei stessi anni di esperienza. Fate un po' voi, perché a me non viene nemmeno più da riderci sopra! Ciao ciao

856. Ugo Rizza
Fuggo dall'Italia dopo aver provato ad entrare nell'università tramite concorsi a programmi di dottorato. Fuggo da una vita professionale grama e senza prospettive e dall'impossibilità di ri-entrare senza contatti nel mondo universitario. Fuggo dopo essermi sentito dire da più dottorandi che la miglior cosa che mi potesse essere capitata era di non essere stato accettato all'interno di un dottorato! Capisco che chi entra a fare ricerca spesso non ha alcun merito se non quello di conoscere o lavorare per il professore in questione. Capisco che finire un dottorato in Italia di fatto è solo ritardare l'ingresso nel mondo del lavoro, con pessime conseguenze. Fare il dottorato diventa fine a sè stesso, non solo non segue una carriera all'interno dell'università, ma la ricerca stessa non trova pubblicazione, visibilità o spazio di crescita. I docenti stessi non sono interessati e gestiscono il programma di dottorato in maniera squilibrata. I dottorandi che ho conosciuti sono per lo più pentiti e spaventati all'idea che finito il dottorato dovranno cercare lavoro, essendo più vecchi dei neolaureati e senza alcuna esperienza concreta. Mi viene confermato che i primi due anni di dottorato sono vuoti di senso, si lavora come matti nell'ultimo anno. Mi riferisco ai dottorati IUAV - Università di Architettura di Venezia. Mi riferisco a docenti quali Bernardo Secchi che fanno entrare persone, che lavorano nel loro studio privato, per non doverle pagare, dal momento che ricever

1048. Eleonora Pini
Mi sono laureata in Architettura, indirizzo Restauro a 26 anni appena compiuti, con 110 e lode. Ho faticato tantissimo per sostenere l'esame di abilitazione, perche' in questo paese se non hai "l'aiutino" spesso il tuo scritto non viene nemmeno guardato; e non e' un'accusa a vuoto. Ho lavorato per tre anni e mezzo in vari studi, venendo pagata se andava bene 1000 euro lorde al mese (e nemmeno tutti i mesi), per di piu' con partita iva. Ho tentato di lavorare per conto mio, ma la verita' e' che se sei architetto ma non hai il babbo ingegnere, lo zio architetto, il nonno geometra o il cugino muratore non sei nessuno. La mia professione fino allo scorso anno era fatta di inarcassa da pagare, iva da pagare, tentativi vani e frustranti di farsi pagare; non ero piu' un architetto, ma una sorta di ragioniere poco abile di me stesso. Lo scorso anno ho mandato dei CV ad alcuni studi londinesi; in tre giorni ho fatto sei colloqui e ho ricevuto quattro offerte di lavoro. Contratto regolare, lavori vari e interessanti, legati veramente al mio settore di indirizzo. Non voglio fare la dipendente a vita, sia chiaro: sarei (stata) felice di fare la libera professione nel mio paese, e in un futuro spero di riuscirci: ma lo scorso anno di questi tempi ero arrivata a detestare il mio lavoro, che aveva purtroppo a che fare con l'architettura forse un 20%; il resto era un cercare di sopravvivere tra tasse, balzelli, assurdi studi di settore. Questo soggiorno a Londra mi sta ricaricando, mi sta fa

1062. Nicola Manno
Sono scappato non dall'Italia ma dalla Universita' italiana circa 8 anni fa.
L'universita' in Italia e' cosi presa male che non riesce a formare alcuno. Esci con il titolo di Architetto o altro ma in realta non sai fare niente. L'universita' e' cosi lontana dalla vita reale.
Mi sono laureato in fretta per scappare ed andare ad "imparare" la vita all'estero.
W la Gelmini. W questa riforma! Speriamo che faccia un bel repulisti e che l'universita' ritorni a formare gli studenti e non a dare posti di lavoro precari.
FORZA GELMINI. 

1069 Guido Cappelli
È presto detto: laurea in Filologia moderna a Napoli nel 1991; dottorato in letteratura umanistica a Messina nel 1992; sacrifici, viaggi, pubblicazioni... una passione autentica e vocazionale che non si spegne. Ma in Italia -lo disse il mio coordinatore di dottorato- per me non c'è posto. Troppo indipendente, troppo "eclettico". Troppo pochi amici. Così, alla fine del '95 emigro in Spagna. Un contratto, poi un altro. Nel 2001, vincitore di concorso nei Licei, torno a Napoli, ma resisto solo 16 mesi: il degrado è estremo, nonostante (e sottolineo: nonostante) l'abnegazione d molti colleghi, e i ragazzi: ottimi ragazzi abbandonati a se stessi. Nel 2003 torno in Spagna, a Madrid. Ho vinto un concorso per un altro, prstigioso contratto di ricerca. Senza padrini, senza baciare mani. Con lo studio, con le pubblicazioni: "méritos" li chiamano qui. Ho poi vinto l'idoneità alla cattedra, e ora sono in attesa. Nel frattempo mi sono sposato, ho una bambina bella e madrilena. In Spagna non è facilissimo, la vida è dura dappertutto. Ma c'è più aria da respirare, più strade, più sbocchi. L'Italia -dove si è architetto, ingegnere, avvocato, ragioniere, ma mai "signore"- è una gerontocrazia isterica. Meglio tornarci solo a Natale.

1108. Nicola Lo Calzo
Buongiorno a tutti.
Sono un giovane architetto e fotografo.
Ho lasciato il Bel Paese da 3 anni per la Francia, più precisamente Parigi. Qui a Parigi la comunità dei 30enni italiani e-migranti, in cerca di opportunità, si sta moltiplicando in maniera esponenziale.
Tutti alla ricerca di uno stipendio decoroso, un lavoro gratificante e sopratutto un'etica del lavoro! Triste dirlo ma qui in Francia le cose sono completamente diverse!
Che si faccia ricerca in campo universitario o che si intraprenda una qualsiasi attività professionale, nessuno oserebbe mai pensare di non retribuire un lavoro al di sotto dello SMIC, lo stipendio minimo per legge, pari a 1500 euro netti al mese! A partire da qui, tutta una serie di diritti sono riservati agli studenti e ai nuovi giovani lavoratori!
Mia sorella, laureata in architettura da qualche mese a Torino, sta seriamente pensando di seguire le orme del fratello e scegliere la Francia come paese adottivo.
A Torino lavora in condizioni di sfruttamento e su ritenuta d'acconto per 800 euro mensili!!! (e dice di doversi ritenere già fortunata!!)
Qui a Parigi avrebbe direttamente a disposizione un Contratto a tempo indeterminato (quasi la regola) a partire da 1700euro netti al mese, con possibilità di evoluzione a breve termine...1700euro giusto perché é new entry ed ha ancora bisogno di esperienza!!!
Meritocrazia, Trasparenza e investimento sui giovani sono concetti ancora così lontani dalla mentalità italiana! Perché non si tratta semplicemente di una questione politica ma di un vero e proprio problema culturale!
Cinquanta anni fa una parte della mia famiglia è emigrata in Francia in cerca di nuove opportunità:
A volte ho la tragica impressione di ripercorrere il loro stesso percorso. L'unica differenza è che quella era l'Italia del primissimo dopoguerra. Questa di oggi la la nuova Italia dell'immobilismo politico.
A me il Bel Paese manca terribilmente e questa mia e-migrazione coatta resta per me una grande ferita.

1115 Fabio Ferrillo
Sono un architetto, ho 31 anni e vivo a Parigi da ormai 3 anni. Sono partito, da Milano, seriamente inquieto per il mio futuro, personale e professionale. Vivevo, come moltissimi dei miei colleghi, una situazione di quasi indigenza, in un ambiente, quello dei professionisti, nel quale il precariato si trasforma rapidamente in obbligo alla libera professione; l'unica via per avere un lavoro decente era dunque, in partita IVA, emettere una fattura mensile di 1000 + iva, appunto, remunerazione ridicola per un lavoro senza orari, ricco di responsabilità e impegni. Questo perché lo studio di turno possa cacciare, nuda, la cifra mensile. Una autentica truffa. Poi la decisione, ed una vita nuova, non meno difficile, la lingua e la difficoltà di alloggio sono all'inizio ostacoli reali. Ed infine l'epifania: rendersi conto che il mio paese, al quale sono sinceramente legato, é vittima della politica delle barzellette, degli ammiccamenti fuori posto, delle figuracce internazionali. Ma credo che, ancora piu' grave, la percezione delle libertà acquisite, almeno in Francia, sia ancora piu'avvilente... Chi come me ha votato perché si sotenessero i Pacs, e non si dimenticassero all'ultimo, chi sogna una ricerca scientifica libera, coppie di fatto riconosciute, adozioni per i single, diritti per gli omosessuali, vive, lo dico con sincero slancio, in modo combattuto tra entusiasmo e sollievo quei 5 anni che ci separano dalla richiesta della nazionalità, francese nel mio caso, da affiancare a

1165. Michele Moschini
mi sono laureato in architettura al politecnico di bari con una tesi sull'architettura sacra hindu. avendo superato i limiti di età per l'assegnazione delle borse di perfezionamento all'estero (ero uno studente lavoratore), ho continuato a collaborare col mio relatore, gratis, in attesa di una borsa che mi permettesse di continuare le ricerche. i miei disegni, insieme a quelli di altri colleghi, sono stati esposti in varie mostre, in italia ed in india. ho seguito dei tesisti, ho partecipato (viaggio e pernottamento a mie spese) ad una conferenza internazionale sul restauro organizzata dall'INTBAU, durante la biennale di venezia del 2006 (gli interventi stanno per essere pubblicati dalla cambridge press) e nel frattempo ho provato a fare l'architetto in italia. alla fine ho giocato la carta del dottorato, che non ho vinto, malgrado fra i 3 commissari ci fossero le stesse persone che mi commissionavano disegni per le mostre, tutoraggio per i tesisti, interventi alle conferenze. ho mollato tutto ed ho raggiunto degli amici/colleghi a parigi. da un anno e mezzo vivo e lavoro qui, in uno studio internazionale, e dal primo marzo il mio contratto diventerà a tempo indeterminato...mi trovo bene e finalmente lavoro con soddisfazione, anche economica. tornerei volentieri in puglia, se questo non implicasse ritornare anche a fare la fame, come nei primi due anni dopo la mia laurea

1238. Roberto Napolitano
cari lettori,
mi chiamo Roberto e vivo a Londra da quasi 8 anni dove lavoro come Architetto da quando mi son trasferito.
Le scene che vedo dalla tv e giornali mi ricordano un poco gli anni quando frequentavo le superiori e poi l'universita di Napoli.
Le ragioni son simili; all'epoca il solito nuovo ministro che cerca di mettersi sotto una luce negativa tagliando costi preziosi all'educazione nonche' ricerca ed il primo che mi viene in mente fu Ruberti.
La mia non e stata una fuga ma la valutazione di una scelta dettata dai programmi politici nei quali le proposte del governo (centro, sinistra o destra) non mi davano nessuno spiraglio e nel campo dell'architettura e sviluppo ancor di meno.
La "fuga" mi ha fatto crescere e capire tanto del mio paese con i suoi pro e contro; un PRO e'la continua lotta alla corruzione e mafia (vedi lo sport, politica, economia, istruzione, etc) che vede alleati e complici tutti gli italiani sotto un'unica bandiera che sicuramente non ha colore politico; un CONTRO e che non ce aria di rinnovamente nella classe politica anche se e' questo che vogliono far crederci.
Io ho sempre lottato per la mia carriera e guadagnato i soldi senza chiederli a nessuno ma alla vista dei giovani sembra che basti un calendario per far successo anziche studiare e migliorarsi, credere in qualcosa che veramente si vuole.
Io dalla mia "fuga" ho imparato a giudicare cio che le persone, politici e non, fanno per il nostro paese e non la persona....quella

1240. Alessio Loffredo
Sono architetto, ho 27 anni, mi sono laureato a 24 al Politecnico di Torino, un paio di mesi dopo la laurea sono andato via dall’Italia.
La situazione dei giovani architetti nel nostro paese é terrificante, usciti dalle università siamo costretti per anni a piegarci ad apprendistati non pagati, nulla contano i titoli e le facoltà dove si é studiato; l’ingresso nel vero mondo del lavoro ci é impossibilitato; la “classe” degli architetti propone rimborsi spese, salari vergognosi in nero o al massimo collaborazioni a progetto!, avere un contratto é qualcosa di ipotetico!
Anche se la nostra preparazione é assolutamente competitiva a livello internazionale, il nostro sistema é lento, stanco , feudale, arenato su vecchi principi clientelari, guidato da persone di 2 generazioni superate!! Una delle poche soluzioni é partire! Parliamo tanto di europa, pochi si rendono conto di quanta strada l’Italia debba concretamente ancora fare!
Vivo in francia, qui tutti i ragazzi che studiano architettura, escono dall’università con già 2/3 esperienze lavorative (ovviamente retribuite) alle spalle, il sistema e le “convenzioni nazionali” donano le linee guida per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, per la loro retribuzione e per la tutela dei loro diritti; il lavoro in nero non esiste.
Non parlo di un sistema sociale idilliaco, ma semplicemente di un sistema in cui i cittadini pagano le tasse! 
Le ultime riforme del nostro governo si sommano a quelle d

1284. Davide Bauzano
Dopo essermi laureato nel 2003, e aver lavorato un anno e mezzo in una ditta metalmeccanica per evitare il servizio civile, trovai lavoro presso i cantieri olimpici di Torino nel 2005, la mia cittá di studi che amavo e ben conoscevo. Ovviamente, tutto a progetto, sebbene lavorassi a tutti gli effetti come dipendente, peró fu una ottima esperienza sotto ogni aspetto. Tuttavia, finite le olimpiadi, lo scenario che mi si presentava era sconsolante: la prospettiva di trovare un lavoro degno, prosceuzione delle recenti esperienze sembrava impossibile, la migliore delle opzioni era poter lavorare in qualche studio, in nero o quasi, per uno stipendio minore di 1000 euro. Viste le delusioni che da tempo collezionavo nel mio Paese, unite alla delusione di un governo uscito dalle urne debolissimo, con Berlusconi ben lungi dalla sconfitta che mi aspetavo e alle sempiterne grane che affliggono l'Italia, mi decisi a lasciarla definitivamente per cercare fortuna in Spagna, Paese che conoscevo giá e verso cui sono sempre stato interessato. Era giugno 2006, e siccome vivacchiavo a Torino lavorando come barista, decisi di partire per Ibiza per passare la stagione estiva in qualche modo, magari continuando come barista, e poi spostarmi verso Madrid o Barcellona. Risposi a un annunncio che mi diede un amico giá sull'isola per un posto di architetto, e mi chiamarono ancor prima che partissi, cosa che mi diede spinta a andare giá lá con prospettive forse non solo da barista. Infatti, nel giro di 

1358. Cecilia Riolo
Lasciate che vi Racconti un Pò di m'è...
Sono una ragazza di 27 anni ho una laurea in Architettura con 110/110 sono Architetto Abilitato e Vivo a Londra.
Direte voi perfetto sei un architetto che problema hai?
Ti apri lo studio e lavori.
Quale lavoro???? cosa dovrei progettare e per chi???
Me ne sono andata dall'Italia ma ho continuato a partecipare a concorsi pubblici Italiani con la speranza che il primo della lista strasuperracomandato nn sia riuscito a finire le tavole o che il suo lavoro sia andato perduto dalle poste... perchè se nò ...ascoltatemi...
non ci sono speranze.
E' non mi venite a dire che sono luoghi comuni e che sono solo cose che si sentono dire in giro. 
Mi ricredero solo il giorno che mi chiameranno dicendomi di aver vinto un concorso di Idee per l 'Architettura a cui ho partecipato in prima persona con la consapevolezza di non aver chiesto nulla a nessuno.
Ovviamente per la Ricerca e la stessa cosa, ho partecipato prima di partire come ultima speranza di rimanere in Italia al concorso per dottorato di ricerca alla mia università ma ovviamente visti i partecipanti tra di noi sapevamo già chi avrebbe vinto... avere un 110 non serve a nulla perchè non è che si vince per merito ( persone con punteggi più bassi sono arrivate dove dovevano arrivare) E vorrei anche informarvi che ho partecipato ad un concorso per la ricerca in una Facoltà di Architettura dove su 4 posti 2 erano senza borsa di studio, ebbene sì sarei anche stata disposta a lavorare grat

1382. Paolo Privitera
Io sono scappato in spagna, Roberto Gargiani, professore rimpianto da tutti gli alunni di Architettura_Roma3, si è auto-esiliato a Losanna.
Questa è parte di una lettera che ha voluto lasciare agli studenti come saluto.(si fa riferimento alla "ricerca" appaltata per una pensilina dell'atac) 
Esprimo la mia preoccupazione più sincera per gli sviluppi culturali della facoltà, il cui profilo non è più quello che mi ero immaginato quando sono stato chiamato ad insegnarci. 
Per quanto riguarda l'assunzione di nuovi docenti attraverso il sistema del concorso la Facoltà sta dimostrando, a mio avviso di sperperare molte possibilità di investire sui migliori candidati, chiunque essi siano.
L'ho gridato al Consiglio di Facoltà: "voglio una università libera da giochi accademici e di potere", e lo scontro violento che ha opposto me e Pagliara da una parte e il resto della Facoltà in occasione del concorso per un posto di ricercatore in Storia dell'Architettura verteva solo su questo (negli ultimi scontri ho registrato un esiguo numero di adesioni alla posizione mia e di Pagliara: 2 e 1/2 circa).
Nelle assunzioni attraverso concorsi si tende a privilegiare coloro che sono portatori di una particolare dote, il che significa ad esempio, occupare posti in amministrazioni pubbliche grazie a cui dirottare incarichi professionali nelle mani dei professori. Questo meccanismo porta a creare i presupposti per scambi di favore che hanno una inevitabile ricaduta anche sull'esito dei conc

1418 Mario Isita 
Mentre ero all'Universita', a Napoli, "seguivo" un assistente locale traducendogli i primi testi che parlavano di Computer aided architecture....Lui divento' docente e io cominciai a seguirgli gli studenti, fare le lezioni etc...le solite cose.Tutto ovviamente gratis, in attesa del famoso concorso.Mi laureai con la prima laurea a Napoli in architettura che utilizzava i computer (a Napoli esistevano ancora solo quelli con le schede perforate...io lavorai a Cambridge e Glasgow).Il giorno della laurea un famoso professorone usciì dall'aula sbattendo la porta e gridando che il computer ad Architettura non sarebbe mai entrato.( mi piacerebbe sapere che ne pensa oggi, il professorone..)I professori inglesi venuti apposta a vedere la mia tesi rimasero allibiti.Il dipartimento di Computer Aided Architecture mi offri' una borsa di studio all'universita' di Glasgow. Il mio "docente" mi disse,quando chiesi il suo parere: se te ne vai ora, tra due anni non so se ti potro' dare una mano al concorso. E io restai a Napoli. Arrivo' il concorso;il titolo dell'esame era:il processo di progettazione.Praticamente lo stesso titolo della mia tesi di laurea. Il "mio docente" parti' per le vacanze in quella stessa settimana e io fui l'unico non ammesso agli orali.Vinse un iscritto al PC.Io non avevo praticamente nessuno alle spalle,ma questo lo capii solo poi; allora credevo ancora che un "merito" avesse valore . Ovviamente rimasi a Napoli, entrai nella scuola e ora sono in pensione. In Facolta' lavorano

1567. Alberto Paolotti
La mia è un'esperienza un po' datata.
Laureato nel '90 in architettura al Politecnico di Milano, lavoravo negli studi professionale per 10.000 lire(5.12€) l'ora, e dopo 18 anni vedo i neolaureati guadagnare la stessa identica cifra.
Compresi immediatamente che non era aria nel nostro paese, e durante una vacanza in Olanda contattai alcuni architetti che mi aprirono gli studi il sabato per farmi un colloquio.Lo stipendio era calcolato in base a tabelle basate sull'età, le funzioni e l'esperienza lavorativa. assunto in regola(!!!) con 4000 fiorini al mese che a seconda del cambio volatile della lira, corrispondevano a 2.600.000/3.200.000...nel 1991 si intende.
Per improvvisi problemi famigliari non potei trasferirmi ma la situazione era quella e il nostro mondo non si è mai avvicinato di un solo centimetro a quel mondo così lontano anzi..

1587. Francesco Sacconi
...che dire, il destino mi ha portato all'estero sin da giovane viaggiando, ma soprattutto per colpa del mio carattere il mio Paese mi ha rifiutato, cioe' l'essere me stesso, esprimere pienamente la mia passione riflessa poi nella vita. Ho 36 anni, le mie colpe: laureato giovanisismo con laude, parlo quattro lingue (ultima italiano), a 27 nella Sede del ilSole24Ore di Milano ricevo il RenzoPiano AWARD dedicato ai nuovi talenti dell'architettura italiana ma gia'lidero per Massimiliano Fuksas progetti da 50-70 miliardi. Chiudo a 28 con il Paese delle Vacanze, inutile seguire con la mia carriera a Barcellona, Amsterdam-Sevilla, Londra definitivamente. 
La spina nel cuore? 
Arrivando dal proletariato i cui ora clienti/conoscenti all'estero sono ex-Primi Ministri, Ambasciatori, Global Businessmen, Ministri, Presidenti...e via una lista infinita e' certo una soddisfazione personale e non di competizione, ma resta ogni secondo della mia turbolente vita dinamica la rabbia di come un intero Paese sia affetto da quella malattia italiana perversa che prevede una costante autodistruzione e incapacita' di "evolvere".
Italia, buona fortuna, ne hai proprio bisogno, e non sara' piu' la salvezza come in un Mondiale vinto magari con un rigore al 90'. Mi dispiace. Fammi vedere come sai cambiare. Io dubito...

1699. Roberto M
Mi unisco volentieri a questa iniziativa splendida, che ci permette di leggere e scoprire ció che in fondo giá sapevamo, cioé che siamo in tanti, e abbiamo vissuto esperienze simili, e abbiamo maturato precise convinzioni e idee, cosí vicine, e chissá che questo non torni utile in futuro.
Piú che a un fenomeno migratorio, coi miei amici l´ho paragonato a una diaspora italiana, perché di fatto siamo costretti a andarcene, da una politica che, temo, veda questo fenomeno di buon occhio, come un ottimo sistema di selezionare e controllare la societá e la cultura, e indirizzarla verso un orizzonte che é fondamentalmente opposto a quello verso il quale noi, individualmente, ci stiamo dirigendo.
La mia storia é semplice, dopo la laurea in una piccola facoltá di Architettura sono entrato in Dottorato in ingegneria civile, grazie alla copertura di un docente, 8 candidati per 8 posti, i voti per l'esame d'accesso distanziati di un punto ciascuno, in pratica la lista era giá stata scritta. Presto mi sono accorto che fare ricerca nella mia facoltá era una battaglia persa in partenza; fondi e spazi erano tutti suddivisi col bilancino delle amicizie, proposte e progetti cadevano nel vuoto come in un domino, anche quando non richiedevano una lira; alcune pubblicazioni all'attivo, convegni e riviste scientifiche internazionali, ma alla fine, oppresso e demotivato, mi sono deciso a lasciare l´universitá, con un dolore immenso per le tante risorse investite e sprecate, e a muovermi sulla str

1876. Arianna Campiani 
Sono in Messico da ormai 3 anni, ho potuto qui continuare con gli studi che in Italia mi erano preclusi per i pochi posti disponibili, fondi, favoritismi, se si vuole continuare con la carriera accademica.Cosí, volendo occuparmi del rapporto tra architettura e archeologia, mi sono trasferita in Messico, dove la opportunitá di studiare, dopo la laurea, é aperta a tutti, vasta e con la possibilitá di ottenere borse di studio. Alla Unversidad Autónoma de Yucatán ho realizzato una Maestría, passo fondamentale per entrare al dottorato, ed ora alla Universidad Nacional Autónoma de México sto facendo il dottorato. Penso di tornare in Italia?no...non credo avere prospettive di lavoro in ambito accademico..qui almeno ho aperta la possibilitá di lavorare in progetti di multidisciplinari e continuare con la ricerca ed insegnamento

1924. Silvia Rigon 
Mi sono trasferita negli Stati Uniti dieci anni fa.
In Italia con un titolo dell’ Accademia di Belle Arti mi ridevano dietro.
Ero una giovane ragazza con molta voglia di fare, ma nessuno che volesse aprirmi una porta.. Ho pensato di prendere un'altra laurea, e sono dovuta tornare a fare l'anno integrativo al liceo artistico… a ventitre` anni. E` stato uno degli schiaffi peggiori. Il mio titolo, in teoria equiparato alla laurea, non mi permetteva neanche di iscrivermi al primo anno di universita`. Dopo aver inziato Architettura, ho mollato... non me valeva la pena, ricominciare da capo, e in quelle condizioni di studio! Ho fatto molti lavori, pagati poco o niente. E` stato un periodo difficile, stavo cominciando ad interiorizzare una identita` da vittima…
Poi sono partita per gli Stati Uniti. Ho lavorato come cameriera per pagarmi i corsi di inglese. Il mio titolo e il mio talento che in Italia non valevano nulla, in California mi hanno permesso di essere ammessa ad un master molto selettivo alla UCLA. Ho ricevuto varie borse di studio (nessuna dal governo italiano) che mi hanno aiutato a pagare i costi. Come artista ho ricevuto premi e riconoscimenti internazionali. Ho insegnato in varie universita` prestigiose e lavoro come consulente per la Walt Disney.
I miei amici che sono rimasti in Italia hanno sempre lavorato seriamente e duramente per raggiungere le proprie aspirazioni, ma il loro sforzo raramente viene ripagato. E un sistema scorraggiante, gerontocratico, static

1940. Antonio Orfino
da 4 anni in Francia... un altro mondo...
l'Italia ha dimenticato le nuove generazioni... chi farà il "vostro" futuro...
una partenza dettata da un sistema borbonico e di corruzione...
un giorno forse tornerò per trascorrere la mia vecchiaia al sole... se ancora spenderà su una terra desolata...
cordialmente
un architetto contento di essere emigrato... 

1949. Beatrice Bongiovanni
Dopo il Dottorato di Ricerca in Innovazione Tecnica e Progetto nell'Architettura ambivo ad avere una cattedra, ma il docente di riferimento mi disse che avrei dovuto aspettare ancora (erano già 18 anni che lavoravo praticamente gratis per l'Università), allora ho deciso di partecipare ad un concorso per ricercatore a Milano ed a uno per Docente associato di II fascia a Pavia. A Milano presso il Politecnico la Commissione ha scritto sul verbale che mi sono occupata di restauro mentre mi sono sempre occupata di recupero architettonico(strano che non conoscano il significato e la differenza!!!) . A Pavia invece presso la Facoltà di Ingegneria al concorso per associato sono arrivata 2° (peccato che il posto era solo 1)e la commissione nel 2006 non ha fatto cenno alla mia esperienza didattica presso altre università e Master ed al mio contratto presso la Bicocca mentre per il "collega" trentaquattrenne che è passato era specificato chiaramente che aveva molta esperienza didattica (chissà quando l'aveva svolta visto che il dottorato l'aveva conseguito solo 2 anni prima).
Tutto ciò mi ha dato veramente fastidio e mi ha fatto capire che non serve essere capaci.
Ora svolgo la libera professione ed ho un piccolo contratto come docente per circa 3700,00 Euro annui anche se vengo chiamata in qualità di esperta da direttori e coordinatori didattici di Master per lo svolgimento di lezioni presso altre Facoltà italiane ma anche svizzere.
Che delusione vedere affossare l'università.

Questo post, se necessario, sarà aggiornato.

22 novembre 2008
Intersezioni ---> Fuga di cervelli 
_________________________________________ 
Note:
1 Raffaele La Capria, Qualunquisti per forza maggiore, Corriere della Sera, 13 ottobre 2008. Link.
Pubblicato sulla presS/Tletter n.34-2008

17 novembre 2008

0002 [FUGA DI CERVELLI] Colloquio Italia ---> Svizzera con Marco Calvani

di Salvatore D'Agostino
Fuga di cervelli è una TAG non una definizione. La TAG è contenitore di diversi 'punti di vista'.

Dall'architetto emigrante all'architetto e-migrante, una nuova idea di architettura transnazionale?



Salvatore D'Agostino Marco Calvani di anni... abitante a... migrante a... qual è il tuo mestiere?

Marco Calvani anni 29, nato a Roma ed ora e-migrato a Lugano, in Ticino. Il mio mestiere... sarebbe doveroso aprire una parentesi. Apriamola. In Italia, già dall'apertura di una partita IVA esiste una designazione di base... solitamente il non iscritto all'Ordine ricade nella categoria "disegnatore"... ma di cosa? Grafico? Designer? Caddista? Non si sa. Vecchie dizioni.
Qui in Svizzera invece non è nemmeno necessario aprire un numero IVA (non partita). Inoltre c'è molta flessibilità per quanto riguarda le mansioni: architetto, fotografo, designer, grafico... poco importa. L'importante è lavorare.
Chiusa la parentesi. Posso quindi dire che il mio mestiere gravita attorno alla comunicazione dell'Architettura: dalla scrittura alla parte visiva.

Mi spieghi la tua correzione alla mia domanda, migrante con e-migrato?

Semplice. L'emigrante di oggi è enormemente diverso da quello di soli 5 anni fa. È un e-migrante perché grazie alle nuove modalità di connessione riesce a lavorare in qualunque angolo del pianeta raggiunto dal Web con chiunque e su qualunque tema. Il problema non è più "dove trovare lavoro" ma "dove lavorare". Semplice logistica: si sceglie il miglior posto, con meno burocrazia e più aria pulita. In più, tutta la catena di affetti, relazioni viene facilitata da perenni stati di connessione audio/video...

Sulla presS/Tletter n. 28-2008 Luigi Prestinenza Puglisi si sofferma sul lavoro all'estero:
«È inutile dare illusioni ai giovani. Anche nella migliore delle Italie possibili non ci sarà mai posto per i troppi architetti sfornati dalle troppe facoltà di architettura.Occorre che trovino lavoro all'estero. Ma per fare questo, e non da emigranti o da manodopera dequalificata, è essenziale che le istituzioni si attrezzino fornendo informazioni e supporto. Altro che parlare di italianità dell'architettura italiana. Quello che occorre è organizzare una strategia seria e consapevole per conquistare dei mercati, alcuni ancora promettenti. Cosa fa, in tutto questo, la Parc? Non è riuscita a organizzare neanche una mostra di quello che producono gli italiani fuori dai confini nazionali.»
Un tuo parere?

Meno architetti da sfornare equivale a meno cattedre universitarie da assegnare e meno esami di stato da incassare.... no, non è fattibile e l'Italia non può nemmeno farsi esportatore di architetti verso l'estero, essendo nemmeno tanto ben formati e competitivi. In Svizzera ho notato numerose richieste riguardo conoscenze di progettazione BIM... mentre noi stiamo ancora, per la maggior parte degli studenti, con il Cad bidimensionale e, se va bene, Primus per i computi metrici
Della PARC e di tutti gli altri acronimi italiani, ormai poco mi importa. Ho varcato la frontiera anche per non sentire più le solite polemiche ed i soliti schiamazzi. Meglio lavorare, ed in tranquillità.

Non è possibile che in Italia un architetto di 29 anni "lavori in tranquillità"?

Abbiamo due ipotesi: la prima, vede il giovane architetto come dipendente in uno studio, il più delle volte rimediato attraverso conoscenze. Prestazione occasionale, nero o partita IVA che sia, prende tra i 5 e gli 8 euro l'ora, non ha ferie, malattia, orari fissi, aggiornamenti professionali od altro. C'è la passione, vero... ma l'Acea non la vuole in cambio di elettricità né, tanto meno, il padrone di casa al posto dell'affitto.
Seconda ipotesi. Lavora in proprio. Rarissima. Ma esiste. Per accedere al lavoro deve prima sostenere la lotteria dell'esame di stato con i relativi pellegrinaggi... Aversa, Palermo, Milano... poi deve vedersela con i primi committenti. Ho visto scendere, di preventivo in preventivo, l'onorario per una DIA da 1.200 a 300 euro in due giorni.
Nessuno ti vuole pagare, nemmeno a lavoro compiuto. Prima o poi, il giovane architetto tenterà di fuggire o di cambiare settore... proverà anche ad insegnare come supplente in una scuola media di periferia... seguirà a pagamento i corsi della SISS per almeno due anni per poi veder andare tutto in fumo dopo l'ennesima riforma.

Ma cosa c'è da salvare della didattica universitaria in Italia? Qual è il il corso, il professore o l'esperienza che ti ha formato?

L'esperienza di studio in Italia non è così pessima... eccezion fatta per l'organizzazione interna delle facoltà.
Difatti, se andassimo a fare un confronto diretto tra un laboratorio di progettazione di una facoltà italiana e quello di un'Europea troveremo una profonda divergenza che compromette profondamente la qualità dell'insegnamento: da un lato abbiamo classi stracolme con un centinaio di studenti assiepati ed impossibilitati a progettare, un insegnante solo attorniato da una schiera di assistenti non retribuiti... dall'altro 15-20 studenti con doppio docente ed eventuali supporter stipendiati. Per tacere delle attrezzature.... evito di continuare a parlarne perché il tema è attualissimo e su tutti i Tg e quotidiani.
Andando nel particolare, gli insegnamenti italiani che non rimpiango assolutamente di aver ricevuto sono quelli attinenti la parte storico-artistica: Storia dell'Architettura (basta citare Viscogliosi, Fagiolo, Muratore), Storia dell'Arte (Fonti, Caruso, Carbonara), di Museografia e Museologia (Mazzantini, Caruso). Ciò non toglie il fatto che un anno di Erasmus all'estero abbia influito come tre anni di didattica italiana, almeno a livello della progettazione.

L'architettura, l'architetto, il mestiere da e-migrato?

Un'unica parola: l'archimigrante, la nuova generazione di architetti italiani.

17 novembre 2008

Per saperne di più: leggi il blog di Marco Calvani l'Archimigrante
Intersezioni ---> Fuga di cervelli
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Note:
Pubblicato sulla presS/Tletter n.33-2008

14 novembre 2008

0018 [MONDOBLOG] Appunti di architettura parametrica

di Salvatore D'Agostino

«Tu sai1 che è dal 1939-40 che spingo la ricerca su queste relazioni e le possibilità della loro massima estensione per arrivare ad un architettura che viva nell’affascinante respiro del mondo attuale permeato da un faustiano spirito scientifico, architettura cioè autenticamente moderna di fatto (quindi nuova e rivoluzionaria) e non soltanto di nome per appartenenza storica a tempi moderni.
[...]
Ciò vale dire: soluzioni incentrate sui “parametri” quantizzabili, dei fenomeni che costituiscono le funzioni per le quali cerchiamo le forme “parametri” che di conseguenza, singolarmente e nelle loro interrelazioni, anche esse quantizzabili, fissano i limiti entro i quali si individuano, si disegnano, le forme che quelle funzioni esaudiscono.
I “parametri” e le loro interrelazioni divengono così l’espressione, il codice, del nuovo linguaggio architettonico, la “struttura”, nel senso originario e rigoroso del vocabolo, definiscono le forme che quelle funzioni esaudiscono. Alla determinazione dei “parametri” e loro interapporti, debbono chiamarsi a coadiuvare le tecniche e le strumentazioni del pensiero scientifico più attuali; particolarmente la logica-matematica, la ricerca operativa e i computers, specie questi per la possibilità che danno di esprimere in serie cicliche autocorrettive le soluzioni probabili dei valori dei parametri e delle loro relazioni.
Allo sviluppo di questa impostazione e alla nuova metodica e teoria precisata nei suoi schemi e verificata nei primi, e direi esaltanti, risultati diedi il nome di “Architettura Parametrica”.» (Luigi Moretti)

La continuazione naturale di questa ricerca, senza soluzione di continuità, si può ritrovare sul blog PROG Engineering Architecture di Alberto Pugnale, dove accantona le tesi postmoderne, compositive e filologiche, aprendo uno spazio sulle potenzialità offerte dallo sviluppo scientifico e matematico: morfogenesi, NURBS, intelligenza artificiale, ottimizzazioni computazionali, evoluzione dei sistemi complessi di natura biologica (algoritmi genetici, algoritmi evolutivi, reti neurali).
Senza presunzione di verità scientifica o codici architettonici.

14 novembre 2008
Intersezioni ---> MONDOBLOG
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1 riferitosi a Giulio Roisecco in un carteggio epistolare riportato in Federico Bucci e Marco Mulazzani, Luigi Moretti opere e scritti, Electa, Milano, 2006, pp. 204-208