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3 novembre 2008

...a proposito di scuola, teatro e cinema lumbard....


...scuola,

...e se fossero gli adulti gli ignoranti? Per il linguista Tullio De Mauro i problemi della scuola devono essere affrontati educando giovani e adulti:




«Il fatto è che le classi politiche che si sono succedute dal dopoguerra a oggi non hanno saputo mettere mano alla realizzazione di un ripensamento radicale di contenuti e metodi della scuola superiore.
C'è una novella di Pirandello che mette in fila i verbali del consiglio comunale di Milocca in cui dal 1880 al 1930 si discusse di come portare l'energia elettrica nel comune senza mai portarla. La secondaria superiore è la Milocca della no
stra scuola. Chi legge le denunce fatte dai primi del novecento sul pessimo stato d'insegnamenti e apprendimenti di matematica, italiano, latino, può cambiare le date e assumerle come documenti di oggi e condirle con i tristi numeri delle statistiche comparative internazionali che si succedono dal 1971 e che solo negli ultimi due o tre anni ottengono un po' d'attenzione nella stampa.
Tutto è cambiato dai primi del novecento: i saperi, le tecniche, le professioni, gli assetti sociali e produttivi. La Milocca liceale resta pensata cent'anni fa per i giovinetti di civil condizione. Ora finalmente è affollata, come nelle altre parti del mondo, dalla quasi totalità delle leve anagrafiche. Ma, diversamente che in altre parti del mondo, i ragazzi vengono da famiglie senza libri a casa per l'80 per cento, senza abitudine alla lettura di libri e giornali per il 60 o 70 per cento, con gravi fenomeni di analfabetismo di ritorno per il 70 o 80 per cento.
Spiegare a tutti Cartesio o gli integrali è una mission
impossible. Non usciremo da Milocca senza renderci conto di ciò e senza porvi riparo, come avviene nel resto d'Europa, con un sistema nazionale di educazione degli adulti».
(Tullio De Mauro, Meno scuola per tutti, pubblicato sul settimanale: Internazionale, n. 762, 19-09-2008, pp.20-23)

...teatro,

...amo andare a teatro, perché è il luogo dell'architettura per eccellenza, la narrazione occupa uno spazio concreto, la tua visione si ri
concilia con i rapporti architettonici spesso alienati nella visone 'flat' quotidiana monitor e schermo:


«Gran parte del pubblico che va a teatro lo fa attraverso gli abbonamenti. "Spesso - continua Fo - non sa neanche quel che sta andando a vedere, va a presenziare, quando entra chiede alla maschera: "Cosa danno stasera?" Come se fosse davanti alla televisione. Va a teatro perché incontra gli amici, perché fa bene alla sua condizione sociale farsi vedere in un certo ambiente, per lo status quo. E questo fa crollare il significato del fare teatro. Io ho la fortuna di godere ancora oggi di un certo successo, ma ho una credibilità determinata dal tempo, da 60 anni di teatro. Ma i giovani che incominciano adesso fanno una fatica terribile a imporsi"».
(Lara Ricci intervista a Dario Fo, Morte accidentale del teatro, Sole 24 Ore, n.261, 21 settembre 2008, p. 52 )


e cinema lumbard...
...non capisco perché in Italia la politica assume sempre dei comportamenti 'totalitari', i pensieri del partito diventano dei pensieri unici, indissolubili, indiscutibili, vi allego l'editoriale di Gianni Canova su Duellanti di settembre, 2008, dove descrive il nuovo cinema leghista:


«Dedicato a chi non teme il conflitto
30 milioni di euro per accontentare Umberto Bossi e produrre con denaro pubblico - cioè con i soldi della famigerata "Roma ladrona" - un kolossal (Barbarossa, regia di Renzo Martinelli) che celebri le gesta del proto-leghista Alberto da Giussano e la sua battaglia contro l'Imperatore Federico I di Svevia, detto appunto il Barbarossa.
Nell'anno di Il divo e di Gomorra trionfanti a Cannes, la Raì tocca il fondo della propria vocazione servile e totale sudditanza alla lottizzazione politica scegliendo di imboccare senza vergogna e senza ritegno la strada della fiction di Stato. Altro che sostegno al nuovo cinema indipendente, alle emergenti forze creative, ai segni di rinascita: con scelte come quella di Barbarossa, Rai Fiction conferma di essere il vero macigno sulla strada di qualsiasi possibile rinnovamento del cinema italiano e della sua legittima ambizione di diventare competitivo sul piano internazionale.
Neppure con i peggiori governi democristiani si era mai giunti a tanto. Neppure il Fascismo era stato così spudorato. Se non altro perché la DC governava la Rai avendo comunque in testa un progetto culturale. E perché il Fascismo - dal canto suo - aveva avuto l'accortezza di affidare le sorti della cinematografia a un uomo colto e intelligente come Luigi Freddi (il fondatore di Cinecittà e del Centro Sperimentale di Cinematografia), che aveva scelto con decisione la strada di un cinema plasmato sul modello dell'intrattenimento hollywoodiano piuttosto che su quello della propaganda sovietica o nazista.
La Rai - con la Lega nei panni dell'azionista di riferimento - affida invece le sorti della fiction comunal-popolare a un regista come Renzo Martinelli, che non solo si esprime con battutacce sprezzanti sulle comparse romene pagate 400 euro a settimana per interpretare i valorosi lumbard (quando si dice la nemesi della fiction!), ma incarna un'idea di cinema rozzo e manicheo, in bilico fra lo zdanovismo sovietico e il Minculpop di fascistissima memoria, in cui la produzione di immagini si riduce a propaganda e dove l'ideologia prevarica su qualsiasi altra necessità estetica, espressiva o emozionale. Non è un passo falso, questo di Barbarossa. È un passo indietro che ci riporta a mezzo secolo fa, e a una visone del rapporto fra politica e cultura - con Bossi che vola sul set in Romania per dare lezioni di storia padana - a dir poco ripugnante, cortigiana e asservita.
Peccato. Dopo il successo di Garrone e Sorrentino a Cannes, speravamo che la nuova stagione del cinema e della fiction italiana potesse aprirsi sotto altri auspici. Non è così, e i tentativi di normalizzazione dell'immaginario sono già tutti pesantemente in atto.
Vorrà dire che sarà una stagione di battaglie, quella che inizia con questo settembre. E noi, da bravi duellanti, non potremo che fare la nostra parte».



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